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Il Paese dei Misteri Buffi. Dario Fo & Giuseppina Manin – BOOKTRAILER

 

Ugo Guanda Editore e State of Mind presentano: 


Il Paese dei Misteri Buffi 

Dario Fo – Giuseppina Manin 

BOOKTRAILERRECENSIONE

Il Paese dei Misteri Buffi – Dario Fo & Giuseppina Manin – Recensione. - Immagine: Book Cover, Proprietà di Ugo Guanda Editore SpA, Viale Solferino 28, Parma Gruppo Editoriale Mauri Spagnol
Il Paese dei Misteri Buffi. Di Dario Fo & Giuseppina Manin. Ugo Guanda Editore SpA

 

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DARIO FO RACCONTA LA GENESI DEL LIBRO IL PAESE DEI MISTERI BUFFI,  SCRITTO INSIEME A GIUSEPPINA MANIN:

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

 

Il libro, le Immagini e il Booktrailer sono di proprietà di proprietà di Ugo Guanda Editore SpA, Viale Solferino 28, Parma Gruppo Editoriale Mauri Spagnol che ha gentilmente concesso la riproduzione su State of Mind. Ogni altro utilizzo non autorizzato è esplicitamente vietato. 

Desiderio, Amore e Dipendenza: avviene nel cervello

– FLASH NEWS –  

AMOREPENSIERO DESIDERANTEDIPENDENZE 

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze PsicologicheGrazie alla scienza sappiamo che l’amore vive nel cervello, non nel cuore. Ma in quale parte del cervello esattamente? E questo luogo è lo stesso del desiderio sessuale? Un recente studio internazionale, il primo di questo genere, disegna la mappa esatta di questi sentimenti intimamente collegati.

Jim Pfaus, professore di psicologia alla Concordia University insieme a colleghi statunitensi e svizzeri, ha analizzato i risultati di 20 studi separati che hanno esaminato l’attività cerebrale di soggetti impegnati a guardare immagini erotiche o fotografie di persone affettivamente importanti per loro. Mettendo insieme questi dati gli scienziati sono stati in grado di formare una mappa cerebrale completa dell’amore e del desiderio.

In particolare sarebbero due le strutture cerebrali fondamentali per il monitoraggio della progressione del desiderio sessuale verso il sentimento di amore: l’insula e il corpo striato. La prima è una porzione della corteccia cerebrale ripiegata in profondità in una zona tra il lobo temporale e il lobo frontale, il secondo si trova all’interno del proencefalo. Inoltre quando il desiderio sessuale si trasforma in amore avviene un elaborazione in una parte diversa del corpo striato. Sorprendentemente, questa porzione dello striato è associata anche alla tossicodipendenza, Pfaus spiega: “L’amore è un “abitudine” che si sviluppa dal desiderio sessuale e come tale chiede appagamento. A livello cerebrale funziona come quando le persone diventano dipendenti da droghe.”

Che l’amore sia un abitudine non è necessariamente un male, l’amore infatti attiva sentieri cerebrali che sono coinvolti nella monogamia e nel legame di coppia. Alcune aree del cervello sono in realtà meno attive quando una persona prova amore di quando invece sente il desiderio: infatti, mentre il desiderio sessuale ha un obiettivo molto specifico, l’amore è più astratto e complesso, sarebbe quindi meno dipendente dalla presenza fisica dell’altro.

In conclusione possiamo pensare il desiderio sessuale e l’amore lungo uno spettro che evolve da rappresentazioni integrate di sensazioni affettive e viscerali ad una rappresentazione finale di sentimenti, che include meccanismi di aspettativa di ricompensa e di apprendimento dell’abitudine.

 

 

BIBLIOGRAFIA

La costruzione di narrative personali in terapia cognitiva #3

 

LEGGI GLI ARTICOLI PRECEDENTI – PARTE 1PARTE 2 

Narrative Personali 3. - Immagine: © olly - Fotolia.comL’uso delle narrative personali nel trattamento di pazienti psicotici

La struttura di una seduta si può schematicamente suddividere in almeno tre frame: l’esposizione del problema da parte del paziente, l’indagine condotta dal terapeuta per approfondire la tematica oggetto della conversazione e la ridefinizione, allorché il clinico riformula il problema e condivide col paziente la costruzione di possibili scenari alternativi, utilizzando se necessario ulteriori strumenti quale ad esempio la prescrizione di attività cognitive, comportamentali o di auto-osservazione (Lenzi, Bercelli, 2010).

Le dimensioni della conversazione in base alle quali è possibile descrivere un approccio terapeutico riguardano: il grado di direttività, ossia la libertà lasciata al paziente nella sua esposizione dei contenuti; la distinzione operata dal terapeuta fra dati di realtà oggettivi e vissuti soggettivi del paziente; la collocazione dei punti di vista del clinico, in particolare di quelli identificabili come riformulazione del problema, e il loro livello di adesione al principio di comprensibilità dell’esperienza soggettiva, ossia la possibilità per il paziente di costruire un’attribuzione interna del tema trattato (Guidano, 1987). La libertà del paziente di confermare o meno il parere del terapeuta generando eventuali rinegoziazioni di forme e contenuti del dialogo; la presenza e la funzione di attività aggiuntive come le prescrizioni e le esercitazioni terapeutiche, e il loro rapporto con gli strumenti clinici di base.

La costruzione delle narrative personali in terapia cognitiva. - Immagine: Copertina del libro.  Proprietà di Eclipsi Editore.
Articolo consigliato: La costruzione della narrative personali in terapia cognitiva #1

Per quanto concerne l’approccio narrativo osserviamo una metodologia di intervento che si propone di:

  • creare una conversazione sintonica, negoziando dissidi e nodi problematici all’interno dei diversi frame;
  • riordinare dal punto di vista tematico e temporale gli eventi coinvolti nella sintomatologia del paziente;
  • ridefinire l’esperienza soggettiva utilizzando il criterio internalità/esternalità;
  • rielaborare in una prospettiva storica ed evolutiva i temi di vita e di significato personale, chiarendo il legame tra il loro sviluppo, la loro articolazione narrativa e l’insorgenza dei sintomi;
  • costruire narrative complesse e più flessibili riguardo al problema affrontato, allo scopo di individuare elementi che possano modificare le rappresentazioni semantiche ed episodiche.

Seguendo Lenzi e Bercelli (2010) ci domandiamo: è possibile utilizzare efficacemente le narrative nel trattamento di pazienti affetti da sintomi psicotici? Gli autori hanno analizzato numerosi trascritti di sedute condotte da terapeuti cognitivisti con soggetti che presentavano un quadro psicotico produttivo, costituito da sintomi deliranti e allucinatori, e hanno riscontrato come il frame più ricorrente sia quello pedagogico, nel quale il clinico affronta gli aspetti legati alla gestione concreta delle situazioni problematiche.

Il secondo frame più frequente è invece quello dell’esercitazione terapeutica, nella cui conduzione il clinico chiede al paziente di immaginare ciò che ha sentito come voce riproducendolo mentalmente nella maniera più fedele possibile, per poi comparare il prodotto della propria immaginazione con il ricordo delle voci.

Un altro frame che appare significativamente percorso dal terapeuta è l’indagine, utilizzata per avere una visione precisa del contenuto delle voci.

Lenzi e Bercelli focalizzano l’attenzione su due obiettivi clinici: ridurre l’adesione del paziente al sintomo, ossia la convinzione che le voci siano esterne e ingovernabili, e promuovere una rielaborazione interna attraverso la quale il paziente riesca a ricondurre le vicende e i temi raccontati dalle voci all’interno della propria esperienza narrativa.

