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Pink Freud. Psicanalisi della canzone d’autore da Bob Dylan a Van De Sfroos – Recensione

Pink Freud.

Psicanalisi della canzone d’autore da Bob Dylan a Van De Sfroos.

Di Angelo Villa (2013) – Mimesis Editore

 

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Pink Freud. Psicoanalisi della canzone d'autore

Pink Freud. Psicanalisi della canzone d’autore da Bob Dylan a Van De Sfroos. Immaginiamo un esperto psicanalista lacaniano, grande appassionato di musica, che fa accomodare sul proprio lettino Sua Maestà il rock (ma anche il folk…) e che questo particolare paziente si esprima tramite la forma comunicativa che gli è più congeniale: la canzone.

L’analista lavora per associazioni partendo dalle canzoni, ma anche dalle storie psicologiche di chi le ha scritte. L’autore si è documentato in modo approfondito traendo preziosi dati anamnestici dalle biografie delle rockstar e dei cantautori, che notoriamente spesso assomigliano a delle cartelle cliniche, soprattutto se si tratta di songwriter che hanno vissuto gli anni sessanta e settanta. La lunga seduta psicanalitica parte dai trovatori, i precursori dei cantautori, e da Freud che non amava la musica, ma che riconosceva che “Quando il viandante canta nell’oscurità rinnega la propria apprensione”.

Nella lunga carrellata di personaggi troviamo: le oscillazioni del senso di identità di Bob Dylan; le pulsioni edipiche di Jim Morrison esplicitate nel celeberrimo brano The end; il lutto non elaborato per la perdita del padre di Leonard Cohen; parte della produzione solista di John Lennon, influenzata da un complesso rapporto con la figura materna; l’identificazione di Fabrizio De Andrè con i reietti protagonisti delle sue canzoni e alcune interessanti ipotesi psicodinamiche sulle prostitute che compaiono in tanti brani di Faber; un capitolo sulle cantautrici capitanate dalla martire del rock Janis Joplin.

Le analisi sono interessanti, anche se chiaramente molto dense di teoria psicanalitica. Quindi può capitare di leggere che “la dimensione pulsionale si riflette con forza” nella celeberrima “svolta elettrica” di Bob Dylan, o che “la fantasia di Imagine invoca un mondo materno”. Le interpretazioni sono suggestive, anche se tolgono un po’ di magia alle canzoni, che speso nascono come geniali inafferrabili intuizioni.

Credo che il pregio più grande di questo libro, oltre alla perizia e alla profondità con cui vengono osservati tanti frammenti di cultura pop, sia l’importanza e la dignità che l’autore dedica alle canzoni come forme espressive ricche di significati.

L’autore sottolinea come la canzone nella nostra epoca, si sia in parte sostituita a quello che nei secoli scorsi era il romanzo di formazione. Non mi risulta ci siano tanti psicanalisti che si siano avvicinati all’argomento canzone, mentre abbondano studi e dissertazioni su altre forme espressive come la pittura (si pensi a quanto è stato scritto su Munch e quante volte è stato utilizzato il suo L’urlo) o il cinema (i cineforum con i film di Bergman…).

I cantautori, o i “nuovi trovatori” come li definisce Villa, esprimono cantando i disagi, le aspettative e le contraddizioni della propria generazione e possono riempire il vuoto narrativo del mondo postmoderno. Per questo meritano grande attenzione.

 

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BIBLIOGRAFIA:

Dislessia: Da KO a OK! Il font ad alta leggibilità EasyReading

Di Massimo Rondi

 

Dislessia- Da KO a OK! - Disturbi specifici dell'apprendimento (DSA). -Immagine:© Fiedels - Fotolia.com Sono dislessico e collaboratore editoriale. Binomio impossibile? Assolutamente no. Le case editrici si sono presto accorte che un collaboratore dislessico è un’opportunità.  Perché quello che va bene per un dislessico va benissimo  per tutti i lettori.

Avete mai pensato che allo specchio le lettere KO diventano esattamente il contrario?

OK

Mi viene in mente che Leonardo da Vinci (mancino e dislessico) era capace di scrivere al contrario, da destra verso sinistra e dall’ultima pagina verso quella iniziale (“Storie di normale dislessia” di Rossella Grenci e Daniele Zanoni).

La scrittura è una convenzione recente per il nostro cervello. Non è intuitiva neppure la “direzione”, da sinistra a destra o da destra a sinistra.

E il modo di leggere “dislessico” potrebbe essere giusto in un altro sistema di scrittura.

Secondo le stime più recenti la dislessia oggi interessa almeno il 10% della popolazione mondiale, ovvero circa 700 milioni di persone. E la dislessia può apparire sotto molte e diverse forme, rendendo difficile la diagnosi quando il problema si manifesta.

Sono dislessico e collaboratore editoriale. Binomio impossibile? Assolutamente no. Le case editrici si sono presto accorte che un collaboratore dislessico è un’opportunità.  Perché quello che va bene per un dislessico va benissimo  per tutti i lettori.

E la mia esperienza di lettore  per professione e per piacere si è sempre scontrata con la grafica della pagina scritta.

Per fortuna, rispetto al passato, tanto si sta muovendo nell’universo dei caratteri agevolanti per le difficoltà di lettura. Altre ricerche (come quella del Centro Risorse – Clinica Formazione e Intervento in Psicologia: Gradimento e prestazione nella lettura in Times New Roman e in EasyReading® di alunni dislessici e normolettori della classe quarta primaria)  perseguono, con risultato affermativo, l’obiettivo di verificare se la preferenza per un carattere sia giustificata da un effettivo aumento in termini di velocità di lettura e correttezza, nei normolettori e nei dislessici.

Come semplice lettore con DSA,  mi piacerebbe iniziare uno scambio di idee tra dislessici adulti sui font in uso: che poi sempre con questi dobbiamo comunque fare i conti, nella realtà, sia cartacea sia elettronica.

Ci sono soluzioni che sembrano miracolose: usiamo il tablet e sconfiggeremo i problemi…

Molto interessanti a questo riguardo le riflessioni e le conclusioni della professoressa Roberta Penge, raccolte da Tina Simonello su Repubblica (19/11). Il titolo dell’articolo così sintetizza: “Dislessia. Se un tablet velocizza la lettura”, ma in realtà il testo ci fa capire una volta di più che non basta l’idea astratta di tablet, perché la scrittura non è un elemento impercettibile, tutt’altro.

Le ricerche di questi ultimi anni hanno evidenziato alcuni dati comuni.

Scrive la professoressa Penge: «Un supporto che permette di modificare l’aspetto del testo funziona molto bene per i dislessici con difficoltà più di tipo visuospaziale, ma rappresenta sicuramente un aiuto valido anche per i cosiddetti dislessici linguistici (la cui difficoltà ha a che vedere più con il linguaggio, con la decodificazione dei segni in suoni)».

Come Edo di Roberta Moriondo (Edo non sa leggere. E’ dislessico. Proprio come Einstein) che scambia Voce e Foce.

L’effetto affollamento è sempre in agguato per noi dislessici: quella foresta, peggio: quel muro senza appigli che può diventare la pagina scritta.

Lo studio di Marco Zorzi, docente di Psicologia e intelligenza artificiale all’università di Padova, in collaborazione con l’istituto Burlo Garofalo di Trieste e l’università di Aix en Provence-Marsiglia, pubblicato sulla rivista Pnas  (vedi: Il Secolo XIX – 19-06-12), ha puntato l’obiettivo sull’affollamento percettivo: aumentando la spaziatura tra lettere di un testo si ottengono migliori performance di lettura. (Leggi: Dislessia e Perceptual Crowding: un App per facilitare la lettura)

Anche altri elementi possono confondere chi ha difficoltà di lettura: «Il tipo di carattere per esempio», il disegno del carattere in sé.
In effetti per me (dislessico compensato) il Times New Roman ha un po’ troppe grazie ma l’Arial è troppo “rotondo”, indifferenziato, soprattutto in alcuni caratteri (dbpq  oppure “u” e “n” rovesciato)..

L’OpenDyslexic del designer Abelardo Gonzales utilizza l’effetto zavorra per ancorare le lettere alla riga e impedire che girino, “capottino” etc. I non dislessici non lo amano, solitamente, e io stesso non mi sento sciolto nella lettura. Bene ha fatto Biancoenero®  “a non accentuare la differenza di questa font con altre in uso nei testi per ragazzi, per non disorientare il lettore”.

