expand_lessAPRI WIDGET

Incidenza dei Disturbi di Personalità a Milano

 – LEGGI GLI ARTICOLI DI STATE OF MIND SUI DISTURBI DI PERSONALITA’ – 

Incidenza dei Disturbi di Personalità a Milano. - Immagine: © creative soul - Fotolia.comLa letteratura internazionale attraverso una ricerca longitudinale evidenzia una percentuale media di diagnosi di disturbi di personalità pari al 10,6% sulla popolazione generale, dato peraltro coerente con quelli espressi in sei studi condotti in tre nazioni differenti (Lenzenweger, 1997, 2007, Torgersen, 2001, Samuels 2002, Crawford 2005, Coid 2006).

Al contrario, la letteratura scientifica italiana risulta carente in materia di dati epidemiologici relativi alla diffusione di tali disturbi; infatti non risultano studi specifici a livello nazionale. La frequenza nella popolazione generale adulta è stimata intorno al 10-15% e aumenta notevolmente negli ambiti clinici, ospedalieri e ambulatoriali(Lingiardi, 2001).

Per tale motivo, è stata effettuata una ricerca volta a comprendere l’evoluzione dell’incidenza dei Disturbi di Personalità sulla popolazione milanese.

Quattro Centri Psico Sociali (C.P.S.), afferenti ad una delle più importanti Aziende Ospedaliere del Comune di Milano, hanno fornito i dati relativi ai Disturbi di Personalità diagnosticati nel corso degli anni 2009, 2010 e 2011 utili ai fini della ricerca.

Inizialmente è stata analizzata l’evoluzione dell’incidenza dei Disturbi di Personalità e successivamente si sono evidenziate quali tipologie del disturbo risultavano maggiormente diagnosticate, nel corso del triennio oggetto di studio.

Come risulta dai dati riportati in tabella 1, l’incidenza percentuale registrata nel corso del triennio è rimasta pressoché invariata.

Tabella 1: Incidenza dei disturbi di personalità e tipologie maggiormente diagnosticate
Tab. 1: Incidenza dei disturbi di personalità e tipologie maggiormente diagnosticate, nel corso del triennio 2009-2011.

A fronte di tali evidenze, sono state indagate possibili differenze suddividendo il campione per genere e per fascia d’età.

Per quanto riguarda la differenza di genere, i risultati dell’analisi hanno evidenziato una maggiore incidenza di diagnosi di Disturbo di Personalità nel gruppo dei maschi rispetto a quello delle femmine.

I dati in tabella 2 mostrano che il numero di femmine richiedenti un consulto è stato maggiore rispetto a quello dei maschi ma, nonostante ciò, la diagnosi di Disturbo di Personalità è risultata maggiore nel gruppo dei maschi.

Di particolare importanza risulta il dato relativo all’anno 2011 in cui la diagnosi di Disturbo di Personalità nei maschi è aumentata in modo considerevole raggiungendo la percentuale del 12,72%, rispetto alle femmine che invece hanno registrato un lieve decremento.

Tabella 2: Incidenza percentuale DDP Maschi vs Femmine
Tab. 2: Incidenza percentuale DDP Maschi vs Femmine.

Considerando come parametro di riferimento l’età, risultano di particolarmente interessanti le evidenze emerse nelle seguenti fasce d’età.

  • Fascia di età < 24: progressivo aumento dell’incidenza dei Disturbi di Personalità nei soggetti di età inferiore a 24 anni; la percentuale relativa all’anno 2010 (13,60%) è risultata pari a quasi il doppio rispetto a quella registrata nel 2009 (7,63%), mentre la percentuale del 2011 ha presentato un incremento rispetto all’anno precedente nella misura di circa 2 punti percentuali (17,44%); complessivamente la percentuale di incidenza dei disturbi ha mostrato un incremento, dal 2009 al 2011, di circa dieci punti percentuale.
  • Fascia 24/34: decremento nelle diagnosi di Disturbo di Personalità nei soggetti di età compresa tra i 24 e i 34 anni; la percentuale di 9,76%, relativa all’anno 2009, si è di fatto ridotta di più della metà, facendo registrare una percentuale pari a 4,03% nell’anno 2011.

Per ogni anno oggetto di analisi, come mostrato in tabella 3, sono state analizzate le tipologie di Disturbo di Personalità diagnosticate dai clinici dei C.P.S. . I risultati hanno mostrato una costanza nelle diagnosi verso tre tipologie specifiche: Disturbo di Personalità Non Altrimenti Specificato (NAS), Disturbo Paranoide di Personalità e Disturbo Borderline di Personalità

Tabella 3: Incidenza dei Disturbi di Personalità (per tipologie) nei Centri Psico Sociali.
Tab. 3: Incidenza dei Disturbi di Personalità (per tipologie) nei Centri Psico Sociali.

Per quanto concerne le differenze di genere, negli anni 2009 e 2010 si è registrato un andamento pressoché costante delle tipologie di disturbo, valutando anche separatamente il gruppo dei maschi da quello delle femmine.

 

Psicoterapia: Il DSM 5, i clinici di campagna e i Disturbi di Personalita’
Articolo consigliato: Psicoterapia: Il DSM 5, i clinici di campagna e i Disturbi di Personalita’

Si è riscontrata invece una differenza tra i due gruppi nel corso dell’anno 2011, infatti nei maschi il Disturbo Borderline di Personalità ha avuto un peso minore mentre sono stati maggiormente diagnosticati il Disturbo di Personalità NAS e il Disturbo Paranoide di personalità; nelle femmine è diminuita l’incidenza percentuale del Disturbo di Personalità NAS mentre sono aumentate quelle dei Disturbi Borderline e Paranoide.

 Rispetto alla fascia d’età, non è stato possibile individuare una distribuzione delle percentuali di incidenza con caratteristiche costanti. Infatti, tali percentuali si sono differenziate, di volta in volta, a seconda sia del gruppo di soggetti considerati sia dell’anno oggetto di analisi.

Le evidenze fin qui riportate consentono la formulazione di alcune considerazioni.

 

Innanzitutto, i risultati della ricerca forniscono spunti importanti per orientare la ricerca scientifica futura nell’ambito dei Disturbi di Personalità; in particolare sarebbe interessante indagare le ragioni alla base delle differenze di genere e fascia d’età, riscontrate nella popolazione milanese.

Inoltre, le tre tipologie di disturbo maggiormente diagnosticate lasciano piuttosto perplessi se rapportate alle più recenti impostazioni teoriche, sviluppate dal gruppo di lavoro dell’American Psychiatric Association, alla base del nuovo DSM-5, in pubblicazione il prossimo mese di maggio 2013. Infatti, il Disturbo di Personalità NAS e il Disturbo Paranoide di Personalità saranno esclusi dalla nomenclatura internazionale e, ad oggi, l’American Psychiatric Association non ha ancora chiarito quali siano le motivazioni di tale eliminazione.

 

 – LEGGI GLI ARTICOLI DI STATE OF MIND SUL FUTURO DSM-5 – 

 

BIBLIOGRAFIA

Schizofrenia e Biomarcatori: nuove evidenze

FLASH NEWS 

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

Alla University of California, San Diego School of Medicine un team di ricercatori ha identificato un set di biomarcatori che possono essere utili per la comprensione delle anomalie cerebrali della schizofrenia. Questa è tra le condizioni psichiatriche più gravi e invalidanti e colpisce circa l’1 per cento della popolazione.

Gli endofenotipi (biomarcatori invisibili ma misurabili) sono in grado di rivelare le basi biologiche di un disturbo molto meglio di quanto possano fare i sintomi comportamentali.

LEGGI GLI ARTICOLI SU: SCHIZOFRENIANEUROSCIENZE

Uno dei problemi principali in psichiatria è che attualmente non esistono test di laboratorio che aiutino nella diagnosi, nell’orientare il trattamento e nel prevederne la risposta e gli esiti, ha detto Gregory A. Light, professore associato di psichiatria e primo autore dello studio, le diagnosi sono attualmente basata sulla capacità di un medico di fare inferenze e deduzioni sulle esperienze interiori dei pazienti e quindi sulla capacità che questi hanno di descrivere ciò che sta loro accadendo. La sfida del clinico è resa ancor più difficile dal fatto che molti pazienti schizofrenici soffrono di deficit cognitivi e funzionali, perciò non possono essere ragionevolmente in grado di spiegare come e cosa pensano.

