Il plantoide, oltre a imporre un approccio trasversale, offre una ricchezza di spunti all’interno della comunità scientifica; aggrega e sensibilizza le preferenze della collettività a favore della sostenibilità ambientale, auspicabilmente anche in una prospettiva di altruismo intergenerazionale.
È davanti alla sorprendente modulazione formale della passiflora che la ragione umana indietreggia […]: ‘lI fiore stesso è espressione perfetta dell’assoluta coincidenza di vita e tecnica, materia e immaginazione, mente ed estensione’ (Porceddu Cilione, 2019, p. 143).
Introduzione
Questo articolo descrive uno dei tasselli che concorrono all’evoluzione di un’intelligenza artificiale (IA) “buona”, cioè con finalità etiche. Senza alcuna pretesa di esaustività e sistematizzazione dell’argomento, lo studio vuole rappresentare una sorta di crocevia multidisciplinare dove si innestano tecnologia –segnatamente, robotica e intelligenza–, filosofia, biologia molecolare, neurobiologia vegetale, ambiente, arte, economia, psicologia, neuroeconomia, che amplia la metodologia alla base dell’esame microfondato delle scelte individuali –in tale prospettiva, essa è collocata nello spazio “where psychology and economics meet”– (Chorvat et al., 2004, p. 16).
Al centro di tale articolato crocevia, nello studio viene collocato il plantoide. Nel suo “piccolo” –una pianta– e nel suo “grande” –la portata dell’invenzione–, il plantoide può essere contestualizzato appieno nell’ambito degli SDGs (Sustainable Development Goals) dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, sottoscritta dai Paesi ONU. Fra i 17 Obiettivi (da conseguire entro il 2030), collegati al plantoide se ne ravvedono quantomeno tre: sicurezza alimentare e agricoltura sostenibile (Obiettivo 2); lotta contro il cambiamento climatico (Obiettivo 13); uso sostenibile dell’ecosistema terrestre (Obiettivo 15). Su tale scorta, c’è da osservare che fra le tante applicazioni energivore dell’intelligenza artificiale, il plantoide non figura tra queste.
Proprio la sua sofisticata architettura (un passaggio dall’intelligenza vegetale a quella artificiale; Mancuso e Viola, 2015; Mancuso, 2017; Mazzolai, 2019, 2021) e le sue poliedriche finalità, il plantoide, oltre a imporre un approccio trasversale, offre una ricchezza di spunti all’interno della comunità scientifica; aggrega e sensibilizza le preferenze della collettività a favore della sostenibilità ambientale, auspicabilmente anche in una prospettiva di altruismo intergenerazionale.
Pur riconoscendo la rilevanza della distinzione fra intelligenza e razionalità, nel lavoro ci si limiterà a registrare che, riguardo alle piante, alcuni autori insistono sul concetto di razionalità (ad esempio Castiello, 2020), altri su quello d’intelligenza (Mancuso e Viola, 2015; Mancuso, 2017; Mazzolai, 2019). Entrambi si declinano in una molteplicità di dimensioni, ad alcune delle quali si farà un breve cenno volto a migliorare la contestualizzazione in ambito vegetale di tali concetti. In particolare, si mutuerà il significato d’intelligenza secondo l’approccio di Mancuso e Viola (2015), cioè (1) nella loro capacità di problem-solving anche in presenza di un gran numero di variabili da considerare (dove cercare e allocare i nutrienti, quali organi generare e quali riconoscere obsoleti per disfarsene nel tempo, quando riprodursi, il numero di discendenti da creare, ecc; Cfr. Brenner et al., 2006); (2) nella loro “intelligenza di sciame” (Mancuso e Viola, 2015; Mazzolai, 2019), desunta dai comportamenti emergenti degli insetti sociali, dalla quale è nata una recente branca della robotica tra i cui fini c’è quello di studiare i meccanismi d’intelligenza distribuita nell’intero organismo (in antitesi all’approccio tradizionale di intelligenza unificata e centralizzata).