Dal video Dislessia & Design un non dislessico può avere un’idea di cosa sia la dislessia. Il Design For All è quello del font ad alta leggibilità EasyReading:

carattere ibrido che si propone di evitare l’effetto affollamento con ampi spazi calibrati (automatici) tra parole, punteggiatura, lettere, righe.

Lo scambio percettivo, possibile con Arial, è evitato o almeno reso difficile dalla “forte caratterizzazione”e dalle grazie dedicate (non troppe come in Times New Roman, solo quelle necessarie).  Anche EasyReading se è “eccellente per i dislessici”, è pure  “ottimo per tutti”.

LEGGI:

DISLESSIA – DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO -DSA

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

Contenuti virali sulla rete? Devono emozionare – Comunicazione

 

 

– FLASH NEWS-

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

Cosa rende un articolo, un post o un video virale in rete? Il segreto della viralità è nelle emozioni che il contenuto telematico è in grado di evocare in chi lo guarda: un mix di emozioni positive e negative sembra essere la formula perfetta, in grado di superare in potere virale sia i contenuti neutri che quelli che suscitano emozioni prevalentemente negative o positive.

Nello specifico è il livello di arousal a determinare quanti click riceverà un contenuto in rete,  e più alto è l’arousal più virale sarà la diffusione del post. Rabbia e senso dell’umorismo, ad esempio, sono emozioni ad alto arousal, contentezza e tristezza a basso arousal.

Un team di ricercatori della National Science Foundation ha mostrato a 256 individui un video, parte di una collezione di video in grado di abbracciare tutto lo spettro emotivo. Alcuni di loro hanno visto una selezione di clip carini o divertenti che erano stati virali su YouTube, altri hanno visto un video di successo che evocava rabbia o disgusto. Altri ancora hanno visto un video neutro sul basket.

Dopo la visione, ai partecipanti al test è stato chiesto se avrebbero voluto condividere i video. Coloro che avevano visto il video divertente e quelli che avevano visto il video che evocava rabbia o disgusto erano significativamente più propensi alla condivisione di quelli che avevano visto il video neutro sul basket. Un test di follow-up con 163 partecipanti ha trovato lo stesso modello di potenziale virale: sono le emozioni negative e quelle positive le più virali.

Il contagio emotivo, insomma, funziona anche indirettamente, con la condivisione di articoli o video in rete.

Alcuni anni fa, due studenti del Wharton Behavioral Laboratory  hanno analizzato circa 7.000 articoli apparsi sul sito del New York Times per vedere quali avevano ricevuto più condivisioni. Dopo il controllo per fattori, come la rilevanza della pagina e la fama dell’autore, i ricercatori hanno trovato che i pezzi “emotivi” erano di gran lunga più virali di quelli non-emozionali .

All’interno degli articoli virali, i ricercatori hanno studiato le emozioni evocate scoprendo un’ alta frequenza di quelle ad alto arousal (timore, rabbia e ansia, tutte emozioni che che ci spingono ad agire), rispetto a quelle a basso arousal (come ad esempio la tristezza, legate a maggiore passività).

Alla luce di questi risultati Berger, autore nel 2013 del libro “Contagious: Why Things Catch On”, ha condotto uno studio e ha chiesto ai partecipanti di sedersi prima di leggere un articolo neutro, o di fare jogging sul posto per un minuto prima di leggere lo stesso pezzo. Poi ha dato ai partecipanti la possibilità di condividere il pezzo letto con qualcuno: tre quarti dei joggers lo hanno condiviso, contro solo un terzo di quelli che erano rimasti seduti prima della lettura. Questo, secondo Berger, è un segno ulteriore dell’importanza che il livello di arousal riveste nella trasmissione sociale.

LEGGI:

LINGUAGGIO & COMUNICAZIONEPSICOLOGIA DEI NEW MEDIA

 

 

BIBLIOGRAFIA:

Psicologia Ambientale: gli effetti psicologici dei luoghi che abitiamo

 

La Redazione di State of Mind consiglia la lettura di questo contenuto:

 

Uno studio di Psicologia Ambientale della Newcastle University ha indagato gli effetti della permanenza (anche minima, 45 minuti) di 50 volontari in un quartiere ad alto tasso di criminalità.
E’ bastato un breve tempo per sviluppare un grado di paura e paranoia paragonabile a quello dei residenti.

“We weren’t surprised that the residents of our high-crime neighbourhood were relatively low in trust and high in paranoia”, says lead researcher Professor Daniel Nettle of the Institute of Neuroscience at Newcastle University. “That makes sense. What did surprise us though was that a very short visit to the neighbourhood appeared to have much the same effects on trust and paranoia as long-term residence there.”

The results suggest that people respond in real time to the sights and sounds of a neighbourhood – for example, broken windows, graffiti and litter – and that they use these cues to update their attitudes concerning how other people will behave.

 

The psychological effects of the environment – Press Office – Newcastle UniversityConsigliato dalla Redazione

BANDO SELEZIONE PSICOLOGI
Spending as little as 45 minutes in a high-crime, deprived neighbourhood can have measurable effects on people’s trust in others and their feelings of paranoia. (…)

 

Per continuare la lettura sarete reindirizzati all’articolo originale … Continua  >>

LINK all’articolo scientifico


Articoli di Psicologia Ambientale
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Survey online per indagare quali caratteristiche del benessere psicologico e familiare sono influenzate maggiormente dal cambiamento climatico
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Il nuovo singolo Ecoansia di Psicantria ci fa a riflettere sul tema del cambiamento climatico e sui suoi effetti sulla salute mentale
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La mente orientale. Psicoanalisi e Cina, di Christopher Bollas – Recensione

Erica Salomone.

 

Recensione

La mente orientale. Psicoanalisi e Cina

Christopher Bollas (2013)

Cortina Editore

 

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La mente orientale - RecensioneL’ultimo libro di Christopher Bollas, il cui titolo originale è “China on the Mind”, si presenta come un’ampia  ricognizione di natura letteraria e filosofica sulla forma mentis orientale, ricca anche di digressioni di carattere autobiografico; è in corso la sua traduzione in cinese presso l’Università di Pechino.

Bollas, Americano di nascita e inglese d’adozione, con questo testo si sporge verso l’Oriente per individuare passaggi culturali e riflettere sulla pratica clinica, come prima di lui Carl Gustav Jung, Wilfred Bion, Nina Coltart, Masud Khan e molti altri. La prima parte del libro, Preconcezioni, prende in considerazione i tre testi classici della cultura orientale: Il libro delle odi, Il libro dei riti, Il libro dei mutamenti  (“I Ching”: di quest’ultimo se ne occupò ampiamente Jung). La seconda parte, Realizzazioni, prende in considerazione gli autori che interpretano e rappresentano i testi madre nei propri scritti, poi diffusi nella cultura cinese; gli scritti di Lao Tzu, Confucio, Zhuangzi ed altri sono collegati da Bollas al pensiero psicoanalitico contemporaneo, in particolare a Winnicott e a Khan.

La terza parte, Concettualizzazioni, prende in esame la psicologia sociale della mente individuale e di gruppo, indagando in  particolare i possibili nessi tra il pensiero psicoanalitico di Bion sui gruppi ed esamina il fiorente interesse per la psicoanalisi in Cina.

Appartenente alla tradizione psicoanalitica britannica degli “Indipendenti”, ovvero quel gruppo di psicoanalisti che non intendevano schierarsi né con la tradizione Viennese di Anna Freud, né dalla parte di Melanie Klein, Bollas ha introdotto nei suoi primi lavori1, 2  il concetto di “conosciuto non pensato”, ovvero ciò che ci è in qualche modo noto, ma che non possiamo pensare. Conosciute ma non pensate sono le prime esperienze preverbali del bambino, così come l’interazione tra le comunicazioni transferali del paziente e il controtransfert dell’analista.