Lo scopo di Light e dei suoi collaboratori era di verificare se una batteria selezionata di biomarcatori neurofisiologici e neurocognitivi potessero essere indicatori affidabili e a lungo termine di disfunzione cerebrale, anche quando i sintomi della malattia non erano evidenti. I ricercatori hanno misurato i biomarcatori in 550 pazienti con diagnosi di schizofrenia, e poi ri-testato 200 di loro un anno dopo. I risultati indicano che la maggior parte dei marcatori erano significativamente anormali nei pazienti schizofrenici, che rimanevano stabili tra le due valutazioni e che non sono stati influenzati da fluttuazioni modeste dello stato clinico del paziente.

Nonostante la necessità di ulteriori ricerche, gli endofenotipi sembrano in grado di cogliere le differenze tra i disturbi psichiatrici, e potrebbero essere utilizzati per prevedere la risposta del paziente a diversi tipi di farmaci o a interventi non farmacologici, o essere usati per predire quali soggetti abbiano un alto rischio di sviluppare una psicosi.

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

Le Psychiatric Band nella Riabilitazione Psichiatrica – Seconda Parte

Ogni essere umano ha diritto di star bene senza impedimenti ostili o speculazioni di iene.

Star bene è un diritto, non è una pretesa, spicchi il volo chi sta male verso una mano tesa…

 Impariamo a volare, Fermata Fornaci

 

 

LEGGI LA PRIMA PARTE DELL’ARTICOLO

Le Psychiatric Band nella Riabilitazione Psichiatrica - Seconda Parte - Immagine: © Orlando Florin Rosu - Fotolia.comFornaci è la fermata più vicina del trenino nei pressi dell’Ospedale Privato Villa Igea, dove lavoro da quasi dieci anni. Nel 2009, in occasione del concorso Oltre il muro, di cui ho accennato nell’articolo precedente, si è formato all’interno del Day Hospital il gruppo musicale Fermata Fornaci, che ha partecipato con la canzone Impariamo a volare. La nascita del gruppo è stata favorita inizialmente dalla presenza al Day Hospital di un utente diplomato al conservatorio e polistrumentista. Il testo del primo brano scritto è nato da una poesia di un altro utente riadattata su una base musicale ed elaborata in gruppo, insieme agli operatori.

L’esperienza positiva del concorso ci ha spinti a strutturare l’attività di songwriting in modo continuativo, coinvolgendo nella conduzione del gruppo una cantautrice modenese senza esperienze pregresse in ambito psichiatrico. La scelta di coinvolgere come guida del gruppo una persona che non aveva mai avuto contatti con lo psicomondo è stata dettata dall’idea di favorire un atteggiamento il più possibile non mediato da “interferenze” psichiatriche.

La conduttrice del gruppo, che potremmo anche chiamare maestra d’arte (cioè esperta nella sua arte), viene comunque affiancata dagli operatori del centro, preparati e formati dal punto di vista psichiatrico. Abbiamo pensato che per i nostri utenti fosse utile avere la possibilità di instaurare con la maestra d’arte un rapporto libero da intenzionalità terapeutiche, anche se in presenza di persone specializzate che potessero mediare e facilitare la conduzione e la partecipazione al gruppo.

Le Psychiatric Band nella Riabilitazione Psichiatrica - Prima Parte
Articolo consigliato: Le Psychiatric Band nella Riabilitazione Psichiatrica - Prima Parte

Come accennavo anche nella prima parte dell’articolo, spesso in maniera inconscia, il nostro atteggiamento e la nostra attenzione nei confronti degli utenti viene inevitabilmente condizionato da anni di esperienza come operatori all’interno dell’istituzione. Mi sono reso conto in prima persona di questo fenomeno quando mi è capitato di esibirmi come musicista all’interno di contesti terapeutici come residenze psichiatriche o centri diurni. Smettere i panni dello psichiatra mi ha fatto vedere gli utenti da punti di vista diversi, notando ad esempio con maggiore attenzione il grado di sedazione di alcuni, come se il mio occhio si fosse “abituato” a guardare senza osservare la realtà clinica dove lavoro quotidianamente.

Nei Fermata Fornaci affianco la conduttrice insieme agli altri operatori (due infermiere, due tecniche della riabilitazione psichiatrica, un assistente sociale che partecipano a turno), cercando comunque di lasciare la massima libertà espressiva e svolgo il ruolo di chitarrista di accompagnamento, soprattutto durante i live.

Il gruppo si svolge settimanalmente al lunedì e ha una durata di un’ora e mezzo. Vi partecipano mediamente circa venti persone, metà delle quali sono affette da psicosi o schizofrenia, il resto da disturbi affettivi, della personalità, alcuni con pregresso abuso di alcol e sostanze.

LEGGI ARTICOLI SU: PSICOSISCHIZOFRENIADISTURBI DELLA PERSONALITA’DROGHE E ALLUCINOGENIDIPENDENZE

Il nostro modo di fare songwriting si ispira al modello della Musicoterapia Musico Centrata, dove il “fare musica” è il mezzo ma soprattutto l’obiettivo principale della terapia musicale (Caneva, 2007). Gli utenti in grado di suonare strumenti musicali vengono invitati a partecipare come musicisti, mentre quelli che non sanno suonare cantano come coro e possono accompagnare il tempo con semplici strumenti a percussione (maracas, tamburelli, triangolo…) e comunque partecipano alla composizione dei brani.

Nei brani ci sono alcune brevi parti soliste affidate a chi è più intonato e a chi se la sente e lunghe parti corali, che assicurano un maggior coinvolgimento di tutti nel progetto. Oltre al musicista polistrumentista che fa ancora parte del gruppo in questi tre anni abbiamo avuto un batterista, un bassista e un chitarrista, che poi hanno lasciato la band perché avevano terminato il percorso terapeutico. Una delle principali difficoltà a portare avanti una psychiatric band in un Day Hospital o in un Centro Diurno, è proprio quella del “turnover” degli utenti, che comporta ripetuti e camaleontici cambiamenti di formazione e il dover insegnare da capo ogni volta il repertorio ai nuovi arrivati.

Questi cambiamenti possono rappresentare una difficoltà, ma anche uno stimolo in quanto il gruppo è sempre in divenire, e le canzoni (che non cambiano nella musica e nel testo) possono subire delle evoluzioni nell’arrangiamento, a seconda di chi ci sia a interpretarle. Questo consente alla parte del gruppo che rimane invece fissa di sforzarsi a trovare soluzioni interpretative nuove e protegge dalla possibile noia e monotonia di eseguire per mesi o anni gli stessi brani. Ad esempio, nella prima fase del progetto avevamo un utente batterista e quindi il repertorio aveva assunto una veste sicuramente più rock, anche con l’introduzione di un bassista volontario che ci accompagnava nelle uscite, precedute comunque da vere prove in una saletta attrezzata concessa gratuitamente dal Comune di Modena. Con la dimissione del batterista abbiamo dovuto riarrangiare il repertorio per una versione unplugged , solo con chitarre e basso.

Per ovviare in parte a questo problema del turnover, abbiamo comunque trovato la possibilità, attraverso l’Associazione Escomarte di consentire la copertura assicurativa anche a quei pazienti dimessi, che intendono continuare a frequentare il gruppo.

Musica e Didattica Metacognitiva 2. - Immagine: © Kzenon - Fotolia.com
Articolo consigliato: Musica e Didattica Metacognitiva 2

Gli incontri iniziano con esercizi di riscaldamento della voce e di respirazione proposti dalla conduttrice. Questi esercizi aiutano sia ad acquisire una maggiore consapevolezza vocale a persone che non hanno conoscenze canore, sia a indurre uno stato di rilassamento. Vengono impartite alcune semplici nozioni di tecnica vocale, in particolare rispetto all’apertura della bocca e all’uso del diaframma. Altri esercizi proposti in apertura di incontro sono quelli sul ritmo, in cui si invitano i partecipanti a seguire con le mani semplici ritmiche accompagnati da un piccolo djembè. Per un periodo abbiamo avuto anche uno studente di infermieristica e percussionista che ci ha accompagnato. La questione ritmica è sicuramente fondamentale e per alcune persone molto complicata, anche per i brani più semplici. In questo senso le terapie farmacologiche sedative non aiutano di certo…

Ognuno può proporre un argomento per i testi. I partecipanti vengono invitati a portare nel gruppo le proprie riflessioni, i propri pensieri e talvolta le proprie poesie che vengono scritte per lo più a casa tra un incontro e l’altro.

