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Infedeltà emozionale: l’amore ai tempi del Web 2.0, tramite il Web 2.0


Infedeltà emozionale ai tempi del web 2.0 - Immagine:© Spectral-Design - Fotolia.comL’infedeltà emozionale è intensa ma invisibile, al contempo erotica e non consumata. Tali paradossi, così deliziosi e intriganti, la rendono pericolosa tanto quanto l’adulterio vero e proprio. Con queste poche parole si può riassumere il pensiero di Mark Teich, psicologo americano, autore di diversi saggi che trattano l’innamoramento, ma soprattutto la dinamica del tradimento.

Nel suo articolo “Love but don’t touch”, apparso sul web journal Psychology Today, il Dott. Teich riporta e analizza la storia di Brendan e Lauren, due coniugi che parallelamente intrecciano una relazione extraconiugale online, che ben si presta a rappresentare i meccanismi sottesi all’infedeltà emozionale. 

Brendan ricontatta la sua prima ragazza, che – a differenza della moglie, molto presa dal proprio lavoro e preoccupata per la salute precaria del figlio – trascorre le proprie giornate dividendosi equamente tra lavoro e cura personale; Lauren, invece, conosce per caso su un forum un brillante professionista, simile per caratteristiche al marito, ma molto più divertente e spensierato (a suo dire) del compagno.

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Brendan e Lauren non incontreranno mai i loro “amanti” virtuali e interromperanno le corrispondenze nel momento in cui il loro bambino avrà seriamente bisogno di cure mediche. Nonostante questo, il loro coinvolgimento sarà tale per cui rischieranno di mandare a monte il matrimonio

 

L’infedeltà – sostiene Teich – è più antica della Bibbia, ma ha cominciato ad assumere caratteristiche differenti rispetto al passato: coinvolge sempre più le donne e la realtà virtuale”. 

 

Riferendosi in particolare agli incontri online, Teich li descrive come ricchi di vicinanza emotiva, connotati spesso anche di segreti, carichi di sessualità (nella maggior parte dei casi non agita, ma solo fantasticata). 

Tali relazioni crescono silenziosamente, sino a diventare un rischio anche per il più stabile dei legami offline (ossia, vissuto in carne ed ossa).

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Ai tempi di Internet, poi, le relazioni “galeotte” sono diventate molto più “a portata di mano” (o di clic) di quanto non siano mai state prima.

La psicologa Shirley Glass ha registrato questo “florilegio” già nel 2003, nel suo libro “Not just friends”: “La nuova infedeltà nasce tra persone che involontariamente stringono relazioni (virtuali) profonde e appassionate, prima di realizzare di aver superato la linea tra amicizia platonica e amore romantico” scrive nel testo citato. 

L’82% dei partner infedeli che ha seguito in terapia – scrive – ha avuto una relazione con una persona che all’inizio era “solo un amico”. Per di più, il 65% delle persone seguite ha intrecciato relazioni da lei considerate emotivamente infedeli (segrete, ricche di sessualità non consumata, e molto più aperte a livello emozionale delle relazioni con il compagno “in carne ed ossa”).

La dott.ssa Glass ritiene che il luogo di lavoro sia uno dei principali campi minati per il matrimonio: il 50% delle donne e il 62% degli uomini infedeli con cui ha avuto a che fare avevano allacciato una relazione con qualche collega. La ricercatrice sostiene inoltre che Internet rappresenti un buon habitat per la nascita (e crescita) di relazioni di questo genere, che sembrano moltiplicarsi velocemente. 

La Scelta del Partner. Immagine: © Christian Maurer - Fotolia.com -
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Ma siamo sicuri che il tradimento nasca solamente a causa di e all’interno di una relazione in crisi?

Giusto per rassicurarci, Peggy Vaughan, psicologa autrice del libro “Il mito della Monogamia” e curatrice del portale DearPeggy.com, dove vengono esposte ricerche e discussioni sull’argomento, sostiene che nessuno sia immune al fascino del tradimento.

Sebbene le persone alle prese con una relazione in crisi siano più suscettibili, un sorprendente numero di persone coinvolte in un legame solido e felice trova intrigante la novità e si lascia spesso tentare da relazioni extraconiugali.

A causa dei confini così labili e insidiosi, il tradimento emozionale rappresenta una sfida per il legame di coppia, proprio perché è difficile da identificare. Potrebbe, infatti, sembrare naturale “confessarsi” con una persona conosciuta su internet, o rispondere alle curiosità di un collega. Ma lentamente e impercettibilmente – sostiene la dott.ssa Vaughan – tra alcune persone avviene un “cambiamento emotivo”. 

Con l’andare del tempo (e delle confidenze) coloro che si definivano solo amici hanno costruito un piccolo alone di segretezza attorno alla propria relazione e traslano la fedeltà che prima provavano per il compagno, sul (non-più-solo) amico.

Internet, dunque, rappresenta il piatto d’argento sul quale poter servire e vivere relazioni segrete e cariche anche di sessualità (come detto, spesso solo pensata e non agita). Il tradimento – come si accennava nel caso di siti deputati ad incontri extraconiugali – può essere consumato proprio nel salotto di casa, sotto gli occhi dell’ignaro/a compagno/a.

Spesso è l’anonimato che incoraggia ad aprirsi all’altro. Aaron Ben-Ze’ev, filosofo e presidente dell’Università di Haifa, autore del libro Love Online, sostiene che confidarsi con una persona conosciuta su internet equivalga a parlare con uno sconosciuto: si rivelano, in questi incontri, pensieri ed emozioni che a volte si fatica a confessare al proprio partner. Condividendo certe confessioni, l’intimità, naturalmente, cresce. Le informazioni scambiate, poi, sono accuratamente selezionate e spesso sono taciute parti non gradite di Sé. Inoltre, senza apparenti dati di realtà con cui fare i conti, sul compagno virtuale si possono proiettare desideri e fantasie: si da libero sfogo alla propria immaginazione.

La coppia imprigionata. - Immagine: © michaltutko - Fotolia.com -
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E’ della stessa opinione anche Sherry Turkle, psicologa ricercatrice del MIT e autrice de La vita sullo schermo: l’identità nell’era di internet. “Ciò che conta, infatti, non sono tanto le informazioni scambiate, quanto quelle taciute al partner virtuale. E’questo che rende le relazioni online così intense e ricche di fantasie”. 

La dott.ssa Turkle paragona questo fenomeno al transfert in psicoterapia, dove i pazienti, avendo poche informazioni sul terapeuta, sono portati ad investirlo di qualità che vorrebbero possedere o di cui sentono il bisogno. Allo stesso modo, il partner virtuale è sempre parte di una fantasia e, inevitabilmente, è visto come più interessante, più accogliente e sexy di quello “in carne ed ossa”.

Possiamo a questo punto chiederci se questo genere di amore virtuale sia reale o meno. Il dott. Ben-Ze’ev sostiene che contenga gli stessi elementi dell’amore “offline”: è ricco di pensieri ossessivi che riguardano l’amato, si prova lo stesso urgente bisogno di sentirlo e di pensare che sia la persona migliore del mondo. Esattamente come quando ci si innamora nella “realtà”.

L’alchimia, però, non dura a lungo: come nella realtà la fase di innamoramento richiede un successivo consolidamento che può non avvenire con il partner virtuale. Spesso, infatti, gli amori nati sulla scorta di una fantasia, sono destinati a scontrarsi con la realtà.