Ne La mente orientale, il “conosciuto non pensato”  del metodo psicoanalitico viene messo in relazione da Bollas con l’immediatezza dell’essere e del relazionarsi orientali, che non si affidano al linguaggio per spiegare, ma al piu’ per evocare con le immagini della poesia.. Da qui scaturisce la riflessione-avvertimento di Bollas: secondo l’autore la psicoanalisi è, per definizione, in grado di operare un’integrazione tra la struttura della mente occidentale e quella orientale; tuttavia quest’ultima componente, materna e associativa, è stata nel tempo progressivamente rimossa a favore di un causalistico, paterno pensiero occidentale.

Scrive Bollas nell’introduzione: “quando si fa riferimento alla differenza tra modo di pensare orientale e occidentale, non si parla di menti diverse, ma di diverse parti della mente. Storicamente, il pensiero orientale propende per forme di pensiero basate sull’ordine materno, mentre il pensiero occidentale riflette forme di pensiero provenienti dall’ordine paterno” (p. 13).

Oriente come pensiero presentazionale, preverbale, collettivo, correlativo e sincronico; Occidente come pensiero rappresentazionale, verbale, individuale, causale e diacronico. Tale schema non viene introdotto da Bollas come assoluto, ma come chiave di lettura per comprendere come dalla scissione di una mente originaria unica si siano generate due opposte visioni del mondo.

La psicoanalisi, quale filosofia introspettiva occidentale fondata su entrambi gli ordini di pensiero, comprende al suo interno la stessa dinamica di opposti. Se infatti nel pensiero psicanalitico classico è prevalente un’impostazione di pensiero di tipo patriarcale, in quanto il ruolo del padre nella formazione della struttura psichica sembra in Freud marginalizzare la relazione madre-bambino, quest’ultimo aspetto è comunque rappresentato secondo Bollas nell’invenzione stessa del setting, cioè quel processo e nucleo della relazione che sono il cuore della psicanalisi. Gli aspetti legati al “codice materno” che privilegia forme di comunicazione non verbale, la capacità di stare da soli, l’essere piuttosto che il fare sono ancora più evidenti nella tecnica clinica sviluppata successivamente da Donald Winnicott e Masud  Khan in Inghilterra.

La psicoanalisi contemporanea può e deve, secondo Bollas, operare una nuova integrazione interna tra gli aspetti occidentali e quelli orientali, riconciliando Freud con Winnicott. Nel libro Bollas associa la pratica psicoanalitica alle immagini della tradizione poetica orientale: la poesia, infatti, nella quale la forma prevale sul contenuto, fa da sfondo alla sua tesi secondo cui “il processo analitico ha una sua poetica della forma che si collega al modo di essere orientale” (p. 27). Bollas trova altri parallelismi tornando all’idea di “idioma”, centrale nel suo pensiero.  L’ “idioma umano”, ovvero  di “quel nucleo unico di ciascuno […] che, in circostanze favorevoli, può svilupparsi e articolarsi” (2, p.226) si costituisce gradualmente a partire dalle prime esperienze del bambino. Il nostro idioma, e l’idioma di chi incontriamo, non sono una forma statica, ma un processo, una serie di trasformazioni che avvengono nel corso della vita. È anche però una struttura integrata dell’essere, una fonte di energia psichica (come il Vero Sé di Winnicott) che protegge l’individuo dall’ambiente. Ripercorrendo i testi classici della cultura cinese, Bollas ritrova questo concetto nella “semplicità del senza nome” e nell’ “insegnamento senza parole” indicati da Lao Tzu nel Tao come ciò che ci può aiutare ad affrontare il nostro percorso individuale (Tao significa “la Via”).

Nell’ultima parte, Bollas si sofferma sulle prescrizioni rituali e convenzionali dell’Oriente: “Possiamo vedere nelle culture di Cina, Corea e Giappone migliaia di anni di sforzi per integrare l’interiorità del sé individuale con la trasparenza del sé sociale” (p.163) e cita il progetto intellettuale di Mao Zedong di creare una mente collettiva integrando Marx e Lenin con Confucio come esempio, “pur grossolano e criticabile”, di mettere in relazione Oriente e Occidente.

Il libro sembra pertanto aprire prospettive sociali e politiche che vanno al di là dell’ambito di interesse strettamente psicologico e psicanalitico.  Tuttavia, nell’epoca della selvaggia globalizzazione dei mercati a scapito dei diritti individuali e della distruzione ambientale in atto a livello planetario, l’auspicio di Bollas di avvicinarsi ad Est si riferisce ad un Oriente antico e ideale e non alle sue manifestazioni storiche concrete (come forse fa trapelare il sottotitolo, qui si parla della Cina che Bollas “ha in mente” e non dell’Oriente di oggi, come ha sottolineato acutamente Vittorio Lingiardi su Il Sole 24 Ore3).

Da un punto di vista clinico invece, Bollas si augura per la psicoanalisi che possa ritrovare gli aspetti materni rimossi e coniugare “l’inclinazione orientale per l’idioma-potenziale della forma con l’interesse occidentale per la parola detta” (p. 164).

Un approccio capace di tale integrazione sarà anche in grado, dice Bollas, di accompagnare l’interesse crescente della Cina per la psicoanalisi.

 

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LEGGI ANCHE:

PSICOANALISI E TERAPIE PSICODINAMICHE – TRANSFERT – SIGMUND FREUD

 

 

 

BIBLIOGRAFIA:

 

 

AUTORE: 

Erica Salomone Ph.D. Psychologist, Research Officer at Centre for Research in Autism and Education, Institute of Education, University of London

Nonostante tutto… W Peppa Pig! – Bambini & Psicologia

 

 

W Peppa Pig! Nonostante tutto… - Bambini & Psicologia - Immagine: © 2004-2014 Astley Baker Davies
Immagine dalla serie televisiva di animazione Peppa Pig. © Astley Baker Davies

Sì è vero, Peppa è a volte irriverente, prepotente, femminista e occasionalmente crudele ma quale cinquenne non lo è?! Credo che la simpatia che i bambini nutrono nei confronti di Peppa derivi proprio dalla facilità con cui ci si identificano.

Tutti i bambini amano o hanno amato, prima di averne fatto indigestione, Peppa Pig.

Merito della programmazione no stop e del merchandising sconfinato?

Forse… Ma non solo, a mio parere.

Peppa Pig, per chi abbia fatto ritorno sul pianeta Terra solo ieri e non ne avesse mai sentito parlare, è un cartone animato di enorme successo dedicato ai bambini in età prescolare ma apprezzato anche dai più grandicelli.

Narra le vicende di Peppa, graziosa maialina di 5 anni, della sua famiglia e dei suoi amici multietnici, appartenenti cioè a diverse specie animali.

Il mio rapporto, da madre, con Peppa è caratterizzato da una forte ambivalenza: la adoro al calare delle tenebre, quando i miei adorabili figli si trasformano in creature affamate e lamentose e la maialina rosa è l’unica cosa, priva di zuccheri, che li tiene lontani dalla cucina mentre cerco di rimediare in tempi record una cena degna di questo nome. La detesto in ugual misura al sorgere del sole quando il mio apparato uditivo, ancora appagato dalle uniche ore di silenzio a lui concesse, subisce la violenza dei grugniti della famiglia Pig, lo strimpellare di Madame Gazzella o le canzoncine del grammofono di Nonno e Nonna Pig.

Quel che penso, da psicologa, è che si tratti di un buon prodotto da proporre ai bambini, soprattutto se riconosciamo alla televisione lo scopo di intrattenere (con ragionevole moderazione) i nostri figli più che di educarli.

Sì è vero, Peppa è a volte irriverente, prepotente, femminista e occasionalmente crudele ma quale cinquenne non lo è?!

Credo che la simpatia che i bambini nutrono nei confronti di Peppa derivi proprio dalla facilità con cui ci si identificano. La vita della famiglia Pig è su per giù la vita di una famiglia qualsiasi: i bambini vanno all’asilo, giocano al parco con gli amici e vanno a trovare i nonni. Niente di eccezionale direte voi ma per i bambini la quotidianità è ancora qualcosa di straordinario e mi piace che questo cartone rispetti questa visione attraverso la curiosità dimostrata da Peppa nei confronti di qualsiasi cosa la circondi.

