Definizione di apprendimento
L’ apprendimento è uno dei fenomeni psicologici fondamentali per l’evoluzione e coinvolge moltissime specie animali oltre all’uomo; lo sviluppo e la sopravvivenza degli individui si basa sulla loro capacità di apprendere. Per questo motivo l’ apprendimento è stato studiato e continua ad essere studiato dall’etologia e dalle scienze psicologiche, nelle sue diverse forme, manifestazioni e applicazioni.
In generale si può definire l’ apprendimento come una modificazione comportamentale che consegue a, o viene indotta da, un’interazione con l’ambiente ed è il risultato di esperienze che conducono allo stabilirsi di nuove configurazioni di risposta agli stimoli esterni.
In ambito psicologico, lo studio dell’ apprendimento diventa centrale con l’avvento del comportamentismo negli anni 1930-1950. Il comportamentismo definisce l’ apprendimento come l’insieme dei cambiamenti osservabili nel comportamento dell’individuo in seguito a dei cambiamenti prodotti nella situazione in cui l’individuo si trova (Zorzi, Girotto, 2004). In tal senso, secondo questo approccio meccanicistico e associazionista vi è un principio associativo diretto tra stimolo e risposta che sarebbe alla base degli apprendimenti. D’altro canto le teorie cognitiviste non si limitano a considerare la modificazione del comportamento e il meccanismo associativo come condizione essenziale per l’ apprendimento. In tal senso, secondo le teorie cognitive l’apprendimento presuppone la creazione di rappresentazioni mentali che medino il rapporto tra lo stimolo e la risposta. Già negli anni 30 Edward Tolman aveva ipotizzato che l’apprendimento non si manifestasse esclusivamente sul piano dei comportamenti osservabili ma su quello delle rappresentazioni mentali: l’animale apprende perché si crea una rappresentazione mentale della situazione e sulla base di questa agisce di conseguenza.
È utile sottolineare che vi sono alcuni cambiamenti nel comportamento che non sono ascrivibili ai processi di apprendimento, come ad esempio i cambiamenti comportamentali imputabili a tendenze innate alla risposta, alla maturazione o a stati temporanei del soggetto (ad esempio, cambiamenti relativi allo sviluppo di determinate fasi di età oppure i cambiamenti comportamentali conseguenti all’uso di sostanze psicoattive).
Il condizionamento classico
Ivan Pavlov (1927) all’inizio dello scorso secolo osservò le abilità di alcuni cani di riuscire a creare un’associazione transitoria tra uno stimolo somministrato dallo sperimentatore e una risposta comportamentale messa in atto dall’animale. In questo modo nasce il condizionamento classico o rispondente.
Nello specifico, accadeva che i cani riuscivano a unire uno stimolo condizionato, ovvero uno stimolo neutro individuato dallo sperimentatore (un suono), a una risposta generalmente presentata automaticamente (erogazione di cibo), detta stimolo incondizionato. Il cane dopo aver ascoltato il suono, stimolo condizionato, e visto il cibo, stimolo incondizionato, cominciava a salivare (Risposta Incondizionata). Succedeva che dopo ripetute esposizioni all’associazione stimolo-risposta, il cane iniziava a salivare non appena sentiva il suono e senza ricevere il cibo (Risposta Condizionata). Pavlov, successivamente, osservò che se lo stimolo condizionato non era somministrato in maniera sistematica, e alla fine non era neppure più somministrato, allora la risposta condizionata perdeva di efficacia fino a scomparire del tutto. Questo fenomeno prende il nome di estinzione.
In ogni caso il ricordo dell’associazione tra lo stimolo e la risposta condizionata rimaneva nella memoria dell’animale. Infatti, ripresentando lo stimolo condizionato, la risposta condizionata ricompariva ancora una volta, ma in questo caso bastavano minori interazioni stimolo-riposta. Inoltre, è possibile generalizzare questo fenomeno del condizionamento classico. Pavlov stesso vide che presentando stimoli condizionati diversi, tipo suoni diversi tra loro, il cane salivava ugualmente.
