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Psicologia Ambientale

Nella Psicologia Ambientale l’ambiente è un fattore critico e non è considerato come un semplice sfondo a comportamenti o relazioni tra individui

La Psicologia Ambientale studia il modo in cui noi umani, in qualità sia di individui che di membri di alcuni gruppi, interagiamo con i nostri ambienti fisici, ovvero in che modo noi viviamo e cambiamo l’ambiente e come il nostro comportamento e le nostre esperienze sono modificati dall’ambiente stesso.

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Per ambiente, all’interno della Psicologia Ambientale, si intende sia l’ambiente naturale che quello artificiale, a partire dai luoghi a noi più vicini (ad es. la nostra stanza, il nostro quartiere), fino ai luoghi più ampi e condivisi (ad es. le grandi città).

La Psicologia Ambientale è una delle più giovani branche della Psicologia, risale infatti a quasi 50 anni fa, in corrispondenza del rapido declino delle condizioni naturali e dell’aumentato bisogno di creare edifici e spazi che potessero meglio rispondere alle necessità delle persone.

Uno degli obiettivi primari della Psicologia Ambientale è dunque quello di comprendere e analizzare le interazioni tra individui e ambiente e utilizzare tali conoscenze per influenzare le politiche e le linee d’azione che possono promuovere comportamenti sostenibili e creare ambienti più vivibili e sani.

Tra le altre cose, gli psicologi ambientali studiano come le nostre interazioni con l’ambiente di lavoro sono connesse al nostro benessere e in che modo l’ambiente naturale migliora la nostra salute mentale. Le domande più importanti che guidano uno psicologo ambientale sono: cosa impedisce alle persone di comportarsi in modo sostenibile? Cosa si può fare per incoraggiare comportamenti e condotte più rispettosi dell’ambiente? Come gli edifici possono rispondere alle necessità di chi ci vive e/o lavora?

Psicologia Ambientale: storia

Sebbene la Psicologia Ambientale sia una disciplina di origine recente, la cui nascita si può far risalire alla fine degli anni ’60 del secolo scorso, alcune radici possono ritrovarsi anche in autori precedenti, tra cui Egon Brunswik (1903-1955) and Kurt Lewin (1890-1947). Brunswik osservò che gli psicologi avrebbero dovuto focalizzarsi sull’ambiente dell’organismo, tanto quanto sull’organismo stesso.

Allo stesso modo, secondo Lewin l’ambiente risultava fondamentale per comprendere il comportamento individuale. Il suo lavoro ha poi ispirato le idee di Roger Barker, Urie Bronfenbrenner e Robert Sommer, alcuni dei pionieri della Psicologia Ambientale.

Negli ultimi anni del 1940 e del 1950 sono aumentati gli studi sul rapporto tra i processi psicologici e la loro relazione con i contesti fisici. Questi primi studi erano inizialmente classificati all’interno della Psicologia architettonica, il cui scopo era migliorare il benessere delle persone a partire dal design e dall’architettura degli edifici. Negli anni 60 l’attenzione delle persone si sposta sempre più verso l’ambiente naturale e le sue condizioni: è in questo contesto che aumentano le ricerche nell’ambito della Psicologia Ambientale, in particolare sulle problematiche ambientali, su come l’attività umana influenza negativamente l’ambiente biofisico e come gli umani, con le loro condotte (es. inquinamento e rumore), possono peggiorare la salute e il benessere. E’ così che, durante questi anni, hanno luogo le prime conferenze, nascono i primi giornali e i primi corsi di studio e le prime organizzazioni.

Ambiente, psicologia e benessere

In che modo dunque vivere in un detereminato ambiente impatta sulla nostra salute mentale? Sebbene la psicologia ambientale, come abbiamo visto, sia una disciplina molto giovane, sono già numerosi gli studi che si sono occupati di studiare questo rapporto.