Non di rado il terapeuta si confronta col dissidio del paziente, il quale sostiene con forza la natura esterna delle voci; lo studio condotto mostra però che nel frame dell’esercitazione l’adesione al sintomo si riduce notevolmente e questo risultato è determinato dal lavoro specifico che viene svolto in quella parte della seduta. I frame di indagine e pedagogico evidenziano una sostanziale impossibilità per il paziente di riconoscere l’origine esterna delle voci; quando il dialogo terapeutico è condotto dal clinico e il contributo del paziente si limita all’ascolto di istruzioni o alla descrizione oggettiva dei sintomi, risulta impraticabile la via di una ridefinizione narrativa delle voci.

Agostino l'eremita. - Immagine: © deviantART - Fotolia.com
Articolo consigliato: Agostino l'Eremita.

Nel frame di rielaborazione l’adesione al sintomo è alta durante le sequenze iniziali e centrali delle sedute, per poi diminuire nelle sequenze finali, quando il terapeuta propone un riassunto delle tematiche affrontate e sottolinea nuovamente i concetti sottoposti all’attenzione del paziente. La rielaborazione interna delle voci appare ugualmente assente nei frame di indagine e pedagogico, risultando anch’essa negativamente influenzata dalla direttività del terapeuta, mentre cresce in misura sensibile nel frame di esercitazione e in quello di rielaborazione. Questi risultati, sebbene relativi ad un unico studio e quindi ancora insufficienti per elaborare un modello solido, forniscono indicazioni preziose sul possibile utilizzo delle narrative personali nel trattamento di pazienti con sintomi psicotici positivi, e tracciano un sentiero di riflessione che può essere efficacemente percorso da successive ricerche.

La convinzione clinica di fondo è che questi soggetti possano in parte riappropriarsi, attraverso la riformulazione narrativa della propria storia di vita, dei contenuti esperienziali espressi dai loro sintomi.

Il terapeuta può condurli verso un accostamento sistematico delle voci alla narrativa personale, ad esempio lavorando sulla somiglianza, spesso sottolineata dal paziente stesso, fra la voce della patologia e quella di una figura significativa della storia di vita. I contenuti, il tono, la ricorsivita’ delle voci possono riprodurre contesti e relazioni che il soggetto ha vissuto nella realtà, possono riportarlo a frammenti esperienziali concreti che si sono connotati di un significato emotivo insostenibile;

il lavoro clinico è in grado di ridefinire almeno parzialmente il senso del sintomo psicotico, riconducendo ad una dimensione interna ciò che il paziente esperisce come occorrenza esterna. In questo caso può avvenire una ricostruzione semantica ed episodica della situazione problematica, ossia il paziente può utilizzare, nella gestione concreta delle voci, la modificazione di significato conseguente alla riformulazione terapeutica.

Un possibile obiettivo clinico è la graduale generalizzazione dei risultati ai diversi contesti di vita del paziente, affinché egli riesca a riconoscere la provenienza interna delle voci e l’appartenenza della loro trama semantica ad un mondo interno di significati narrativi che la terapia sviluppa e definisce.

 

 

BIBLIOGRAFIA 

Difficoltà evolutive e Crescita Psicologica – BOOKTRAILER

DIFFICOLTÀ EVOLUTIVE E CRESCITA PSICOLOGICA – STUDI CLINICI LONGITUDINALI DALLA PRIMA INFANZIA ALL’ETÀ ADULTA.

 

 

 Raffaello Cortina Editore e State of Mind presentano: 

DIFFICOLTÀ EVOLUTIVE E CRESCITA PSICOLOGICA

STUDI CLINICI LONGITUDINALI DALLA PRIMA INFANZIA ALL’ETÀ ADULTA

di Dora Knauer e Francisco Palacio Espasa 

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IL LIBRO 

Come evolvono le difficoltà nello sviluppo psicologico e affettivo della prima infanzia? Qual è il miglior tipo di intervento per modificare il destino di questi bambini, che potrebbe ipotecare il loro futuro cognitivo e lo sviluppo della personalità? Gli autori propongono un metodo psicoterapeutico e psicopedagogico integrato, che offre la possibilità di dispiegare le potenzialità proprie di ogni bambino. Grazie a un accompagnamento longitudinale a lungo termine, la realizzazione personale in età adulta non viene compromessa e ogni individuo riesce a modellare nel modo migliore le proprie caratteristiche di personalità.

GLI AUTORI

Dora Knauer lavora presso il servizio di Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza delle cliniche universitarie di Ginevra.

Francisco Palacio Espasa è stato a lungo primario del servizio di Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza delle cliniche universitarie di Ginevra. Nelle nostre edizioni ha pubblicato, tra gli altri, Depressione di vita, depressione di morte (2004), Scenari della genitorialità (2001).

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Difficoltà evolutive e Crescita Psicologica – Recensione

DIFFICOLTÀ EVOLUTIVE E CRESCITA PSICOLOGICA

STUDI CLINICI LONGITUDINALI DALLA PRIMA INFANZIA ALL’ETÀ ADULTA

di Dora Knauer e Francisco Palacio Espasa – Raffaello Cortina Editore

 

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Difficoltà evolutive e Crescita Psicologica - Recensione . - Immagine: Book Cover, proprietà di Raffaello Cortina Editore
Difficoltà evolutive e Crescita Psicologica – STUDI CLINICI LONGITUDINALI DALLA PRIMA INFANZIA ALL’ETÀ ADULTA di Dora Knauer e Francisco Palacio Espasa – Raffaello Cortina Editore

Recensione a cura di Alessia Incerti.

Nell’opera di Knauer e Palacio Espasa si prendono in esame differenti percorsi terapeutici in sostegno di bambini che anche in fasi precoci della loro infanzia hanno manifestato problemi psicologici di diversa natura. Si prendono in esame sintomi funzionali lievi (disturbi del sonno o dell’alimentazione), difficoltà del comportamento (capricci, opposività, condotte aggressive) sino a problemi più gravi, come i disturbi dell’umore (depressioni infantili) o molto gravi, come i disturbi pervasivi dello sviluppo e psicosi.

Nella trattazione dei suddetti quadri psicopatologici gli autori si riferiscono alle più recenti ricerche della neurobiologia e neuroanatomia a diversi approcci psicoterapici ed agli studi epidemiologici. Particolare attenzione agli studi longitudinali dall’epoca neonatale all’età adulta ed all’osservazione della relazione genitore bambino nell’ambito dei centri diurni riabilitativi.

L’osservazione delle relazioni tra genitori e bambino, quando egli manifesti un percorso di sviluppo considerato a rischio di psicopatologia, a breve o a lungo termine, ha stimolato gli autori a raccogliere ed esaminare un notevole numero di dati al fine di intrecciare i bisogni dei bambini piccoli con le difficoltà e i disagi che incontrano nell’ambiente e nella relazione con i genitori ed a verificare l’eventuale espressione di una sintomatologia psicologica.

Perfezionismo e genitorialità. Immagine: © sonya etchison - Fotolia.com -
Articolo consigliato: “Perfezionismo e Genitorialità, lo stress e l’ansia di essere un genitore perfetto”

Si analizzano nell’opera due fattori principali nella genesi e/o mantenimento di sindrormi psicologiche:

1. le difficoltà e le problematiche della genitorialità che possono gravare sul neonato e sul bambino. In particolare l’attenzione è sulla figura d’ attaccamento primaria, tipicamente la madre. Non è raro infatti che i bambini esprimano disagi e sofferenze del genitore. Si prendono qui in considerazione il punto di vista psicodinamico e della teoria dell’attaccamento.