In ambito psicopatologico il condizionamento classico è utilizzabile per capire come si forma una fobia specifica. Se si ha paura dei ragni, alla lunga il solo pensiero di questi insetti diventa spaventoso. Non solo, lo stesso principio del condizionamento classico è utilizzato in ambito comportamentale come esercizio per riuscire a superare le fobie. Tale tecnica prende il nome di desensibilizzazione. In questo caso il terapeuta invita il paziente a esporsi in maniera graduale con l’oggetto temuto nel tentativo di estinguere l’associazione precedentemente appresa tra lo stimolo condizionato (ad es: serpente) e la conseguente risposta disfunzionale o condizionata (es: tachicardia, sudorazioni,vertigini, etc.), definita appunto risposta condizionata. Lo scopo è dimostrare che la risposta emotiva non è così spaventosa come sembra, ma è possibile gestirla.
Parlando di condizionamenti stimolo-risposta vale la pena introdurre brevemente i concetti di assuefazione o abituazione e sensibilizzazione.
L’assuefazione o abituazione fa riferimento alla progressiva diminuzione della forza di una risposta al ripetuto presentarsi di uno stimolo. Se uno stimolo è nuovo o poco usuale, si avrà un pattern di risposta fisiologico-motoria nota come “risposta di orientamento”. Se tale stimolo viene ripetuto con regolarità è probabile che vi sia una progressiva indifferenza del soggetto, per via del fenomeno dell’abituazione/assuefazione. Al contario, la sensibilizzazione prevede delle risposte allo stimolo che si configurano come molto più intense rispetto alle prime presentazioni dello stimolo: il soggetto, invece di abituarsi, si è sensibilizzato a un particolare stimolo/categoria di stimoli, ad esempio stimoli dolorosi o anche eventi traumatici.
Il condizionamento operante
Accanto al condizionamento classico, nell’ambito del comportamentismo Skinner inventò il paradigma sperimentale del condizionamento operante. Lo strumento sperimentale usato in questo paradigma era la Skinner box: una gabbia in cui la cavia poteva esplorare liberamente l’ambiente e compiere comportamenti come pigiare una leva o premere un tasto.
Skinner inventò il paradigma sperimentale del condizionamento operante, che poteva essere di due tipi:
- Quello rispondente, in cui la risposta messa in atto da una cavia in gabbia avviene come reazione a uno stimolo;
- Quello operante, in cui la risposta è emessa spontaneamente.
Lo strumento sperimentale usato in questo paradigma era la Skinner box: una gabbia in cui la cavia poteva esplorare liberamente l’ambiente e compiere comportamenti come pigiare una leva o premere un tasto. Alcuni comportamenti messi in atto dalla cavia erano però rinforzati, il che rendeva più probabile la ripresentazione, in futuro, del comportamento stesso. Ad esempio, se un piccione cavia scopriva che il pigiare un tasto portava all’erogazione del cibo (rinforzo), allora lo ripeteva più e più volte.
Quindi, in generale il condizionamento operante consiste nella messa in atto di un comportamento, che se rinforzato positivamente si ripresenta con una maggiore frequenza. Prendiamo un bambino che è libero di fare diverse cose in una stanza, ma è rinforzato positivamente solo quando mette a posto i suoi giochi. Successivamente, apprende che mettere in ordine è un comportamento giusto da eseguire. La messa in atto di un determinato rinforzo può indebolire o incrementare la probabilità di comparsa di un certo comportamento. I rinforzi possono essere di molti tipi:
- Rinforzi che funzionano automaticamente (ad es., il cibo), senza l’intervento dell’uomo;
- Rinforzi che acquisiscono una funzione atta a implementare la ricomparsa del comportamento che richiede l’intervento dell’uomo;
- Rinforzi generalizzati che derivano dall’esplorazione e dall’interazione col mondo fisico. Ogni individuo che riceve dei feedback positivi nell’interazione con l’ambiente, aumentano la sua probabilità di acquisire nuovi comportamenti. Gli stimoli positivi che rinforzano il comportamento sono sia di origine fisica sia di natura psicologica, come ricevere consenso, approvazione, affetto.