Un’altra cosa che apprezzo è che questo mondo rosa si macchi ogni tanto di litigi, incomprensioni, piccole trasgressioni e disobbedienza perchè anche questo fa parte della vita di tutti i giorni. Mamma e Papà Pig danno delle regole ai figli ma permettono loro di verificare gli esiti della loro inosservanza, Peppa litiga con la compagna Suzy Pecora perchè così fanno le amiche del cuore e Papà Pig demolisce mezza casa nel tentativo di appendere un quadro a dimostrazione del fatto che anche i genitori sbagliano. Il lieto fine è comunque sempre garantito dall’epilogo della puntata che vuole tutti i protagonisti scomposti in una sonora e contagiosa risata, dando la possibilità ai giovani telespettatori di osservare le vicende più drammatiche (mi riferisco ad un pancake mal riuscito al massimo) con la rassicurante consapevolezza che tutto si risolverà nel migliore dei modi.

C’è un’altra cosa tanto rassicurante per i piccoli quanto snervante per noi adulti: la ripetitività.

La sigla è semplice e ridondante e dal momento che il più delle volte ad una puntata ne seguono diverse altre, capita di riascoltarla spesso. La programmazione è a dir poco invasiva, permettendo ai fan di gustare l’episodio con rassicurante prevedibilità. La pacata voce narrante supporta i dialoghi ribadendone i contenuti e anticipando i possibili e tipici “perchè” dei bambini di questa età.

In linea con lo sviluppo cognitivo dell’audience sono anche la durata delle puntate (5 minuti), la ridotta complessità dei dialoghi e la struttura lineare della trama, costruita attorno ad un unico tema centrale. Anche le canzoni contenute nel cartone sono di breve durata, i testi semplici e la melodia assolutamente orecchiabile, forse anche troppo visto che mi sono ritrovata a cantarle sotto la doccia.

I disegni sono stilizzati intelligentemente. Predominano forme semplici ed essenziali come il cerchio, gli occhi sono posizionati entrambi sul laterale del viso modello “sogliola” , le case sfidano la gravità sul cucuzzolo di una collina e tutto è vivacemente colorato. Tutto ciò non può non ricordare proprio il tipico disegno infantile e così la maialina non conquista solo i nostri televisori ma invade anche i fogli bianchi dei nostri bambini.

Insomma un prodotto davvero indicato, nonostante anche su peppa Pig siano piovute critiche e teorie complottistiche frutto forse di un atteggiamento genitoriale che tende a giudicare con eccessiva serietà e severità ogni prodotto destinato all’infanzia.

Sarà mica colpa, anche in questo caso, della smania di controllo nei confronti dei nostri figli?!

LEGGI:

BAMBINI TELEVISIONE – TV SERIES

 

BIBLIOGRAFIA:

 

Facebook: le regole di buona condotta – Psicologia dei New media

 

 

– FLASH NEWS-

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

Così come ci sono regole non scritte di lunga data che disciplinano il modo in cui ci comportiamo con gli altri, oggi esistono aspettative su come ci si dovrebbe comportare su Facebook.

Con oltre un miliardo di utenti nel mondo, Facebook è diventato una parte importante della vita sociale . Così come ci sono regole non scritte di lunga data che disciplinano il modo in cui ci comportiamo con gli altri, oggi esistono aspettative su come ci si dovrebbe comportare su Facebook.I ricercatori della Trinity University hanno condotto uno dei primi studi volto a scoprire in cosa consistono queste regole.

Erin Bryant e Jennifer Marmo hanno condotto sei focus group con 44 studenti per gruppo (età 19-24), nei quali hanno chiesto ai partecipanti di fare un brainstorming sulle norme sociali che regolano le interazioni su Facebook. Dai diversi focus group sono emerse un totale di 36 regole.

Successivamente, queste regole sono state mostrate a 593 soggetti di età compresa tra 18-52 anni e gli è stato chiesto di dire quanto rispettavano ciascuna di queste regole nell’interazione abituale con un amico scelto all’interno della cerchia FB.

13 delle regole emerse dai focus group hanno ricevuto l’approvazione da parte dei partecipanti al sondaggio, eccole:

– mi aspetto una risposta da una persona se posto qualcosa sul suo profilo

– non dovrei dire niente di irrispettoso su un amico di FB

– dovrei considerare che ciò che posto sulla pagina di un amico può influenzarlo negativamente 

– se posto qualcosa sulla pagina di un amico e questo rimuove il post non dovrei  pubblicarlo nuovamente

– dovrei comunicare con questa persona anche al di fuori di Facebook

– dovrei presentarmi positivamente ma onestamente agli altri

– la comunicazione via FB con una persona non dovrebbe interferire con ciò che faccio sul lavoro

– non dovrei mettere su FB informazioni che qualcuno in futuro potrebbe usare contro di me 

– dovrei usare il buon senso nell’interagire con gli altri su FB

– dovrei considerare che ciò che posto può influire negativamente sulla carriera di un amico di FB

– dovrei dire a un amico di FB buon compleanno in un modo diverso dal solo uso di FB 

– dovrei proteggere l’immagine di un amico FB quando posto qualcosa sul suo profilo

non dovrei leggere troppo in Facebook le motivazioni di una persona

Una quattordicesima regola che ha quasi raggiunto l’approvazione complessiva dai partecipanti al sondaggio era: devo essere consapevole che ciò che qualcuno posta su di me può avere conseguenze nel mondo reale.

Guardando di nuovo all’intero elenco delle 36 regole, i ricercatori hanno trovato che queste sono raggruppabili in cinque distinte categorie: 

  • i canali di comunicazione (ad esempio, dovrei usare Facebook per chiacchierare con un amico)
  • il controllo e l’inganno (ad esempio, bloccare chi compromette la mia immagine)
  • manutenzione relazionale (ad esempio, dovrei usare Facebook per comunicare buon compleanno a un amico)
  • conseguenze negative per il sè (ad esempio, non postare informazioni che qualcuno potrebbe usare contro di me)
  • conseguenze negative per gli altri (per esempio, dovrei proteggere l’immagine on-line degli amici)

Un altro risultato è stato che le categorie di regole che erano considerate più importanti variavano a seconda del tipo di amico a cui ci si riferiva. Regole di comunicazione e quelle che regolano la protezione degli amici sono considerate tanto più importanti quanto più è importante l’amicizia. Le regole di manutenzione della relazione, invece, sono più importanti quando ci si relaziona con amici e conoscenti occasionali, forse perchè con gli amici più cari c’è una relazione anche al di fuori del canale FB.

Lo studio ha evidenti limiti: il fatto di riferirsi a un campione di studenti statunitensi e anche il fatto che i comportamenti reali su FB non sono stati osservati. Tuttavia questo studio esplorativo può servire come punto di partenza per la ricerca futura per quanto riguarda il tema delle regole di interazione sociale nell’era digitale; secondo i ricercatori, per esempio, sarebbe interessante studiare cosa accade quando queste regole vengono infrante.  

LEGGI:

LINGUAGGIO & COMUNICAZIONEPSICOLOGIA DEI NEW MEDIASOCIAL NETWORK

 

BIBLIOGRAFIA:

 

Un questionario sulla Psicoterapia – Partecipa alla Ricerca!

 

Aaron T. Beck e Albert Ellis - APA 2000
Aaron T. Beck e Albert Ellis, padri fondatori della Psicoterapia Cognitiva

Cari lettori e care lettrici,

come probabilmente già sapete, la psicoterapia cognitiva ha avuto due padri: Albert Ellis (1913-2007) e Aaron T. Beck (1921). I loro modelli teorici e la loro pratica terapeutica erano simili e largamente sovrapponibili. Ma c’erano anche alcune differenze nella loro visione della sofferenza umana. Molto è stato scritto e pensato sulle loro differenze e somiglianze. È però vero non ci sono ancora sufficienti dati scientifici che veramente restituiscano un quadro empirico delle differenze tra le loro visioni.

Per questo vi chiediamo di partecipare a una ricerca pensata da alcuni nostri colleghi. Si tratta di compilare alcuni questionari cognitivi. Accanto al possibile disturbo (i questionari non sono pochi) avrete anche la possibilità di entrare personalmente in contatto con vari e interessanti concetti di terapia cognitiva semplicemente leggendo le domande. Non si tratta di domande impegnative e nemmeno particolarmente invadenti.

Potete rispondere conservando l’anonimato, e inoltre le informazioni saranno protette dal segreto professionale. La vostra partecipazione sarebbe di grande aiuto per la ricerca scientifica.

