Albert Ellis Institute: REBT Advanced Training – Parte 4
CRONACHE DA NEW YORK: Parte 1, Parte 2, Parte 3
Il corso Advanced nella Rational Emotive and Behavior Therapy (REBT) non offre troppe novità teoriche rispetto al Primary. Ci sono alcune lezioni frontali abbastanza interessanti sulla relazione terapeutica e sul concetto di accettazione, ma non è questo il punto forte della REBT.
La parte migliore sono le intense esercitazioni sul modello ABC. Il corso Advanced è un’occasione per iniziare a padroneggiare e automatizzare quanto appreso nel Primary. In gruppi di otto ci si sottopone a rotazione all’accertamento degli ABC. Due aspiranti supervisori (che a loro volta stanno affrontando il corso per diventare supervisori) ci sorvegliano e ci correggono, mentre un supervisore esperto controlla il tutto. È l’occasione giusta soprattutto per esercitarsi sul disputing delle credenze irrazionali, mentre nel Primary ci si era dedicati di più a imparare ad accertare gli “A” e i “C”, le situazioni problematiche e le emozioni.
L’esercitazione ci chiarisce qualche altra idea sulla tecnica REBT. Anche questa volta sono cose non così chiare dai libri. Da segnalare almeno due accorgimenti tecnici. Il primo è che, dopo il C e prima del B vanno accertati i cosiddetti “F”, ovvero gli obiettivi terapeutici. Occorre incoraggiare il paziente a individuare obiettivi di tipo emotivo e quindi adatti al lavoro terapeutico. E si tratta, ancora una volta, di porsi come obiettivi arrivare a provare emozioni negative ma funzionali e tollerabili.
Questa aggiunta degli obiettivi da accertare dopo le emozioni e prima delle credenze disfunzionali mi ricorda un po’ il contratto terapeutico alla Otto Kernberg.
È il segnale che le terapie non possono più proporsi un modello astratto di benessere, ma che occorre concordare e negoziare con il paziente cosa si intende fare. L’individuazione degli obiettivi non è solo un fatto pratico. Essa concorre a definire in che senso e in che grado il paziente è disfunzionale e disturbato.
Un paziente che richiede di provare meno ansia di fronte a situazioni problematiche è un paziente già in grado di effettuare un atto terapeutico, di rendersi conto che il suo problema è psicologico.
Un paziente che, invece, sostiene che il suo problema dipende da sua moglie o dai suoi colleghi è qualcosa di diverso. È vero, potrebbe aver almeno parzialmente ragione. Rimane il fatto che, avendo scelto di rivolgersi a un terapeuta e non a un avvocato, il paziente comunque in qualche modo ha ritenuto che il suo problema fosse anche psicologico e quindi suo. E tuttavia, iniziata la terapia, tende a mettere da parte tutto questo e a prendersela, magari anche correttamente, con gli altri. Potrebbe essere giusto, ma allora perché andare dal terapeuta?
Gli obiettivi ideali, per Albert Ellis, sono sempre totalmente psicologici ed emotivi, ovvero “eleganti” e non pratici, ovvero “non eleganti”.
Obiettivi “eleganti” sono obiettivi in cui il paziente si propone di provare emozioni più funzionali e tollerabili di quel che prova, senza modificare la situazione esterna.
Obiettivi “non eleganti” sono invece obiettivi che modificano la situazione esterna, come ad esempio imparare a gestire la relazione con gli altri o diventare più assertivi, sono per Ellis obiettivi spuri, non del tutto terapeutici, ma più adatti a un lavoro di counseling o di life-coaching.
Questo concentrazione sugli obiettivi puramente interiori ed “eleganti” si collega a un secondo aspetto che diventa più chiaro durante l’Advanced. Questo aspetto è l’accertamento delle credenze irrazionali e la conduzione del disputing, ovvero della messa in discussione di queste credenze.
Nella tecnica REBT si privilegia, come ho già scritto negli articoli precedenti, l’esplorazione dello scenario peggiore. Questa tecnica fa si che si vada dritto a scavare nelle peggiori paure soggettive del paziente, senza alcuna rassicurazione preventiva. Questo aspetto spiega come la REBT sia più compatibile della CBT alla Aaron Beck con una formazione costruttivista. Inoltre questo aspetto fornisce alla REBT un sapore emozionale e introspettivo inatteso per una terapia che si presenta come pragmatica e razionalistica.
Il terapeuta REBT continua a chiedere, per ogni spiegazione fornita dal paziente per la sua sofferenza “e che cosa hai pensato che ti ha fatto star male?” La conseguenza quasi inevitabile è che il paziente, messo alle strette, finisca per confessare pensieri dolorosamente auto-denigratori, secondo un percorso che finisce stranamente per somigliare allo smantellamento delle difese di un analista di formazione annafreudiana. Con in più il fatto che il terapeuta REBT ci arriva molto più rapidamente.
E così anche noi siamo arrivato in fondo a questo primo segmento della formazione REBT.
La nostra impressione finale è che la REBT possegga ancora la migliore formalizzazione disponibile del disputing cognitivo e quindi della tecnica terapeutica. La CBT di derivazione beckiana è stata più capace di formulare modelli specifici per le diagnosi dei disturbi del DSM e di fornire dati di efficacia più rigorosi.
Ma la nostra impressione è che la REBT sia in realtà più usata nella pratica terapeutica privata per la sua flessibilità e amichevolezza d’uso.
BIBLIOGRAFIA:
- Bernard, M.E., Wolfe, J. (Eds) (2007). REBT Resource Book for Practitioners (2nd Edition). New York: Albert Ellis Institute.