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Tra genitorialità e attaccamento

La genitorialità non coincide con la nascita di un figlio, ma è il risultato dell'elaborazione e riorganizzazione delle proprie esperienze di vita e vissuti

Di Ilaria Contini

Pubblicato il 14 Nov. 2022

Aggiornato il 18 Nov. 2022 12:33

Diventare genitori comporta anche un processo definito il “lavoro del lutto” che implica la rinuncia al ruolo di bambino che si ricopriva con i propri genitori e il doversi identificare con questi ultimi per poter svolgere la funzione genitoriale.

 

Il vissuto della genitorialità

La relazione genitore-bambino è una componente fondamentale per lo sviluppo di quest’ultimo in quanto costituisce il suo mondo affettivo e sociale, determina la struttura delle sue difese e porta alla formazione di rappresentazioni riguardanti le aspettative rivolte alle relazioni con gli altri. La famiglia si presenta come nucleo all’interno della quale si intrecciano fattori di rischio e fattori protettivi che influenzano lo sviluppo dell’infante e risulta quindi di primaria importanza analizzare le molteplici situazioni che si pongono come l’origine di numerosi disturbi, tra cui la depressione (Candelori, Mancone, 2001).

In tale analisi è importante considerare diverse dinamiche che determinano la molteplicità di situazioni che il bambino si trova a vivere, dinamiche che sono presenti ancor prima che il bambino arrivi nel nucleo familiare, come il vissuto della genitorialità (Candelori, Mancone, 2001).

La genitorialità non coincide con la nascita di un figlio, ma anzi è il risultato di un lungo processo di elaborazione e riorganizzazione delle proprie esperienze di vita e dei propri vissuti, che determina l’alterazione degli equilibri dell’individuo e della coppia, fino a poter giungere al crollo psicologico (Zappa, 2013; Candelori, Mancone, 2001).

Diventare genitori comporta anche un processo definito il “lavoro del lutto” che implica la rinuncia al ruolo di bambino che si ricopriva con i propri genitori e il doversi identificare con questi ultimi per poter svolgere la funzione genitoriale. Al bambino, il genitore delega una parte dei suoi desideri e bisogni infantili attraverso meccanismi di identificazione proiettiva, non necessariamente patologici, ma che, anzi, solitamente permettono lo stabilirsi dell’empatia e favoriscono lo sviluppo psichico del bambino. Le identificazioni genitoriali preconsce iniziano già durante l’infanzia, organizzano la struttura intrapsichica e si rafforzano con l’arrivo del bambino, scatenando spesso la “depressività” insita nella genitorialità. Tale depressività deriva dalle identificazioni con i propri genitori ai quali, durante l’infanzia e l’adolescenza, si sono rivolti rimproveri e accuse, che, nel momento dell’arrivo di un figlio, possono rivolgersi anche contro se stessi (Palacio Espasa, 2004).

Il “lutto dello sviluppo” implicato nella genitorialità reca in sé la possibilità, quindi, di generare depressività, determinando lo sviluppo di una conflittualità genitoriale che dipende dall’elaborazione dei lutti della propria infanzia, cioè quelli riguardanti un oggetto realmente perduto e quelli che implicano invece un oggetto fantasmatico (Palacio Espasa, 2004).

Le dinamiche genitoriali

I vissuti legati alla genitorialità sono molto complessi e possono portare all’insorgere di diverse problematiche, infatti, Palacio Espasa (2004) descrive quattro tipi di dinamiche genitoriali, tra cui si evidenziano in particolare due tipologie patologiche: la genitorialità masochistica e la genitorialità narcisistico-dissociata.

La genitorialità masochistica è caratterizzata da lutti basati sul senso di colpa e prevede due tipologie di casi: nel primo caso i neo genitori hanno avuto a loro volta dei genitori con forti tendenze depressive e sono stati vissuti come figli “difficili”; nel secondo caso i genitori hanno vissuto i propri genitori come indegni, abbandonici e tendono ad essere molto protettivi nei confronti del proprio figlio. Allo stesso tempo si identificano con il genitore indegno, a cui hanno rivolto le proprie accuse in passato, sottomettendosi al bambino, all’aggressività che proiettano su di lui, mossi dal bisogno di espiazione masochistica. Tali genitori possono favorire l’insorgere, nel proprio figlio, di alcuni fenomeni patologici come disturbi dell’autostima, causati dall’atteggiamento sottomesso che assumono nei confronti dei genitori, determinando una trasmissione intergenerazionale della depressività. Inizialmente il bambino presenta vissuti di grandiosità veicolati dalle identificazioni proiettive del genitore, portando a comportamenti molto difficili e tirannici, ma tale grandiosità lascia poi spazio alle immagini svalorizzanti che si rafforzano negli scambi con i genitori “vittime”. La grandiosità infatti espande l’Io e rafforza il Super-Io, per poi determinare la presenza di sensi di colpa e porre così le basi per lo sviluppo di un disturbo depressivo.