Si parte solitamente da questi scritti per sviluppare la tematica all’interno del gruppo e iniziare a mettere insieme qualche rima. Gli argomenti dei testi sono assolutamente variegati. Alcuni brani trattano temi sociali come nella ballad Universi paralleli in cui vengono messe a confronto la vita di un barbone e la vita di uno yuppie con una conclusione saggia “ma dov’è dov’è questa diversità, la questione è la mentalità”. Oppure nel blues La fibra si affronta la questione della tecnologia e del mondo virtuale, con i rischi annessi “non sento più il vento, non vedo più il sole, è ora di uscire da questo torpore”.

Musica & Terapia: "La prossima volta porti la chitarra". - Immagine: © RA Studio - Fotolia.com
Articolo consigliato: Musica & Terapia: "La prossima volta porti la chitarra" Un caso Clinico.

Alcune canzoni descrivono il percorso di cure in modo serio e toccante come nella ballad Impariamo a volare, il cui ritornello recita: “tanta strada abbiamo ancora da fare, a volte siamo pacchi da dimenticare, ci sono persone che ci vogliono aiutare, fidiamoci di loro e lasciamoci un po’ andare”. Lo stesso argomento viene affrontato in modo decisamente più leggero in Radio DH che recita “Qui radio DH, ci serve della vitamina K, in questo gruppo si parla davvero, dall’Efexor ad Omero”. Altri brani sono ancora più ironici e leggeri come Perché, un tango che racconta le pene d’amore in modo insolito “Perché? Perché? il telefono non squilla e penso a te. Perché? Perché? Piango anche quando sono sul bidet”.

Altre volte ancora si parte da momenti intimistici come in Una paglia e un cappuccino, nata da alcune frasi poetiche di un’utente scritte alle cinque del mattino, con di fronte appunto una sigaretta e un cappuccino, che vengono integrati magicamente all’interno del gruppo. L’esperienza individuale e certe parti di sé possono acquistare un senso nuovo grazie alla condivisione gruppale fornita dal songwriting.

Le idee melodiche iniziali per le musiche vengono proposte dalla conduttrice o dall’utente polistrumentista, mentre è il gruppo stesso, in modo democratico (spesso per alzata di mano) che sceglie tra le diverse idee e gli arrangiamenti.

Il gruppo ha sfornato fino adesso otto brani e si è esibito circa 2 volte all’anno a partire dal 2009.

E’ quasi inutile dire che il prossimo passo sarà la registrazione di un CD. Stay tuned…

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

Illusione di Delboeuf: un trucco per dimagrire.

 

Illusione di Delboeuf: un trucco per dimagrire. - Immagine: © Joss - Fotolia.comSiamo ufficialmente in estate e la prova costume incombe inesorabilmente, generando ansie, timori e veri e propri evitamenti.

Un aiuto per perdere gli ultimi centimetri di troppo e affrontare con più serenità l’ardita sfida ci giunge da un recente studio del Professor Brian Wansink del Food and Brand Lab della Cornell University.

Wansink e il suo gruppo di ricerca sono giunti alla conclusione che il contrasto fra il colore del cibo e il piatto in cui è servito influenzi la quantità di cibo ingerita.

Per dimostrarlo i ricercatori hanno sottoposto un campione di sessanta soggetti a un esperimento, proponendo loro due buffet, in entrambi veniva servita della pasta ma in un buffet era condita con salsa di pomodoro e nel secondo con della panna. La differenza sostanziale tra le due tavole, non era nel tipo di cibo proposto, ma nel servizio di piatti o più esattamente nel suo colore e nella scelta di quale pietanza disporvi: piatti bianchi per la pasta al pomodoro e rossi per la pasta con la panna nella prima tavola e viceversa per la seconda.

Mangiare o non mangiare animali?. - Immagine: © dresden - Fotolia.com
Articolo consigliato: Mangiare o non mangiare animali?

Il risultato emerso evidenziava che chi sceglieva il cibo dalla seconda tavola, quindi prendendo il piatto dello stesso colore della pietanza tendeva ad abbondare, arrivando a superare la dose del 17-22 % rispetto a chi utilizzava piatti di colore differente. 

Il gruppo di ricerca sostiene, quindi, che se il colore degli alimenti e quello del piatto nel quale vengono serviti sono simili, le porzioni ingerite saranno più abbondanti di circa il 20% . Ancora più importante della somiglianza del piatto e del cibo è essenziale che emerga un forte contrasto tra i due elementi che, così facendo, a livello percettivo lancerebbero un segnale di stop, ricordando alle persone di fare attenzione alle quantità di alimenti che si stanno servendo.

 La spiegazione di questo fenomeno risiede proprio nel nostro sistema percettivo, ed ha anche un nome  “Illusione di Delboeuf” ovvero: “se due cerchi di identiche dimensioni vengono posti l’uno vicino all’altro e uno dei due cerchi viene posto all’interno di un anello, il cerchio all’interno dell’anello appare più grande del cerchio non circondato se l’anello è vicino pur avendo la stessa dimensione”.

Illusione di Delboeuf. - Immagine: licenza Creative Commons 3.0 author Famousdog
L'Illusione di Delboeuf.

Quindi, quando il cibo viene servito in un piatto dello stesso colore o simile porta il nostro cervello ad elaborare i due come un insieme più omogeneo senza una chiara definizione dei limiti ed in sostanza porta ad abbondare, sostituendo invece il piatto con uno con maggior contrasto risultano invece più netti i contorni facendo emergere chiaramente le quantità.

 

 Quindi, “illudiamoci” che un servizio di piatti neri potrebbe far la differenza!

 – SCOPRI L’ILLUSIONE DI DELBOEUF SU WIKIPEDIA –  

 

BIBLIOGRAFIA:

Utilizzo di Internet nelle persone anziane: un aiuto contro la depressione

FLASH NEWS 

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

Sembra che le persone anziane che utilizzano Internet per scopi sociali abbiano meno probabilità di soffrire di depressione.

Secondo i dati raccolti dalla University of Illinois l’incidenza della depressione tende ad essere ai livelli più bassi intorno ai 45 anni e ai più alti verso gli 80 anni; la solitudine, isolamento sociale e la mancanza di sostegno emotivo sono i fattori che hanno maggiore influenza nel determinarla.

Un team di ricercatori della University of Alabama ha esaminato quasi 8.000 uomini e donne con più di 50 anni e ha scoperto che chi tra questi frequentava regolarmente siti di social networking aveva un terzo in meno di probabilità di ricevere una diagnosi di depressione. Sembra infatti che l’uso di Internet aiuti gli anziani, molti dei quali ha una ridotta mobilità, tenersi in contatto con amici e parenti, e ad ampliare le loro reti sociali. Secondo il Pew Research Centre un terzo delle persone con più di 65 anni frequenta social network, contro il 6% di tre anni fa.

Un altro studio condotto alla University of California ha rilevato cambiamenti nel cervello di uomini e donne una settimana dopo l’uso di Internet per la prima volta: navigare in internet infatti stimola l’attività delle cellule nervose e potrebbe aumentare il funzionamento del cervello negli adulti più anziani.

A fronte di questi risultati sembra che internet rappresenti, per la popolazione anziana in rapida crescita, un valido aiuto nel condurre una vita indipendente, nel facilitare i contatti con amici e familiari e nel fornire informazioni utili a prendere decisioni su molte questioni, dalla salute ai viaggi.

Nichola Adams, la cui ricerca presso l’University of Surrey ha studiato le problematiche dell’accesso a Internet tra gli anziani, tra le principali ragioni che ostacolano l’uso di Internet individua la mancanza di conoscenza e di accesso, inoltre una volta le questioni pratiche iniziali sono stati superate, rimangono ancora le barriere psicologiche; in questo senso è importante che gli anziani vengano accompagnati alla familiarizzazione con lo strumento, così che diffidenza iniziale venga a poco a poco superata.