Vale anche la pena rifarsi a una suggestiva prospettiva: il cervello altro non è che una “metafora”, adottata da taluni studiosi della percezione delle piante, a significare la loro capacità sistemica –quali organismi senzienti– di fornire segnalazioni (Brenner et al., 2006). Infatti, come in un sistema di mercato parcellizzato in una pluralità di agenti e connotato da un contesto informativo imperfetto e in evoluzione, il rigore scientifico unito all’evidenza empirica dà conto che pure per le piante il “signalling” (al proprio interno, fra loro, nei confronti degli insetti, ecc.) ha valenza strategica di natura evoluzionistica: “Comunicare […] permette di scansare pericoli, di accumulare esperienza, di conoscere il proprio corpo e l’ambiente” (Mancuso e Viola, 2015, p. 74).
E, comunque –come la razionalità– l’intelligenza non è quasi mai intesa di per sé, bensì in funzione dell’ambito, delle sue capacità logiche, previsionali, emotive, ecc. Nell’ambito dell’intelligenza artificiale, nel machine learning l’intelligenza risiede nella sua capacità di apprendimento. Un programma sarà perciò “intelligente” se la sua performance nell’apprendimento si accresce con lo stock di esperienze accumulate (D’Abbraccio et al., 2021). Anche gli avanzamenti tecnologici incidono sulla nozione di intelligenza dell’intelligenza artificiale: nel deep learning, è collegata alla “non-umanità” dell’intelligenza, nel senso che più potenti e sofisticati diventano i sistemi, meno gli esseri umani sono in grado di comprenderli sentendosene quindi alieni (si cita la partita in cui AlphaGo, un software dotato di reti neurali profonde, ha sconfitto l’elevata abilità umana; Bridle, 2022).
Per il significato di razionalità, ci si limiterà a richiamare la nozione di razionalità strumentale e razionalità ecologica, che sembrano –anche in un loro mix– quelle che meglio si attagliano al mondo delle piante. Alla luce di questo binomio, appare particolarmente adatto, sul piano psicologico, pensare a quella vegetale come a una forma di psicologia evoluzionistica.
Inoltre, per particolari forme di comportamento delle piante, si esamineranno brevemente alcuni stupefacenti paralleli con le strategie analizzate attraverso il metodo della Teoria dei Giochi (strategie di cooperazione vs. competizione; strategie di coordinamento; Cfr. Fiocca, 2005).
D’altro canto, a irrobustire gli studi, gli esperimenti e l’evidenza empirica risultante dall’applicazione di metodologie scientifiche rigorose, esiste anche lo scenario controfattuale: se le piante fossero “stupide”, nel senso di sprovvedute e scarsamente equipaggiate, la selezione naturale le avrebbe punite già da tanto tempo. Le deprivazioni e il depauperamento cui si assiste, più che da un processo evoluzionistico, derivano soprattutto dall’uomo, benché quest’ultimo abbia bisogno delle piante (ma non viceversa).
Il sentire delle piante
Il plantoide richiede riflessioni preliminari su attitudini, comportamenti e sentire delle piante (qui in termini molto generali). In queste ultime, “i processi percettivi hanno inizio con la codifica dello stimolo, che giunge ai recettori attraverso specifici canali sensoriali, dando il via a una forma di interpretazione degli stimoli ambientali in ingresso. La percezione quindi consiste in una e vera e propria attività di elaborazione delle informazioni provenienti dall’ambiente” (Castiello, 2020, p. 37).
Grazie ai recettori diffusi lungo tutto l’organismo, le piante compensano la loro natura di organismi sessili con sensi estremamente sviluppati e distribuiti sia nell’ambiente sotterraneo sia in quello aereo. Hanno capacità uditive (ad esempio, ascoltano la musica, sentono il cinguettio degli uccelli, il rumore sotterraneo dei bruchi, lo scorrere dell’acqua verso cui allungare le radici); beneficiano di una elevatissima sensazione tattile (si arrampicano lungo elementi che reputano in grado di sostenerle, riconoscono l’effetto positivo o meno di un insetto che le tocca, ecc.); vedono (capaci, ad esempio, di individuare una sorgente luminosa di cui avvalersi); hanno un forte olfatto attraverso cui veicolano messaggi (pericolo, attrazione, repulsione, ecc.) e il senso del gusto che sfruttano per alimentarsi (le radici vanno alla continua ricerca di nutrienti appetibili, come potassio, fosfati, nitrati).
