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Siamo vicini a trovare nuove terapie per rallentare il decorso dell’Alzheimer?

I ricercatori affermano che migliorare la trasmissione sinaptica sarà la chiave per risolvere la cognizione compromessa nella malattia di Alzheimer.

Di Marco Dicugno

Pubblicato il 22 Lug. 2020

L’obbiettivo di un recente studio è quello di comprendere quali cellule siano colpite nelle fasi iniziali della malattia di Alzheimer, così da sviluppare in seguito terapie che ne rallentino il decorso. 

 

I neuroscienziati specializzati in cellule staminali dell’Università di Lund in Svezia hanno sviluppato un modello di ricerca che consente di studiare i neuroni dell’ippocampo umano, le cellule cerebrali colpite principalmente dalla malattia di Alzheimer. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Stem Cell Reports (Pomeshchik et al., 2020).

Nella malattia di Alzheimer l’ippocampo, una struttura del cervello che regola la motivazione, l’emozione, l’apprendimento e la memoria, è gravemente colpito. Tuttavia, a causa dell’impossibilità di analizzare il tessuto ippocampale, a meno che non sia post mortem, non è possibile per i ricercatori comprendere quali siano gli eventi primordiali che portano alla disfunzione cellulare e al conseguente danno neuronale nel paziente. L’obbiettivo per i ricercatori in questione è quello di comprendere quali cellule siano colpite nelle fasi iniziali della malattia di Alzheimer, così da sviluppare in seguito terapie che ne rallentino il decorso. I ricercatori di Lund sono riusciti a generare strutture 3D simili ai tessuti ippocampali, partendo da cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC), chiamate sferoidi ippocampali (HS). Gli sferoidi sono presenti nei cosiddetti neuroni granulari (Pomeshchik et al., 2020).

Nella maggior parte delle specie vertebrate, compresi gli esseri umani, i nuovi neuroni granulari vengono generati nel corso della vita attraverso un processo chiamato neurogenesi e si ritiene che contribuiscano alla formazione della memoria. Il nuovo metodo sviluppato dagli scienziati consentirà di aumentare la produzione di neuroni dell’ippocampo per studiare la neurogenesi umana e, soprattutto, esaminare come le cellule dell’ippocampo, inclusi i neuroni granulari e la glia di supporto, vengono alterate nelle fasi iniziali della malattia. Infatti, tramite questa metodologia sono in grado di generare giovani cellule cerebrali ed esaminare i primi cambiamenti patogeni così da ottenere preziose informazioni sullo sviluppo e la progressione delle malattie cerebrali (Pomeshchik et al., 2020).

I ricercatori hanno anche usato l’HS per esaminare la disfunzione cellulare nella malattia di Alzheimer e, più precisamente, in che modo la patogenesi cellulare differiva tra gli individui. Hanno generato HS da pazienti con estrema sintomatologia – un tipico paziente Alzheimer portatore di una mutazione nel gene della proteina precursore dell’amiloide e un individuo atipico con una rara mutazione nel gene della presenilina 1 e in seguito hanno esaminato la patologia cellulare.

È interessante notare che, nonostante esibissero alcune importanti caratteristiche comuni, le HS dei due geni mutati differivano in molte altre caratteristiche, il che rifletteva in qualche modo la gravità dei loro sintomi (Pomeshchik et al., 2020).

Gli HS possono essere usati per capire come le cellule dell’ippocampo si generano e maturano nel tempo. Possono anche essere usate per esaminare se la neurogenesi è influenzata negli HS generati da pazienti con lesioni dell’ippocampo rispetto ai soggetti di controllo. L’analisi degli HS può rivelare quali disfunzioni cellulari si verificano precocemente nella malattia e se sono identici o diversi tra i pazienti portatori di forme familiari o idiopatiche, inoltre possono essere sfruttati per sviluppare trattamenti su misura per sottogruppi di pazienti e per capire perché alcuni trattamenti potrebbero essere utili o meno (Pomeshchik et al., 2020).

Recentemente sono stati utilizzati gli sferoidi ippocampali per esaminare l’effetto di un gene chiamato NeuroD1, l’espressione virale mediata del NeuroD1 è stata sufficiente per aumentare il livello di geni sinaptici, i cui livelli sono influenzati dalla malattia di Alzheimer, i ricercatori affermano che migliorare la trasmissione sinaptica sarà la chiave per risolvere la cognizione compromessa nella malattia di Alzheimer (Pomeshchik et al., 2020).

 

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