LEGGI GLI ARTICOLI SU: PSICOLOGIA DEI NEW MEDIASOCIAL NETWORKTERZA ETA’

 

 

BIBLIOGRAFIA:  

Il Pensiero Desiderante in Psicoterapia Cognitiva

 

il pensiero desiderante in psicoterapia cognitiva. - Immagine: © beermedia - Fotolia.comIl desiderio è il segnale che manca qualcosa. Il pensiero desiderante è invece una tipica risposta mentale a questa mancanza. Si tratta di orientare pensiero e attenzione verso tutto ciò che potrebbe essere collegato all’oggetto del desiderio sia nella realtà circostante che nella nostra immaginazione.

Il pensiero desiderante è una forma di pensiero concreto (Caselli & Spada, 2011) tipico degli agiti compulsivi e apparentemente incontrollati (Watkins, 2011). Ha una natura sensoriale e dettagliata. 

Il pensiero desiderante permette di immaginare in anticipo, prefigurare le sensazioni percettivo-motorie che accompagnano un atto in qualche modo piacevole.

Questa anticipazione sostiene la motivazione ad agire e l’attenzione orientata verso l’obiettivo. Ma il pensiero desiderante è anche una facoltà di pianificazione a breve termine, definisce in modo chiaro ciò che l’organismo può fare per raggiungere il suo obiettivo, quali ostacoli deve superare, come può muoversi per cercare il target (es: ripercorrere le mappe conosciute per individuare la tabaccheria più vicina quando abbiamo finito le sigarette). 

Il pensiero desiderante è quindi un pensiero concreto (how). Spesso anche su questo giornale si sono evidenziati i limiti di uno stile di pensiero troppo astratto (es: rimuginio e ruminazione ).  Ma anche il pensiero concreto può avere i suoi limiti poiché sostiene un attivazione fisiologica intensa (craving), aumenta il senso di deprivazione, impedisce una pianificazione accurata che contempli il rinvio della gratificazione e soprattutto un’organizzazione astratta di priorità nella gerarchia dei propri scopi personali.

Psicoterapia cognitiva: le dipendenze patologiche e il lato oscuro del desiderio. - Immagine: © Andrea Danti - Fotolia.com
Articolo consigliato: Psicoterapia cognitiva: le dipendenze patologiche e il lato oscuro del desiderio

Il processo del pensiero desiderante in psicoterapia cognitiva mostra punti in comune e significative differenze con i concetti di ossessione, pensieri automatici, rimuginio e ruminazione.

Le ossessioni sono pensieri, dubbi, immagini o impulsi ricorrenti o persistenti e vissute come invasive e inappropriate e che provocano una marcata sofferenza emotiva. Le ossessioni sono intrusioni mentali giudicate negativamente mentre il pensiero desiderante è un’elaborazione mentale prolungata e volontaria.

Allo stesso modo, i pensieri automatici sono eventi mentali che sorgono nella coscienza indipendentemente dalla volontà dell’individuo. Possono avere la forma di una frase o di un immagine che le persone colgono improvvisamente nel proprio spazio mentale. Possono essere l’origine attivante del pensiero desiderante ma non sono pensiero desiderante.

Rimuginio e ruminazione sono stili di pensiero volontari e perseveranti.

In questo senso sono simili al pensiero desiderante. Tuttavia quest’ultimo pare distinguersi per:

(1) una natura concreta (Watkins, 2011)

(2) maggior presenza di immagini

(3) una valenza che non si limita alle emozioni negative

(4) un fuoco attentivo che si sposta dall’interno all’esterno ma rimane ristretto a stimoli connessi con il target del desiderio.

Il pensiero desiderante si differenzia dal grandiose fantasizing che rappresenta la tendenza a indugiare su fantasie grandiose piacevoli. Il pensiero desiderante non guarda alla vetta grandiosa ma ai prossimi passi necessari per ottenere rapidamente la soddisfazione della mancanza.

Infine, il pensiero desiderante è diverso dal mind wandering, dove la mente viene catturata da stimoli interni, scollegati dal contesto percepito nel presente e che non richiedono uno sforzo cognitivo volontario.

La distinzione tra pensiero desiderante e altri processi cognitivi è ancora all’inizio ma può segnare delle prospettive interessanti nel comprendere la poliedrica e ambigua natura del desiderio umano.

 

 

BIBLIOGRAFIA:

 

EDTP: trattamento per l’ ansia e la depressione nei bambini

FLASH NEWS 

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

I problemi emotivi nell’infanzia sono comuni, una percentuale tra l’ 8 e il 22 % dei bambini soffre di ansia, spesso in combinazione con altre patologie come la depressione.

Due psicologi ricercatori della University of Miami (UM) hanno analizzato l’efficacia di un intervento chiamato Emotion Detectives Treatment Protocol (EDTP) nel trattare sintomi ansiosi e depressivi in bambini e adolescenti.

L’ EDTP risulta dall’adattamento di due protocolli di trattamento sviluppati per adulti e adolescenti, noti come Unified Protocols. Il programma prevede:

• l’applicazione di tecniche, appropriate a ciascuna età, che educhino alle emozioni e alla loro gestione, 

• lo sviluppo di strategie per la valutazione delle situazioni,

• lo sviluppo di abilità di problem solving, 

• l’attivazione comportamentale (una tecnica per ridurre la depressione)

• la formazione dei genitori rispetto al problema

Il trauma nei bambini: l’approccio Trauma-Focused TF-CBT #2. - ©-ambrozinio-Fotolia.com
Articolo Consigliato: Il trauma nei bambini: l’approccio Trauma-Focused TF-CBT #2

Nello studio in questione, 22 bambini dai 7 ai 12 anni con una diagnosi principale di disturbo d’ansia e problemi secondari di depressione, hanno partecipato ad un ciclo di 15 incontri di terapia di gruppo a cadenza settimanale di EDTP. I risultati preliminari, come riportato dai bambini e dai loro genitori, mostrano una significativa riduzione della gravità di ansia e depressione a seguito del trattamento. Infatti, a fine trattamento, 14 dei 18 partecipanti che hanno completato il protocollo, non soddisfacevano più i criteri per il disturbo d’ansia. Inoltre, tra coloro che hanno ricevuto una diagnosi di disturbo depressivo prima del trattamento, (5 su 22), uno solo ha continuato a soddisfarne i criteri anche dopo il trattamento.

I risultati fanno sperare che l’EDTP possa essere una risposta adeguata nel trattamento combinato di sintomi ansiosi e depressivi nei bambini; questo è un dato importante considerando che ricerche precedenti hanno dimostrato che i sintomi depressivi tendono a indebolire la risposta al trattamento per i disturbi d’ansia.

Il passo successivo sarà condurre uno studio randomizzato controllato che metta a confronto l’EDTP con un altro protocollo di trattamento di gruppo per il disturbo d’ansia.

 

BIBLIOGRAFIA: 

Psicoterapia: Accertare e Ristrutturare le Credenze Centrali

 

– LEGGI LA MONOGRAFIA DI STATE OF MIND SUL DISPUTING – 

Accertare le credenze centrali. - Immagine: © Olivier Le Moal - Fotolia.comL’accertamento può avvenire in maniera del tutto naturale, laddove il paziente esprima spontaneamente una delle cosiddette credenze centrali durante la seduta, mentre si discute un problema specifico.

 

Durante una seduta F. P. stava descrivendo i suoi problemi con la sua fidanzata. Egli era tormentato dal dubbio che la sua storia d’amore potesse concludersi, che la sua fidanzata potesse disamorarsi di lui, o perfino che lui potesse disamorarsi, per tutte le svariate ragioni che possono emergere durante una relazione. Discutendo il problema, a un certo punto il paziente esclamò, come se avesse avuto una improvvisa illuminazione: “Ma allora nella vita non c’è certezza!”.