 

PARTECIPA ALLA RICERCA!

SE HAI PROBLEMI A VISUALIZZARE IL QUESTIONARIO, PUOI PARTECIPARE CLICCANDO QUESTO LINK

 

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ARTICOLI CHE CITANO L’AUTORE ALBERT ELLIS

ARTICOLI CHE CITANO L’AUTORE AARON T. BECK

ARTICOLI SULLA PSICOTERAPIA COGNITIVA

Magia & Superstizioni – Tribolazioni Nr. 22 – Rubrica di Psicologia

Chi ha spostato il mio formaggio? Cambiare se stessi in un mondo che cambia. Recensione

Spencer Johnson

Chi ha spostato il mio formaggio?

Cambiare se stessi in un mondo che cambia

(1999) Sperling e Kupfer

 RECENSIONI

Chi ha spostato il mio formaggio? Cambiare se stessi in un mondo che cambia  Spencer Johnson   (1999)  Sperling e Kupfer - locandina

Chi ha spostato il mio formaggio? – Si tratta di una lettura che  invita, in modo leggero e spiritoso, a relazionarsi alla vita con stile innovativo, evitando di farsi eccessivamente condizionare  dalle abitudini e dalla quotidianità.  

Cosa c’entra il formaggio con il cambiamento? La risposta è in questo libro-favola che racconta di due topolini, Nasofino e Trottolino, e di due gnomi, Tentenna e Ridolino, che vivono in un imprecisato Labirinto.

Per nutrirsi ed essere felici i quattro protagonisti hanno bisogno di Formaggio, per procurarsi il quale vagano nel Labirinto fino a quando, un giorno, riescono per puro caso a trovare un enorme deposito, in cui ciascuno di loro trova il tipo di Formaggio che lo soddisfa di più.

Da quel momento la vita, grazie all’abbondanza di Formaggio, scorre tranquilla, anche se lo stile con cui i topi e gli gnomi la affrontano è diverso: i topolini vanno ogni giorno al deposito del Formaggio, ma sono sempre all’erta; notano i cambiamenti e tengono sempre le loro scarpe da ginnastica attaccate al collo per poter fare fronte, se ne presentasse la necessità, all’esigenza di dover ricominciare a correre per cercare.

Gli gnomi, invece, cominciano a considerare il deposito di Formaggio un posto dove sistemarsi e vivere senza problemi per il resto della loro esistenza. Arrivano con calma, sistemano le loro scarpe, cominciano a decorare il magazzino con scritte che lo rendano familiare e si considerano al riparo dagli imprevisti, ora che l’apparentemente inesauribile  riserva di Formaggio  è a loro disposizione.

Ma un giorno, inevitabilmente,  le cose cambiano: il Formaggio comincia a diminuire finché si esaurisce del tutto. I topolini, che avevano già intuito i segni di questo cambiamento, non vengono colti di sorpresa; senza fare drammi si adattano alla nuova situazione e si rituffano nel Labirinto, per andare alla ricerca di un nuovo deposito di Formaggio.  

Per gli gnomi le cose vanno diversamente; da bravi abitudinari essi continuano a tornare ogni mattino al magazzino aspettandosi che, una volta entrati, tutto sia tornato come prima. Sperano che il Formaggio ritorni magicamente; invece di cambiare il loro comportamento per adattarsi alla nuova situazione, rimangono passivi, nella speranza che venga restituito loro ciò che avevano.

Il tanto amato “Formaggio” simbolizza ogni sorta di desiderio umano: il Labirinto rappresenta la vita, con il suo cammino mai lineare,  e  il Formaggio costituisce ciò che è importante per vivere bene.

Il libro non contiene  concetti complessi  e il suo valore risiede proprio in questo: propone suggerimenti apparentemente scontati che, tuttavia, nei momenti in cui ci  si trova in fasi di cambiamento (in cui qualcuno o qualcosa ha spostato il Formaggio!) spesso non vengono presi in considerazione.

Ci sono persone istintive che, come il topo Nasofino, sentono arrivare i cambiamenti e sono pronte a reagire prima che gli eventi li costringano a farlo; ma ci sono anche molti che, come lo gnomo Tentenna, non guardano in faccia la realtà e, schiavi delle abitudini, rimangono prigionieri di situazioni compromesse, ostinandosi a sperare che le cose tornino magicamente come prima.

Poi ci sono persone timorose come Ridolino (non hanno l’intuito di Nasofino, né l’energia di Trottolino) che inizialmente esitano, limitati dalla paura di guardare fuori dal Labirinto, ma poi riescono a acquistare coraggio, riscoprendosi nuovamente capaci di partire alla ricerca del “Nuovo Formaggio”.

Si tratta di una lettura che  invita, in modo leggero e spiritoso, a relazionarsi alla vita con stile innovativo, evitando di farsi eccessivamente condizionare  dalle abitudini e dalla quotidianità.  

Sarebbe interessante, mentre si legge, domandarsi se ci si identifica di più con Nasofino o  Ridolino, Trottolino o Tentenna, per verificare se ciò che abbiamo ora corrisponde veramente al Formaggio che vogliamo.

Alcune regole che  Ridolino scrive su muri del Labirinto sono:

  • se noterai per tempo i piccoli cambiamenti ti sarà più facile adattarti a quelli grandi, quando arriveranno;
  • seguire una direzione nuova aiuta a trovare il Nuovo Formaggio;
  • quando superi le tue paure ti senti libero;
  • se immagini di gustare il Nuovo Formaggio già prima di trovarlo, scoprirai la via giusta per conquistarlo;
  • quanto più rapidamente abbandonerai il Vecchio Formaggio tanto prima gusterai quello nuovo;
  • è meno pericoloso affrontare il Labirinto che rimanere fermi senza  Formaggio.

Spesso risulta difficile accettare il fatto che le cose intorno a noi cambino; tuttavia, se riuscissimo ad accettare il cambiamento con serenità,  sarebbe più semplice affrontare tutto quello che la vita riserva (nel bene e nel male).  La convinzione che il cambiamento può condurre soltanto a delle cose negative (perché non conosciute) impedisce di riconoscere che esso può portare a dei miglioramenti e costituire occasione di crescita.

LEGGI:

RECENSIONILETTERATURAPSICOPATOLOGIA DELLA VITA QUOTIDIANA

 

 

BIBLIOGRAFIA:

Cosa farei se vincessi alla lotteria? Sognare ad occhi aperti – Mind Wandering

– FLASH NEWS-

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche“Cosa farei se vincessi alla lotteria?”. Probabilmente tutti almeno una volta nella vita ci siamo posti questa domanda e adesso la ricerca ci dice che forse dovremo sognare ad occhi aperti più spesso.

Per esempio, in un recente articolo pubblicato su Psychological Science, viene riportato che dopo soli 12 minuti durante i quali il compito richiesto era semplicemnte di “lasciare vagare la mente“, i soggetti erano in grado di elaborare un gran numero di idee su diversi tipi di uso alternativo di oggetti quotidiani.

Come riporta Kalina Christoff “la gente pensa che quando la nostra mente sta vagando, sia di fatto vuota. In realtà, in questi momenti, la nostra mente si trova in un grande stato di attivazione, spesso più forte di quando sta compiendo ragionamente attvi davanti a un compito complesso”.

Per mantenere attiva questa capacità di sognare ad occhi aperti (e quindi aumentare anche la capacità di produrre risposte creative) è fondamentale focalizzarsi sulla parola “farei” (cosa farei se vincessi alla lotteria/avessi a disposizione un grosso budget da spendere a piacimento ecc?).

In altre parole è importante riconoscere la fantasia come tale, in modo da non chiudere automaticamente la nostra mente nei confini imposti dalla condizione reale.

Solo immaginando di non avere confini divienta possibile superarli.

 

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MIND WANDERING – SOGNI

SOGNARE: E’ POSSIBILE ANCHE A MENTE VUOTA

 

BIBLIOGRAFIA:

  • Fox, K.C.R., Andrews-Hanna, J.R., & Christoff, K. (in preparation). Mind wandering: More than just default mode network activity? Trends in Cognitive Sciences.