2. l’“equipaggiamento di base” del neonato, ovvero a fattori genetici, neuro-anatomici ed soprattutto alle sue caratteristiche proprie di tipo relazionale (capacità di richiamare l’attenzione, di rispondere al caregiver , di calmarsi, di partecipare allo scambio emotivo).

Entrambi i fattori sono utilizzati dagli autori quale filo conduttore di tutta l’opera, dove approfondiscono le principali categorie psicopatologiche dell’infanzia esaminando i percorsi clinici possibili.

Gli autori spingono costantemente il lettore a riflettere sul seguente interrogativo:

“Fino a che punto i sintomi del bambino dipendono dal carico eccessivo di cui è gravato a causa dei conflitti della genitorialità?

Al tempo stesso, tuttavia, possiamo anche domandarci se simili conflitti della genitorialità si manifestino in risposta ai problemi interattivi innescati dalle particolari caratteristiche relazionali o evolutive di alcuni bambini, che suscitano perplessità e disagio nei genitori”.

I Comportamenti aggressivi dei bambini - Immagine: © Pixlmaker - Fotolia.com
Serie consigliata: “I comportamenti aggressivi dei bambini”

Una sfida quella che gli autori lanciano al lettore sia esso un ricercatore o un clinico: neurospsichiatra infantile, psicologo o psicoterapeuta. Si tratta di capire in che modo gli aspetti della genitorialità e le caratteristiche specifiche del neonato poi bambino, s’intersecano influenzandosi reciprocamente. Capire quali modelli esplicativi formulare per i quadri psicopatologici principali.

Nell’opera si prendono in esame i disturbi affettivi (le depressioni infantili in modo specifico); i disturbi multi-sistemici dello sviluppo (prodromi dei disturbi di personalità?); i disturbi dell’attenzione, con o senza iperattività; i disturbi del comportamento; e i disturbi d’ansia.

Ogni quadro clinico tiene conto della diagnosi nosografica del DSMIV e della classificazione 0-3

L’esemplificazione di un caso clinico, molto ben descritto, conclude la trattazione dei singoli disturbi trattati e permette al lettore di procedere nella riflessione circa l’interazione tra fattori riferibili a chi si prende cura del bambino, elementi del “conflitto della genitorialità” , e caratteristiche della psicopatologia individuale del bambino ed inoltre elementi dspecifici della relazione genitore e bambino. La riflessione circa questa dialettica è rilevante non solo ai fini esplicativi del quadro psicopatologico ma anche ai fini di una risposta terapeutica che i clinici debbono dare al bambino ed alla sua famiglia.

I numerosi studi longitudinali che gli autori hanno considerato nel loro lavoro hanno permesso confronti tra le diverse terapie possibili.

Nonostante l’approccio teorico prevalente al quale l’opera si riferisce sia psicodinamico, non si ignorano affatto i contributi della neurobiologia, della psicofarmacologia né della psicoterapia a matrice cognitivo-comportamentale e relazionale.

La tesi principale è che , in particolare “nella prima infanzia è l’insieme degli interventi psicoterapeutici genitori-bambino, a breve o a lungo termine, a porsi in primo piano sulla scena terapeutica, in funzione delle caratteristiche dei conflitti della genitorialità presenti”.

Nell’ambito della psicoterapia cognitivo comportamentale si considerano approcci individuali con il bambino e l’approccio di gruppo con più genitori.

L’approccio degli autori è indubbiamente arricchito di una ricca raccolta di dati epidemiologici e clinici che induce il lettore ad una scelta ragionata circa i percorsi terapeutici possibili ed utili per il singolo bambino nella sua specifica interazione con i genitori.

“In conclusione, nella prima infanzia la psicoterapia nelle sue diverse forme occupa una posizione del tutto centrale, a condizione, però, che il modo in cui viene intrapresa non sia dogmatico né settario, bensì parallelo ad altri approcci terapeutici e nello spirito di ricerca della forma di psicoterapia più indicata, in funzione delle caratteristiche dei conflitti della genitorialità che circondano il bambino, come pure della sua psicopatologia individuale”.

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BIBLIOGRAFIA:

L’autrice della recensione:

Il Tai Chi migliora le prestazioni cognitive negli anziani

– FLASH NEWS – 

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

Secondo un gruppo di scienziati della University of South Florida e della Fudan University di Shanghai, praticare il Tai Chi regolarmente avrebbe l’effetto, nelle persone anziane, di espandere il volume del loro cervello e migliorare le prestazioni cognitive di memoria e pensiero.

I risultati si sono basati su 8 mesi di studio randomizzato e controllato in cui il gruppo di anziani che ha praticato il Tai Chi tre volte alla settimana, è stato messo a confronto con un gruppo che non ha praticato nessun esercizio.  Nel corso di questo stesso studio gli scienziati hanno anche verificato un significativo aumento di volume cerebrale e progressi cognitivi in ​​un terzo gruppo, che ha partecipato a discussioni vivaci tre volte alla settimana nello stesso periodo di tempo. 

Demenza, Alzheimer & Stimolazione Cognitiva: Use it or Lose it! - Immagine: © Yuri Arcurs - Fotolia.com
Articolo consigliato: Demenza, Alzheimer & Stimolazione Cognitiva: Use it or Lose it!

Ricerche precedenti avevano già evidenziato l’aumento di volume cerebrale come effetto di esercizi fisici aerobici, e in uno di questi studi è anche stato osservato un effetto di miglioramento sulla memoria; tuttavia, questo è il primo studio a dimostrare che un esercizio fisico non aerobico, il Tai Chi, così come il partecipare a discussioni stimolanti, induce un aumento del volume cerebrale e migliori prestazioni cognitive.

Il gruppo di controllo, che non ha partecipato agli interventi, ha mostrato infatti un restringimento del cervello (Brain Shrinkage), coerentemente con quanto avviene normalmente in persone di 60 e 70 anni.

Numerosi studi hanno dimostrato che la demenza, e la sindrome di graduale deterioramento cognitivo che la precede, è associata con crescente restringimento del cervello e che le cellule nervose e le loro connessioni vengono progressivamente perse.

“La capacità di invertire questa tendenza con l’esercizio fisico e una maggiore attività mentale, implica la possibilità di ritardare l’insorgenza della demenza nelle persone anziane, attraverso interventi che hanno molti benefici per la salute fisica e mentale”, ha detto Dr. James Mortimer, professore di epidemiologia presso la University of South Florida College of Public Health.

La ricerca suggerisce che l’esercizio aerobico sia associato ad un aumento della produzione di fattori di crescita del cervello.

Resta da stabilire se le forme di esercizio come il Tai Chi, che includono un’ importante componente di esercizio mentale, possano portare a variazioni simili nella produzione di questi fattori.

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

Il Paese dei Misteri Buffi – Dario Fo & Giuseppina Manin – Recensione

 

Il paese dei misteri buffi è l’ultimo esilarante lavoro di Dario Fo, frutto della collaborazione con l’amica e giornalista Giuseppina Manin.