Effetti della natura sul benessere psicologico

In particolare è stato più volte confermato il risvolto positivo degli ambienti naturali sul benessere delle persone. Ad esempio è stato visto come il connubio silenzio e ambienti naturali porti a un maggiore rilassamento e una maggiore consapevolezza del momento presente (Pfeifer et al., 2020). L’esposizione alla natura può inoltre portare ad una diminuzione dell’impulsività, a sua volta responsabile di una diminuizione dei livelli di stress, ansia e depressione (Dolan, 2018). Anche nei bambini (Sobko 2018) un rapporto più stretto con la natura porta a minore disagio psicologico, minore iperattività e minori difficoltà emotive e comportamentali meno frequenti, a fronte di un aumento del comportamento pro-sociale.

Psicologia ambientale e neuroscienze

A livello cerebrale è stato visto come vivere in prossimità di ambienti naturali sarebbe legato ad una migliore funzionalità dell’amigdala, struttura del cervello che lavora nei momenti di stress. Nello studio sugli effetti dell’ambiente sulle strutture cerebrali, vi è però una controparte negativa: diversi dati ci suggeriscono anche un effetto deleterio di particolari condizioni ambientali. Uno studio condotto dai ricercatori dell’Università della California ha trovato un legame tra l’inquinamento atmosferico legato al traffico e un aumento del rischio di cambiamenti nello sviluppo del cervello, rilevanti per lo sviluppo di disturbi neurologici. Il loro studio, basato su modelli di roditori, ha mostrato una crescita anormale e un aumento della neuroinfiammazione nel cervello degli animali esposti all’inquinamento atmosferico. Ciò suggerisce che l’esposizione all’inquinamento durante periodi di sviluppo critici potrebbe aumentare il rischio di cambiamenti nel cervello, i quali si associano a disturbi dello sviluppo neurologico (Patten et al., 2020).

Le alterazioni cerebrali date dall’inquinamento atmosferico, se associate ad altri fattori di rischio, come per esempio una predisposizione genetica, potrebbero dunque avere degli effetti più pronunciati e conseguentemente delle alterazioni cerebrali più importanti (Patten et al., 2020).

Un altro studio condotto su partecipanti residenti a Città del Messico, in confronto a persone residenti in una città di controllo con bassi tassi di inquinamento, ha utilizzato un anticorpo come marcatore biologico per indagare il danno assonale. Dai risultati si evince che gli assoni si danneggiano maggiormente sì con l’aumentare dell’età, ma che questo processo è molto più veloce per i soggetti residenti a Città del Messico rispetto a coloro che sono residenti nelle aree di controllo, e ciò porta a un maggior rischio di Alzheimer e neuroinfiammazioni.

Anche i bambini non sono esenti da questi rischi (Rivas et al., 2019): è stato scoperto che bambini esposti a PM2.5 (particelle con un diametro inferiore a 2,5 μm) nell’utero e durante i primi anni di vita hanno un maggior rischio sviluppare deficit per quanto riguarda la memoria di lavoro (nei ragazzi) e l’attenzione esecutiva (sia nei ragazzi che nelle ragazze).

Oltre 20 studi hanno mostrato effetti negativi del rumore sulla capacità di lettura e di memoria nei bambini: l’esposizione al rumore, in particolare, durante periodi critici di apprendimento a scuola potrebbe potenzialmente compromettere lo sviluppo e avere un effetto permanente sul livello di istruzione.

L’impatto degli umani sull’ambiente: alcuni fattori che predispongono gli umani a prendersi cura dell’ambiente

Nonostante il forte interesse creato intorno alla problematica ambientale, infatti, non tutti condividono la necessità di cambiare le proprie abitudini e di impegnarsi in comportamenti a favore dell’ambiente (O’Brien, 2015). Per questo motivo la psicologia si è recentemente interessata ad approfondire quali fattori spingano le persone ad intraprendere condotte a supporto dell’ecologia.