Leadership negli Sport di Squadra #14: La valutazione della leadership

Leadership negli Sport di Squadra #14:

La valutazione della leadership

LEADERSHIP NEGLI SPORT DI SQUADRA – PSICOLOGIA DELLO SPORT – MONOGRAFIA

Leadership negli Sport di Squadra #14: La valutazione della leadership. -Immagine:© Ivelin Radkov - Fotolia.com I risultati delle ricerche effettuate utilizzando la Leadership Scale for Sports hanno permesso di dimostrare l’esistenza di diverse relazioni tra variabili che possono influenzare le preferenze degli atleti.

La psicologia dello sport ha elaborato, in questi ultimi anni, alcuni strumenti validi per l’analisi del comportamento del leader. In realtà, la maggior parte di questi, si sono concentrati sulla figura del leader istituzionale piuttosto che sulla leadership intima, limitandosi, quindi, all’analisi dell’efficacia del comportamento dell’allenatore rispetto alle prestazioni della squadra e alla soddisfazione dei membri del gruppo.

Questi strumenti non solo hanno permesso di analizzare il sistema delle dinamiche sociali che connette l’allenatore ai componenti della squadra e ai suoi risultati ma sono risultati essere una base indispensabile per la costruzione, come nel caso del lavoro di Smith e Smoll, di programmi di formazione e di miglioramento delle proprie capacità di leader. Questi percorsi di formazione hanno permesso all’allenatore di squadre professionistiche di apprendere quelle abilità umane necessarie, oltre alla competenza tecnica, per ottenere il massimo sforzo dai propri giocatori, e agli allenatori di squadre giovanili di comprendere l’aspetto educativo del proprio ruolo e imparare a gestirlo positivamente.

Lo strumenti che verrà preso in considerazione in questo articolo è la Leadership Scale for Sports di Chelladurai e Saleh [1980].

Leadership Scale for Sports (LSS)

Questo questionario costruito da Saleh e Chelladurai [1980] ha come base teorica il modello multidimensionale della leadership elaborato da quest’ultimo, secondo cui il ruolo di leader dipenderebbe da caratteristiche individuali, dalle richieste della situazione e da quelle dei compagni di squadra. Da questo punto di vista l’apparato teorico del modello in questione rappresenta una sintesi di tutto ciò che lo ha preceduto.

Il suo punto forte è quello, quindi, di non tralasciare nessuna categoria di variabili potenzialmente rilevante. Per questo motivo utilizzare l’LSS implica la somministrazione di tre versioni composte dagli stessi item ma orientate a soggetti diversi, attraverso una modificazione nelle istruzioni per la sua compilazione.

Le tre versioni sono rispettivamente indirizzate a misurare: a) le preferenze degli atleti per specifici comportamenti del leader (esempio: “Preferisco che il mio allenatore chieda le opinioni degli atleti su questioni importanti per l’allenamento”), b) percezioni degli atleti sul comportamento del leader (esempio: “Il mio allenatore fornisce apprezzamenti ad una atleta in seguito ad una prestazione positiva”), e c) la percezione degli allenatori relative ai propri comportamenti (esempio: “In seguito a prestazioni positive rinforzo gli atleti”) [Cei, 1998].

La struttura del questionario è costituita da 40 item divisi in cinque dimensioni comportamentali del leader che sono:

Allenamento e istruzione: che racchiude tutti i comportamenti dell’allenatore orientati a migliorare le prestazioni della squadra e alla sua preparazione tecnico/fisica nel corso dell’allenamento.

Comportamento democratico: che rappresentano eventuali comportamenti partecipativi messi in atto dall’allenatore davanti alla necessità di prendere decisioni importanti per la squadra.

Comportamento autocratico: sono i comportamenti dell’allenatore che evidenziano un forte grado di autorità e di indipendenza nel prendere decisioni importanti per la squadra.

Supporto sociale: sono i comportamenti dell’allenatore che esprimono interesse per lo stato di salute e di forma fisica e mentale degli atleti e per la condizione delle relazioni interpersonali interne alla squadra.

Feedback positivi: sono i comportamenti dell’allenatore che rinforzano l’atleta e che permettono a quest’ultimo di percepire come riconosciuto il suo sforzo e il suo risultato.

I risultati delle ricerche effettuate utilizzando la Leadership Scale for Sports hanno permesso di dimostrare l’esistenza di diverse relazioni tra variabili che possono influenzare le preferenze degli atleti. Con l’aumentare dell’età e dell’esperienza i giocatori tendano ad apprezzare maggiormente il sostegno sociale e il comportamento autocratico dell’allenatore [Chelladurai e Carron, 1983], una preferenza che, secondo Horn [1992] potrebbe essere legata più che altro a caratteristiche situazionali.

Anche il genere influenza i risultati del questionario. Tendenzialmente le femmine prediligono uno stile decisionale più democratico rispetto a i maschi, i quali però ricercano maggior supporto sociale nell’allenatore [Martin e al, 1999].

Infine il tipo di sport di squadra praticato può essere un’altra variabile importante nell’analisi delle preferenze degli atleti, in effetti, secondo gli studi di Terry e Howe [1984], quelle discipline caratterizzate da un’interazione diretta tra i membri risultano prediligere un allenatore più autocratico rispetto a quelle in cui l’interazione tra giocatori è solamente indiretta.

Una rassegna su tutte queste indagini è stata compilata da Chelladurai [1990, 1993] al fine di riconfermare le ipotesi di base del suo modello multidimensionale. I risultati ottenuti in effetti sembrerebbero avvalorare l’idea che sia le caratteristiche dei giocatori , sia quelle situazionali, sia quelle tipiche dell’allenatore incidano sulle preferenze degli atleti per il comportamento del leader e sulla sua efficienza, traducibile nell’analisi delle prestazioni e della soddisfazione della squadra.

Da questa rassegna l’autore individua due aspetti che suggerisce di prendere in considerazione nelle ricerche future attraverso l’LSS. Il primo è riconducibile al fatto che la maggior parte degli studi finora effettuati ha preso in considerazione le variabili inerenti le caratteristiche dei membri della squadra tralasciando i fattori situazionali. Il secondo riguarda un’eventuale ricostruzione del questionario attraverso item più appropriati all’ambito sportivo e derivati dalle esperienze degli atleti e degli allenatori più che dall’ambito organizzativo e industriale (da quale dipendono quelli della versione attuale).

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PSICOLOGIA DELLO SPORT –  LEADERSHIP NELLO SPORT 

 STILI DI COMUNICAZIONE 

LEADERSHIP NEGLI SPORT DI SQUADRA – PSICOLOGIA DELLO SPORT – MONOGRAFIA

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Gli amori briciola di Umberta Telfner (2013) – Recensione

 

Recensione del libro:

Gli amori briciola.

Umberta Telfner (2013)

Edizioni Magi, Roma.

 

Gli amori briciola, Umberta Telfner (2013) - LocandinaGli amori briciola – Concedono all’altro poco di loro stessi, ecco perché sono dei briciola, sia emotivamente sia a livello comportamentale; si legano, ma mai fino in fondo. 

Ogni notte Amore andava da Psiche senza mai farsi vedere in volto; voleva nascondersi per  evitare le ire della madre Venere, gelosa di Psiche. Amore aveva detto alla sua amata che era il suo sposo, ma lei non doveva chiedergli chi fosse e non doveva vederlo. Si incontravano al buio, ma Psiche poteva toccare il suo volto scoprendone grossolanamente le fattezze. Un giorno le sorelle di Psiche la istigarono a scoprire il volto del suo amato, e allora Psiche prese una lampada a olio e una spada per paura che fosse un orribile mostro. Psiche raggiunse Amore mentre dormiva e avvicinò la lampada al suo volto e rimase così incantata dalla sua bellezza che se ne innamorò. Stava per baciarlo quando lui si accorse di quello che era successo e lasciò Psiche da sola(Apuleio, 2006).

Amore, figlio di venere, meglio noto come Cupido potrebbe essere definito l’antesignano dei BRICIOLA: persone autoreferenziali che si concedono a piccole dosi, ma affascinano per charme e determinazione. Sono responsabili e adulti, prevedibili, razionali, legalisti, sposati col lavoro, non trasgressivi.

Concedono all’altro poco di loro stessi, ecco perché sono dei briciola, sia emotivamente sia a livello comportamentale; si legano, ma mai fino in fondo. 