E poi, sono dotate di abilità all’apprendimento dall’ambiente e di memoria di quanto esperiscono. Inoltre, si muovono (e anche tanto!) per migliorare la loro fitness lungo il proprio processo evolutivo o, ad esempio, in reazione a urti, come tipicamente nel caso delle piante insettivore. È da intendersi una strategia di movimento da un posto all’altro persino la dispersione di semi (Mazzolai, 2019). Peraltro, la loro sensibilità va oltre i cinque sensi dell’uomo (ad esempio, riescono a sentire e quantificare la forza di gravità, i campi elettromagnetici, a scandagliare diversi gradienti chimici; Mancuso e Viola, 2015). E per il fatto di essere sessili, beneficiano –come per una forma di diversificazione del rischio dei propri asset– di una struttura modulare, cioè priva di organi concentrati in poche zone nevralgiche, scomponibile in parti divisibili. In più, le piante adottano comportamenti sociali, interagendo fra loro tramite codici non solo di suoni e odori, ma anche di colori e forme, nonchè costituendo alleanze e simbiosi (ad esempio, la loro capacità di mimetizzarsi con le piante vicine altro non è che una stretta interazione fra loro). Tali interazioni avvengono sia all’interno della biosfera, sia con altre forme di alterità, quali l’intelligenza artificiale. Si richiama un meccanismo simbiotico sorprendente e affascinante poiché evocativo di forme di attenzione e del prendersi cura. Il caso è famoso: si tratta di una “storia d’amore cyborg” che nasce fra due soggetti speciali, un bellissimo glicine – la Wisteria Floribunda di color rosa – e una sofisticatissima intelligenza artificiale – battezzata Antitesi. I due hanno un avversario comune, che combattono insieme: il cambiamento climatico. Antitesi assolve una triplice funzione a favore della sua protégé: attraverso i propri sensori digitali osserva l’impatto del clima sulla salute del glicine, perciò misura, calcola, compara i dati diacronici e sincronici acquisiti, scandaglia le informazioni utili a definire il suo stato; condivide con la comunità scientifica i dati raccolti tramite questo continuo monitoraggio; effettua investimenti in Borsa secondo una struttura di incentivi fondata su un sistema di punizione/premialità. Infatti, se i parametri registrano cambiamenti climatici pregiudizievoli per il glicine, Antitesi reagisce veementemente iniziando a investire in Borsa a sostegno delle imprese virtuose che combattono la crisi ambientale tramite strategie aziendali e i propri prodotti (Agrifoodtoday, 2021).
Gli esseri viventi si confrontano con un ambiente complesso, che evolve nel tempo, carente di informazioni, incerto, soggetto a shock, condizionato dall’operato degli esseri con cui ognuno entra in contatto e/o indirettamente interagisce. Di fronte alle asperità di questo ecosistema, le mutazioni genetiche hanno messo in condizione gli esseri umani e tutte le altre forme di vita di sopravvivere a shock, cioè a quanto Darwin chiamava “condizioni di vita”.
Ma guardiamo anche alle (tante) condizioni di ambiente positive, e non solo alle ispidità. L’ecosistema si espande e progredisce nel tempo, diventando inclusivo di nuove forme di attivismo, impegno sociale e sensibilizzazione culturale; consolidando un climax a favore del riconoscimento di una sfera più ampia dei diritti di animali e piante (caso pivot quello dell’elefantessa Happy); facendo proprio l’intreccio tra arte e tecnologia di frontiera. L’esempio stesso della diade glicine/intelligenza artificiale allarga gli orizzonti di solidarietà, collaborazioni, caregiving e anche di amore al di là degli stereotipi tradizionali, tipicamente attribuiti a uomini e animali (e agli uni con gli altri). In tale universo, più la scienza avanza, tanto più poliedriche, meravigliose, affascinanti e arricchenti le esperienze, le conoscenze e le forme d’arte che ci vengono offerte.