Il Paese dei Misteri Buffi – Dario Fo & Giuseppina Manin – Recensione. - Immagine: Book Cover, Proprietà di Guanda Editore
Il Paese dei Misteri Buffi. Di Dario Fo & Giuseppina Manin, Guanda Editore

Le loro conversazioni diedero vita qualche anno fa (2007), a “Il mondo secondo Fo”, in cui si racconta di quest’attore, drammaturgo, regista, scenografo, premio Nobel, pittore, artista e uomo impegnato nel politico e nel sociale, che è Dario Fo. Ma questa volta si tratta di tutt’altro. La Manin propone a Dario Fo di riprendere le fila del celeberrimo “Mistero Buffo”, (messo in scena per la prima volta nel 1969, che grazie alla potenza narrativa del suo grammelot gli valse il Premio Nobel per la letteratura nel 1997), per narrare di quell’insieme di misteri grotteschi che mortificano il nostro Paese da quasi mezzo secolo.

Il racconto inizia con un episodio “sconvolgente e tragico al tempo stesso. La scomparsa improvvisa e inspiegabile del Cavaliere Silvio Berlusconi”, Fo attraverso una carrellata di giullarate narra le vicende del Satrapo di Arcore, ripercorrendo scandali e stragi che ancora oggi lasciano numerosi interrogativi, attraverso un sottile filo conduttore.

All’avvento di Mario Monti al governo, segue la scomparsa di Silvio-Bingo (uno dei tanti appellativi utilizzati nel testo), generando scompiglio tra i suoi seguaci al punto da indire una squadra di ricerca presso il Mausoleo di Arcore, in cui, sulla scia dell’antico fatto di cronaca dello Smemorato di Collegno, saranno coinvolti tra gli altri, il fedele avvocato Ghedini, il fedele Fedele (ah no quello è un altro capitolo), il fedele Fede e con lui le “ragazze del Drago”, così definite da Fo quell’insieme di giovani miss e non, che risiedevano, o risiedono tutt’ora, nell’ormai celebre via dell’ospedale San Raffaele di Milano.

Berlusconi - Licenza d'uso: Creative COmmons - Proprietario: http://www.flickr.com/photos/spiritolibero85/
Articolo consigliato: Il pluralismo degli Stati Uniti, l’Italia e la fine di Berlusconi.

Ad avvenuto ritrovamento un’ immancabile speciale Porta a Porta e a questo punto, personalmente, mi chiedo se fosse presente o meno il plastico di Villa San Martino. Berlusconi è tornato, ma la lotteria indetta per il suo ritrovamento sta già fruttando un sacco di miliardi ai Monopoli di Stato, dunque l’unico e inimitabile viene rapito e portato davanti a una corte di giudici ai quali dovrà raccontare il perché della sua latitanza. Due creature demoniache lo hanno prelevato da casa per portarlo “in direttissima” negli Inferi, dove ad attenderlo c’era nientemeno che Minosse, il giudice infernale. I magistrati sbigottiti lo mandano in prigione. Da qui in avanti iniziano le innumerevoli storie cantate in prima persona, dal Silvio affabulatore ai suoi nuovi compagni detenuti. Dunque citando qua e là i suoi amici Dell’Utri, Previti, il “Divino Giulio”, Licio Gelli, Mangano e chi più ne ha più ne metta, scioglie all’urna un cantico che forse non morrà: Da Capaci ad Aldo Moro, dalla P2 al Banco Ambrosiano, da Piazza Fontana alla Fondazione Monte Tabor, dall’uno all’altro mar. Fu vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza.

Gli autori raccontano in modo allegorico e sarcastico uno squarcio di realtà, sottolineando che il vero mistero buffo dell’Italia sono gli italiani; gli stessi che dal novembre 2011, hanno dimostrato ancora una volta la propria imprevedibilità in seguito al mutamento politico-morale conseguenza del governo tecnico. D’altra parte, “tutti sanno che una cosa è impossibile da realizzare, finché arriva uno sprovveduto che non sapendolo la inventa” (A. Einstein).

 

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DARIO FO RACCONTA LA GENESI DEL LIBRO IL PAESE DEI MISTERI BUFFI,  SCRITTO INSIEME A GIUSEPPINA MANIN:

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

Sindrome da Affaticamento Cronico (CFS): una malattia

Sindrome da Affaticamento Cronico. - Immagine: © lassedesignen - Fotolia.comLa sindrome da affaticamento cronico (Cronic Fatigue Syndrome: CFS) è un disturbo complesso caratterizzato da estrema fatica, che non può essere spiegato da alcuna condizione medica. Implica una profonda disregolazione del sistema nervoso centrale (Tirelli et al., 1998) e del sistema immunitario (Broderick et al., 2010), una disfunzione del metabolismo (Myhill et al., 2009) e anomalie cardiovascolari (Hollingsworth et al., 2010).

Le cause delle Sindrome da affaticamento cronico non sono ancora del tutto chiare, si spazia da infezioni virali a stress psicologici. Per questo motivo, non esiste attualmente alcun test per verificare la presenta della sindrome. Piuttosto, vengono effettuati svariati esami per escludere altre possibili patologie con sintomi simili.. Generalmente, la sindrome da affaticamento cronico viene considerata dagli esperti nel settore come il risultato di diversi fattori – biologici, ambientali… – combinati.

Secondo i criteri sviluppati e rivisti dai ricercatori americani di Atlanta (Fukuda et al., 1994), per potere fare diagnosi di Sindrome da affaticamento cronico (CFS) sono necessari almeno due criteri maggiori e quattro minori:

 

Amarezza cronica post-traumatica. Immagine: © 2011-2012 Costanza Prinetti -
Articolo consigliato: Amarezza cronica post-traumatica: una diagnosi per i precari.

Criteri maggiori:

  1. Il primo specifica le caratteristiche della stanchezza che deve essere debilitante e persistere da almeno sei mesi, non deve risolversi con il riposo a letto e risultare così grave da ridurre di oltre il 50% l’abituale attività fisica del soggetto.
  2. Il secondo criterio maggiore impone al medico di escludere, mediante una valutazione molto accurata basata sulla scrupolosa raccolta anamnestica, sull’esame clinico e appropriati test di laboratorio, qualsiasi condizione morbosa nota che possa essere responsabile di una sintomatologia simile a quella della Sindrome da Affaticamento Cronico.

Criteri minori (sintomi e segni obiettivi):

  • Difficoltà di concentrazione e/o memoria, faringodinia, linfoadenopatia cervicale o ascellare, mialgie, dolori articolari, cefalea qualitativamente diversa da quella che il paziente può aver esperito prima della comparsa della stanchezza, sonno non ristoratore e malessere prolungato dopo esercizio fisico. Di questi sintomi devono esserne presenti perlomeno quattro contemporaneamente e persistere o ricorrere da almeno sei mesi.

Questi aspetti sono stati sottolineati anche da medici e partecipanti all’Associazione Italiana CFS nel tentativo, arduo sicuramente, di sensibilizzare la gente su questo problema tutt’altro che secondario, poichè prostra il paziente che finisce col dibattersi ogni giorno in uno stato di astenia cronica.

Le conseguenze? Oltre alla stanchezza fisica si accumula una stress e una fatica mentale che porta a un notevole calo delle funzioni cognitive e a una riduzione dei riflessi, fattori che incidono pesantemente sulla performance, sul comportamento, nonché nell’attività fisica e psichica.

L’insorgenza della Sindrome da Affaticamento Cronico è estesa a giovani e donne di età intorno ai 35/40 anni, mentre gli anziani oltre i 70 anni di età ne sono esclusi, nei bambini è poco manifesta.
Decisivo il ruolo delle Istituzioni, considerato il fatto che a nulla è servito l’allarme lanciato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che ha definito tale Sindrome una malattia grave, cronica e invalidante e, nonostante ciò, chi si ammala di questa patologia non ottiene alcun riconoscimento del suo stato di invalido civile.