Le identificazioni proiettive su cui si basano i conflitti della genitorialità narcisistica- dissociata sono unidirezionali e deformanti rispetto all’immagine del bambino e sono caratterizzate dalla proiezione di immagini negative di se stessi, che assumono per il bambino il carattere di persecutorietà. La conflittualità genitoriale viene negata e coperta da immagini parentali positive, non conflittuali, assumendo così un narcisismo di base di tipo distruttivo e generando nel bambino disturbi dell’attaccamento. Tali genitori, con le loro identificazioni proiettive patologiche, deformano l’immagine del figlio e lo sommergono di immagini negative del loro passato. L’interazione tra madre e figlio, in particolare, diventa molto problematica a causa dell’atteggiamento materno rifiutante e distanziante, generando vissuti di frustrazione e pericolo nel bambino, che tenderà a difendersi da ciò tramite meccanismi tipici dell’Io narcisistico primario. Il bambino si identificherà con l’immagine di rifiuto, trasmessa dalla madre, e tale immagine diventa il nucleo fondante della sua struttura psichica, generando profonde difficoltà nell’attaccamento tra madre e bambino. Inevitabilmente gli scambi fisici tra madre e bambino, fondamentali per lo sviluppo emotivo, non riescono ad essere piacevoli e a dare il via a tutte le funzioni fondamentali per un corretto funzionamento psichico, determinando l’insorgenza dei disturbi dell’umore (Palacio Espasa, 2004).

Il bambino, inoltre, come sostiene John Bowlby, nasce biologicamente predisposto ad entrare in contatto con il mondo esterno e a stabilire legami significativi, definiti “relazioni di attaccamento”, che non sono legate al soddisfacimento delle pulsioni, come sosteneva Freud, ma mirano a garantire sicurezza e protezione (Baldoni, 2005).

Il sistema di attaccamento

L’attaccamento è un sistema motivazionale innato e biologicamente adattivo, caratterizzato da tre elementi fondamentali: la ricerca di vicinanza al caregiver, l’effetto “base sicura” (il legame che permette al bambino di sentirsi capace di esplorare l’ambiente e di trovare conforto nei momenti di ansia) e la protesta per la separazione (Candelori, 2006).

Il sistema di attaccamento, da un punto di vista evoluzionistico, permettendo di mantenere e sollecitare la prossimità alla figura di riferimento, aumenta le probabilità di sopravvivenza del bambino, data la sua scarsa autonomia e le sue capacità limitate.

Il sistema di attaccamento del bambino, tuttavia, si intreccia con quello del genitore, predisponendo quest’ultimo a determinate risposte e dinamiche nell’accudimento; la qualità di tali risposte determinerà la formazione nel bambino di quelli che Bowlby chiama Modelli Operativi Interni (Bowlby, 1969). Questi ultimi sono delle mappe rappresentazionali che si costruiscono attraverso le interazioni tra bambino e caregivers; in base alle risposte di questi ultimi, si creeranno nel bambino una serie di aspettative, immagini di sé e assunti che guideranno le relazioni. Il bambino, in questo modo, diviene capace di usare questo sistema rappresentazionale per predire il proprio e altrui comportamento e quindi gli stili di interazione e regolazione degli affetti che si consolidano nel corso dello sviluppo; saranno dei prototipi per i successivi processi di mediazione che consentiranno di instaurare relazioni sociali e di mantenere un senso di sicurezza nelle situazioni stressanti (Benvenuti, 2007).

Mary Ainsworth ha proseguito gli studi di Bowlby e ha introdotto una metodologia per la valutazione degli stili di attaccamento nei bambini di uno-due anni, la Strange Situation, che consiste in una procedura videoregistrata, della durata di circa venti minuti, in cui il bambino e il caregiver vengono osservati in una stanza ed esposti a momenti di separazione e riavvicinamento in presenza di un estraneo. Grazie a tale procedura sono emersi tre tipi di pattern di attaccamento infantile:

  • attaccamento sicuro, il bambino ha stabilito un legame affettivo molto forte con la madre che riesce a rassicurarlo nei momenti di difficoltà.
  • insicuro-evitante, la separazione dalla madre non comporta nel bambino angoscia o disagio, in presenza di un estraneo è tranquillo e durante il ricongiungimento alla madre, il bambino la evita e non ricerca contatto fisico.
  • insicuro-ambivalente, il bambino si mostra a disagio durante tutta la sperimentazione, esibisce comportamenti ambivalenti e tende ad essere irritabile e difficilmente consolabile (Shaffer, 1998).

A questi tre pattern, Mary Main ne ha aggiunto un quarto, insicuro- disorganizzato/disorientato: il bambino con tale legame mostra comportamenti contradditori e confusionari nel ricongiungimento alla madre, non volge lo sguardo al caregiver e, nei momenti di contatto con lei, spesso manifesta una postura rigida (freezing) e risulta impaurito (Main, Solomon, 1986).

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Baldoni F. (2005), Funzione paterna e attaccamento di coppia: l’importanza di una base sicura. In N. Bertozzi, C. Hamon (a cura di), Padri e paternità. Bergamo: Edizioni Junior.
  • Benvenuti P. (2007), Psicopatologia nell’arco di vita. Firenze: Seid Editori.
  • Bowlby J. (1969), Attaccamento e perdita. Vol. 1. L’attaccamento alla madre. Torino: Boringhieri.
  • Candelori C., Mancone A. (2001), Genitorialità: situazioni a rischio e psicopatologiche. In M. Ammaniti (a cura di), Manuale di Psicopatologia dell’Infanzia. Milano: Raffaello Cortina Editore.
  • Candelori C. (2006), Attaccamento e psicoanalisi. Richard & Piggle, 14, 258-264.
  • Main M., Solomon J. (1986), Discovery of a new insecure-disorganized/disoriented attachment pattern. In T.B. Brazelton, M. Yogman (a cura di), Affective development in infancy. Ablex, Norwood, 95-124.
  • Palacio Espasa F. (2004), Depressione di vita, depressione di morte. Milano: Raffaello Cortina Editore.
  • Shaffer H. R. (1998), Lo sviluppo sociale. Milano: Raffaello Cortina Editore.
  • Zappa V. (2013), Genitorialità: da coppia a “famiglia”. Riassetti intra e inter-personali. Criticità e fattori di rischio per lo sviluppo del bambino.
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