Sì, perché ideatori della diade Wisteria Floribunda-Antitesi sono due artisti, Salvatore Iaconesi e Oriana Persico, la cui opera è stata realizzata presso il Centro di ricerca “HER: She Loves Data” (Singapore). L’installazione costituisce la prima opera datapoietica dedicata al cambiamento climatico (“datapoiesis” è un neologismo che fa riferimento a un processo basato su dati e intelligenza artificiale, al fine di realizzare cose ed esperienze che aiutino le persone a capire fenomeni complessi e globalizzati). Coerentemente, anche il Centro di ricerca è di particolare interesse. Non solo perché utilizza dati e calcoli sofisticati volti alla sensibilizzazione culturale verso la ricerca e l’innovazione tecnologica, ma anche perché intende ridurre il digital divide prevalente fra sessi, stimolando le donne a contribuire all’interno di un mondo orientato al dataismo e avvicinandole alle discipline STEM.
L’intelligenza delle piante
Per via della loro struttura modulare, le piante si avvalgono di un’intelligenza decentralizzata. In particolare, l’apparato radicale è la loro parte più rilevante e l’intelligenza distribuita in tale (estesa) zona le guida nello sviluppo esplorando il suolo alla ricerca degli input necessari.
Lo stretto coordinamento fra radici nel movimento e l’interazione diretta tra pianta e ambiente determinano un comportamento emergente unitario tale da richiamare il movimento di uno sciame. “[…] si parla di comportamento emergente –o intelligenza collettiva– ogni qual volta un comportamento di alto livello si origina a partire dalle migliaia di interazioni semplici che avvengono tra agenti singoli” (Mazzolai, 2019, p. 135) o tra le diverse parti di un sistema. “Con i milioni di apici radicali e una parte aerea dotata di rami e foglie, in realtà le piante rappresentano il caso estremo di intelligenza distribuita in natura” (p. 139).
L’efficienza di questi meccanismi ha ispirato la realizzazione di robot sofisticati, che uniscono la robotica all’intelligenza artificiale. E passando dall’intelligenza vegetale a quella artificiale, ci troviamo di fronte alla robotica bioispirata, che si colloca nell’area di ricerca più ampia: la biorobotica (Mazzolai, 2021). Il plantoide è una delle sue creature.
La razionalità delle piante
Una breve digressione di natura economica a supporto dell’idea di razionalità vegetale.
Nell’agente economico, la razionalità (nella prospettiva strumentale) è da intendere come l’obiettivo di ottimizzazione sotto il vincolo delle risorse disponibili (ottimizzazione vincolata). Il carattere strumentale della razionalità sta sia nell’analisi da parte dell’agente sui costi-benefici di tutte le sue possibili azioni, sia nella scelta di quella efficiente, cioè deputata all’ottimizzazione. Alla luce della scarsità delle risorse e dei beni/servizi, tale nozione di razionalità ha perciò valenza fortemente competitiva per il raggiungimento dei fini da parte di ciascun soggetto contro gli altri.
Il parallelismo con le strategie delle piante è pressoché immediato. Innanzi tutto, anch’esse hanno come obiettivo l’ottimizzazione, adottano forme di decision-making, vivono in un ambiente fortemente competitivo. L’ottimizzazione (vincolata) sta nella scelta di allocare energie e materie nel modo più efficiente per il loro sviluppo. Ne segue che anche le piante attuano valutazioni costi-benefici grazie ai recettori che registrano ed elaborano le informazioni disponibili. Sulla base dei dati raccolti, mettono in atto un processo decisionale tramite cui pervengono a una risposta adattiva. Le decisioni (strumentalmente) razionali includono anche i tempi ottimali per fiorire e germogliare, e persino se è il caso di abortire i semi in circostanze estreme, quali infestazioni di parassiti o condizioni climatiche avverse (Castiello, 2020). In questo caso, l’aborto fa parte della cassetta degli strumenti per la sopravvivenza e la buona salute della specie.
Prendiamo il caso della concorrenza fra piante per beneficiare della luce: il fototropismo è il loro movimento per riceverla in modo ottimale. La “fuga dall’ombra” è la dinamica che le spinge a crescere più rapidamente delle competitor per l’accaparramento della luce (Mancuso e Viola, 2015). La competizione delle piante non si limita naturalmente all’ambito del mondo vegetale. I competitor sono ovunque! Dagli uomini agli animali. È la sempiterna lotta tra prede e predatori.