Il Rinforzo del comportamento, in sintesi, si può suddividere in due grosse macro categorie: positivo e negativo. Il rinforzo positivo è quello che determina una conseguenza gradita. Il rinforzo negativo, invece, porta all’allontanamento o alla cessazione di uno stimolo o comportamento spiacevole.
Nel condizionamento operante, inoltre, si possono distinguere 3 fasi:
- Preapprendimento: serve a determinare il comportamento operante, ovvero la frequenza della messa in atto della risposta da parte della cavia (ad esempio premere la leva) senza che vi sia alcun rinforzo positivo o negativo;
- Condizionamento: il ricercatore stabilisce quando deve avvenire il rinforzo;
- Estinzione: la risposta condizionata decade dopo un certo numero di comportamenti messi in atto perché non rinforzata mai.
L’apprendimento latente
Con il concetto di apprendimento latente si fanno strada le teorie cognitive dell’apprendimento, secondo cui vi sarebbero rappresentazioni mentali cognitive che mediano il rapporto tra lo stimolo e la risposta.
Se guardiamo il fenomeno dell’ apprendimento da una prospettiva più ampia possiamo affermare che in qualsiasi situazione siamo potenzialmente nella condizione di apprendere e imparare in modo consapevole formale esplicito oppure in modo implicito e inconsapevole. Tali apprendimenti impliciti si fondano sulla nostra esperienza.
In tal senso già Tolman nel 1932 dimostrò che vi può essere apprendimento senza rinforzo: osservò appunto che i topi ne apprendono la mappa del labirinto e imparano la via d’uscita senza l’introduzione di alcun rinforzo, ma plausibilmente grazie alla formazione di rappresentazioni mentali della mappa del labirinto. Pertanto, attraverso l’esperienza si possono creare nuove strutture cognitive, come ad esempio le mappe di un labirinto sconosciuto.
L’apprendimento per insight
Negli anni ’20, Wolfgang Kholer fornisce un interessante contributo al campo dell’ apprendimento, introducendo il concetto di apprendimento per insight. Con apprendimento per insight si fa riferimento a un processo di apprendimento caratterizzato da una soluzione che sembra prospettarsi improvvisamente in una situazione di stallo/difficoltà.
Kholer si occupava di studiare gli scimpanzé e creò una situazione sperimentale diventata famosissima, tale per cui lo scimpanzé vedeva fuori dalla sua gabbia della frutta a una distanza non direttamente raggiungibile; con il braccio poteva però raggiungere un bastoncino, tuttavia troppo corto per raggiungere la frutta. Di fianco, ben visibile, era posto un bastone più lungo ma di nuovo non raggiungibile direttamente ma solo attraverso l’utilizzo del bastone più corto. Dopo un periodo di irrequietezza, l’animale inzia a osservare i dintorni della gabbia per un certo periodo di tempo. Improvvisamente le azioni dello scimpanzé si organizzano in modo consecutivo fino al raggiungimento dell’obiettivo: afferra il bastone più corto con la zampa, recupera il bastone più lungo con l’aiuto del bastone più corto, e finalmente recuperare il cesto di frutta attraverso il bastone lungo. Kohler ne inferisce che lo scimpanzé ha avuto un apprendimento per insight, in cui la soluzione si è prospettata cognitivamente in modo improvviso.
L’apprendimento osservativo
Albert Bandura si discosta dalla concezione comportamentista di apprendimento, in cui si associava l’ apprendimento all’esperienza diretta, dimostrando come dei nuovi comportamenti possano essere appresi mediante la semplice osservazione dei comportamenti altrui. L’ apprendimento, dunque, per Bandura si basa sull’imitazione, resa possibile grazie al rinforzo vicario, per cui le conseguenze relative al comportamento messo in atto dal modello, ricompense o punizioni, hanno i medesimi effetti sull’osservatore. Inoltre, Albert Bandura conia il termine modellamento, ovvero la modalità di apprendimento che entra in gioco quando il comportamento di un organismo, che assume la funzione di modello, influenza il comportamento di colui che lo osserva.