Alcuni filoni di ricerca fanno riferimento alla Self-Determination Theory. Secondo tale ricerca, la motivazione intrinseca fa riferimento alla tendenza a svolgere una determinata azione per l’esclusivo piacere e la soddisfazione nel compierla, mentre la motivazione estrinseca è caratterizzata dalla tendenza a fare qualcosa per ottenere una conseguenza positiva o evitarne una negativa. Pelletier, Baxter, e Huta (2011) hanno osservato che quando si è intrinsecamente motivati verso comportamenti a favore dell’ambiente si tende ad intraprendere con maggiore frequenza, continuità ed impegno attività quali: riciclo, riutilizzo prodotti, risparmio energetico e di risorse. Anche la motivazione estrinseca può promuovere l’uso di stili di vita eco-sostenibili, ma generalmente questa tipologia di motivazione è efficace solo nel breve periodo (Ryan, & Deci, 2017).

Per quanto riguarda la personalità, il tratto “apertura all’esperienza” mostrerebbe una più forte associazione con atteggiamenti e comportamenti pro-ambientali. Questo accadrebbe perché le persone più aperte tendono ad essere più intelligenti e meglio informate, e quindi possono avere una maggiore conoscenza delle conseguenze delle azioni umane sull’ambiente

Anche i tratti gradevolezza e coscienziosità risultano associati in modo significativo ai comportamenti pro-ambientali, tuttavia in misura minore (Soutter & Mottus, 2020).

La psicologia ambientale tra prevenzione e promozione: alcuni esempi dal mondo

Nell’ottica della prevenzione, gli studi di Psicologia Ambientale stanno aiutando a migliorare il benessere delle persone e a prevenire alcune problematiche anche molto importanti. Ad esempio a Berna, dove i tassi di suicidio si sono mostrati elevati, sono state montate delle reti di protezione ma anche di “dissuasione” per limitare il numero di coloro che intendono compiere il triste gesto. Sebbene sia un modello da affiancare a un imprenscindibile trattamento psichiatrico/psicoterapeutico, esso si è mostrato efficace nel suo intento, tanto da ispirare altre importanti città alle prese con la stessa grave problematica, come ad es. San Francisco.

La psicologia ambientale, oltre a prevenire, aiuta promuovere: non più utopia risultano essere le città age friendly. Secondo l’OMS infatti, per favorire l’invecchiamento attivo e l’inclusione sociale, bisognerebbe puntare alla trasformazione delle città in città age-friendly. Anziani e persone diversamente abili non possono più essere considerati spettatori passivi della vita ma protagonisti attivi. Creare città age-friendly significa consentire alle persone di paretcipare attivamente alla vita della propria comunità: costruire edifici e strade senza barriere architettoniche, implementare l’accessibilità ai trasporti pubblici, puntare sulla sicurezza e aumentare i servizi sanitari sono i punti cardine di questi nuovi tipi di città.

Dal Giappone invece arriva una tecnica per ritrovare il benessere e la salute dal nome “Shinrin Yoku” o “bagno nella foresta”, la tecnica prevede l’immergersi e il rilassarsi all’interno di boschi, foreste o aree verdi. Come abbiamo già scritto, entrando in contatto con la natura, possiamo accedere a quella quiete che ci permette di godere di una maggiore consapevolezza dei nostri sensi e quindi ci induce naturalmente ad uno stato di consapevolezza che a sua volta permette di cogliere tutto ciò che proviene dalla natura e dall’ambiente. Non a caso l’ente forestale giapponese ha introdotto il concetto di Shinrin Yoku fin dagli anni ’80 per invogliare gli abitanti delle grandi metropoli come Tokyo, Osaka e Kyoto a trovare un contatto con la natura e a staccare la spina dai ritmi incalzanti della città.

La Psicologia Ambientale si mostra quindi una disciplina dalle enormi potenzialità e in continuo divenire, di pari passo al nostro ambiente e a noi stessi:

The proper use of science is not to conquer nature but to live in it.
– L’uso corretto della scienza non sta nel conquistare la natura, ma nel vivere in essa.
(Barry Commoner)

Bibliografia:

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