 

Questo paziente arrivò ad esprimere, quindi, una delle credenze centrali, che è l’intolleranza dell’incertezza. Nel prosieguo della seduta, il terapeuta colse al volo la frase del paziente, e lo invitò a svilupparla. Perché era un problema l’incertezza? Cosa c’era da temere nell’incertezza del mondo? I timori vennero da lui spiegati in termini d’intollerabilità della incertezza del mondo, degli eventi, delle relazioni. Un evento incerto, un evento di cui non si conosce l’esito, di cui non si sa come vada a finire, è per definizione un evento minaccioso. Oppure, in termini meno generici e simbolici: “non conoscere in anticipo l’esito di una catena di eventi significa convivere con l’intollerabile dubbio che le cose possano andare male“.

 

Ma quali sono queste credenze centrali?

Ristrutturare le credenze centrali. Immagine: © iQoncept - Fotolia.com
Articolo consigliato: Ristrutturare le credenza centrali.

1. Timore sproporzionato di un danno e tendenza a previsioni negative o pensiero catastrofico, definibile come la tendenza da parte del soggetto ansioso a prevedere una più larga gamma di conseguenze negative rispetto ai soggetti non ansiosi a partire dalle situazioni quotidiane e a concepire il pericolo insito in queste possibilità negative come sostanzialmente inevitabile, irresistibile e irreparabile.

2. Timore dell’errore o perfezionismo patologico, definibile come la tendenza a sottolineare piuttosto gli errori e le imperfezioni presenti nei compiti eseguiti che i risultati positivi, e a temere e prevedere che queste imperfezioni conducano inevitabilmente  a conseguenze negative e catastrofiche.

3. Intolleranza dell’incertezza, definibile come la tendenza a pensare di non poter sopportare emozionalmente il fatto di non conoscere perfettamente tutti i possibili scenari ed eventi futuri, di non poter sopportare il dubbio che tra i possibili avvenimenti futuri ve ne possano essere alcuni negativi, anche nel caso che tale possibilità sia molto bassa, oppure a temere che, qualora vi siano delle possibilità negative in un certo scenario, saranno queste che inevitabilmente o tendenzialmente si realizzeranno.

4. Autovalutazione negativa, definibile come la tendenza a prevedere scenari catastrofici derivanti direttamente da una valutazione negativa sia delle proprie capacità pratiche (autovalutazione negativa prestazionale) che delle proprie capacità di autocontrollo emotivo e di recupero nelle situazioni di difficoltà e di stress (autovalutazione negativa di debolezza, fragilità).

5. Bisogno di controllo, definibile come lo strenuo perseguimento e ricerca da parte del soggetto ansioso della illusione di certezza assoluta che egli possa impedire che si avverino tutte le possibilità negative da lui stesso costantemente temute e previste nel rimuginio attraverso il monitoraggio e la manipolazione continui di alcuni aspetti e parametri della realtà esterna e/o interna (ad esempio il peso, il cibo e/o l’indice di grasso corporeo nei disturbi alimentari; i pensieri intrusivi o l’ordine esterno nel disturbo ossessivo compulsivo, ecc.).

6. Intolleranza delle emozioni, definibile come la tendenza a interpretare ogni stato emotivo intenso, perfino positivo (gioia, felicità, soddisfazione) come disagevole e negativo, o perché ritenuto prova del vicino incombere di eventi dannosi o catastrofici, o per una convinzione di debolezza, fragilità interiore, di incapacità di sopportare questi stati d’animo.

Salkovskis- l’equazione dell’ansia nel disputing - Immagine: © lassedesignen - Fotolia.com
Articolo consigliato: Salkovskis- l’equazione dell’ansia nel disputing.

7. Un senso eccessivo di responsabilità (inflated responsibility), definibile come la tendenza ad aggiungere alla interpretazione della realtà e degli eventi in termini negativi la valutazione di se stessi come primi responsabili dello scenario negativo.

 

La ristrutturazione delle credenze centrali

Una volta accertate, le credenze centrali vanno anch’esse ristrutturate. Per fare questo l’equazione dell’ansia di Salkovskis, ridefinita in termini più generali, può essere ancora una volta utilizzata. Ogni credenza ha una tecnica di ristrutturazione preferibile.

Il pensiero catastrofico, cioè la valutazione negativa dell’intera realtà, va ristrutturata sostanzialmente ridefinendo i criteri utilizzati dal paziente per le sue aspettative negative. Il soggetto deve essere indotto a soppesare criticamente l’evidenza, le prove di fatto che sosterrebbero le sue aspettative negative.

In che senso il mondo è pericoloso? Rifacendo il percorso in senso inverso, dalla credenza generale agli eventi temuti particolari, quali pericoli teme davvero il soggetto? E, una volta individuati questi eventi, quanto sono davvero pericolosi, nei termini sopracitati della gravità, probabilità, sopportabilità e rimediabilità? Questo intervento è stato definito come operazione di valutazione, soppesamento delle prove di fatto (weighing the evidence) che sostengono la credenza della pericolosità del mondo.

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

Ansia e Telomeri: fattori di rischio per l’invecchiamento precoce

FLASH NEWS 

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

Secondo un nuovo studio condotto dai ricercatori del Brigham and Women Hospital (BWH) una comune forma di ansia, nota come ansia fobica, sarebbe un possibile fattore di rischio per l’invecchiamento precoce; i ricercatori ne hanno infatti scoperto l’associazione a telomeri più corti del normale, nelle donne di mezza età e anziane.

I telomeri sono composti da sequenze ripetute di DNA che si associano a diverse proteine, si trovano alle estremità dei cromosomi e hanno un ruolo determinante nell’evitare la perdita di informazioni durante la duplicazione dei cromosomi; se non ci fossero i telomeri ogni replicazione del DNA comporterebbe una significativa perdita di informazione genetica. Diversi studi hanno dimostrato che il progressivo accorciamento dei telomeri ad ogni ciclo replicativo è associato all’invecchiamento cellulare. Telomeri più corti sono stati inoltre associati ad un aumentato rischio di tumori, malattie cardiache, demenza e mortalità.

In questo ampio studio trasversale i ricercatori hanno prelevato campioni di sangue da 5.243 donne, di età compresa tra i 42 e i 69 anni, per analizzare la lunghezza dei telomeri; tutte le partecipanti hanno anche compilato questionari self-report per rilevare la presenza di sintomi fobici.

Secondo i risultati, alti livelli di ansia fobica risultano significativamente associati a telomeri più corti; inoltre la differenza di lunghezza dei telomeri nelle donne altamente fobiche rispetto a quelle non fobiche era simile a quella osservata in donne in donne con 6 anni di più.

Olivia Okereke, autrice dello studio, sottolinea come i risultati mostrino chiaramente una connessione tra una comune forma di stress psicologico, l’ansia fobica e un meccanismo plausibile per l’invecchiamento precoce, ma anche come non sia ancora possibile dimostrare quale dei due problemi preceda l’altro, l’ansia o telomeri più corti? I risultati aprono la strada ad ulteriori studi prospettici.

LEGGI ANCHE: Telomeri e Psicoterapia – Cellule Staminali: nuovo passo avanti, restaurando telomeri. 

 

 

BIBLIOGRAFIA

Conclusione del Primary Training all’ Albert Ellis Institute – #3

 

Conclusione del Primary Training all’Albert Ellis Institute – Parte 3  

Cronache da New York:  PARTE1PARTE2 

Conclusione del Primary Training all’ Albert Ellis Institute – Day 3 - Immagine: therealdeal.comConcluso il Primary training nella Rational Emotive and Behavior Therapy (REBT) all’Istituto Albert Ellis di New York ci prendiamo 3 giorni di riposo prima di iniziare l’Advanced training. Durante la pausa ripensiamo a ciò che abbiamo imparato e ci concediamo un intermezzo psicodinamico, assistendo a una supervisione di Otto Kernberg nel suo studio privato al 23esimo piano di un grattacielo sulla Madison Avenue. Ma di questo parleremo in un altro articolo.

Per ora cerchiamo di riassumere quel che abbiamo imparato all’Ellis Institute. Il Primary training nella REBT ha chiarito alcuni aspetti che dai libri non sono sempre chiari. Ripetiamoli rapidamente.

 

1) È importante definire con esattezza le situazioni problematiche in cui si manifesta la sofferenza, i cosiddetti “critical A” degli ABC. Un “critical A” è una situazione ben definita, un episodio definito nello spazio e nel tempo, preferibilmente l’episodio di maggiore sofferenza o quello meglio ricordato o l’ultimo avvenuto. Non è solo un evento, ma è già anche uno stato mentale pieno di pensieri di tipo descrittivo e valutativo che non sono ancora i B, i pensieri irrazionali per eccellenza, che sono solo le 4 classi descritte da Ellis.