 

Essendo ormai gli incontri virtuali così comuni o per lo meno accessibili, così ricchi – come abbiamo visto – di scambi emotivi, tanto a volte da travalicare il confine tra amore e amicizia, gli studiosi hanno cominciato a domandarsi quali possano essere le strategie efficaci per difendere la propria relazione “reale” da tali tentazioni.

La dott.ssa Vaughan suggerisce trasparenza nella gestione delle conoscenze sul web: niente indirizzi e-mail segreti o corrispondenze che un partner non avrebbe piacere di scoprire. 

Non tutti però sono della stessa opinione. In particolare, la dott.ssa Turkle sostiene che alcune relazioni virtuali possano essere divertenti, innocue e giocose. A volte, anzi, anche salutari: “Le persone – infatti – potrebbero esprimere diverse identità o aspetti di Sé: una persona introversa potrebbe mostrarsi estroversa, un uomo fingersi una donna e così via”.  Una relazione virtuale potrebbe anche essere un buon campanello d’allarme per prestare attenzione a ciò che non va nella propria relazione offline.

Lo stesso campanello di allarme – conclude il dott. Teich – che ha riportato Brendan e Lauren a occuparsi del proprio matrimonio, lasciando perdere i partner incontrati online. Da un lato la fantasia si è scontrata con la dura realtà del dover accudire il figlio malato, dall’altro entrambi si sono resi conto che le relazioni ricercate e coltivate online rappresentavano un diversivo alla loro intimità, non l’intimità stessa. 

 

 

BIBLIOGRAFIA:

Fiducia e Tradimento: il “Paradiso Amaro” di Alexander Payne.

Michela Adele Pozzi

Recensione del Film “Paradiso Amaro” (The Descendants, 2011) di Alexander Payne. 

Fiducia e Tradimento: Il Paradiso Amaro di Alexander Payne. - Immagine: Copertina Cinematografica.
Paradiso Amaro (The Descendants, 2011), locandina cinematografica.

 Come ammoniscono le prime parole pronunciate fuori campo dal protagonista, Matt (George Clooney), “l’abitare in un contesto paradisiaco non è di per sé garanzia dell’essere immuni dai problemi che ciascuno di noi si trova a dover affrontare nella vita, in qualsiasi parte del globo abiti”.

Matt è avvocato, marito e padre di due figlie: tale sequenza rispecchia la priorità di questi ruoli nella sua vita, nonché l’importanza che assumono per lui in termini identitari, almeno per l’immagine che inizialmente ci presenta di sé. Il protagonista compirà infatti, durante lo svolgersi della vicenda descritta, un importante e doloroso percorso individuativo, che toccherà profondamente il suo modo di intendere se stesso e i propri legami famigliari, i quali verranno coinvolti in questo processo arrivando ad assumere una configurazione diversa rispetto quella iniziale

Gleeden . - Immagine: © Inga Dudkina - Fotolia.com -
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La famiglia di Matt ci appare piuttosto disgregata e frammentata, data la scarsa coesione interna dei propri membri, ciascuno dei quali pare sostanzialmente condurre una vita a sé. Questa situazione viene rappresentata dal protagonista con una potente metafora: così come le Hawaii, anche la famiglia è un arcipelago, i cui singoli membri rimangono fondamentalmente soli e lentamente vanno alla deriva. Tale configurazione, verosimilmente, è stata funzionale per un lungo periodo, consentendo a ciascuno di non affrontare i significativi problemi di comunicazione e comprensione reciproca, mantenendosi in una posizione di (almeno apparente) disimpegno emotivo. Come spesso accade, invece di compiere il faticoso tentativo di gettare dei ponti gli uni tra gli altri, ciascuno ha eretto delle barriere difensive nei confronti dello scambio e del confronto: Matt lasciandosi completamente assorbire dal proprio lavoro, la moglie Elizabeth (Patricia Hastie) intraprendendo una relazione extraconiugale, la figlia maggiore Alexandra (Shailene Woodley) trincerandosi in un comportamento ostile e ribelle.

In questa prospettiva, il “paradiso”, più che essere associato allo splendido contesto delle Hawaii, sembra essere costituito da quel piccolo mondo autoreferenziale in cui ciascuno si rifugia, composto da desideri, aspettative, illusioni che reggono finchè è possibile evitare il duro confronto con la realtà, che spesso smentisce l’immagine che abbiamo costruito di noi stessi e del nostro contesto di appartenenza. 

Psicoterapia Sensomotoria: il Ruolo del Corpo nelle Esperienze Traumatiche. - Immagine: © Guido Vrola - Fotolia.com
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Per la famiglia di Matt, il momento del confronto è costituito da un tragico evento: Elizabeth, in seguito ad un incidente, è sprofondata in un coma irreversibile. A questo fa seguito un ulteriore evento traumatico: Alexandra rivela al padre di aver visto recentemente la madre in compagnia di un altro uomo. Possiamo assistere in questo momento allo sgretolarsi di buona parte delle certezze su cui Matt aveva fino ad allora fondato la propria vita, dovendosi confrontare con un insieme di emozioni e pensieri dolorosi e contrastanti.

Potrebbero esserci innumerevoli modi per fare fronte ad una situazione del genere, e Matt sceglie uno dei più faticosi: decide di non nascondersi più nel proprio ufficio, bensì di affrontare il mondo che si svolge fuori di esso, “sporcandosi le mani” con la realtà dei propri rapporti famigliari e sociali, addirittura andando a conoscere l’amante della moglie. Gli spostamenti tra un’isola e l’altra che avvengono durante il film, oltre ad avere il fine di riunire la famiglia e di ricostruire vicende dislocate nello spazio e nel tempo, sembrano rappresentare tentativi di ricomporre ed integrare parti di sé diverse, da cui l’Io del protagonista ha cercato di difendersi, finché gli è stato possibile, chiudendosi in se stesso, costellando la propria vita di regole e tabù che dovrà ben presto mettere in discussione.

È questo che mette in moto il processo di individuazione cui si accennava; come scrive un famoso psicoanalista:

 “Il matrimonio non è qualcosa di armonioso e di piacevole, bensì un luogo di individuazione, dove l’individuo entra in collisione con se stesso e con il partner, si scontra con l’altro sia nell’amore che nel rifiuto: è così che conosce se stesso, il mondo, il bene e il male, l’alto e il basso”

(Guggenbühl-Craig, 1988, p. 83)

 

La Trama del Matrimonio: Recensione. -
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Si può estendere questa riflessione, con le opportune differenze, anche al rapporto genitori-figli: Matt riconosce di aver bisogno delle sue figlie per affrontare la situazione, si lascia consigliare da loro, a sua volta aiutandole ad elaborare il dolore che provano.

Il punto di arrivo di tale percorso è ben rappresentato dalla scena finale, in cui tutti e tre siedono insieme sul divano, stretti alla coperta che ha abbracciato il corpo di Elizabeth nel letto di ospedale: alla vicinanza fisica (contrapposta alla distanza presentata all’inizio) corrisponde anche la condivisione emotiva, la consapevolezza di essere uniti nel provare vissuti simili. E di poter finalmente comunicare anche senza parlare, sentendosi capiti e molto meno soli.