Di conseguenza, chi si ammala di tale sindrome non avrà diritto alcuno a permessi lavorativi retribuiti e la stessa società civile crea un muro d’abbandono verso chi soffre di questo disturbo, proprio per l’etichetta che viene spesso loro attribuita, quella di persone lavative, fannullone, indolenti.

 

 

BIBLIOGRAFIA

Reading the Brain during Film Viewing

@stateofmindwj: 

State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche. Twitter: @stateofmindwj - State of Mind's Tweets Cover Image © 2011-2012 State of Mind. Riproduzione riservata

Reading the Brain during Film Viewing:

This clip depicts the amount of within-subject correlation in appropriately extracted components of neural activity (scalp topographies shown on the left) and its relation to the plot trajectory.

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 ARTICOLI DI NEUROSCIENZE – NEUROPSICOLOGIA 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

 

 

 

L’attività Neurale durante la visione di film

– FLASH NEWS – 

L’attività neurale al “cinema”: la fruizione di stimoli altamente emotivi è collegata a specifici modelli di attività cerebrale.

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

Secondo un gruppo di ricercatori del City College of New York e della Columbia University gli stimoli visivi e uditivi che provocano un forte coinvolgimento emotivo sarebbero collegati a specifici modelli di attività cerebrale.

I ricercatori hanno utilizzato l’EEG (Elettroencefalogramma), che misura l’attività elettrica attraverso il cuoio capelluto, per raccogliere dati sulle onde cerebrali di 20 soggetti, che hanno visto scene di tre diversi film: i primi due, “Bang! Tu sei morto” di Alfred Hitchcock e “Il Buono, il Brutto e il Cattivo” di Sergio Leone, contenevano scene molto drammatiche in grado di suscitare forti reazioni emotive; il terzo, un film amatoriale di persone che camminano in un campus universitario, è stato utilizzato come controllo.

Le misure dell’attività alfa mostrano il grado di attenzione in una persona: forti oscillazioni dell’attività alfa indicano che una persona è rilassata, cioè non è emotivamente coinvolta; quando la sua attenzione cresce invece l’attività alfa è bassa.

I picchi di correlazione nell’attività neurale durante la visione si sono verificati in corrispondenza dei momenti più coinvolgenti dei film; questo effetto si riduce notevolmente alla seconda visione del film o quando la narrazione si interrompe e le scene vengono presentate in modo disconnesso.

Dopo aver dimostrato le correlazioni tra stimoli intensi e prevedibilità delle onde cerebrali, il team di ricerca vuole ora individuare dove si verifica la risposta cerebrale; a questo scopo il professor Parra vuole utilizzare una combinazione di risonanza magnetica funzionale (fMRI) e di EEG. Questa scoperta potrebbe portare a un modo nuovo di costruire film, programmi televisivi e spot pubblicitari sulla base del tipo di risposta emotiva del pubblico a determinate scene.

 

 Reading the Brain during Film Viewing:

This clip depicts the amount of within-subject correlation in appropriately extracted components of neural activity (scalp topographies shown on the left) and its relation to the plot trajectory.

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

Asessualità: Scelta, Patologia o diverso Orientamento Sessuale?

 

ASESSUALITA’: UN FENOMENO RELATIVAMENTE NUOVO E ANCORA POCO STUDIATO.

Asessualità: Scelta, Patologia o diverso Orientamento Sessuale?. - Immagine: Screenshot illustrativo, a bassa risoluzione del TV Series "The Big Bang Theory" Proprietà di Warner Bros
Dr. Sheldon Cooper e Amy Farrah Fowler, dal telefilm “The Big Bang Theory”

Reduce dall’intensa, colorata ed emozionante esperienza del Bologna Pride (Vedi LGBT), in cui tutte le diversità – non solo sessuali – sono state celebrate e inorgoglite della loro legittima unicità, ..scopro per caso e con molto stupore dell’esistenza di una piccola comunità che si sarebbe sentita forse esclusa dal grido “fate l’amore con chi vi va e come vi va”: la comunità degli Asessuali (www.asexuality.org).

Presenti da molti anni come community, sono giunti per la prima volta quest’anno a manifestare il loro “pride” in occasione del Boston Pride. Una persona “asessuale” è una persona che non sente e non ha mai sentito nella vita nessun tipo di attrazione/desiderio sessuale. Diversamente dal celibato, di solito scelto volontariamente per qualsivoglia motivo, l’ asessualità secondo gli asessuali è parte della loro identità, un modo diverso di sentire e di stare nel mondo. Nessuna conseguenza negativa dunque nella vita relazionale ed emotiva, semplicemente si pongono scopi ed obiettivi che non includono il sesso. Definiscono le loro relazioni normali e caratterizzate da elementi comuni a tutti gli orientamenti sessuali, vicinanza intimità divertimento ironia fiducia condivisione, tranne che, appunto, il sesso.

Asessualità: Scelta, Patologia o diverso Orientamento Sessuale?. - Asexual Hand
“Asexual Hand”, i colori della bandiera del movimento.

Insomma il loro “pride” non sembra guidato da divieti morali o religiosi, o da tentativi di purificazione e ascesi spirituale, né da una stravagante moda del momento, quello che li distingue dagli individui sessuali è “solo” l’assenza di desiderio sessuale e di arousal fisiologico di fronte a stimoli erotici, entrambi sperimentati (o meglio non sperimentati!) da sempre nella vita.

Le ricerche sull’argomento sono poche e tutte da approfondire; un’importante ricerca epidemiologica (Bogaert, 2004) condotta su un campione di 18.000 cittadini inglesi, ha evidenziato come solo l’1% della popolazione potesse essere definita effettivamente “asessuale”, sulla base del solo criterio di assenza di attrazione sessuale verso un partner di qualunque orientamento; inoltre l’asessualità sembra correlare con molti altri fattori tra cui genere (più donne che uomini), bassa statura, problemi di salute, bassa istruzione e basso livello socio-economico, facendo ipotizzare la possibilità di un enorme ventaglio di fattori che possano concorrere nel determinarla.

Alcuni ricercatori (Brotto et al, 2010) hanno quindi provato a differenziare i criteri per definire meglio l’asessualità: le differenze significative emerse nei due gruppi sperimentali – sessuali e asessuali – sono state relative a risposte sessuali, isolamento sociale e alessitimia, mostrando caratteristiche riconducibili ad un Disturbo Schizoide di Personalità, anche se nella ricerca la tendenza ad avere questi tratti non è risultata in alcun modo patologica.

Altri studi (Brotto e Yule, 2011) si sono invece concentrati sugli aspetti fisiologici dell’assenza di desiderio sessuale, come possibile marker somatico dell’ asessualità, ma i risultati non hanno evidenziato differenze significative tra i due gruppi rispetto agli indici di attivazione fisiologica e le misure self report di arousal di fronte a stimoli erotici; nel solo gruppo degli asessuali è emersa una minore affettività positiva legata al desiderio sessuale, senza tuttavia sintomi di ansia e/o depressione. Nessuna prova dunque che si tratti di una disfunzione sessuale!