 

Friday Night Live all’ Albert Ellis Institute – Day 2
Articolo consigliato: Friday Night Live all’ Albert Ellis Institute – Day 2

2) Le emozioni negative, ovvero i “C” non sono intrinsecamente disfunzionali, anzi. Semmai esistono formulazioni disfunzionali delle emozioni negative. Depressione invece che tristezza. Ansia invece che preoccupazione (concern). Stati disfunzionali paralizzanti invece che stati negativi ma in grado di promuovere l’azione. L’obiettivo è proprio arrivare a provare emozioni negative funzionali e tollerabili.

 

3) Tra le 4 categorie di pensiero irrazionale la doverizzazione (ovvero la convizione che le cose devono, “must”, avvenire solo in una certa maniera o si devono fare solo in una certa maniera) genera le altre 3: la terribilizzazione (ovvero la convizione che le cose andranno in maniera disastrosa), l’intolleranza della frustrazione e l’auto-svalutazione. La domanda chiave con la quale un terapeuta REBT inizia l’accertamemto delle convinzioni irrazionali è “qual è la cosa che pensi assolutamente di dover fare in questa situazione di cui discutiamo?” oppure “qual è la cosa che pensi dovrebbe assolutamente avvenire o qual è il modo in cui pensi che dovrebbe assolutamente svolgersi questa situazione di cui discutiamo?

 

4) L’esito funzionale è preferibilmente quello della tolleranza della frustrazione (elegant solution) piuttosto che quello della sdrammatizzazzione dei terribili esiti temuti dal paziente (inelegant solution). Il terapeuta REBT in un certo senso dice al paziente “sai una cosa? Queste cose che ti preoccupano tanto potrebbero avvenire davvero. Piuttosto che rimuginare su come evitarle, vediamo come possiamo tollerare questa possibilità”.

 

TAPP (Talking About a Personal Problem): la conversazione guidata intorno ad un problema personale #2

 

–  LEGGI LA PRIMA PARTE DELL’ARTICOLO – 

TAPP (Talking About a Personal Problem): la conversazione guidata intorno ad un problema personale #2. - Immagine: © Nejron Photo - Fotolia.comLa TAPP, Talking About a Personal Problem (Lenzi, Bercelli, 2010), si compone di cinque sezioni, che definiscono le strategie seguite dal terapeuta per raccogliere informazioni e aiutare il paziente a trasformare il problema presentato in una narrativa personale evolutivamente orientata, in grado cioè di attivare nell’individuo le risorse necessarie a conseguire uno stato di maggior benessere.

La descrizione del problema comprende la richiesta di informazioni biografiche, una domanda tematica di apertura con cui individuare il tema della conservazione e introdurre una prima ipotesi valutativa del terapeuta in merito al tema stesso, alcune domande di precisazione semantica utili per chiarire il significato attribuito dal paziente ad alcune parole usate comunemente, domande di precisazione sui fatti e una domanda di elaborazione integrativa il cui scopo e’ stimolare il paziente a formulare una versione sintetica del problema.

Nella fase di ricostruzione storica e di indagine sul repertorio attuale del problema, il terapeuta si focalizza su alcuni contenuti fondamentali della narrativa personale: l’esordio della problematica, il contesto di vita contemporaneo alla sua insorgenza, la sua evoluzione fino al momento attuale e i passaggi significativi che hanno contraddistinto tale sviluppo, il racconto del profilo attuale del problema nei diversi contesti in cui e’ osservabile, l’approfondimento dei processi tipici con cui si innescano e si delineano le vicende oggetto di indagine, la descrizione dei loro antefatti e delle loro conseguenze, la ricerca e il riconoscimento dei fattori interni ed esterni.

La conversazione guidata intorno ad un problema personale - parte prima - Immagine: © freshidea - Fotolia.com
Articolo consigliato: La conversazione guidata intorno ad un problema personale #1

Quando, invece, il paziente procede alla rievocazione degli episodi caratteristici, il terapeuta lo aiuta a demarcare meglio il formato e la sequenza degli eventi, a recuperare le circostanze contestuali necessarie per definire in modo più preciso l’ambiente nel quale si e’ verificata l’azione, a generare una sequenza dei fatti più attenta agli aspetti realmente significativi – non di rado il paziente ha elaborato nel corso della propria vita una narrazione degli episodi problematici nella quale vengono dimenticati o tralasciati i contenuti che potevano consentirgli di interpretare diversamente l’esperienza – e infine ad elaborare un resoconto sulla natura e sulle caratteristiche del vissuto soggettivo sperimentato durante gli episodi problematici.

Le ultime due sezioni dell’intervista, la formulazione di domande aggiuntive da parte del clinico e la rielaborazione integrativa, mirano a completare il quadro che sta emergendo. Il paziente viene stimolato a servirsi della memoria per immagini al fine di generare una rappresentazione integrata del problema, che unisca ai contenuti più razionali un riconoscimento dei diversi processi sensoriali coinvolti; il resoconto degli elementi minacciosi e di pericolo viene sollecitato con domande specifiche del terapeuta, che accompagna il soggetto in un percorso di ristrutturazione e contestualizzazione della minaccia percepita; vengono analizzate le modalità di rimessa in scena interpersonale del problema, ossia la funzione e l’effetto delle comunicazioni che il paziente utilizza per affrontare il problema nei contesti relazionali di riferimento.

 

Obiettivo finale della TAPP e’ giungere ad una rielaborazione generale della tematica presentata dal paziente; la costruzione di una narrativa personale integrata, capace di ridefinire i significati soggettivi dell’esperienza attraverso l’intreccio fra contenuti semantici ed episodici, permette di agire sul tema di vita del soggetto inserendo una maggiore flessibilità, affinché sia possibile elaborare una o più interpretazioni alternative della propria storia e pensare a scopi evolutivamente più funzionali.

Modificando la rigidità delle proprie rappresentazioni e integrando un’immagine di sé dolente con elementi innovativi tratti da una ridefinizione degli eventi problematici, il paziente riduce la propria percezione di vulnerabilità e modifica lo stile narrativo, conoscitivo e di gestione emotiva con cui aveva fino a quel momento organizzato la propria esperienza.

 

 

BIBLIOGRAFIA

Le Nuove Dipendenze: Internet Addiction

 

Internet Addiction Disorder

LEGGI ANCHE: SOCIAL NETWORK – PSICOLOGIA DEI NEW MEDIA – CYBERPSICOLOGIA

Le Nuove Dipendenze: Internet Addiction. - Immagine: © olly - Fotolia.comIl nuovo manuale diagnostico dei disturbi psicologici (DSM) è attualmente in corso di revisione e aggiornamento. Tra le proposte in discussione vi è l’introduzione di un nuovo disturbo psicologico: Internet Addiction Disorder (o dipendenza da internet).

Negli ultimi dieci anni l’ Internet Addiction è stata oggetto di un crescente numero di ricerche, ciò nonostante le definizione del disturbo non è ancora chiara (Weinstein & Lejoyeux, 2010). Da un lato l’eccessivo tempo trascorso online rappresenta un fattore di rischio, ma non rappresenta l’elemento principale o causante la dipendenza. Molte persone che trascorrono una grande quantità di tempo online non soffrono di alcun disturbo.

Gli elementi caratteristici della dipendenza da internet riguardano il modo in cui si trascorre tempo online. In particolare gli elementi chiave sono:

(1) Eccessiva preoccupazione verso il bisogno di accedere a internet 

(2) Ripetuti e fallimentari tentativi di ridurre l’uso di internet 

(3) Problemi di umore (ansia, irritabilità, depressione) connessi al tentativo di ridurre dell’uso di internet.

(4) Desiderio intenso, urgente e incontrollabile di navigare (Christakis, 2010).

Nel tempo queste caratteristiche portano l’individuo a porre in secondo piano altri aspetti della propria vita (es: famiglia, lavoro, ecc…) che vengono gradualmente trascurati.

