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Ergonomia ambientale: la disciplina che migliora le nostre performance e promuove il benessere psicofisico

L’ergonomia ambientale è una delle più antiche discipline che solo a partire dagli ultimi due secoli ha ridestato l’interesse della ricerca.

Di Beatrice Baroni

Pubblicato il 04 Gen. 2023

L’International Ergonomics Association (IEA) definisce l’ergonomia come la scienza che studia l’interazione tra l’uomo e i supporti tecnologici, con l’obiettivo di promuovere uno stato di benessere e migliorare le performance. Nella sua declinazione ambientale, può essere applicata dal settore lavorativo fino a quello sanitario. 

 

Le origini dell’ergonomia

 L’ergonomia ambientale è una delle più antiche discipline che solo a partire dagli ultimi due secoli ha ridestato l’interesse della ricerca. Che cosa si intende quando si nomina l’ergonomia ambientale e perché è importante? Partendo dal presupposto che normalmente si spende il 90% del proprio tempo all’interno di spazi chiusi (Girelli, 2018) è importante assicurarsi che questi spazi siano ben progettati, sia per una fruizione più agevole sia per preservare e promuovere le performance che mettiamo in atto al loro interno.

Come affermato dal Dott. Piergiorgio Frasca (2006), psicologo del lavoro e delle organizzazioni ed esperto in sicurezza sul lavoro, l’uomo ha cominciato a occuparsi di ergonomia quando ha iniziato a costruire e progettare i primi utensili con lo scopo di agevolare specifiche attività manuali.

Partendo da una definizione etimologica, il termine ergonomia ha origine greca ed è dato dalle parole ergon, che significa “lavoro”, e nomos, ossia “legge, norma”; l’ergonomia è quindi l’insieme delle norme o dei principi che delineano il modo in cui si svolge un’attività.

Agli inizi del secolo scorso lo scienziato polacco Wojciech Jastrzębowski, si dedicò allo studio di questa disciplina tanto da diventarne il primo riferimento ed esserne considerato il padre fondatore. Egli infatti nel 1857 in un articolo pubblicato su un giornale dell’epoca definì l’ergonomia come “la scienza del lavoro” (Walkiewicz, 2020).

L’ergonomia è quindi una disciplina che si pone alla base dell’evoluzione dell’uomo e del suo continuo plasmare ciò che lo circonda per creare un ambiente in grado di rispondere in modo sempre più preciso alle sue esigenze.

Ambiente come promotore del benessere

Nella prima conferenza Europea su Ambiente e Salute, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) dichiara che i benefici per la salute e il benessere sono portati anche da un ambiente pulito e armonioso (OMS, 1989). Ciascuno spazio in cui passiamo del tempo – che sia l’ufficio, il salotto di casa o la sala d’aspetto di un centro medico – con le sue caratteristiche specifiche è in grado di indurre nelle persone una variazione sul piano emozionale, cognitivo, sensoriale e fisico (Keizer et al., 2008). Diversi studi hanno inoltre evidenziato come le caratteristiche di un ambiente indoor (come per esempio la presenza di elementi decorativi green, fonti di luce naturale, ecc.) siano in grado di influenzare la creatività e la produttività delle persone (Ceylan et al., 2008; Ulrich, 1984).

Gli spazi quindi non sono da pensare come delle entità asettiche e prive di identità, ma al contrario come delle dimensioni dotate di una propria intrinseca vitalità in grado di influenzare sotto diversi aspetti l’uomo stesso.

 Di contro, un ambiente disordinato, poco illuminato e trascurato può portare le persone a sviluppare forme di somatizzazione. Nello specifico si parla della Sick Building Syndrome (SBS), in cui persone che vivono uno stesso ambiente riportano sintomatologie fisiche apparentemente prive di una qualsiasi componente eziologica come mal di testa, nausea, affaticamento, mancanza di concentrazione (Arikan et al., 2018). Non solo: un esempio concreto è rappresentato dalla realtà ospedaliera. L’ospedale è uno spazio molto particolare, la cui progettazione deve rispettare precise regole sia di gestione semantica degli spazi, che di ergonomia per facilitarne la fruizione e l’orientamento per le persone che lo visitano. In questo caso, studi rivelano che una sbagliata progettazione può arrivare a interferire con la performance dello staff medico e costituire un rischio notevole aumentando la probabilità di errori, come nella somministrazione dei medicinali ai pazienti ricoverati, che è una pratica delicatissima (Rozenbaum et al., 2013).

Il wayfinding mirato alla tutela di pazienti con Alzheimer

In ergonomia ambientale, il termine inglese wayfinding (tradotto letteralmente “trovare una via”) significa applicare un approccio di “traduzione” degli spazi di modo da renderli correttamente interpretabili dalle persone che lo vivono. E la spiccata sensibilità dell’essere umano nei confronti dell’ambiente che lo circonda ne diventa quindi una variabile imprescindibile, in cui la morfologia e la semantica degli spazi assumono ancora più rilievo. Un esempio concreto del concetto di wayfinding è stato applicato in un progetto pioneristico che si è distinto per aver introdotto un modo innovativo e futuristico di gestione di pazienti affetti dalla malattia di Alzheimer. Essa è la più comune forma di demenza e in quanto patologia neurodegenerativa, essa compromette le facoltà cognitive (memoria, attenzione, pensiero) e comportamentali in modo progressivo (Lopis et al., 2021), concorrendo allo sviluppo di patologie in comorbilità, come ad esempio forme di depressione maggiore (Rovner et al., 1989; Tampi et al., 2022). A fronte di un quadro simile, diventa difficile intuire quale potrebbe essere il modo migliore per assistere questi pazienti (Calkins, 2018). In un comune poco distante da Amsterdam ha preso vita il villaggio di Hogewey. Si tratta di un complesso residenziale che a primo impatto può sembrare un normale paese di provincia olandese: ci sono cinema, negozi e servizi (ad esempio il parrucchiere), il tutto corredato da parchi, panchine e fontane.

Ergonomia ambientale migliorare performance e benessere psicofisico Fig 1

In realtà è un villaggio residenziale progettato appositamente per accogliere pazienti affetti da demenza. Al suo interno, circa 150 pazienti vivono in 23 unità abitative indipendenti e i “passanti” che popolano i vialetti del villaggio sono in realtà infermieri specializzati in geriatria, operatori sanitari, medici, e psichiatri vestiti in abiti civili (Baumann, 2021).

In questo modo i pazienti possono continuare a vivere la propria vita mantenendo una parvenza di normalità dal momento che sono liberi di muoversi e di ricevere visite da amici e parenti.

La supervisione dei professionisti garantisce un’assistenza 24 ore su 24, se ad esempio uno di loro dovesse sentirsi disorientato o perdersi, lo staff medico interviene immediatamente offrendo assistenza e preservando la loro incolumità.

 

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