di Roberto Framba
Workshop: “IL TRAUMA E IL CORPO: LA TERAPIA SENSOMOTORIA”, MILANO, 16 -17 settembre 2012
Sto partecipando a un workshop di due giorni di introduzione alla Terapia Sensomotoria organizzato dall’ Istituto di Scienze Cognitive in una sala gremita di colleghi che mi sembrano provenienti da differenti formazioni ma che hanno in comune l’esplorazione di approcci capaci di operare velocemente ed efficacemente sulle disregolazioni emotive più severe dei pazienti.
La Sensorimotor Therapy si propone come uno degli approcci più promettenti e capaci di integrare gli approcci cognitivi up-down con tecniche e modelli bottom-up in particolar modo per la psicoterapia del trauma, procurato da eventi ambientali oppure connesso all’attaccamento.
I più famosi modelli di ricerca neuro psicologici (Schore) e gli approcci interpersonali (Stern), trovano una convergenza e un’applicazione psicoterapeutica molto attenta ai pattern corporei nel qui ed ora della seduta al fine di conseguire una veloce stabilizzazione delle risposte emotive iper/ipo-attivate dei pazienti che abbiano subito traumi non elaborati.
Riprendendo l’insegnamento di Janet, viene enfatizzato il corpo come sede della memoria degli eventi vissuti della persona ma anche come strumento di elaborazione e ristrutturazione di apprendimenti altamente problematici e attualmente disfunzionali.
La proposta forte parte da un annunciato cambiamento di paradigma che, come ricorda lo stesso Schore, “privilegia sistemi di sviluppo emotivi rispetto a quelli cognitivi privilegiando concentrandosi sul sé implicito piuttosto che sul sé esplicito”.
Il modello della Terapia Sensomotoria prevede tre fasi di intervento:
- Stabilizzazione emotiva e la riduzione del sintomo;
- Trattamento della memoria traumatica;
- Integrazione della personalità.
La scelta d’intervento iniziale è chiara: quando il paziente esorbita i limiti della cosiddetta finestra di tolleranza emotiva sia per eccesso (iperattività fisica e verbale fino al congelamento) che per difetto (ipoattivazione fisica ed emotiva fino al vuoto e al distacco emotivo) il terapeuta interrompe il lavoro sulla narrazione dei contenuti concentrandosi sulla narrativa somatica.
Dato che la maggior parte del comportamento umano è guidato dalla memoria procedurale che si riflette in risposte automatiche e pattern d’azione appresi (movimenti, posture, gesti, ecc.), il terapeuta osserva attentamente tali aspetti e via via interviene attraverso l’attivazione di risorse spontanee di riconoscimento e modulazione emotiva del paziente.
A completamento, il terapeuta può anche proporre tecniche di stabilizzazione emotiva sempre accedendo attraverso il riconoscimento e il maneggiamento degli aspetti corporei con l’obiettivo di restituire consapevolezza cognitiva e maggiore padronanza emotiva.
Il terapeuta alterna due azioni. Da un lato, una sintonizzazione forte con gli stati corporei ed emotivi del paziente condividendo l’attenzione ad azioni, gesti e postura in una sorta di rispecchiamento reciproco che rende disponibile alla coscienza del paziente attraverso l’esperienza di un corpo che avverte qualcosa di non sempre accessibile ma comunque disturbante e problematico. Esso può avvenire compiendo una microanalisi del comportamento non verbale e paralinguistico ma anche attraverso l’urlare insieme un vaffa’… che talvolta ricorda gli spettacoli di un Beppe Grillo di annata. Dall’altro, un continuo sforzo di integrazione cognitiva, chiedendo al paziente come ti fa sentire e cosa dice di te il comportamento che attraverso l’azione viene riattivato e reso esplicito.
La Ogden, in risposta ad una mia specifica domanda, chiarisce che l’aspetto relazionale condiviso è di gran lunga ciò che rende più efficace la costruzione di nuovi percorsi anche a livello neurofisiologico oltre che di significato, utilizzando il corpo come strumento potente di “incontro” e cooperazione.