Una recente ricerca ha inoltre mostrato che a parità di tempo trascorso online chi soffre di dipendenza da internet tende a ricercare maggiormente attività sociali, distrazione da preoccupazioni e la ricerca di una forte esperienza emotiva virtuale (Kesici & Sahin, 2009).

LEGGI ANCHE: SOCIAL NETWORKPSICOLOGIA DEI NEW MEDIACYBERPSICOLOGIA

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

 

Sonno e Peso Corporeo: più dormi e più consumi calorie!

FLASH NEWS 

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

Secondo alcuni studi presentati all’Annual Meeting of the Society for the Study of Ingestive Behavior (SSIB) le abitudini del sonno, influenzando il consumo calorico e dispendio il energetico, inciderebbero sul controllo del peso corporeo. Più precisamente questi studi mirano a chiarire la relazione tra la quantità di sonno e lo sviluppo di obesità e diabete di tipo 2.

I ricercatori hanno studiato l’effetto della privazione del sonno a breve termine, sulla fame, sull’attività fisica e sulla quantità di energia utilizzata dal corpo. I risultati indicano che la privazione di sonno aumenta la sensazione di fame e il livello dell’ “ormone della fame”, la grelina, rilevato nel sangue. Dopo appena una notte di sonno disturbato i volontari mostravano, coerentemente con la stanchezza indotta dalla deprivazione di sonno, una riduzione dell’attività fisica; inoltre stare svegli per una notte riduce la quantità di energia utilizzata dal corpo durante il riposo. Questi dati nel complesso possono spiegare l’aumento di peso legato alla deprivazione di sonno prolungata nel tempo. Attualmente la ricerca sta cercando di stabilire se l’aumento del periodo di sonno possa essere una risorsa nello sforzo del controllo del peso.

Anche se c’è molto è ancora da imparare sulla giusta dose di sonno in relazione ad obesità e diabete, i risultati delle ricerche condotte fino ad ora indicano chiaramente che il sonno è coinvolto nel processo di bilanciamento delle calorie assunte con il cibo e consumate attraverso l’attività fisica e i processi metabolici.

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

Psicoterapia Cognitiva: Al tuo rimuginio scatena l’inferno!

Il rimuginio è una forma di pensiero ciclico, negativo e ricorrente. Il rimuginio è in azione quando rimaniamo chiusi nei nostri pensieri negativi e immaginiamo continuamente situazioni negative che potrebbero accadere in futuro, soprattutto in condizioni di incertezza.

Il rimuginio è un sintomo centrale soprattutto nei disturbi d’ansia (Sassaroli, Lorenzini, Ruggiero, 2006) ma anche nella depressione e nei disturbi alimentari (Sassaroli & Ruggiero, 2012). La psicoterapia cognitiva studia come imparare a regolare e gestire il proprio pensiero.

Uno dei principali danni del rimuginio è il fatto di essere uno stile di pensiero molto astratto. Abbiamo l’impressione che ci serva a trovare soluzioni. Questa impressione è sostenuta da una riduzione leggera dell’attivazione emotiva. Abbiamo anche la sensazione di fare qualcosa, di aumentare la nostra capacità di prevedere il futuro.

Ma se andiamo a guardare i fatti, siamo fermi: bloccati nel produrre preoccupazione, inattivi. Pensare a cosa di negativo potrebbe accadere in seguito a un problema (es: la macchina è guasta. Ipotesi rimuginante: “farò ritardo al lavoro”) non è la stessa cosa che pianificare COME risolvere la situazione.

 

Come combattere il rimuginio?

Innanzitutto ricordare una regola molto importante: il rimuginio è il segnale che occorre preparare un’azione. E questo deve essere un pensiero chiaro tutte le volte che ci troviamo a rimuginare. Secondo passo: Possiamo preparare un’azione concreta in questo momento per affrontare il problema?

Se non possiamo agire ora, allora non vale la pena pensarci, lasciamo defluire il rimuginio e portiamo l’attenzione su ciò che stiamo facendo. Se possiamo agire ora, allora è il momento di scegliere un “fare” anche a costo di essere un po’ impulsivi, e di metterlo in pratica. Pensiamo a COME risolvere un problema: penso e scrivo un elenco delle possibili azioni e delle alternative, le valuto tenendo conto dei miei bisogni e dei miei scopi, scelgo, agisco e poi vedo come è andata.

Certo conseguenze negative possono sempre capitare, ma immaginarle non aiuta a prevenirle se non accompagniamo un azione concreta o, soprattutto, se non siamo disposti a correre qualche rischio. Per i grandi rimuginatori, nei piccoli dubbi quotidiani, è sempre meglio imparare a rischiare.

Ricordiamoci di pensare al concreto, e di scegliere quando pensare ai problemi. Possiamo impararlo. Ma, se l’ansia e lo stress del rimuginio persistono, forse è il caso di una consulenza professionale. Talvolta alcuni bisogni e paure non ci permettono di lasciare andare il rimuginio o di cambiare prospettiva. Questi sono solo piccoli accorgimenti utili per tutti. Da soli non fanno una cura né una psicoterapia cognitiva.

Interview with John F. Clarkin in New York

 

An interview with John F. Clarkin

Sandra Sassaroli, director of Studi Cognitivi (Post Graduate Specialization School of Cognitive Psychotherapy) interviews John F. Clarkin Ph.D. Clinical Professor of Psychology in Psychiatry, Weill Cornell Medical College and co-director of Personality Disorder Institute

 

 

LEGGI ANCHE: TRANSFERENCE FOCUSED THERAPY – OTTO KERNBERGFRANK YEOMANS – INTERVISTE

THE MIND CHANNEL: IL CANALE YOUTUBE DI STATE OF MIND

Beliefs over control and meta-worry interact with the effect of intolerance of uncertainty on worry.

FLASH NEWS 

LEGGI GLI ARTICOLI DI STATE OF MIND SU: RIMUGINIO E RUMINAZIONE – WORRY – GAD (Disturbo d’Ansia Generalizzato) – BELIEFS/CREDENZE – METACOGNIZIONE

Beliefs over control and meta-worry interact with the effect of intolerance of uncertainty on worry.

Beliefs over control and meta-worry interact with the effect of intolerance of uncertainty on worry
Article Preview

 

 Abstract: 

Cognitive theory conceptualizes worry as influenced by metacognitive beliefs about worry, intolerance of uncertainty, and perceptions of control over events and reactions. This study tests the hypothesis that the effect of intolerance of uncertainty would interact with meta-cognitive beliefs on worry and perceived control. One hundred eighteen individuals with generalized anxiety disorder and 54 controls completed the Meta-Cognition Questionnaire, the Intolerance of Uncertainty Scale, the Anxiety Control Scale, and the Penn State Worry Questionnaire. Models were tested measuring interactive effects in multiple regression linear analysis. The interaction model was confirmed. The effect of intolerance of uncertainty on worry was increased by its interaction with metacognitive and control beliefs. The finding emphasizes the significant role of metacognitive and control beliefs in the cognitive process that leads to the development of worry. BUY FULL ARTICLE

 LEGGI GLI ARTICOLI DI STATE OF MIND SU: RIMUGINIO E RUMINAZIONE WORRYGAD (Disturbo d’Ansia Generalizzato)BELIEFS/CREDENZE – METACOGNIZIONE

Beliefs over control and meta-worry interact with the effect of intolerance of uncertainty on worry
Confirmed moderation model. Il rapporto tra intolleranza dell'incertezza è il worry è moderato dal controllo e dal metaworry. La moderazione indica un incremento della forza del legame.

 

REFERENCES: 

Depressione & Facebook: un rischio reale?

FLASH NEWS 

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

Secondo uno studio condotto alla University of Wisconsin School of Medicine and Public Health la depressione da uso eccessivo di Facebook non rappresenterebbe un rischio reale. Questi risultati sono in contraddizione con quanto suggerito l’anno scorso dalla American Academy of Pediatrics in un rapporto sugli effetti dei social media su bambini e adolescenti.

Un team di ricercatori guidati da Lauren Jelenchick e da Megan Moreno ha esaminato il comportamento sul web in tempo reale di 190 studenti universitari di età compresa tra i 18 e i 23 anni, che sono stati anche testati con una scala per la depressione clinica.