 

Cosa ha consentito questa evoluzione? Possibile che due eventi tanto negativi e dolorosi, il lutto e il tradimento, possano veicolare un tale potere trasformativo? Forse sì, se vengono elaborati non solo nella loro concretezza (una perdita, in entrambi i casi), bensì nel loro significato simbolico, che richiede una riorganizzazione dell’immagine di sé, dell’altro e della relazione.  

 

La cacciata dal paradiso: il tradimento

Ho scelto di concentrare la mia riflessione sull’esperienza del tradimento, che nel film viene presentato nella sua natura complessa e multisfaccetata, irriducibile ad una dimensione prettamente fisica e sessuale. La circolarità di questa esperienza coinvolge e lega tra loro i protagonisti, rendendoli, in contesti diversi, alternativamente traditi e traditori (Matt tradito dalla moglie ma traditore nei confronti dell’accordo stipulato con i cugini, la stessa Elizabeth adultera ma a sua volta tradita dall’amante, che non ha la minima intenzione di lasciare la moglie per lei).

Ciò che accomuna questi diversi livelli è il prodursi di una frattura profonda nella fiducia riposta nell’altro, prima necessaria al mantenimento di un’immagine definita di sé e del proprio ruolo nella relazione. Ma è possibile che il tradimento, nonostante costituisca una lacerazione spesso insanabile nel tessuto relazionale, possa contribuire ad avviare un’evoluzione nella qualità del rapporto?

A questo riguardo, spunti di riflessione molto interessanti provengono da uno scritto di J. Hillman. L’Autore ci spiega che nella prospettiva della psicologia analitica, in cui è solo dalla tensione tra gli opposti che può scaturire l’energia psichica, “non si dà fiducia senza possibilità di tradimento” (Hillman, 1999, p. 19): fiducia e tradimento costituiscono due poli di un’unica dimensione, inesistenti uno senza l’altro e non definibili indipendentemente. Certo, nel momento in cui si palesa nella nostra vita la realtà del tradimento rimaniamo sgomenti, feriti, increduli: tuttavia, un confronto così duro con la realtà è spesso l’unico modo, seppur doloroso, per entrare in contatto con l’altra faccia della medaglia, prima sconosciuta o negata a livello cosciente.

Tradimento: terapia di copppia. - Immagine: © Maria Aloisi - Fotolia.com -
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Seguendo la riflessione di Hillman, si comprende come ciò che risulta irrecuperabile dopo un tradimento è quella condizione di fiducia originale, animale, quale si ritrova tra Dio e Abramo prima della cacciata dall’Eden, così come in ogni rapporto tra un bambino e il genitore. Come è stata necessaria la creazione di Eva e il successivo tradimento attraverso il frutto proibito perché si generasse la vita, così nella relazione genitore-figlio l’essere delusi e frustrati è indispensabile affinchè si compia il percorso di crescita: 

 “Se prendiamo il racconto biblico come paradigma della vita che si evolve a partire da questo ‘principio’, allora dovremo aspettarci che, perché i rapporti evolvano, la fiducia originale debba essere spezzata […] Si verificherà una crisi, una rottura caratterizzata dal tradimento, il quale, a quanto dice il racconto, è la condizione sine qua non per la cacciata dall’Eden e l’ingresso nel mondo ‘reale’, il mondo della coscienza e della responsabilità umane. Perché bisogna dire chiaramente che vivere o amare soltanto là dove ci possiamo fidare, dove siamo al sicuro e contenuti, dove non possiamo essere feriti o delusi, dove la parola data è vincolante per sempre significa essere irraggiungibili dal dolore e dunque essere fuori dalla vita vera”

(Hillman, 1999, p. 20).

 

Dunque, fidarsi non contemplando la possibilità del tradimento è come buttarsi negando quella percentuale di rischio che il paracadute non si apra: e che rischio è, allora?

Per Matt sarebbe stato facile riversare sulla moglie morente il proprio risentimento, arroccandosi nella posizione della vittima innocente: ha invece scelto di non rimanere fissato in questo ruolo, non attribuendo il proprio dolore solo alla “cattiveria” dell’altra, bensì cercando di integrarlo nella propria immagine di sé. Per farlo, ha avviato una riflessione su ciò che questo evento poteva dire in merito alla propria stessa natura: in fondo, anche lui ha deluso le aspettative della moglie, comportandosi come un marito distaccato e un padre assente. Restare rigidamente ancorati al tradimento in sé ostacola l’acquisizione di un nuovo tipo di fiducia, più consapevole e sofferta, che ha abbandonato le illusioni della condizione originaria per tenere conto anche di quella parte inaffidabile che c’è in noi, prima confinata nell’Eden dell’inconscio ma ora visibile alla coscienza.

Credersi immuni da ciò che siamo pronti a biasimare negli altri è uno degli aspetti che compone il mondo autoreferenziale e illusorio di cui si parlava prima: le nostre aspettative unilaterali ed egoistiche subiscono necessariamente una trasformazione nell’incontro con l’altro e, attraverso l’altro, con una parte di sè. In questo forse risiede il sapore amaro di quel paradiso in cui ci eravamo rifugiati, che non è completamente perso se siamo in grado di adattarlo a ciò che progressivamente scopriamo di noi stessi.

Questo è un elemento indispensabile del processo di individuazione, aspetto centrale nella psicologia analitica:

 

Il sé-concettualizzato: la maschera (scomoda) che indossiamo. - Immagine: © olly - Fotolia.com
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“L’individuazione consiste in un’elaborazione attiva, difficile, inquietante, della nostra psiche complessa, fino, ad esempio, alla possibile unione degli opposti in essa contenuti, simboleggiata dall’unione dell’uomo e della donna […] Nell’individuazione non si può evitare il confronto con la sofferenza e con la morte, con i lati oscuri di Dio e della sua creazione, con ciò che ci fa soffrire e con cui tormentiamo noi stessi e gli altri. Non esiste individuazione senza il confronto con il lato distruttivo di Dio, del mondo e della nostra anima”

(Guggenbühl-Craig, 1988, pag. 49-50)

 

Il tradimento pone dunque un’ardua sfida: possiamo limitarci ad intenderlo in modo “statico”, circoscritto al presente, rimanendo incagliati nel dolore legato ad una perdita sentita come irrecuperabile, oppure possiamo cercare di fornirne una lettura più complessa, che lo inserisca in una dimensione storica e narrativa, al fine di integrarlo nella consapevolezza di sè e approfondire la qualità della relazione sia con noi stessi sia con l’altro.

 

Spesso vi ho udito dire di chi sbaglia che non è uno di voi, ma un intruso estraneo al vostro mondo.

Ma io vi dico: così come il santo e il giusto non possono innalzarsi al di sopra di quanto vi è di più alto in voi,

Così il malvagio e il debole non possono cadere più in basso di quanto vi è di più infimo in voi.

E come la singola foglia non ingiallisce senza che la pianta tutta sia ne sia complice muta,

Così il malvagio non potrà nuocere senza il consenso tacito di voi tutti.

(…)

E se qualcuno di voi, in nome della giustizia, volesse punire con la scure l’albero guasto, ne esamini le radici

E scoprirà radici del bene e del male, feconde e sterili, tutte insieme intrecciate nel cuore silenzioso della terra.