 

Le domande suscitate da questa curiosa community possono essere tante e del tutto simili a quelle che ci poniamo rispetto a tutti gli altri orientamenti sessuali: una volta escluse cause organiche e/ genetiche (es: Sindrome di Turner), la presenza di abusi sessuali che possano aver alimentato una cronica incapacità nel sentire l’eccitamento sessuale, sintomi depressivi o tratti patologici di personalità, potremmo allora davvero trovarci di fronte ad una nuova e diversa identità sessuale…. in cui indubbiamente uno dei principali sistemi motivazionali primari che siamo abituati a considerare, viene incredibilmente meno.

Ben venga in ogni caso il Boston Pride e la bandiera simbolo degli asessuali, se servirà ad informare e a dare più colori e sfumature ad un ambito, quello della sessualità, che nonostante l’evoluzione culturale incontra pre-giudizi e mal-informazione, queste si davvero poco evolute!

 

 

BIBLIOGRAFIA:

Il Disagio Psicologico? Punti di vista! il Self Discrepancy Monitoring

 

DISAGIO PSICOLOGICO: QUANTO CONTANO I PUNTI DI VISTA? NUOVA RICERCA SULLA SELF-DISCREPANCY  

Il Disagio Psicologico? Punti di vista! il Self Discrepancy Monitoring. - Immagine: © archinte - Fotolia.comLa prospettiva da cui si guarda il mondo non è rappresentativa del mondo stesso, ma di certo è predittiva degli stati d’animo e delle valutazioni su di sé e sul mondo che ne conseguono. Ogni situazione può essere osservata attraverso lenti diverse, che ci restituiscono diverse percezioni. Questo ce lo insegnano le immagini ambigue, i due profili bianchi che racchiudono una coppa nera, la giovane donna voltata che subito dopo diventa una anziana signora di profilo. E se questo è un effetto della diversità che caratterizza tutti noi, diventa problematico nel momento in cui facilita l’assunzione di un particolare punto di vista, che tende a riproporsi nelle diverse situazioni. Se è vero che i sistemi che funzionano sono i sistemi flessibili, quando un sistema è rigido, e in più anche settato su aspetti negativi e mancanti, questo può essere un problema che favorisce il mantenimento di emozioni sgradevoli.

Sembrerebbe la famosa storiella del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto: l’acqua è un dato oggettivo, ma io cosa decido di guardare? Si è dimostrato, per esempio, che focalizzarsi in modo ripetitivo e inconcludente sulle cause del proprio umore depresso e sulle sue conseguenze faciliti le ricadute depressive (Nolen-Hoeksema, 2000), e per questo la “ruminazione” diventa un importante focus terapeutico per la prevenzione delle ricadute, una sorta di “boostering phase” della terapia, che rafforza appunto i risultati raggiunti.

Come o Perché? E le conseguenze per il pensiero.
Articolo consigliato: "Come o Perché? E le conseguenze per il pensiero"

Se non ci interessa più di tanto capire cosa spinge una persona a percepire la figura di giovane donna voltata o quella di anziana signora di profilo, per le scarse ricadute applicative, è interessante invece capire cosa spinga le persone a focalizzarsi più sull’acqua mancante o su quella presente, più sul tragitto percorso o su quello che si ha ancora davanti.

Perché decidiamo di utilizzare la lente del “cosa manca” piuttosto di quella della “cosa ho raggiunto”?

Wells negli ultimi 10 anni ha messo un importante focus sulle credenze metacognitive, intese come convinzioni che ognuno di noi possiede circa l’utilità o il danno di determinati stili di pensiero (Wells, 2000). Come dire, se pensi in questo modo sarà perché ne percepisci un’utilità.

Alla luce dell’importanza della prospettiva che si adotta nel valutare e interpretare un evento o una serie di situazioni, il Gruppo Ricerca della Scuola di Specializzazione Studi Cognitivi sta implementando uno studio che mira a:

  1. Raccogliere dati circa la frequenza con cui le persone appartenenti alla popolazione generale tendono a utilizzare uno stile di pensiero focalizzato su ciò che c’è o ciò che manca;
  2. Valutare se e in che misura questo stile di pensiero si correla con i livelli di sintomi ansiosi e depressivi;
  3. Esplorare le credenze che le persone hanno circa l’utilità o il danno di uno stile di pensiero focalizzato su ciò che manca, sul bicchiere mezzo vuoto.

 

A questo scopo, chiediamo il vostro aiuto nella compilazione di 4 questionari che potrete visionare e riempire tramite internet in circa 10 minuti.

 

Questo è l’indirizzo: https://www.surveymonkey.com/s/discrepancymonitoring

Ovviamente tutti i dati verranno raccolti in forma anonima.

I risultati saranno pubblicati presto su State of Mind!

 

 

LEGGI ANCHE: La Solitudine: il modello della Discrepanza Cognitiva in Psicologia

 

 

BIBLIOGRAFIA:

Impulsività e Gioco d’azzardo: Stimoli comportamentali per inibirli.

– FLASH NEWS – 

Impulsività: Un nuovo studio può avere importanti implicazioni pratiche per il trattamento delle dipendenze comportamentali.

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

Una nuova ricerca condotta da psicologi delle Università di Exeter e di Cardiff dimostra che le persone possono addestrare se stesse a diventare meno impulsive, con conseguente minore assunzione di rischi durante il gioco d’azzardo. La ricerca potrebbe aprire la strada a nuovi trattamenti per la dipendenza da gioco d’azzardo, droghe o alcool, nonché problemi di controllo degli impulsi e disturbi come l‘ADHD.

Lo studio, pubblicato su Psychological Science, ha evidenziato che se si chiede a una persona di smettere di fare semplici movimenti nel corso di una simulazione di gioco d’azzardo questo influenzerà il suo modo di scommettere, cioè se correrà più rischi o se sarà più cauto.

Durante gli esperimenti i partecipanti, impegnati a scegliere tra opzioni rischiose (alto guadagno e bassa probabilità di vincita) e sicure (basso guadagno e alta probabilità di vincita) venivano costretti a sospendere la scelta dall’introduzione di un segnale di stop; questo ha avuto l’effetto di rallentare il processo di gioco e sopratutto di rendere i giocatori più cauti nello scegliere opzioni rischiose.

Negli esperimenti successivi i ricercatori hanno testato la possibilità che il fenomeno osservato persistesse nel tempo, mantenendo i suoi effetti anche a lungo termine; i risultati indicano che un breve periodo di allenamento all’inibizione ha avuto l’effetto di ridurre il gioco d’azzardo del 10-15%, una piccola riduzione ma statisticamente significativa, e persistente nell’arco di almeno due ore.

Frederick Verbruggen dell’Università di Exeter, dichiara: “La nostra ricerca dimostra che con l’allenamento a bloccare i movimenti semplici della mano, le persone possono imparare a controllare i propri processi decisionali per evitare scommesse rischiose. Questo lavoro potrebbe avere importanti implicazioni pratiche per il trattamento delle dipendenze comportamentali, come ad esempio il gioco d’azzardo patologico, che sono state associate a un deficit di controllo degli impulsi e, più specificamente, a deficit nelle azioni di arresto. Stiamo anche esplorando la pertinenza dei nostri risultati ad altre dipendenze, come il fumo o l’eccesso di cibo“.

