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Recensione: Il Lato Positivo … di una tragicommedia psichiatrica

Recensione: Il Lato Positivo - potrebbe essere definito commedia nevrotica all’americana, per l’alta densità di contenuti da DSM-IV, o oramai da DSM-V.

Di Gaspare Palmieri

Pubblicato il 18 Apr. 2013

 

Il Lato Positivo - Locandina Cinematografica
Il Lato Positivo – Locandina Cinematografica

Recensione: Il Lato Positivo – potrebbe essere definito commedia nevrotica all’americana, per l’alta densità di contenuti da DSM-IV, o oramai da DSM-V.

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Il Lato Positivo (che sarebbe stato meglio chiamare “Il risvolto positivo”, secondo il titolo originale The Silver Lining Playbook), diretto da David O. Russell è un film che ha destato molto clamore alla recente notte degli Oscar (8 candidature) e che potrebbe essere definito commedia nevrotica all’americana, per l’alta densità di contenuti da DSM-IV, o oramai da DSM-V.

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Si parte dal protagonista Pat (un bravissimo Bradley Cooper), che esce da un istituto psichiatrico forense (tipo OPG), dove era stato ricoverato per aver malmenato l’amante dell’amatissima moglie, dopo averli colti in flagrante. Nell’occasione gli viene diagnosticato un disturbo affettivo bipolare, che prima dell’evento aveva dato segni di sé solo attraverso occasionali sbotti d’ira e lievi sbalzi d’umore. Lo scoprire la moglie sotto la doccia con l’amante rappresenta l’evento traumatico che slatentizza la malattia, in accordo con recenti teorie che sottolineano l’importanza dei life events nell’insorgenza del disturbo bipolare (Kauer-Sant’Anna et al, 2007). L’evento aveva come colonna sonora una canzone di Stevie Wonder, che rappresenterà, in occasione di ascolti successivi, un potente trigger per esplosioni di rabbia.

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Psicopedia - Immagine: © 2011-2012 State of Mind. Riproduzione riservata
Psicopedia: Disturbo Bipolare

Ne Il Lato Positivo, Pat affronta tutte le consuete difficoltà di un paziente psichiatrico che prova a reinserirsi in un contesto sociale, dopo un lungo ricovero, per di più con una misura restrittiva, che gli impedisce di tornare a casa con la moglie fedifraga e che lo costringe a regredire a casa dei genitori. Nel ritratto del personaggio emergono aspetti di evidente disforia, che a tratti sfociano nella sintomatologia ipomaniacale, anche causati dall’iniziale rifiuto della terapia farmacologica, considerata troppo sedativa. Il problema della compliance farmacologica per i pazienti bipolari è di assoluta importanza, se si pensa che certi studi sottolineano come la mancata aderenza alle medicine raggiunga il 60% in certi gruppi (Vieta et al., 2012). D’altra parte è anche abbastanza comprensibile che un individuo preferisca trovarsi in uno stato di eccitazione, rispetto a uno stato di profonda malinconia.

Ne Il Lato Positivo, l’assunzione del farmaco pare comunque sortire un effetto benefico, di controllo degli stati mentali più clamorosi e distruttivi. Restano inalterati invece gli altri aspetti della personalità del personaggio, caratterizzata da una candida ingenuità un po’ infantile e che a tratti sfocia in un vero e proprio pensiero magico, soprattutto rispetto all’impresa di ripresentarsi alla moglie completamente cambiato. Pat è guidato in ogni sua azione da una sorta di pensiero positivo («Excelsior!»), che lo porta a concentrarsi solo sui risvolti rosei delle situazioni. Non si capisce quanto questa attitudine sia connaturata agli aspetti ipomaniacali del disturbo o quanto sia una strategia di primo livello appresa in qualche percorso psicologico.

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 Il pensiero magico caratterizza in modo evidente anche il padre del protagonista (Robert De Niro), che imprigionato nell’idea prevalente della vittoria della squadra del cuore, i Philadelphia Eagles, vive la realtà che lo circonda con continui rituali ossessivi e procedure scaramantiche. Si tratta di un ossessivo “caldo” che in un paio di situazioni riesce ad essere molto empatico e contenitivo con Pat. La provenienza statunitense della pellicola impone la presenza di uno sceriffo, ed ecco apparire il poliziotto addetto al controllo della misura restrittiva, che sottolinea come in America l’idea della pericolosità sociale dei pazienti psichiatrici sia tutt’altro che superata (ma in compenso si possono comprare le pistole nei supermercati…).

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La parata dei nevrotici si arricchisce della madre di Pat, vera martire della casa, del fratello avvocato, mostro di insensibilità, dello psicoterapeuta indiano che al sabato si trasforma in un hooligan dei Philadelphia Eagles, del migliore amico di Pat che si chiude in garage a ascoltare heavy metal per scaricare la rabbia verso il perfezionismo coercitivo della moglie borghese.

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La figura femminile di spicco della pellicola è Tiffany (la vincitrice dell’Oscar Jennifer Lawrence), giovane vedova disinibita e promiscua (ma solo come modalità di elaborazione del lutto…) che si innamora di Pat e riesce, tramite un concorso di ballo (danzaterapia?), a farsi ricambiare e a fargli abbandonare l’idea di riconquistare la moglie.

Tiffany e Pat si incontrano soprattutto sul terreno delle rispettive fragilità ed è ben riuscito uno dei primi loro dialoghi, dove si scambiano pareri sugli psicofarmaci sperimentati (Abilify, Seroquel, Trazodone…), come fossero ricette di cucina.

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Nonostante qualche caduta in certi luoghi comuni («forse perché riusciamo a vedere cose che a voi altri sfuggono»), il regista cerca di evidenziare come chi riceve l’etichetta di malato psichiatrico sia più libero e meno bloccato emotivamente dei cosiddetti “normali”, con un lieto fine stars and stripes all’insegna (ovviamente) della positività.

Sono uscito dal cinema con il sorriso sulle labbra e quel vago senso di speranza che fa tanto bene e non ha effetti collaterali.

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