Kahlil Gibran, 1923

 

 

BIBLIOGRAFIA

La Confusione può essere utile per l’apprendimento

– FLASH NEWS – 

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

Emozioni e apprendimento: attenzione a non sovrastimare gli effetti delle emozioni positive sui processi e sugli esiti dell’apprendimento! Confusione e incertezza possono facilitare l’apprendimento di informazioni complesse: questo risultato controintuitivo emerge da uno studio condotto da Sidney D’Mello della University of Notre Dame pubblicato di recente sulla rivista scientifica Learning and Instruction.

I ricercatori hanno dimostrato che l’induzione strategica e controllata di uno stato di confusione durante una fase di apprendimento di argomenti concettualmente difficili fa sì che i soggetti apprendano in maniera più efficace i temi trattati e siamo poi maggiormente in grado di applicare le loro conoscenze a nuovi problemi.

In una serie di esperimenti, ai soggetti veniva chiesto di imparare alcuni concetti scientifici attraverso l’interazione con più agenti virtuali al computer. Lo stato di confusione e di incertezza è stato indotto negli studenti manipolando il livello di coerenza delle informazioni fornite dagli agenti virtuali allo stesso individuo: gli agenti virtuali presentavano informazioni discordanti e pareri discordi rispetto a uno specifico tema. A questo punto, ai soggetti veniva chiesto di decidere rispetto a quale opinione si sentivano maggiormente in accordo forzandoli a prendere posizione a fronte di informazioni incomplete e contraddittorie.

I risultati hanno evidenziato che i soggetti cui era stato indotto sperimentalmente uno stato di confusione presentavano punteggi significativamente più elevati in una prova tematica specifica ed erano maggiormente in grado di identificare i limiti di nuovi case-studies.

Gli autori però mettono in guardia da un utilizzo generalizzato di tali modalità promotrici di confusione e incertezza, da evitare con soggetti che presentano in partenza emozioni negative rispetto a certi temi e ambiti, che hanno difficoltà nella regolazione delle emozioni negative – quali frustrazione e tristezza- così come in attività di apprendimento centrali nella carriera scolastica dei ragazzi.

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

Salkovskis: l’equazione dell’ansia nel disputing

 

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Salkovskis- l’equazione dell’ansia nel disputing - Immagine: © lassedesignen - Fotolia.comUna volta accertato quale sia l’evento temuto, o in che cosa consista il timore del nostro soggetto in cura, si passa alla ristrutturazione cognitiva. Questa tecnica consiste nel riesaminare criticamente le cognizioni del soggetto in riferimento all’evento accertato nell’A e alle reazioni emotive e comportamentali accertate nel C, allo scopo di valutare quanto siano ragionevolmente fondate queste reazioni emotive e comportamentali. Per facilitare questa operazione, può essere utile ricordare la cosiddetta equazione dell’ansia di Salkovskis.

 

       

 

                  gravità evento temuto x probabilità evento temuto

Ansia = _____________________________________________

                 capacità di tollerare + possibilità di rimediare

In breve, si tratta di incoraggiare il nostro paziente a giustificare la sua ansia, la sua paura. Dopo aver insieme definito cosa sia uno stato d’ ansia (in breve, è il “timore che accada qualcosa”) e dopo averlo chiarito (“Ma di cosa esattamente abbiamo paura?” suggeriamo al nostro paziente, utilizzando il noi terapeutico), stimoliamo il paziente, con la guida del terapeuta, a dover dimostrare a se stesso, ma anche a noi e al mondo, se e quanto i suoi timori siano fondati. L’equazione è una bussola. Il terapeuta, presentando su un foglio l’equazione, dice al paziente:

T.Lei quindi teme che si verifichi l’evento X. Ma quanto è giustificata questa paura? Guardi questo disegno. È la cosiddetta equazione dell’ansia. Essa dice che un evento più o meno pericoloso genera una quantità di ansia proporzionale alla gravità del pericolo e alla probabilità che si verifichi, e inversamente proporzionale alla sua (dico di lei paziente) capacità di sopportare e di rimediare.

Esercizi Comportamentali in Psicoterapia Cognitiva. - Immagine: © tiero - Fotolia.com
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Questo schema ha un valore teorico, ma anche terapeutico. È consigliabile che il terapeuta metta su carta e proponga al paziente lo schema, per riconsiderare insieme lo stato d’ansia in base alle quattro variabili dello schema di Salkovskis: gravità, probabilità, tollerabilità e rimediabilità. 

Il terapeuta deve individuare il punto debole e insistere su quello. A volte la paura sarà in realtà sproporzionata, poiché la gravità del pericolo sarà lieve. Altre volte il pericolo sarà altamente improbabile, e sarà bene insistere su quell’aspetto. Ma gli interventi più efficaci sono sempre quelli centrati sulla sopportazione e sul rimedio, che il soggetto ansioso tende frequentemente a sottovalutare. Facciamogli ricostruire lo scenario e guidiamolo mentalmente attraverso quella catastrofe così temuta. Insieme, potremo far capire al nostro assistito che le possibilità di sopravvivere e di rimediare sono spesso maggiori di quanto avessimo pensato.

Probabilità e gravità

  • Quanto è davvero probabile che accada questo evento?
  • Possiamo quantificare questa probabilità?
  • Quante volte è accaduto in passato?
  • E specificamente a lei, è mai successo?
  • Questo evento quanto è davvero pericoloso?
  • Quali danni può portare?
  • Possiamo definire, determinare, quantificare con precisione questi danni?
  • Riflettiamo. Si tratta danni materiali o di una sofferenza psicologica?

  Rimediabilità e tollerabilità

  • E se anche accadesse?
  • Possiamo immaginare cosa accadrebbe dopo?
  • Saremmo davvero del tutto annichiliti?
  • Siamo sicuri che, una volta avvenuta la cosiddetta catastrofe, non si possa poi fare nulla per rimediare, attutire le conseguenze, controllare sia pure parzialmente l’evento?
  • Soprattutto nel caso che l’evento temuto sia soltanto e del tutto interiore, senza gravi conseguenze pratiche, siamo sicuri che non saremmo in grado di sopportare questo stato d’animo negativo? 
  • Che significa sopportare uno stato d’animo negativo?
  • Quanto dura uno stato d’animo negativo?
  • E quanto dura lo stato d’animo negativo specifico che stiamo analizzando qui ed ora, quello stato d’animo che è frutto del problema portato in quella determinata seduta?

Man mano che si procede con questo intervento, dovrebbero però emergere le cosiddette credenze cognitive centrali del soggetto. Infatti il soggetto tenderà non solo a discutere quanto sia grave il determinato evento, ma anche a giustificare concettualmente il suo stato d’animo, in termini più generali.

I suoi timori sarebbero legati quindi non solo a pensieri specifici per una determinata situazione, ma anche a una visione più generale della vita, del mondo, di sé e degli altri. Sono in gioco, quindi, credenze generali, o anche centrali, laddove si ritenga che questo tipo di pensieri svolga un ruolo centrale nella genesi e nel mantenimento del disturbo emotivo d’ansia (Barlow, 2002).