La risonanza del lavoro e della proposta del nostro Gianni Liotti mi risulta evidente e sento immediatamente che mi pervade un sottile moto di orgoglio. Un divertente equivoco marca la ragione di tale stato d’animo. La Ogden scambia un canuto presente per lo stesso Liotti dicendosi onorata della sua presenza, accorgendosi solo dopo molti minuti che si trattava di altra persona, scusandosi per la sua scarsa capacità fisiognomica attribuita anche al fatto che aveva conosciuto Gianni ormai parecchi anni or sono.
Sarà stato un rendere presente alla sua coscienza una sorta di dialogo implicito con l’esponente italiano più autorevole del settore?
Ma proseguiamo sui contenuti di questa prima giornata. In tutti i modi, sia attraverso il canale verbale che con l’uso di interessanti video ed esercitazioni in aula, la Ogden esprime la convinzione che il corpo in tutte le sue componenti è assolutamente potente nel favorire la collaborazione nella ricerca di un superamento delle esperienze traumatiche. Il lavoro di integrazione si avvia con il porre attenzione sull’esperienza di percezione interna del corpo da parte del paziente, per proseguire nel focalizzare l’attenzione ai movimenti del suo corpo, sia grande che fino motorio, attraversando le percezioni veicolate dai cinque sensi e giungendo, prima agli stati emotivi e, per ultimo, al pensiero e alle interpretazioni.
Attraverso questo percorso condiviso, paziente e terapeuta conquistano una progressiva sintonizzazione che permette una più efficace elaborazione di aspetti problematici che sono portati dal paziente sia a livello esplicito, ma anche e, specialmente, attraverso l’implicito depositato nell’esperienza corporea.
La Ogden, come altri autori del panorama cognitivista internazionale, fa grande utilizzo delle tecniche di Mindfulness con un approccio “directed”, cioè focalizzato su un aspetto o un problema interno al paziente piuttosto che aperto all’esperienza ampia di consapevolezza di sé.
L’obiettivo finale è quello di rimettere il paziente in grado di ripristinare una serena relazionalità in un clima di sicurezza in sé, attraverso il cambiamento delle tendenze procedurali del corpo, che si erano fissate a neuropercezioni “difettose” a causa dei sistemi difensivi del trauma per ripristinare una neuroplasticità ridotta o perduta. Il cambiamento del corpo, anche dopo poche ore di trattamento, rappresenta un indicatore assolutamente saliente del mondo interno e un terreno di lavoro terapeutico volto al cambiamento.
Il trattamento pone una particolare attenzione per i pazienti con traumi cumulativi e spesso hanno avuto un’esperienza “pericolosa” nello stare in contatto con il proprio corpo. La Terapia Sensomotoria propone al paziente di accostarsi al proprio corpo in modo differente ma non attraverso il parlare e l’argomentare circa l’esperienza vissuta e i suoi risvolti emotivi e di pensiero.
Anche una semplice indicazione data al paziente di tenere una mano sul torace e una sull’addome con la immediata consegna di stare ad ascoltare, consente di sentire il proprio corpo e guidarlo senza fatica ad una spontanea rimodulazione dell’esperienza emotiva.
Dopo la fase di riduzione del sintomo e stabilizzazione emotiva, la Terapia Sensomotoria apre la fase del trattamento delle memorie traumatiche. Basandosi sulle ricerche e conoscenze neurofisiologiche che riconoscono una gerarchia di sistemi atti a gestire gli aspetti traumatici che vanno dall’attivazione del sistema nervoso simpatico fino ad una immobilizzazione da “morte apparente” governata dal complesso ventrale vagale, la terapeuta americana, riprendendo una felice e produttiva intuizione di Bromberg, propone di lavorare sul delicato confine tra la finestra di tolleranza emotiva e l’iperattivazione provocata dal materiale traumatico.