La dimensione razionale delle piante può essere declinata anche secondo la sua accezione ecologica. Gli studi empirici, la teoria delle scelte in condizioni di incertezza, l’economia comportamentale, quella sperimentale, la neuroeconomia, insieme a tanti altri filoni di letteratura interdisciplinare hanno disvelato il profondo solco tra come gli agenti si comportano e come dovrebbero comportarsi. Le evidenze hanno dimostrato che, per comprendere i comportamenti individuali e non etichettarli necessariamente “irrazionali”, vi era l’urgenza di estendere la nozione stessa di razionalità per renderla a “misura d’uomo”, in contrapposizione a quella perfetta “onnipotente” dell’economia neoclassica (Fiocca, 1994).
La razionalità ecologica si fonda sull’abilità degli esseri che popolano la biosfera di attuare il loro decision-making prendendo a riferimento l’ambiente in cui si trovano. Cioè, l’ambiente esterno – e il modo in cui esso viene percepito – non è “neutrale”. La decisione non può essere quindi razionale di per sé, poiché non avviene nel vuoto e il soggetto non è una monade. È perciò necessario scontare le variabili situazionali, cioè le circostanze. Si tratta di una forma altamente contingente di elaborazione delle informazioni e, quindi, altrettanto flessibile. Sono chiari i tratti adattivi ed evoluzionistici di tale nozione che, come si vedrà più avanti, viene mutuata anche nel plantoide.
Studi importanti lungo questa linea di argomenti sono stati realizzati in psicologia, in particolare da quella evoluzionista. È stato suggerito che esiste una sfera psicologica vegetale e che essa può essere analizzata studiando il comportamento delle piante in termini di stimoli e risposte: entrambi costituiscono reazioni adattive all’ambiente (ad esempio, Castiello, 2020). In natura, si sa, l’evoluzione e l’adattamento di qualsiasi essere vivente avvengono non secondo un processo lineare, ma attraverso la discontinuità di un incessante “groping”, “trial and error” (Fiocca, 2005).
Di conseguenza, dopo aver agito per tentativi, nel lungo periodo le abilità all’apprendimento dall’ambiente e di memoria da parte del mondo vegetale si affinano, agevolandone la sopravvivenza e l’evoluzione. Meccanismi di variazione, eredità e selezione (Fiocca, 2020), quando memorizzati, possono costituire nel lungo periodo un imprinting genetico per lo sviluppo adattivo intergenerazionale. Tutto ciò è stato osservato scientificamente e confermato rigorosamente dall’evidenza empirica (Castiello, 2020).
Parallelismi di strategie di uomini e piante secondo la Teoria dei Giochi
Riguardo al mondo delle piante è vivo il dibattito sui risultati, in chiave evoluzionistica, di comportamenti egoisti o altruisti. Tra i tanti esempi, si cita quello di un particolare fungo che forma una specie di manicotto intorno alle radici di una determinata pianta, con un guadagno reciproco: il primo fornisce alle radici alcuni minerali e, in cambio, riceve gli zuccheri prodotti con la fotosintesi (Mancuso e Viola, 2015). Tale comportamento può essere stilizzato col metodo della Teoria dei Giochi (TdG), in cui gli agenti/giocatori sono due piante (ciò non toglie che uno degli attori che interagisce con la pianta sia un animale) e i loro rispettivi guadagni sono i payoff.
Le ipotesi fondanti della Teoria dei Giochi sembrano coerenti con i precedenti argomenti: le due piante riconoscono la reciproca interdipendenza; ciascuna di esse tenta di sfruttare tale interazione con l’obiettivo di massimizzare i propri payoff; entrambe sono razionali (in senso strumentale, a indicare l’obiettivo di ottimizzazione). Nel Dilemma del Prigioniero, la strategia non cooperativa di ciascuna pianta conduce a un risultato in cui entrambe perdono. La cooperazione converrebbe, però, solo se entrambe la applicassero, altrimenti si tratterebbe solo di sfruttamento di una (free-rider) a spese dell’altra. Consideriamo invece un gioco –come il Tit-for-Tat (“Colpo su colpo”, la cui filosofia alla base è “Occhio per occhio”)– ripetuto nel tempo un numero indefinito di volte (che ben si attaglia a un pattern evolutivo). Tale gioco dà spazio all’apprendimento, alla memoria, all’esperienza e al reciprocare la risposta. Grazie a questo background accumulatosi nel tempo, potrà emergere una soluzione di natura cooperativa anche fra soggetti egoisti –argomento che affonda le radici in Hobbes e Hume, rispettivamente a metà ‘600 e ‘700. L’altruismo, quindi, anziché genuino, ha natura strategica, ancora in coerenza con il paradigma strumentale della razionalità.