 

BIBLIOGRAFIA:

 

Pedofilia: Il caso di Rignano Flaminio: intervista a Leonardo Tondelli

 

Leonardo Tondelli (39 anni) è un docente di scuola secondaria, scrive per l’Unità e cura alcuni dei migliori blog di opinione italiani: leonardo.blogspot.com e  ilpost.it/leonardotondelli. Si è occupato del caso di Rignano Flaminio e ha saputo raccontare alcuni aspetti preoccupanti di una questione che è importante per chi opera nel campo della psicologia, della psicoterapia e della psichiatria: il problema della verifica fattuale dei casi di sospetto abuso ai minori e, ancor peggio, i casi in cui il giusto impegno alla protezione dei minori diventa una paranoica caccia alle streghe che non prevede alcuna cautela verso la possibile innocenza dei supposti abusatori.

 

Pedofilia: Il caso di Rignano Flaminio: intervista a Leonardo Tondelli. - Immagine: © caraman - Fotolia.com

State of Mind: Leonardo, può raccontarci una breve storia delle sue opinioni sul caso di Rignano Flaminio, dal primo emergere del caso fino all’ultimo – e non ancora definitivo- esito, l’assoluzione degli accusati di pochi giorni fa?

Come molti ho appreso il caso di Rignano Flaminio dalla tv. La mia prima reazione credo sia stata di incredulità, come per tutti: ma come, c’era una setta di maestre che porta in giro le vittime alla luce del giorno, e nessuno se ne accorgeva? Dopo aver riletto la stessa notizia su un quotidiano, la domanda si è riformulata così: ma come, stanno cercando di raccontarci una storia così enorme, e ci caschiamo? Poi ho cominciato a pensare a cose che avevo già letto distrattamente qua e là, in particolare su un celebre libello (Lasciate che i bimbi, del collettivo Luther Blissett) che anni prima era stato addirittura sequestrato da un magistrato. Nel giro di qualche giorno mi sono fatto l’idea che una storia così folle abbia una caratteristica molto importante: chiunque la segue non può stare nel mezzo, deve per forza credere a una delle due ipotesi, entrambe un po’ difficili da accettare. La prima è che esista una setta di maestre pedofile – che per sopravvivere deve avere ramificazioni e complicità a livello mondiale – la seconda è che esista una psicosi collettiva per cui decine di bambini e adulti possono essere portati a raccontare cose non vere. Per me è stato abbastanza semplice scegliere la seconda ipotesi, e recuperare su internet vari esempi di psicosi collettive analoghe scoppiate in anni precedenti negli USA, in Francia e in Gran Bretagna. Altri hanno scelto invece di credere alla Spectre Pedofila Mondiale: un’ipotesi molto immaginosa, ma era l’unica disponibile se sceglievi di credere all’accusa sulla base che “i bambini non mentono mai”. Per quel poco che conosco i bambini, non mi pare che non mentano mai: anzi hanno spesso difficoltà a separare il vero dal falso nei loro resoconti agli adulti.

 

State of Mind: Quando l’ho contattata, lei ci ha tenuto a sottolineare la sua “non competenza” tecnica. Eppure leggendo i suoi articoli e post sull’argomento io credo che lei abbia qualcosa da insegnare a chi è competente nel campo psicologico su un argomento grave: quali sono le procedure affidabili di verifica delle accuse di abuso sui minori. Vuole parlarne ancora qui?

La Psicologia del Femminicidio. - Immagine: Unos Cuantos Piquetitos 1935 - Frida Kahlo. Collection of Dolores Olmedo Patiño Mexico City, Mexico
Arrticolo consigliato: La Psicologia del Femminicidio.

Ribadisco la mia incompetenza. Di buono c’è che su internet, se hai un minimo di senso critico, non hai difficoltà a trovare persone competenti. Molte informazioni preziose le trovai su un piccolo blog, ilgiustiziere.blogspot.com… anch’esso in seguito fatto oscurare da un magistrato. Un’altra fonte essenziale è stata giustiziaintelligente.blogspot.com. Per quanto riguarda le procedure, si è scritto subito che nel caso di Rignano Flaminio non erano state rispettate le le linee guida per l’indagine e l’esame psicologico del minore raccolte nella Carta di Noto: non credo che ci sia altro da aggiungere; le testimonianze sono state raccolte in un modo sbagliato, infliggendo temo una grave sofferenza ai testimoni. Non c’è da stupirsi che il processo non sia arrivato a nulla; semmai che sia durato così tanto, danneggiando così profondamente la vita degli indagati.

 

State of Mind: Lei ha raccolto qualche informazione su analoghe caccie alle streghe già avvenute in USA e nel Regno Unito. Ce le racconta ancora per “State of Mind”?

Caccia alle streghe” di solito è un modo di dire, ma in questo caso c’è una certa continuità con le testimonianze raccolte dagli inquisitori durante i processi alle streghe e i racconti di abusi sperimentati durante riti satanici, per esempio, negli USA durante gli anni Ottanta. Il trait d’union è un’autobiografia, Michelle Remembers, scritta a quattro mani da uno psicoterapeuta e dalla sua paziente (poi sua moglie) che durante la terapia cominciò a raccontare gli abusi subiti durante l’infanzia nella locale filiale di una setta satanica mondiale. Il libro divenne un best-seller e l’autore fu invitato come consulente in centinaia di casi del genere che stavano scoppiando negli USA. Il più famoso è il processo McMartin, che presenta qualche analogia con il caso di Rignano: le maestre di una scuola dell’infanzia furono accusate di far parte di una setta pedosatanica. Il processo si concluse con l’assoluzione. Ma durò sette anni, che in America sono un’enormità (per noi purtroppo no, nessuno si stupisce che un innocente possa stare per anni alla gogna con un’accusa del genere). Nel frattempo nel Regno Unito era scoppiato il caso di Broxtowe (Nottingham), nel quale le molestie furono effettivamente provate: salvo che furono commesse da una setta di educatori, ma dai famigliari delle vittime. E tuttavia a un certo punto sia le vittime che i loro famigliari cominciarono a raccontare strane storie di abusi rituali, probabilmente a causa dell’intervento di un “consulente” molto particolare, Ray Wyre, un acceso sostenitore della teoria dell’esistenza di una setta pedofila mondiale. Alle idee di Wyre fa esplicito riferimento almeno uno dei “consulenti” italiani che hanno cercato di dimostrare il passaggio di questa setta a Rignano Flaminio (faccio presente che per avere scritto queste cose più diffusamente, un blogger si è visto sequestrare il suo sito due anni fa, e sembra che ormai non ci si possa più far niente).

 

State of Mind: In conclusione, come sono cambiate le procedure d’indagine su questo tipo di crimine in quei due paesi dopo che ci si è resi conto della possibilità di fenomeni di linciaggio –per così dire- giuridico ai danni di persone in realtà non colpevoli?

Non sono un inquirente, e quindi non credo di essere in grado di rispondere: quel che ho osservato, da normale lettore di giornali, e telespettatore, è che dopo Rignano Flaminio ci sono stati purtroppo altri casi di molestie perpetuate nelle scuole dell’infanzia: ma in tutti questi casi gli inquirenti hanno fornito le prove video. Si può poi discutere sull’opportunità di mostrare queste prove in tv – io personalmente non le ho mai volute vedere – però mi sembra che la prova video sia un grosso salto di qualità. Non credo sia una coincidenza il fatto che il carattere satanico (e sessuale) delle molestie contestate sia scomparso.

 

State of Mind: Naturalmente tutto questo a sua volta non significa che dobbiamo sottovalutare gli abusi. Però possiamo imparare che questi abusi si svolgono in maniera diversa da come pensato: non in forma di organizzazioni diaboliche. Caro Leonardo, ha un suo qualche pensiero conclusivo da darci per congedo?