Si tratta sia di uomini sia di donne che mostrano una intelligenza astratta, raffinata, arguta, ma fanno fatica a entrare in contatto con la parte più intima di loro stessi, troppo faticoso. Per questo non riescono a mostrarla al proprio partner, temono il coinvolgimento totale e routinario. Sono persone di successo, ma fallimentari emotivamente, passionali ma solo in alcuni momenti. I ritmi relazionali sono scanditi da regole stabilite a priori alle quali bisogna attenersi, esattamente come faceva Amore con Psiche: si vedevano al buio e lei non doveva osare di più.

Sembra che la loro vita sia molto controllata e lo spazio delle relazioni è limitato agli attimi che si concedono di regalare all’altro e di regalarsi, ma non durano mai più di un attimo. Guai ad andare oltre: l’ira funesta del briciola lo induce a terminare senza spiegazioni la relazione, Amore abbandonò Psiche.

Le relazioni sono caratterizzate dalla fugacità dettata da momenti, caratterizzati da estrema intimità che lascerebbero intuire e ambire un seguito che non si paleserà mai. L’intimità emotiva con l’altro li divora fino a farli sprofondare nel buco nero della loro affettività, consumatasi in epoca precoce in un maternage ambiguo e potente, come con Venere, appunto.

Così, oggi si celano dietro ad un lume di mistero che fa di loro degli innarrivabili briciola. Incarnano la perfezione, sia fisica sia emotiva, che nessuno mai riuscirà ad avere se non in piccoli ritagli di tempo. Inguaribili briciola!

E la povera Psiche? Chiaro, si tratta sempre di persone che in qualche modo restano incastrate nei meccanismi dei briciola, che sperano erroneamente di possedere per sempre il loro unico e inarrivabile amore. Vedono tra le briciole la relazione perfetta, ma sono briciole!

Più ci si avvicina ad un briciola più le briciole spariscono e queste persone si rifugiano nel proprio solipsismo imperturbabile. Per questo restano per sempre degli intramontabili briciola!

Tutto questo e altro, lo troverete nel nuovo libro di Uberta Telfner, “Gli amori Briciola“, edizioni Magi. Buona lettura!

LEGGI:

AMORE & RELAZIONI SENTIMENTALI RAPPORTI INTERPERSONALIRECENSIONI – LETTERATURA

 

 

BIBLIOGRAFIA:

Un nuovo trattamento per ragazze adolescenti con PTSD

 

 

– FLASH NEWS-

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

Un recente studio mostra come ragazze adolescenti che hanno sviluppato un PTSD (Disturbo Post Traumatico da Stress) come conseguenza di un abuso sessuale hanno sperimentato maggior vantaggi e benessere grazie ad una terapia di esposizione prolungata, terapia che ha già mostrato effetti positivi sugli adulti, rispetto invece ad una terapia di counseling supportivo.

L’adolescenza è il principale periodo dello sviluppo ad essere maggiormente legato ad un crescente rischio di esposizione ad eventi traumatici che possono portare allo sviluppo di un PTSD”, rivela lo studio.

La terapia di esposizione prolungata è una delle più studiate tra quelle proposte per il trattamento del PTSD negli adulti, ma è stata raramente utilizzata con gli adolescenti a causa della preoccupazione che possa aggravare i sintomi del PTSD e a causa della convinzione che i pazienti debbano padroneggiare abilità di coping prima dell’esposizione.

La terapia di esposizione prolungata è una forma di Terapia Cognitivo-Comportamentale caratterizzata dal far rivivere al paziente l’evento traumatico attraverso il ricordo di esso e coinvolgerlo in quel ricordo, piuttosto che evitarlo.

La dottoressa Edna B. Foa, dell’Università della Pennsylvania, e colleghi hanno ipotizzato che un programma di esposizione prolungata, leggermente modificato per gli adolescenti (definito esposizione prolungata A), fosse più efficace di un counseling di tipo supportivo nel ridurre il grado di severità del PTSD valutato dall’intervistatore, la gravità della diagnosi, il livello di depressione correlato e nel migliorare il funzionamento generale.

Lo studio include un campione di 61 ragazze adolescenti con diagnosi di PTSD divise a random in 2 gruppi: un gruppo che ha ricevuto la terapia di esposizione prolungata e un altro gruppo che ha ricevuto un counseling di tipo supportivo. E’ stato successivamente condotto un follow-up dopo 12 mesi.

Le partecipanti che avevano ricevuto l’esposizione prolungata hanno mostrato miglioramenti nei sintomi e avevano maggior probabilità di perdere la loro diagnosi di PTSD rispetto a quelle sottoposte al counseling supportivo. In più, quelle che avevano ricevuto un’ esposizione prolungata mostrano maggiori miglioramenti nei sintomi depressivi e nel funzionamento generale. La superiorità del trattamento di esposizione prolungata è stato evidente anche al follow up dopo 12 mesi.

Gli autori affermano che un’importante implicazione clinica di questi risultati è la possibilità di diffondere e sviluppare il trattamento di esposizione prolungata A in comunità cliniche di salute mentale per gli adolescenti che sono motivati ​​a partecipare alla cura. Inoltre il trattamento di esposizione prolungata A è stato messo in atto da psicoterapeuti senza alcuna precedente formazione in trattamenti evidence-based e senza particolare supervisione da parte degli esperti. Questo significa che le strutture possono mettere a disposizione un maggior numero di risorse e di personale sufficientemente addestrato e idoneo.

Il dottor Sean Perrin, dell’Università di Lund, commenta dicendo” I risultati ottenuti dovrebbero servire a fugare le precedenti preoccupazioni dei terapisti sugli eventuali effetti nocivi della terapia di esposizione prolungata sugli adolescenti e sulla necessità di un’approfondita preparazione del paziente prima dell’esposizione. L’aumento del livello di arousal nelle giovani pazienti che accompagna l’esposizione ai ricordi traumatici durante una sessione di trattamento solitamente si dissipa nel giro di poche sedute e porta ad una rapida riduzione dei sintomi tra una sessione e l’altra. Perciò, questo aumento di eccitazione che alcuni terapeuti temono e considerano pericolosa, diventa ora parte integrante del processo di recupero”.

Ciò che gli autori auspicano per il futuro è la necessità di maggiori sforzi per aumentare la consapevolezza riguardo la sicurezza, la tollerabilità e l’efficacia di trattamenti come l’esposizione prolungata.

Infine, la ricerca è necessaria anche per determinare il livello minimo di formazione e supervisione dei terapisti in modo da fornire un trattamento efficace da utilizzare sia con pazienti con PTSD ma anche con altri disturbi di tipo ansioso.

 

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ADOLESCENTIDISTURBO DA STRESS POST TRAUMATICO – PTSDTRAUMA – ESPERIENZE TRAUMATICHE

MEMORIE TRAUMATICHE E MENTALIZZAZIONE (2013) – RECENSIONE 

 

 

BIBLIOGRAFIA:

 

La depressione materna – Psicologia

 

La depressione materna. - Immagine: ©-JackF-Fotolia.com_.jpgLa depressione è caratterizzata da sentimenti di autosvalutazione e impotenza, scarsa energia e basso coinvolgimento, rapporti interpersonali disturbati, episodica mancanza di regolazione emotiva e inaccessibilità psicologica. Disturbi di questo tipo possono contribuire a creare un ambiente di accudimento pericoloso per lo sviluppo del bambino.

Alcuni studiosi (Dawn Zinga, Shauna Dae Philips, Leslie Born, 2005) valutarono che il 25%-35% di donne sperimentino sintomi depressivi durante la gravidanza, e il 20% di donne può soddisfare il criterio di depressione.

Una terza parte dei sintomi depressivi è più alta, durante il terzo trimestre di gravidanza, piuttosto che nei sei mesi dopo il parto (Dawn Zinga, Shauna Dae Philips, Leslie Born, 2005). I disturbi psichiatrici durante la gravidanza non vengono considerati con molta attenzione nella pratica clinica. La depressione della donna durante la gravidanza è associata con una cura prenatale diminuita, una scarsa nutrizione, ciclo del sonno irregolare, abuso di alcool e stili di comportamento disfunzionali.

L’eziologia della depressione, sembra essere dovuta ai cambiamenti ormonali. Partendo già da uno stato di vulnerabilità, viene a influire anche un fattore ormonale che produce un ulteriore stato di stress per la madre e il feto.