I risultati, pubblicati sul Journal of Adolescent Health, indicano che i partecipanti al sondaggio erano su Facebook per più della metà del tempo totale online, e questo dato non è risultato in alcun modo associato al rischio di depressione clinica.

Secondo i ricercatori questi risultati hanno implicazioni importanti per i medici, che non dovrebbero allarmare inutilmente i genitori con informazioni sul rischio di depressione collegato all’uso eccessivo di social-network; ben più utile, visto che oltre il 70 per cento degli adolescenti naviga abitualmente sui social-network, sarebbe incoraggiare i genitori a porsi come modelli di un corretto ed equilibrato uso della rete.

 – LEGGI GLI ARTICOLI DI STATE OF MIND SULLA PSICOLOGIA DEI NEW MEDIA – 

 

BIBLIOGRAFIA: 

Friday Night Live all’ Albert Ellis Institute – #2

 

Albert Ellis Institute – Parte 2 – Cronache da New York – Friday Night Live

LEGGI IL PRIMO EPISODIO DELLE CRONACHE DA NEW YORK

Friday Night Live all’ Albert Ellis Institute – Day 2
Friday Night Live presso l'Istituto Albert Ellis a New York

Dopo un’intera giornata trascorsa studiando ed esercitandosi con la Terapia Razionale Emotiva Comportamentale (REBT) di Albert Ellis sembrerebbe da folli impiegare la serata nella stessa maniera. E follemente noi di “States of Mind” lo facciamo, immergendoci nel Friday Night Live del 6 luglio 2012.

L’occasione è (quasi) da non perdere. Il Friday Night Live dell’Istituto Ellis è, a suo modo, un evento semi-leggendario della psicoterapia, paragonabile alle riunioni del mercoledì sera in casa Freud. Si tratta al tempo stesso di un evento, di una dimostrazione e di un servizio di counseling e psicoterapia pubblica offerta dall’Istituto quasi ogni venerdì sera, dalle 7.00 in poi. All’evento si partecipa pagando una quota di 15 dollari che permette di esporre pubblicamente un proprio problema a un terapeuta REBT esperto e discutere con lui, secondo la tecnica REBT, come comprendere razionalmente e gestire concretamente il problema. Albert Ellis in persona, finché la salute glielo permise, conduceva questi eventi spettacolari e istruttivi. Spettacolari perché il grado di istrionismo (però motivante ed efficace, almeno nei casi più felici) impiegato da Ellis non era trascurabile.

Albert Ellis Institute - Day 1 - Cronache da New York. - State of Mind
Articolo consigliato: Albert Ellis Institute - Day 1 - Cronache da New York. - State of Mind

L’evento avviene nella Lecture Hall dell’Istituto. È presente una piccola folla di 30-40 persone, di cui la metà sono miei compagni di corso. Ci accomodiamo tra il pubblico, mentre su quello che doveva essere lo scranno di Ellis, su una pedana e dietro una scrivania, è seduto Windy Dryden, una delle personalità scientifiche dominanti della scena REBT e Direttore dell’importante Journal of Rational-Emotive & Cognitive-Behavior Therapy. Accanto a lui una sedia vuota, dove ben presto si accomoda il primo “client”.

A quanto pare la natura pubblica dell’evento incoraggia l’istrionismo insito nello stile attivo e direttivo della REBT. Dryden di suo ci aggiunge una camicia a fiori degna del Presidente della Regione Lombardia (intendo Roberto Formigoni) nonchè 7-8 anelli aurei riccamente sparsi sulle dita delle sue mani e impreziositi di pietre rosse e azzurre.

 

DIMOSTRAZIONE N.1

Il primo “client” è un grave procrastinatore (anche se personalmente penso che il suo vero problema è che anche lui si sia munito di una camicia a fiori). Un tipo simpatico, fin troppo stereotipicamente uscito da un film di Woody Allen. Un artista niuorchese, un pittore che espone nelle gallerie dei quartieri di Chelsea e di Soho, di Tribeca e del Village. Un tipo di un certo successo, ma anche un procrastinatore capace di lasciare opere inconcluse per mesi fino alla stretta finale, fino a pochi giorni prima della mostra. A quel punto inizia a lavorare come un folle giorno e notte, cavandosela ogni volta per il rotto della cuffia.

L’intervento è classicamente REBT, subito diretto alle doverizzazioni. E qui accade qualcosa di interessante. Salta fuori che queste doverizzazioni di cui occorre liberarsi non sono delle convinzioni che fanno soffrire il paziente. Al contrario, queste doverizzazioni sono convinzioni che il paziente userebbe per evitare la frustrazione, per evitare di soffrire. Nel caso del nostro procrastinatore, egli usa una sua doverizzazione che suona più o meno così (cito a memoria): “per creare devo essere spontaneo, ovvero non devo affaticarmi, concentrarmi e insomma soffrire”. Così finisce per perdere tempo e rimandare. Insomma, emerge sempre di più il fondo stoico e quasi depressivo della REBT: non c’è speranza, solo impegno. E una cosa è ancora più chiara: per il terapeuta REBT il cliente è uno che cerca di evitare di soffrire. Ma il terapeuta non deve cascarci: la vita sempre sofferenza è, niente illusioni ma solo schiaffoni.

Un esito un po’ curioso, a pensarci. La terapia REBT nasce come liberazione dalle doverizzazioni tradizionali che ci rendevano schiavi di pregiudizi e di convinzioni di colpa produttori di sofferenza. Non a caso Ellis è, per chi non lo sapesse, una delle radici storiche della rivoluzione sessuale, del sesso senza paura e senza colpa. Il suo libro “Sex without guilt” vendette tantissimo nell’America dei primi anni ’60 e fornì I proventi per l’acquisto della palazzina dell’Istituto (Ellis, 1958). E invece al fondo riemerge questo fondo quasi calvinista di frustrazione. Si direbbe che nella REBT si rinuncia alla repressione per imparare ad accettare la frustrazione.

Dopo aver disputato le doverizzazioni del cliente, Dryden passa a un vero e proprio intervento motivante, legato anche a esercizi comportamentali di esposizione. Qui Dryden diventa ancora più istrionico, concludendo questo primo incontro con un urlo rivolto al paziente e a tutti noi: “GO!” Ovvero: “precipitati al lavoro e non procrastinare più“.

 

DIMOSTRAZIONE N. 2

Storie di Terapie #5 - Simone l'Ossessivo. - Immagine: © Oleksii Sergieiev - Fotolia.com
Articolo consigliato: Storie di Terapie #5 - Simone l'Ossessivo.

Il secondo cliente mi pare un caso più grave e complesso dell’artista del Village così facilmente liquidato. Un giovane nero diciottenne alle soglie dell’Università, ma anche un grave ossessivo con dubbi su praticamente tutto: quale College sciegliere, chi sarà il futuro compagno di stanza, qual è il significato della vita, cos’è l’amore, cos’è la spiritualità. Insomma, tutto e il contrario di tutto.

Dryden sfugge alla trappola della vaghezza e privilegia il trattamento di un aspetto molto pratico: I dubbi sul futuro compagno di stanza. Potrebbe essere un tipo sporco, questo è il problema del giovane amico (che si conferma così un ossessivo). Dryden subito propone lo scenario peggiore: il futuro compagno di stanza potrebbe essere davvero qualcuno dall’igiene discutibile. Anzi, lo sarà. Punto.

E in questo caso, che succede? Cosa farai, giovane amico che ti affacci alla vita e devi andare all’Università? Manderai I tuoi studi a monte per un paio di calze e mutande sporche lasciate sul pavimento da un tipo che dorme nella tua stanza? È da notare che Dryden, da buon REBTiano, lascia in secondo piano ogni intervento di sdrammatizzazione o di gestione del problema. Tutto va accettato. Chiudi gli occhi, giovane amico, e immagina: è ormai certo che il tuo compagno di stanza lascerà reperti luridi di se stesso in luoghi a te non graditi. Questa è la vita, e -se vuoi davvero viverla- inoltrati nel fango che lo pervade.

E con questa visione si conclude il Friday Night Live qui all’Albert Ellis Institute. Rimanete connessi, e ricordatevelo: c’è sempre del fango intorno a noi. 

 

 FRIDAY NIGHT LIVE @ ALBERT ELLIS INSTITUTE:

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

cancel