In questi anni quando facevo obiezioni mi sentivo spesso rispondere “tu non hai figli, non puoi capire”. Forse il non avere figli, ma maestre in famiglia, mi faceva vedere le cose in un modo diverso. Però io a quei bambini ci ho sempre pensato. Credo che la loro sofferenza sia reale, e che non sia finita ancora.

 

 

AGGIORNAMENTO (27-06-2012):

A seguito del dibattito che si aperto riguardo questo articolo e alle richieste di alcuni lettori di avere fornita una bibliografia essenziale sui temi trattati, proponiamo qui di seguito alcuni collegamenti esterni dal sito www.psicologiagiuridica.eu

Il Paese dei Misteri Buffi. Dario Fo & Giuseppina Manin – BOOKTRAILER

 

Ugo Guanda Editore e State of Mind presentano: 


Il Paese dei Misteri Buffi 

Dario Fo – Giuseppina Manin 

BOOKTRAILERRECENSIONE

Il Paese dei Misteri Buffi – Dario Fo & Giuseppina Manin – Recensione. - Immagine: Book Cover, Proprietà di Ugo Guanda Editore SpA, Viale Solferino 28, Parma Gruppo Editoriale Mauri Spagnol
Il Paese dei Misteri Buffi. Di Dario Fo & Giuseppina Manin. Ugo Guanda Editore SpA

 

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DARIO FO RACCONTA LA GENESI DEL LIBRO IL PAESE DEI MISTERI BUFFI,  SCRITTO INSIEME A GIUSEPPINA MANIN:

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

 

Il libro, le Immagini e il Booktrailer sono di proprietà di proprietà di Ugo Guanda Editore SpA, Viale Solferino 28, Parma Gruppo Editoriale Mauri Spagnol che ha gentilmente concesso la riproduzione su State of Mind. Ogni altro utilizzo non autorizzato è esplicitamente vietato. 

Desiderio, Amore e Dipendenza: avviene nel cervello

– FLASH NEWS –  

AMOREPENSIERO DESIDERANTEDIPENDENZE 

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze PsicologicheGrazie alla scienza sappiamo che l’amore vive nel cervello, non nel cuore. Ma in quale parte del cervello esattamente? E questo luogo è lo stesso del desiderio sessuale? Un recente studio internazionale, il primo di questo genere, disegna la mappa esatta di questi sentimenti intimamente collegati.

Jim Pfaus, professore di psicologia alla Concordia University insieme a colleghi statunitensi e svizzeri, ha analizzato i risultati di 20 studi separati che hanno esaminato l’attività cerebrale di soggetti impegnati a guardare immagini erotiche o fotografie di persone affettivamente importanti per loro. Mettendo insieme questi dati gli scienziati sono stati in grado di formare una mappa cerebrale completa dell’amore e del desiderio.

In particolare sarebbero due le strutture cerebrali fondamentali per il monitoraggio della progressione del desiderio sessuale verso il sentimento di amore: l’insula e il corpo striato. La prima è una porzione della corteccia cerebrale ripiegata in profondità in una zona tra il lobo temporale e il lobo frontale, il secondo si trova all’interno del proencefalo. Inoltre quando il desiderio sessuale si trasforma in amore avviene un elaborazione in una parte diversa del corpo striato. Sorprendentemente, questa porzione dello striato è associata anche alla tossicodipendenza, Pfaus spiega: “L’amore è un “abitudine” che si sviluppa dal desiderio sessuale e come tale chiede appagamento. A livello cerebrale funziona come quando le persone diventano dipendenti da droghe.”

Che l’amore sia un abitudine non è necessariamente un male, l’amore infatti attiva sentieri cerebrali che sono coinvolti nella monogamia e nel legame di coppia. Alcune aree del cervello sono in realtà meno attive quando una persona prova amore di quando invece sente il desiderio: infatti, mentre il desiderio sessuale ha un obiettivo molto specifico, l’amore è più astratto e complesso, sarebbe quindi meno dipendente dalla presenza fisica dell’altro.

In conclusione possiamo pensare il desiderio sessuale e l’amore lungo uno spettro che evolve da rappresentazioni integrate di sensazioni affettive e viscerali ad una rappresentazione finale di sentimenti, che include meccanismi di aspettativa di ricompensa e di apprendimento dell’abitudine.

 

 

BIBLIOGRAFIA

La costruzione di narrative personali in terapia cognitiva #3

 

LEGGI GLI ARTICOLI PRECEDENTI – PARTE 1PARTE 2 

Narrative Personali 3. - Immagine: © olly - Fotolia.comL’uso delle narrative personali nel trattamento di pazienti psicotici

La struttura di una seduta si può schematicamente suddividere in almeno tre frame: l’esposizione del problema da parte del paziente, l’indagine condotta dal terapeuta per approfondire la tematica oggetto della conversazione e la ridefinizione, allorché il clinico riformula il problema e condivide col paziente la costruzione di possibili scenari alternativi, utilizzando se necessario ulteriori strumenti quale ad esempio la prescrizione di attività cognitive, comportamentali o di auto-osservazione (Lenzi, Bercelli, 2010).

Le dimensioni della conversazione in base alle quali è possibile descrivere un approccio terapeutico riguardano: il grado di direttività, ossia la libertà lasciata al paziente nella sua esposizione dei contenuti; la distinzione operata dal terapeuta fra dati di realtà oggettivi e vissuti soggettivi del paziente; la collocazione dei punti di vista del clinico, in particolare di quelli identificabili come riformulazione del problema, e il loro livello di adesione al principio di comprensibilità dell’esperienza soggettiva, ossia la possibilità per il paziente di costruire un’attribuzione interna del tema trattato (Guidano, 1987). La libertà del paziente di confermare o meno il parere del terapeuta generando eventuali rinegoziazioni di forme e contenuti del dialogo; la presenza e la funzione di attività aggiuntive come le prescrizioni e le esercitazioni terapeutiche, e il loro rapporto con gli strumenti clinici di base.

La costruzione delle narrative personali in terapia cognitiva. - Immagine: Copertina del libro.  Proprietà di Eclipsi Editore.
Articolo consigliato: La costruzione della narrative personali in terapia cognitiva #1

Per quanto concerne l’approccio narrativo osserviamo una metodologia di intervento che si propone di:

  • creare una conversazione sintonica, negoziando dissidi e nodi problematici all’interno dei diversi frame;
  • riordinare dal punto di vista tematico e temporale gli eventi coinvolti nella sintomatologia del paziente;
  • ridefinire l’esperienza soggettiva utilizzando il criterio internalità/esternalità;
  • rielaborare in una prospettiva storica ed evolutiva i temi di vita e di significato personale, chiarendo il legame tra il loro sviluppo, la loro articolazione narrativa e l’insorgenza dei sintomi;
  • costruire narrative complesse e più flessibili riguardo al problema affrontato, allo scopo di individuare elementi che possano modificare le rappresentazioni semantiche ed episodiche.