Al comportamento a sciame delle piante si può ricollegare un gioco di coordinamento (concetto naturalmente ben diverso dalla cooperazione). Noto esempio è la “Battaglia dei sessi”, che rappresenta le molte situazioni in cui i soggetti cercano di coordinare le proprie azioni (a prescindere dalle rispettive preferenze): il coordinamento è sinergico e, quindi, dà un valore aggiunto all’azione (circostanza anch’essa del tutto compatibile con le dimensioni strumentale ed ecologica della razionalità). L’interpretazione evoluzionista di tale gioco è che l’equilibrio raggiunto da una popolazione (il comportamento emergente che determina la forma di sciame) coincide con l’ottimizzazione di lungo periodo (l’unione fa la forza).
Il plantoide
È una tecnologia bioispirata –un “robot-pianta”– frutto dell’applicazione dell’intelligenza artificiale alla robotica volta a contribuire alla sostenibilità ambientale (di cui agli SDGs). Il plantoide sconta l’avanzamento in robotica: “non più sistemi dalla forma predefinita e fissata una volta per tutte, ma in grado di evolversi e mutare” (Mazzolai, 2019, p. 36). La sua plasticità ne fa il primo robot che cresce e muta la morfologia, come il suo omologo biologico. Ad esempio, anch’esso è dotato di “idrotropismo” (cresce verso l’acqua) e di “tigmotropismo” (evita un ostacolo).
Segnatamente, il plantoide costituisce la replica artificiale dell’apparato radicale di una pianta sotto numerosi aspetti, quali: le sembianze, il comportamento, l’esplorazione del suolo, la capacità di percepire l’ambiente che sta esplorando per rispondere in modo adattivo alla varietà di stimoli esterni, e, quindi, le capacità di movimento, le capacità comunicative (Mazzolai e Salvini, 2018). La radice robotica (sono cinque le radici del plantoide) è analoga al suo omologo naturale. Ha quindi una parte apicale i cui sensori misurano i gradienti chimici ed evitano gli ostacoli. Ca va sans dire, l’apparato radicale del plantoide adotta un modello di comportamento emergente. Come in Natura, esso è stato dotato inoltre del “senso delle priorità”, che gli attribuisce un comportamento dinamico: “le radici robotiche si indirizzeranno verso una sostanza con maggiore preferenza rispetto a un’altra sulla base del fabbisogno della pianta robotica” in determinate circostanze (ad esempio, uno stress idrico; Mazzolai, 2019, p. 141).
Rispetto alle radici naturali, nel plantoide è più elevata la rapidità del movimento. Ciò è un limite nella verosimiglianza, poiché la velocità comporta un dispendio di energia, e le piante sono parsimoniose in questo: non hanno fretta. Inoltre, la loro esplorazione del suolo ha bisogno di tempo. Per sequoie, querce, ulivi, ecc., tempo e velocità assumono valori dilatati (Mazzolai, 2019). Le piante si sono evolute, quindi, in modo del tutto diverso dagli animali e –si direbbe – anche dagli uomini, costantemente abitati da fretta e impazienza.
Sotto il profilo estetico, il plantoide non è un granchè: un tronco piuttosto tarchiato (contenente la parte elettronica), agghindato di alcuni rami abbelliti da foglie artificiali il cui materiale è ispirato ai tessuti delle foglie vere e, come queste, reattive a cambiamenti di temperatura e tasso di umidità. Come accade in Natura, l’apparato fogliare del plantoide prende l’energia dal clima: i materiali intelligenti da cui è costituito “funzionano da sensori e motori al tempo stesso e, proprio come quelli naturali, possono interagire con l’umidità dell’aria generando un movimento associato” (Mazzolai, 2019, p. 131).
Insomma, il plantoide: un po’ bruttino, ma tanto intelligente.