Andrea Bassanini, Naomi Aceto, Milko Prati.
Dopo l’interessantissima Lectio Magistralis, il cui reportage è pubblicato su State of Mind, Frank Yeomans torna all’Università di Milano-Bicocca per una brevissima ma molto intensa lezione sulla Transference-Focused Psychotherapy per i pazienti con Disturbo Borderline di Personalità.
Nonostante per la lezione di Yeomans siano previste un paio di ore scarse (ahimè), l’atmosfera sembra quella dei grandi eventi, tutti in attesa di ascoltare una grande lezione da parte di un grande clinico. E così è stato. La chiarezza espositiva di Yeomans è davvero notevole, e nonostante alcuni sguardi un po’ disorientati a causa della mancanza di un traduttore, la lezione viene seguita dalla maggior parte del pubblico con silenzio quasi reverenziale.
La Lectio inizia con una chiara introduzione del modello TFP (Transference-Focused Psychotherapy). In breve, proviamo a sintetizzare la lezione di Yeomans.
Uno dei primi aspetti che Yeomans intende sottolineare è la consapevolezza che il sistema psichiatrico statunitense è condito da una schiera di clinici che sostengono il modello “all-biological”, cioè che i disturbi psicopatologici siano prettamente derivanti da problematiche di tipo biologico, e che questa grave credenza è non solo molto rischiosa ma sta cominciando a far sentire i propri limiti (e i propri danni…).
Entrando, invece, nel merito del modello, viene spesso evidenziato quanto il focus del modello TFP, di derivazione psicoanalitica, ancor meglio kleiniana-bioniana, manualizzato e sottoposto a Randomized Clinical Trial, è sull’analisi del transfert, inteso come dinamica interpersonale che sia attualizza tra il paziente e il terapeuta nel qui e nell’ora della seduta.
In altri termini è un intervento centrato sugli aspetti del Sé e degli altri significativi, che il soggetto ha interiorizzato e sui quali investe emotivamente. Questo, rispetto agli approcci psicoanalitici più “classici” rappresenta un cambio di paradigma molto interessante. Si parte da ciò che succede nella vita attuale del paziente e poi si ricostruiscono le spiegazioni “evolutive”(termine nostro, NdA) di tali modalità. La teoria delle Relazioni Oggettuali si ritrova in molti passaggi del modello di Kernberg e colleghi, tanto che uno degli “slogan” usati da Yeomans è “you don’t just love/hate/care for, you love/hate/care for someone”.
Rispetto ad altri modelli clinici molto diffusi per il trattamento dei disturbi di personalità borderline (DBT di Marsha Linehan su tutti) l’enfasi della TFP è sul produrre un cambiamento strutturale dell’organizzazione di personalità del paziente, in termini di difese utilizzate ed esame di realtà. Al fine di realizzare questo cambiamento, ovvero di ottenere l’integrazione delle parti scisse del soggetto, il modello osserva determinate variabili:
- Identity (senso di Sé e senso dell’altro),
- Defense Operations (strategie di coping e conflitti interni),
- Reality Testing (esame di realtà),
- Object relations (natura delle relazioni interpersonali),
- Moral Functioning (comportamenti e valori etici).
Yeomans osserva che ciò che risponde a questi requisiti è la misurazione della dimensione empirica della funzione riflessiva; infatti la TFP, in quanto psicoterapia evidence-based, si dimostra secondo Yeomans l’unica in grado di promuovere efficacemente un aumento della funzione riflessiva, contrariamente ad altre metodologie di intervento terapeutico quali la DBT e la terapia supportiva.
A questo punto, Yeomans sostiene che uno degli aspetti importanti della TFP è quello di permettere al paziente di trovare un miglior funzionamento che gli permetta di perseguire i propri obiettivi e scopi personali. La mente di un cognitivista salta subito ai “valori” dell’ACT (Hayes, 2003; Harris, 2011). Quindi la sempre scarsamente presente attenzione psicoanalitica ai sintomi è confermata nella TFP, sebbene con una precisa e esplicita attenzione al momento presente e a ciò che accade, in termini transferali e controtrasferali, tra paziente e terapeuta.
Nel modello TFP, quindi, le emozioni non hanno solo una spiegazione/funzione di tipo evolutiva, ma svolgono anche un altro ruolo, riattualizzato nella diade terapeuta/paziente: sono manifestazioni volte a sottolineare una relazione di tipo oggettuale. Le variabili primarie di cui tiene conto il modello, in fase di assessment sono il rischio suicidale, l’impulsività e l’aggressività del soggetto. In parole povere, io manifesto alcune emozioni prevalenti nella relazione con il terapeuta (ad es. la rabbia) e queste emozioni sottendono un significato strutturale del mio modo di relazionarmi con gli altri, modo che ho imparato nelle prime relazioni, con i genitori/caregiver.
Da questa base, le strategie base proposte da Yeomans sono le seguenti:
- “tease out these internal relationships” (ovvero, “esplicitare queste modalità relazionali interiorizzate”);
- “gain and tolerate the awareness of these internal relationships” (ovvero “diventare consapevoli di tali modalità e tollerarle”);
- “integrate them into a coherent whole” (ovvero “integrarle nel proprio funzionamento generale”).
La Lectio, sebbene davvero troppo breve e densa di argomenti, ha lasciato al pubblico moltissimi spunti clinici e di ricerca su cui riflettere… e tantissime domande aperte.
L’impressione è che il modello della Transference-Focused Psychotherapy sia vicino per molti versi a ciò che sta succedendo nel mondo cognitivista da una quindicina di anni ormai, pur mantenendo una chiara epistemologia e una precisa concettualizzazione di tipo psicoanalitico. Fortunatamente, i modelli di varie tradizioni cliniche si stanno avvicinando sempre più e questo non può che far bene alla psicoterapia in generale e soprattutto ai nostri pazienti.
BIBLIOGRAFIA:
- Harris, R. (2011). Fare ACT. Milano: Franco Angeli.
- Hayes, S.C.; Strosahl,K.D.&Wilson, K.G. (2003). Acceptance and Commitment Therapy: An Experiential Approach to Behavior Change. New York: Guilford Press.