Muoversi terapeuticamente sui confini regolatori dell’esperienza emotiva traumatica, significa attivare l’esposizione a memorie drammatiche dopo aver concertato con il paziente un set di interventi regolatori della risposta emotiva, sviluppati nella fase di stabilizzazione per evitare al paziente ad entrare in dissociazione davanti a tale materiale.
La narrativa s’interrompe tutte le volte che si rischia di uscire dalla finestra di tolleranza emotiva con un attento e fine lavoro di rimodulazione emotiva che ha come centro la regolazione del corpo fino a quando il paziente raggiunge un senso di sufficiente sicurezza.
A quel punto si riprende la narrazione dell’esperienza traumatica appena il paziente ha recuperato una sufficiente stabilità emotiva. In tal modo, la coppia paziente/terapeuta si muove a zig zag tra la memoria e il qui ed ora dell’esperienza sensomotoria, entrando ed uscendo più e più volte dalla narrazione, mantenendo una grande focalizzazione sulla condivisione della ricadute in termini di esperienza del corpo e miglior padroneggiamento del disconfort emotivo. Via via il paziente esperisce una confidenza con il proprio vissuto problematico. A partire da un’attenzione chiara e forte alla propria esperienza sensomotoria e riconnettendosi in modo consapevole alle sensazioni prodotte dal proprio corpo il paziente può ritornare in contatto con il materiale che era stato dissociato per effetto del trauma.
Il terapeuta ha un ruolo importante anche nel far notare al paziente movimenti o reazioni del corpo che il paziente non riconosce consapevolmente perchè legate al proprio vissuto traumatico, scegliendo di utilizzare forme di compenso emotivo in grado di risolvere l’esperienza traumatica. Questo avviene attraverso un vero e proprio accompagnamento che permette di sperimentare in seduta un’esperienza capace di completare l’azione protettiva e rassicurante spontanea del paziente bloccata precedentemente dal trauma. In seguito, il paziente sarà gradualmente in grado di utilizzare fuori dal setting terapeutico l’esperienza condivisa in seduta.
Va notato che la Terapia Sensomotoria vuole andare oltre la semplice consapevolezza del proprio corpo ma anche senza una partecipazione pienamente consapevole, crea un significato, processa informazioni ed esegue azioni al fine di ripristinare un migliore adattamento all’ambiente e di migliorare l’efficacia e il benessere nelle relazioni.
La terza fase della Terapia Sensomotoria si rifà al contributo di Van der Hart e procede attraverso un percorso che porti il paziente ad un incremento progressivo della mentalizzazione delle parti dissociate e delle loro alternanze che vengono riconosciute come a loro modo funzionali a scopi anche differenti o opposti, poi messe in relazione a differenti stati in modo sempre più consapevoli, modulati e strategicamente orientati ad un migliore adattamento.
Il corpo è il primo territorio e al tempo stesso lo strumento concreto attraverso queste parti vengono riconosciute e integrate. Attraverso esso il paziente esprime anche il bisogno di completare attraverso il movimento o differenti posture le azioni protettive che il trauma ha precocemente bloccato e conduce il terapeuta a riconoscere parti inconsapevoli che possono emergere e trovare quell’accoglienza probabilmente negata o non riuscita da parte delle figure che potevano avere un ruolo protettivo e, in ultima analisi restituendo comprensione e senso.
Una particolare attenzione viene posta sulla possibilità che il paziente sia molto concentrato sul transfert, che all’interno della Terapia Sensomotoria è riletto in una cornice più generale, cioè come una relazione sociale perturbata dall’esperienza traumatica pregressa del paziente. In tal caso il terapeuta cerca contemporaneamente di spostare l’attenzione della relazione al vissuto del corpo del paziente cercando di dare un nome a ciò che sta avvenendo e attribuendo quell’esperienza ad una parte talvolta dissociata della personalità. Al tempo stesso, il terapeuta agisce modulando il proprio corpo in modo tale di risultare meno “minaccioso” per il paziente.