Seguendo Lenzi e Bercelli (2010) ci domandiamo: è possibile utilizzare efficacemente le narrative nel trattamento di pazienti affetti da sintomi psicotici? Gli autori hanno analizzato numerosi trascritti di sedute condotte da terapeuti cognitivisti con soggetti che presentavano un quadro psicotico produttivo, costituito da sintomi deliranti e allucinatori, e hanno riscontrato come il frame più ricorrente sia quello pedagogico, nel quale il clinico affronta gli aspetti legati alla gestione concreta delle situazioni problematiche.

Il secondo frame più frequente è invece quello dell’esercitazione terapeutica, nella cui conduzione il clinico chiede al paziente di immaginare ciò che ha sentito come voce riproducendolo mentalmente nella maniera più fedele possibile, per poi comparare il prodotto della propria immaginazione con il ricordo delle voci.

Un altro frame che appare significativamente percorso dal terapeuta è l’indagine, utilizzata per avere una visione precisa del contenuto delle voci.

Lenzi e Bercelli focalizzano l’attenzione su due obiettivi clinici: ridurre l’adesione del paziente al sintomo, ossia la convinzione che le voci siano esterne e ingovernabili, e promuovere una rielaborazione interna attraverso la quale il paziente riesca a ricondurre le vicende e i temi raccontati dalle voci all’interno della propria esperienza narrativa.

Non di rado il terapeuta si confronta col dissidio del paziente, il quale sostiene con forza la natura esterna delle voci; lo studio condotto mostra però che nel frame dell’esercitazione l’adesione al sintomo si riduce notevolmente e questo risultato è determinato dal lavoro specifico che viene svolto in quella parte della seduta. I frame di indagine e pedagogico evidenziano una sostanziale impossibilità per il paziente di riconoscere l’origine esterna delle voci; quando il dialogo terapeutico è condotto dal clinico e il contributo del paziente si limita all’ascolto di istruzioni o alla descrizione oggettiva dei sintomi, risulta impraticabile la via di una ridefinizione narrativa delle voci.

Agostino l'eremita. - Immagine: © deviantART - Fotolia.com
Articolo consigliato: Agostino l'Eremita.

Nel frame di rielaborazione l’adesione al sintomo è alta durante le sequenze iniziali e centrali delle sedute, per poi diminuire nelle sequenze finali, quando il terapeuta propone un riassunto delle tematiche affrontate e sottolinea nuovamente i concetti sottoposti all’attenzione del paziente. La rielaborazione interna delle voci appare ugualmente assente nei frame di indagine e pedagogico, risultando anch’essa negativamente influenzata dalla direttività del terapeuta, mentre cresce in misura sensibile nel frame di esercitazione e in quello di rielaborazione. Questi risultati, sebbene relativi ad un unico studio e quindi ancora insufficienti per elaborare un modello solido, forniscono indicazioni preziose sul possibile utilizzo delle narrative personali nel trattamento di pazienti con sintomi psicotici positivi, e tracciano un sentiero di riflessione che può essere efficacemente percorso da successive ricerche.

La convinzione clinica di fondo è che questi soggetti possano in parte riappropriarsi, attraverso la riformulazione narrativa della propria storia di vita, dei contenuti esperienziali espressi dai loro sintomi.

Il terapeuta può condurli verso un accostamento sistematico delle voci alla narrativa personale, ad esempio lavorando sulla somiglianza, spesso sottolineata dal paziente stesso, fra la voce della patologia e quella di una figura significativa della storia di vita. I contenuti, il tono, la ricorsivita’ delle voci possono riprodurre contesti e relazioni che il soggetto ha vissuto nella realtà, possono riportarlo a frammenti esperienziali concreti che si sono connotati di un significato emotivo insostenibile;

il lavoro clinico è in grado di ridefinire almeno parzialmente il senso del sintomo psicotico, riconducendo ad una dimensione interna ciò che il paziente esperisce come occorrenza esterna. In questo caso può avvenire una ricostruzione semantica ed episodica della situazione problematica, ossia il paziente può utilizzare, nella gestione concreta delle voci, la modificazione di significato conseguente alla riformulazione terapeutica.

Un possibile obiettivo clinico è la graduale generalizzazione dei risultati ai diversi contesti di vita del paziente, affinché egli riesca a riconoscere la provenienza interna delle voci e l’appartenenza della loro trama semantica ad un mondo interno di significati narrativi che la terapia sviluppa e definisce.

 

 

BIBLIOGRAFIA 

Difficoltà evolutive e Crescita Psicologica – BOOKTRAILER

DIFFICOLTÀ EVOLUTIVE E CRESCITA PSICOLOGICA – STUDI CLINICI LONGITUDINALI DALLA PRIMA INFANZIA ALL’ETÀ ADULTA.

 

 

 Raffaello Cortina Editore e State of Mind presentano: 

DIFFICOLTÀ EVOLUTIVE E CRESCITA PSICOLOGICA

STUDI CLINICI LONGITUDINALI DALLA PRIMA INFANZIA ALL’ETÀ ADULTA

di Dora Knauer e Francisco Palacio Espasa 

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IL LIBRO 

Come evolvono le difficoltà nello sviluppo psicologico e affettivo della prima infanzia? Qual è il miglior tipo di intervento per modificare il destino di questi bambini, che potrebbe ipotecare il loro futuro cognitivo e lo sviluppo della personalità? Gli autori propongono un metodo psicoterapeutico e psicopedagogico integrato, che offre la possibilità di dispiegare le potenzialità proprie di ogni bambino. Grazie a un accompagnamento longitudinale a lungo termine, la realizzazione personale in età adulta non viene compromessa e ogni individuo riesce a modellare nel modo migliore le proprie caratteristiche di personalità.

GLI AUTORI

Dora Knauer lavora presso il servizio di Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza delle cliniche universitarie di Ginevra.

Francisco Palacio Espasa è stato a lungo primario del servizio di Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza delle cliniche universitarie di Ginevra. Nelle nostre edizioni ha pubblicato, tra gli altri, Depressione di vita, depressione di morte (2004), Scenari della genitorialità (2001).

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Difficoltà evolutive e Crescita Psicologica – Recensione

DIFFICOLTÀ EVOLUTIVE E CRESCITA PSICOLOGICA

STUDI CLINICI LONGITUDINALI DALLA PRIMA INFANZIA ALL’ETÀ ADULTA

di Dora Knauer e Francisco Palacio Espasa – Raffaello Cortina Editore

 

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Difficoltà evolutive e Crescita Psicologica - Recensione . - Immagine: Book Cover, proprietà di Raffaello Cortina Editore
Difficoltà evolutive e Crescita Psicologica – STUDI CLINICI LONGITUDINALI DALLA PRIMA INFANZIA ALL’ETÀ ADULTA di Dora Knauer e Francisco Palacio Espasa – Raffaello Cortina Editore

Recensione a cura di Alessia Incerti.

Nell’opera di Knauer e Palacio Espasa si prendono in esame differenti percorsi terapeutici in sostegno di bambini che anche in fasi precoci della loro infanzia hanno manifestato problemi psicologici di diversa natura. Si prendono in esame sintomi funzionali lievi (disturbi del sonno o dell’alimentazione), difficoltà del comportamento (capricci, opposività, condotte aggressive) sino a problemi più gravi, come i disturbi dell’umore (depressioni infantili) o molto gravi, come i disturbi pervasivi dello sviluppo e psicosi.