Nonostante i risultati incoraggianti, questo studio presenta diversi limiti:

  • Non dimostra che l’inibizione della risposta comportamentale riduce la dipendenza dal gioco. I partecipanti erano tutti adulti sani, non affetti da alcuna malattia psichiatrica.
  • Non dimostra che l’inibizione della risposta comportamentale elimina l’assunzione di rischi. L’effetto del training è risultato statisticamente significativa, ma portato solo a una riduzione del 10-15% del gioco d’azzardo.
  • Questo studio si è concentrato solo sul gioco d’azzardo e non ha osservato altri comportamenti impulsivi, come l’eccesso di cibo o il fumo.
  • Per motivi etici, gli esperimenti di gioco simulavano solo alcuni aspetti della vita reale del gioco d’azzardo. Anche se i partecipanti hanno giocato con soldi veri, gli importi erano piccoli (la vincita massima era di £ 4.20) e non potevano indebitarsi.

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

Il Cambiamento in Psicoterapia – BOOKTRAILER –

IL CAMBIAMENTO IN PSICOTERAPIA – Boston Change Process Study Group –

BOOKTRAILER

 

In Anteprima per i nostri lettori: Raffaello Cortina Editore e State of Mind presentano: 

The Boston Change Process Study Group (2012). 

Il cambiamento in psicoterapia.

 

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LEGGI LA RECENSIONE

Il Boston Change Process Study Group rappresenta l’avanguardia nella ridefinizione del funzionamento del processo terapeutico. Con Il cambiamento in psicoterapia, l’intera evoluzione del pensiero e dell’opera del gruppo è stata delineata in modo chiaro ed efficace. Gli autori asseriscono che la relazione terapeutica stessa è condizione sufficiente per il cambiamento terapeutico e prendono in esame importanti argomenti psicoanalitici che comprendono: la collocazione dell’implicito, la creazione di significato, il processo clinico momento-per-momento e l’esperienza soggettiva del terapeuta.

IL BOSTON CHANGE PROCESS STUDY GROUP comprende gli analisti Alexander Morgan, Jeremy Nahum, Louis Sander, Daniel Stern, e Alexandra Harrison, i ricercatori dell’età evolutiva Karlen Lyons-Ruth e Edward Tronick, e la psichiatra infantile Nadia Bruschweiler-Stern.

 

LEGGI LA RECENSIONE

Il Cambiamento in Psicoterapia – Recensione

 

IL CAMBIAMENTO IN PSICOTERAPIA – Boston Change Process Study Group – RECENSIONE 

Boston Process Change Study Group. Il cambiamento in psicoterapia. - Copertina: proprietà di Raffaello Cortina Editore.
IL CAMBIAMENTO IN PSICOTERAPIA – Boston Change Process Study Group – Raffaello Cortina Editore

Oggi vi presentiamo in anteprima Il libro Il cambiamento in psicoterapia, edito da Raffaello Cortina.  Come si evince dal titolo stesso il tema fondante di questo libro è costituito dai processi di cambiamento che riguardano il contesto terapeutico e non solo.

Si fa riferimento soprattutto ad un insieme di idee e metodi innovativi elaborati  dal “The Boston Change Process Study Group” (composto da eminenti clinici e ricercatori, tra cui Louis Sander, Daniel Stern e Karlen Lyons-Ruth).

Questo lavoro è stato svolto all’interno di ambienti psicoanalitici, in cui  l’interpretazione è vista tradizionalmente come l’evento nodale che agisce all’interno della relazione transferale, ed è in grado di cambiarla, modificando l’ambiente intrapsichico.

In questo modello, invece, ci si focalizza su un processo reciproco nel quale, nella relazione implicita, il cambiamento avviene nei “momenti di incontro” attraverso modificazioni dei “modi di stare con”, ovvero il cambiamento è dato dalla relazione terapeutica stessa. Nella relazione si crea qualche cosa di nuovo che modifica l’ambiente intersoggettivo. L’esperienza passata viene ricontestualizzata nel presente, cosicché il soggetto arriva a operare con uno scenario mentale diverso, che produce nuovi comportamenti e nuove esperienze nel presente e nel futuro.

Secondo tale approccio l’incontro tra terapeuta e paziente è preceduto da un insieme di “momenti presenti” nei quali ci si muove soggettivamente l’uno verso l’altro. Quando un momento presente assume una forte valenza affettiva diviene rilevante nel processo terapeutico, ed è definito “momento ora”. Nel caso in cui venisse riconosciuto e accolto da entrambi i partner, durante la relazione terapeutica, porterebbe ad una reciproca sintonia, un vero momento di incontro e di intesa emotiva.

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Recensione di “La Svolta Relazionale” di Lingiardi, Amadei, Caviglia e De Bei. - Immagine: Raffaello Cortina Editore
Articolo consigliato: Recensione di “La Svolta Relazionale” di Lingiardi, Amadei, Caviglia e De Bei.

I “momenti di incontro” costituiscono l’evento focale che agisce all’interno della “relazione implicita condivisa” e sono in grado di cambiarla, modificando la conoscenza implicita, sia intrapsichica sia interpersonale.

Il cambiamento di uno stato diadico è ricollegabile all’emergere dei “momento di incontro” tra i due soggetti in interazione. Gran parte dell’ambiente intersoggettivo deriva dalla conoscenza relazionale implicita, che si ricostruisce nel corso della terapia. Il processo di cambiamento avviene durante la riattualizzazione della relazione implicita condivisa durante i “momenti di incontro”, aprendo in questo modo nuove e feconde prospettive al cambiamento terapeutico.

Quindi, il cambiamento terapeutico avviene:

1) in piccoli momenti meno carichi emotivamente o molto pregnanti come i “momenti ora” e “momenti di incontro”;

2) si verifica nel flusso attuale delle mosse relazionali di ciascun partner a livello locale;

3) nella conoscenza relazionale implicita riproponendo modi più coerenti di stare insieme;

4) attraverso un processo di riconoscimento della specificità dell’adattamento delle iniziative dei due partner.

 

Sviluppi Traumatici, Eziopatogenesi, clinica e terapia della dimensione dissociativa. Liotti G. Farina B. (2011). Cortina Editore. - Immagine: Copertina, Raffaello Cortina Editore
Articolo consigliato: Sviluppi Traumatici, Eziopatogenesi, clinica e terapia della dimensione dissociativa di Liotti G. Farina B. (2011).

In sintesi, quello che il Boston Change Process Study Group propone è di cambiare la cornice concettuale secondo cui il cambiamento terapeutico dipende dalla qualità degli interventi dell’analista. Lavorando da una prospettiva diadica, si rende nota la concezione della qualità all’interno di un modello relazionale che enfatizza le caratteristiche del processo tra due persone. Da questo punto di vista, la qualità della relazione è data dalla ricerca di direzionalità e adattamento, e dai tentativi di ampliare la gamma di esperienze emotivamente cariche che possono essere portate nella relazione terapeutica.

Nella misura in cui questi processi diadici vengono compresi, dovrebbe emergere nella relazione terapeutica un sentimento di fiducia e mutua vitalizzazione. Questi processi dinamici una volta attivati si muovono in direzione di una crescente integrazione, coerenza e scioltezza nella capacità del paziente di rendere il suo equilibrio all’interno di scambi significativi con gli altri.

Concludendo la presentazione de Il Cambiamento in Psicoterapia, il paradigma di cambiamento del Boston Change Process Study Group valorizza le singole sequenze del processo terapeutico come un percorso su cui si inscrivono momenti relazionali rilevanti che ne modificano il contesto intersoggettivo anche sul piano implicito.

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BIBLIOGRAFIA

Comportamenti Ecologici: Impatto e intenzioni a confronto

 

Comportamenti ecologici: è importante capire la differenza tra Impatto ecologico ed Intento ecologico, spesso confusa dalle nostre credenze psicologiche (BIAS).