Per esempio chiudendo gli occhi quando il paziente si attiva emotivamente troppo quando è al cospetto di un altro essere oppure modificando la propria postura, in modo di allontanarsi quando il paziente mostra di sentirsi a rischio di essere intruso.
In ogni caso, per il terapeuta vale sempre la regola aurea di non forzare la tecnica in modo di aumentare la paura piuttosto che la sicurezza e di muoversi in un orizzonte temporale ampio. L’esperienza di sintonizzazione non soddisfacente tra il paziente e il terapeuta non va vista come un insuccesso, quanto come un’area di lavoro per riparare tale frattura e ritrovare un piano condiviso sempre più in modo collaborativo esplorando assieme quell’area non consapevole inizialmente ad entrambi che va oltre ogni tecnica e oltre ogni parola.
In conclusione il percorso della Terapia Sensomotoria è duplice: sul piano esplicito, il porre un’attenzione condivisa al corpo, alle sue percezioni ed espressioni, alla ricerca di modalità più integrate e utili di vivere l’esperienza problematica o traumatica, rende possibile la costruzione di un percorso di sintonizzazione implicita che permette il ripristino di una relazione di condivisione e sicurezza.
Una riflessione conclusiva. Per chi, come me e probabilmente come altri tra i presenti, viene da una tradizione cognitivista standard, la terapia sensomotoria fornisce due importanti contribuiti. In primo luogo l’originalità di questa terapia sta nell’offrire un’attrezzatura capace di creare un ponte percorribile quando l’attivazione emotiva è incongrua e problematica, quando il linguaggio verbale più astratto rende più faticosa, lungo e spesso inefficace il lavoro terapeutico . Questo diminuisce notevolmente il rischio che il paziente possa essere esposto ad un’esperienza iatrogena di non comprensione e non comunicazione con il terapeuta di quel momento difficile.
In secondo luogo, essa rivaluta paradossalmente il lavoro del terapeuta cognitivo sia nel senso di una ricerca di percorsi integrati in cui superare la contraddizione tra razionale ed emotivo in una visione pienamente cognitiva. Il corpo è un luogo di incontro più immediato per un’esperienza relazionale davvero correttiva per il paziente che è stato perturbato o traumatizzato. Nella Terapia Sensomotoria la parte narrativa diventa chiaramente lo strumento e non il fine della terapia che rimane, invece, quello di operare continue e progressive integrazioni in un clima di sicurezza e di padronanza. Analogamente anche il terapeuta cognitivo standard utilizza la narrativa come luogo d’incontro con il paziente a partire dal pensiero e dalla esplorazione delle rappresentazione delle emozioni e anch’esso non esaurisce il suo intervento in una ristrutturazione del contenuto semantico del pensiero ma opera per una riattribuzione di senso alle situazioni di vita nel contesto di una relazione sicura e cooperativa.
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BIBLIOGRAFIA:
- Ogden, P., Minton, K., Pain, P., Siegel, D.J. van der Kolk, B. (2006). Trauma and the Body: A Sensorimotor Approach to Psychotherapy. New York: W. W. Norton & Company. (READ ON GOOGLE BOOKS)
- Van der Hart, O., Nijenhuis, E R. S., & Steele K. (2011). Fantasmi nel sé. Milano: Raffaello Cortina Editore.
- Schore, A.N. (1994). Affect Regulation and the Origin of the Self: The Neurobiology of Emotional Development. London: Lawrence Erlbaum Associates. (READ ON GOOGLE BOOKS)
- Schore, A.N. (2008). La regolazione degli affetti e la riparazione del sé. Roma: Astrolabio.
- Stern, D.N. (2007). La costellazione materna. Il trattamento psicoterapeutico della coppia madre-bambino. Torino: Bollati Boringhieri.