Per molte donne, specialmente madri che partoriscono per la prima volta, la transizione alla maternità può essere difficile, soprattutto se non supportate da un ambiente facilitante. (Dawn Zinga, Shauna Dae Philips, Leslie Born, 2005).

I bambini di madri affette da depressione sono a rischio di disturbi d’ansia, disturbi di panico, agorafobia e depressione. (Pilowsky D.J., Wickramaratne P.J., Rush A.J., Hughes C.W.,et al., 2004).

I bambini di madri depresse possono presentare una predisposizione genetica allo sviluppo della sintomatologia, nonché una maggiore vulnerabilità agli eventi stressanti (Flykt et al., 2010).

Secondo Gibb et al.. (2012) i bambini di madri con una storia di depressione maggiore sono 3-4 volte più propensi a incontrare i criteri del disturbo depressivo maggiore (DDM) nella prima età adulta rispetto agli individui della popolazione generale. Inoltre, questi bambini tendono maggiormente ad adottare uno stile di risposta ruminativo incrementando i sentimenti negativi e depressivi.

Inoltre, l’influenza della depressione materna incide sui disturbi alimentari; infatti, in scambi conflittuali, la madre forza l’alimentazione del bambino e non regola l’alternanza dei turni, lasciandosi guidare soltanto dai propri sentimenti; il figlio, a sua volta, rifiuta il cibo in risposta al controllo e all’intrusività materna. Questa modalità relazionale è stata osservata da vari autori nel quadro clinico dell’anoressia infantile (Benoit, 1993).

 

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DEPRESSIONEGRAVIDANZA E GENITORIALITA’ – PSICOPATOLOGIA POST-PARTUM – PERINATALE

LA RELAZIONE MADRE BAMBINO: UN MICRO COSMO DIADICO

 

 

BIBLIOGRAFIA:

Il lato positivo (2012) Recensione. – Cinema & Psicologia

 

 Recensione del film

Il lato positivo

Regia di David O. Russell

(2013)

 

LEGGI ANCHE: Recensione: Il Lato Positivo … di una tragicommedia psichiatrica

Il lato positivoIl lato positivo racconta la storia di Pat (Bradeley Cooper) affetto da disturbo bipolare.

La storia del protagonista comincia quando un giorno, rientrando a casa,  scopre la moglie fedifraga in compagnia del suo amante. Coincidenza vuole che, proprio in quel momento, dallo stereo uscisse la canzone del loro matrimonio.

Pat aggredisce e picchia violentemente l’amante di sua moglie.

Per questo motivo verrà rinchiuso in una clinica psichiatrica dalla quale verrà dimesso dopo qualche anno e tornerà a vivere con i suoi genitori, a patto che sia seguito da uno psichiatra e che prenda le medicine.

Pat continua a riattivarsi in maniera violenta ogni volta che risente la canzone del suo matrimonio. Risulta chiaro che non è associata più ad un evento piacevole ma ad un evento molto negativo.

Il suo psichiatra decide di lavorare su questo, perciò quando gli dà appuntamento per riceverlo presso il suo studio, in sala d’attesa decide di fare un esperimento e di mettere come sottofondo proprio quella canzone.

La reazione di Pat è nuovamente di aggressività profonda, tanto da agirla contro i mobili dello studio.

Lo psichiatra si rende conto di quanto sia ancora forte la reattività di Pat a tale stimolo e lo invita a trovare delle strategie per poter gestire questa rabbia e farla diventare qualcosa di funzionale.

Il protagonista non riesce a darsi pace della fine del suo matrimonio e, cercando di essere positivo, decide di voler riconquistare la sua ex-moglie -vista come la perfezione-e di diventare l’uomo che lei desidera utilizzando tutte le sue risorse. Vuole diventare preciso, affidabile, concreto.

Nel frattempo, tramite degli amici in comune, Pat conosce Tiffany (Jennifer Lawrence), una ragazza problematica e molto sola.

Tiffany ha una sessualità promiscua tale da averla fatta allontanare dal suo ufficio e da meritare anche lei un trattamento farmacologico. Lei, dark e molto misteriosa, utilizza il suo corpo per ammaliare e sedurre chiunque la circondi.

Tiffany decide di aiutare Pat nell’opera di riconquista della ex-moglie perfetta. Per farlo, decide di farsi aiutare da lui nella preparazione di un ballo in coppia. Per stimolarlo, finge di avere dei contatti con la ex-moglie di lui e si offre da tramite per uno scambio epistolare tra i due ex-coniugi.

Ciò che Pat non sa, ma che dopo scoprirà, è che quelle lettere sono scritte da Tiffany e non dalla sua ex-moglie.

Il lato positivo” piace e colpisce per la delicatezza e la sensibilità con cui viene raccontata la malattia mentale.

Malato è chi esplode, reagisce, chi non è perfetto, nonostante si lasci andare a quelle che Pat chiama “vibrazioni”, ovvero le emozioni.

Colpisce perchè solo due sono considerati i matti della vicenda, i due matti che, a differenza degli altri, riconoscono le loro fragilità, la loro sofferenza, si spalleggiano e alla fine, nell’accettazione della malattia, si innamoreranno l’uno dell’altra riscoprendo la felicità, la positività.

Ciò che fa sorridere è il contorno.

Il padre di Pat (Robert De Niro), così tanto centrato su se stesso da non riconoscere di essere pieno di superstizioni. Giocatore compulsivo, scommette su qualsiasi gioco e qualsiasi partita ci sia in tv.

La madre di Pat, dallo sguardo completamente perso e impegnata a fare la brava mamma e moglie.

La coppia di amici di Pat e Tiffany, presi dal commentare e giudicare le loro follie da non guardare da vicino il loro matrimonio, perfetto all’apparenza, ma caratterizzato da un’aggressività tanto latente quanto tagliente.

Il lato positivo è uno schiaffo alla perfezione.

Spinge ad andare oltre ciò che si vede, ma a concentrarsi su ciò che si sente.

E’ tanto lontano dall’apparenza, quanto vicino alla vera sostanza: la felicità.

Una curiosità: il titolo originale, “Silver Linings Playbook”, ovvero “Fodere d’argento”, rappresentano tutte le buone intenzioni che Pat decide di mettere in atto per riconquistare l’ex-moglie. Sceglie, per questo, di registrarle su un suo diario- il Playbook, utile strumento per segnare gli obiettivi prefissati e lavorare sul come raggiungerli.

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DISTURBO BIPOLARE – AMORE – RELAZIONI SENTIMENTALI – ACCETTAZIONE DELLA MALATTIA – CINEMA

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Il sonno protegge il nostro cervello – Neuropsicologia

 

 

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Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

E’ opinione comune che il sonno fa bene al nostro fisico e soprattutto che non dormire fa male. Ad ulteriore conferma di quest’idea arriva una nuova ricerca messa a punto dall’Università di Uppsala (Svezia) la quale mostra che la deprivazione di sonno anche solo per una notte comporta l’aumento di concentrazione sanguigna di NSE e S100B al mattino dopo.

Queste sostanze sono due molecole che si trovano nel sangue a seguito di un danno cerebrale. La scoperta che queste molecole aumentino a seguito di una notte insonne indica che l’assenza di riposo può provocare una perdita di tessuto cerebrale, simile a quella presente in altri condizioni come una commozione cerebrale.

Lo studio è stato condotto su 15 uomini normopeso che hanno partecipato a due condizioni sperimentali: nella prima, ai soggetti è stato chiesto di non dormire per una notte intera, mentre nella seconda hanno potuto riposare per circa 8 ore di fila.

A seguito della prima condizione, i partecipanti mostrarono un aumento della concentrazione ematica di NSE e S100B al mattino seguente. Il sonno, infatti, è in grado di purificare il nostro cervello da sostanze tossiche che invece favoriscono l’aumento di NSE e S100B. Questi risultati indicano che la mancanza di riposo può facilitare processi neurodegenerativi e che questi cambiamenti a livello cerebrale risultano evidenti anche solo a seguito di una sola notte insonne.

Il dato incoraggiante, che sottolinea Christian Benedict (Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Uppsala), è rappresentato dal fatto che un buon riposo può essere invece di fondamentale importanza per mantenere la salute del nostro cervello.

 

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