I comportamenti ecologici:impatto e intenzione a confronto© Sergej Khackimullin - Fotolia.comIl termine “comportamento ecologico” è un’etichetta generica che rimanda a tutte quelle condotte che sono rilevanti per l’ambiente e/o significative in senso ambientale. Tuttavia, per la green psychology, significatività e rilevanza non sono sinonimi ma concetti distinti, anche se legati da una relazione reciproca, paragonabili alle facce della stessa medaglia.

Un comportamento, infatti, può essere “ambientalmente significativo”, per coloro che lo mettono in atto, senza essere rilevante nei suoi effetti (o esserlo in modo negativo). Viceversa, un comportamento può non essere “ambientalmente significativo”, per una persona, pur avendo rilevanza da un punto di vista ambientale. 

Per esempio, negli Stati Uniti ed in Europa, molte persone preferiscono non acquistare bombolette spray per non danneggiare ulteriormente la barriera dell’ozono, anche se i gas nocivi, un tempo utilizzati nella loro produzione, sono stati ormai banditi dalla legge da anni e non sono più presenti nelle confezioni. E’ quindi evidente che l’intenzione è significativa per l’individuo ma il suo comportamento non ha un reale  impatto ecologico. 

Riciclo e Raccolta Differenziata: Psicologia di un cambiamento. Immagine: © ana_klea - Fotolia.com
Articolo consigliato: Riciclo e Raccolta Differenziata: Psicologia di un cambiamento.

Inoltre, esistono situazioni in cui un comportamento, messo in atto per ragioni non strettamente “green”, finisce per essere particolarmente utile al benessere dell’ambiente. Per esempio, si pensi al caso di una persona che, al solo scopo di risparmiare, decida di utilizzare il mezzo pubblico anziché la propria automobile per recarsi al lavoro. Infine, occorre anche ricordare quelle situazioni in cui una persona agisce in maniera anti-ecologica senza esserne consapevole. Uno di questi comportamenti può essere mangiare molta carne senza conoscere gli effetti nefasti che l’allevamento intensivo produce sull’ambiente.

Comprendere la differenza tra impatto ed intento può sembrare banale ma gli esempi sopracitati dimostrano l’importanza e la forza delle idee e delle credenze psicologiche degli individui. Sebbene l’umanità abbia modificato profondamente l’ambiente con le proprie azioni, raramente lo scopo principale era distruggere l’ecosistema: le persone piuttosto agiscono nella ricerca di comfort, sicurezza, divertimento o status.

Per questo motivo, per evitare fallimenti e/o sprechi di risorse, prima di dare avvio a campagne per la salvaguardia dell’ambiente sarebbe utile indagare il grado di consapevolezza che gli individui possiedono riguardo alle loro azioni, nonché gli atteggiamenti e i valori che sono alla base.

 

 

BIBLIOGRAFIA:

Neuroscienze & Psicoanalisi: le basi Neurofisiologiche della Rimozione e dell’Inconscio

– FLASH NEWS –   Alla ricerca delle basi neurofisiologiche dei concetti freudiani di rimozione e conflitto inconscio

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

Un esperimento che riguarda la psicoanalisi freudiana, i conflitti inconsci e il loro legame con i sintomi ansiosi verrà presentato in questi giorni presso il 101st Annual Meeting of the American Psychoanalytic Association. (Link all’evento)

Il protagonista è Howard Shevrin, professore emerito di psicologia presso la University of Michigan Medical School’s Department of Psychiatry, che promette di fornire dati a supporto del legame tra il concetto psicoanalitico di conflitto inconscio e i sintomi esperiti consapevolmente dai pazienti ansiosi.

 I dati dimostrerebbero che l’esposizione subliminale alle parole riguardanti i conflitti inconsci seguita da una esposizione sovraliminare a parole riguardanti i sintomi ansiosi porterebbe a specifici patterns di onde cerebrali alfa rispetto ad altre combinazioni di esposizioni sub e sovraliminari.

 

Neuroscienze & Psicoanalisi: le basi Neurofisiologiche della Rimozione e dell’Inconscio. - Immagine: Property of University of Michigan, under Creative Commons License 3.0
Data from the experiment showing that subliminal exposure to words related to a person's unconscious conflict, followed by supraliminal exposure to words related to their anxiety symptoms, led to different alpha wave patterns compared with other scenarios. Fonte: University of Michigan, Department of Psychology

Il campione della ricerca è esiguo: 11 individui con diagnosi di disturbo d’ansia che sono stati sottoposti a una serie di sedute diagnostiche ad orientamento psicoanalitico. Da queste sedute diagnostiche lo psicoanalista ha inferito quale conflitto inconscio avrebbe potuto causare il disturbo d’ansia del paziente.

Le parole della seduta legate alla natura di tale conflitto inconscio ipotizzato dall’analista sono state estratte dalla conversazione e utilizzate come stimoli di laboratorio. Similmente, sono state selezionate dai trascritti anche parole riguardanti l’esperienza di ciascun paziente dei propri sintomi ansiosi.

Questi stimoli verbali sono poi stati presentati ai pazienti: per prima cosa venivano mostrate loro in modo subliminale le parole riguardanti il conflitto inconscio; subito dopo venivano presentate a livello sovraliminare le parole descrittive i sintomi ansiosi.

Durante tali esposizioni è stata rilevata la risposta cerebrale elettrica a tali stimoli misurando la frequenza delle onde alfache entro specifici range di frequenza avrebbero una funzione inibitoria di diverse funzioni cognitive e considerate quindi dagli autori come indicatori del processo di rimozione. Inoltre i pazienti sono stati esposti sia a livello sovrliminare che subliminare a una serie di parole di controllo che non avevano alcuna relazione con il conflitto inconscio ipotizzato o con i sintomi ansiosi.

La press release della University of Michigan Health System riporta la presenza di specifiche combinazioni di frequenze di onde alpha- che per l’appunto sarebbero indicative del processo di rimozione per dirla in termini di difese psicoanalitiche- in relazione alla seguente presentazione combinata: a livello subliminare le parole riguardanti il conflitto inconscio e a livello sovraliminare gli stimoli riguardanti i sintomi ansiosi.

Solo in questa combinazione di stimoli si manifesterebbe secondo l’autore il processo di rimozione, non nel caso in cui le parole del conflitto inconscio sarebbero presentate a livello sovraliminare, né quando a seguito della presentazione subliminare delle parole del conflitto inconscio seguirebbero parole di controllo non riguardanti i sintomi ansiosi.

 

Neuroscienze e Psicoanalisi. Il contributo di Mauro Mancia. - Immagine: © robodread - Fotolia.com
Articolo consigliato: Neuroscienze e Psicoanalisi. Il contributo di Mauro Mancia.

Indubbiamente la presentazione dell’esperimento è intrigante, contorta ed elaborata, anche e soprattutto perché ad oggi non abbiamo disponibile ancora un articolo completo pubblicato su una rivista scientifica. A fronte degli sforzi di Shevrin di documentare a livello empirico le basi neurofisiologiche del concetto freudiano di conflitto inconscio e di rimozione assumendo un’ottica interdisciplinare, in attesa di una vera e propria pubblicazione i punti da chiarire rimangono molti tra cui la modalità di identificare il potenziale conflitto inconscio durante le sedute, la modalità di selezione dei trigger lessicali legati a conflitti inconsci e sintomi ansiosi, la specificità del tipo di indicatore neurofisiologico e l’assunzione di tale misura come indice di processo mentale di rimozione.

 

 

BIBLIOGRAFIA:  

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