Già verso i nove mesi il bambino è in grado di imparare in modo volontario determinati comportamenti intenzionali diretti a uno scopo, messi in atto da un adulto: è il cosiddetto apprendimento imititativo (e non soltanto emulazione), caratterizzato dalla comprensione delle intenzioni che sono implicate nelle azioni che vengono riprodotte. Bandura ha sottolineato che i bambini imparano in un ambiente sociale e spesso imitano il comportamento degli altri, questo processo è noto come teoria dell’ apprendimento sociale.
Bandura inoltre analizza anche le variabili che sono coinvolte nel processo di apprendimento, chiamando in causa i fattori cognitivi, da cui deduce che le aspettative proprie e altrui sulle prestazioni esercitano un’influenza molto forte sui comportamenti, sulla valutazione di effetti e risultati e sui processi di apprendimento. A seconda se il successo o il fallimento siano attribuiti a cause interne o esterne, controllabili o incontrollabili, le reazioni affettive e cognitive che conseguono a tali risultati potrebbero variare.
L’apprendimento culturale
Secondo l’approccio del situazionismo dinamico, la cultura e i modelli culturali vengono appresi di continuo da parte degli individui che vi partecipano vivendo e facendo esperienza di specifici contesti culturali. Il modello culturale fa riferimento alle matrici di significato cognitivo-emotive condivise dalle persone di una certa comunità o gruppo culturale, è fondato su forme schematiche di conoscenza (script) e orientanti la condotta comportamentale.
L’ apprendimento culturale è intrinseco alla nostra condizione di esseri umani che fanno esperienza, intesa come enciclopedia delle conoscenze esplicite e implicite (tacite) acquisite mediante il coinvolgimento personale nelle azioni e nelle interazioni con gli altri nel corso del tempo. In tal senso l’ apprendimento dei modelli e delle routine culturali è in gran parte caratterizzato da processi di apprendimento latente, implicito, informale, situato e continuo. Anche se non specifico della specie umana, l’ apprendimento culturale continuo dall’esperienza ha ricevuto un’accelerazione esponenziale nella specie umana per via dell’evoluzione del linguaggio e della coscienza.
Fra le varie forme di apprendimento, per comprendere l’ apprendimento culturale è utile differenziare tra l’ apprendimento individuale, inteso come capacità di acquisire nuove informazioni a seguito di un’esperienza personale individuale e l’ apprendimento sociale, inteso come la capacità di acquisire nuove conoscenze e pratiche grazie all’interazione con i consimili. In generale, nelle fasi culturali stabili, l’ apprendimento sociale risulta più vantaggioso ed economico, poichè è più affidabile basandosi spesso sulla relazione esperto novizio, e quindi meno soggetto ad errori; al contrario, in contesti più variabili, l’ apprendimento individuale ha una maggiore rilevanza per trovare soluzioni nuove e più adatte ai cambiamenti ambientali. In tal senso, l’appropriazione (Rogoff, 2003) è una trasformazione e fa riferimento al cambiamento che deriva dalla partecipazione del soggetto a una data attività. Nelle interazioni adulto-bambino, si tratta di una partecipazione guidata in cui l’adulto assume la funzione di esperto e il bambino quella di novizio.
- Anolli, L. (2011). La sfida della mente muticulturale. Raffaello cortina editore.
- Pavlov, I.P. (1927). Conditioned reflexes. An investigation of the physiological activity of the cerebral cortex, London.
- Skinner, B.F. (1954). The science of learning and the art of teaching. Harvard Educational Review, 24(2), 86-97.
- Spence, K.W. (1956). Behavior theory and conditioning, New Haven.
- Tolman, C.E. (1932). Purposive behaviour in animal and man. New York, Appleton-Century-Crofts.
- Zorzi, M., Girotto, V. (2004). Manuale di psicologia generale. Il Mulino, Bologna.