Nella trattazione dei suddetti quadri psicopatologici gli autori si riferiscono alle più recenti ricerche della neurobiologia e neuroanatomia a diversi approcci psicoterapici ed agli studi epidemiologici. Particolare attenzione agli studi longitudinali dall’epoca neonatale all’età adulta ed all’osservazione della relazione genitore bambino nell’ambito dei centri diurni riabilitativi.

L’osservazione delle relazioni tra genitori e bambino, quando egli manifesti un percorso di sviluppo considerato a rischio di psicopatologia, a breve o a lungo termine, ha stimolato gli autori a raccogliere ed esaminare un notevole numero di dati al fine di intrecciare i bisogni dei bambini piccoli con le difficoltà e i disagi che incontrano nell’ambiente e nella relazione con i genitori ed a verificare l’eventuale espressione di una sintomatologia psicologica.

Perfezionismo e genitorialità. Immagine: © sonya etchison - Fotolia.com -
Articolo consigliato: “Perfezionismo e Genitorialità, lo stress e l’ansia di essere un genitore perfetto”

Si analizzano nell’opera due fattori principali nella genesi e/o mantenimento di sindrormi psicologiche:

1. le difficoltà e le problematiche della genitorialità che possono gravare sul neonato e sul bambino. In particolare l’attenzione è sulla figura d’ attaccamento primaria, tipicamente la madre. Non è raro infatti che i bambini esprimano disagi e sofferenze del genitore. Si prendono qui in considerazione il punto di vista psicodinamico e della teoria dell’attaccamento.

2. l’“equipaggiamento di base” del neonato, ovvero a fattori genetici, neuro-anatomici ed soprattutto alle sue caratteristiche proprie di tipo relazionale (capacità di richiamare l’attenzione, di rispondere al caregiver , di calmarsi, di partecipare allo scambio emotivo).

Entrambi i fattori sono utilizzati dagli autori quale filo conduttore di tutta l’opera, dove approfondiscono le principali categorie psicopatologiche dell’infanzia esaminando i percorsi clinici possibili.

Gli autori spingono costantemente il lettore a riflettere sul seguente interrogativo:

“Fino a che punto i sintomi del bambino dipendono dal carico eccessivo di cui è gravato a causa dei conflitti della genitorialità?

Al tempo stesso, tuttavia, possiamo anche domandarci se simili conflitti della genitorialità si manifestino in risposta ai problemi interattivi innescati dalle particolari caratteristiche relazionali o evolutive di alcuni bambini, che suscitano perplessità e disagio nei genitori”.

I Comportamenti aggressivi dei bambini - Immagine: © Pixlmaker - Fotolia.com
Serie consigliata: “I comportamenti aggressivi dei bambini”

Una sfida quella che gli autori lanciano al lettore sia esso un ricercatore o un clinico: neurospsichiatra infantile, psicologo o psicoterapeuta. Si tratta di capire in che modo gli aspetti della genitorialità e le caratteristiche specifiche del neonato poi bambino, s’intersecano influenzandosi reciprocamente. Capire quali modelli esplicativi formulare per i quadri psicopatologici principali.

Nell’opera si prendono in esame i disturbi affettivi (le depressioni infantili in modo specifico); i disturbi multi-sistemici dello sviluppo (prodromi dei disturbi di personalità?); i disturbi dell’attenzione, con o senza iperattività; i disturbi del comportamento; e i disturbi d’ansia.

Ogni quadro clinico tiene conto della diagnosi nosografica del DSMIV e della classificazione 0-3

L’esemplificazione di un caso clinico, molto ben descritto, conclude la trattazione dei singoli disturbi trattati e permette al lettore di procedere nella riflessione circa l’interazione tra fattori riferibili a chi si prende cura del bambino, elementi del “conflitto della genitorialità” , e caratteristiche della psicopatologia individuale del bambino ed inoltre elementi dspecifici della relazione genitore e bambino. La riflessione circa questa dialettica è rilevante non solo ai fini esplicativi del quadro psicopatologico ma anche ai fini di una risposta terapeutica che i clinici debbono dare al bambino ed alla sua famiglia.

I numerosi studi longitudinali che gli autori hanno considerato nel loro lavoro hanno permesso confronti tra le diverse terapie possibili.

Nonostante l’approccio teorico prevalente al quale l’opera si riferisce sia psicodinamico, non si ignorano affatto i contributi della neurobiologia, della psicofarmacologia né della psicoterapia a matrice cognitivo-comportamentale e relazionale.

La tesi principale è che , in particolare “nella prima infanzia è l’insieme degli interventi psicoterapeutici genitori-bambino, a breve o a lungo termine, a porsi in primo piano sulla scena terapeutica, in funzione delle caratteristiche dei conflitti della genitorialità presenti”.

Nell’ambito della psicoterapia cognitivo comportamentale si considerano approcci individuali con il bambino e l’approccio di gruppo con più genitori.

L’approccio degli autori è indubbiamente arricchito di una ricca raccolta di dati epidemiologici e clinici che induce il lettore ad una scelta ragionata circa i percorsi terapeutici possibili ed utili per il singolo bambino nella sua specifica interazione con i genitori.

“In conclusione, nella prima infanzia la psicoterapia nelle sue diverse forme occupa una posizione del tutto centrale, a condizione, però, che il modo in cui viene intrapresa non sia dogmatico né settario, bensì parallelo ad altri approcci terapeutici e nello spirito di ricerca della forma di psicoterapia più indicata, in funzione delle caratteristiche dei conflitti della genitorialità che circondano il bambino, come pure della sua psicopatologia individuale”.

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BIBLIOGRAFIA:

L’autrice della recensione:

Il Tai Chi migliora le prestazioni cognitive negli anziani

– FLASH NEWS – 

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

Secondo un gruppo di scienziati della University of South Florida e della Fudan University di Shanghai, praticare il Tai Chi regolarmente avrebbe l’effetto, nelle persone anziane, di espandere il volume del loro cervello e migliorare le prestazioni cognitive di memoria e pensiero.

I risultati si sono basati su 8 mesi di studio randomizzato e controllato in cui il gruppo di anziani che ha praticato il Tai Chi tre volte alla settimana, è stato messo a confronto con un gruppo che non ha praticato nessun esercizio.  Nel corso di questo stesso studio gli scienziati hanno anche verificato un significativo aumento di volume cerebrale e progressi cognitivi in ​​un terzo gruppo, che ha partecipato a discussioni vivaci tre volte alla settimana nello stesso periodo di tempo. 

Demenza, Alzheimer & Stimolazione Cognitiva: Use it or Lose it! - Immagine: © Yuri Arcurs - Fotolia.com
Articolo consigliato: Demenza, Alzheimer & Stimolazione Cognitiva: Use it or Lose it!

Ricerche precedenti avevano già evidenziato l’aumento di volume cerebrale come effetto di esercizi fisici aerobici, e in uno di questi studi è anche stato osservato un effetto di miglioramento sulla memoria; tuttavia, questo è il primo studio a dimostrare che un esercizio fisico non aerobico, il Tai Chi, così come il partecipare a discussioni stimolanti, induce un aumento del volume cerebrale e migliori prestazioni cognitive.

Il gruppo di controllo, che non ha partecipato agli interventi, ha mostrato infatti un restringimento del cervello (Brain Shrinkage), coerentemente con quanto avviene normalmente in persone di 60 e 70 anni.

Numerosi studi hanno dimostrato che la demenza, e la sindrome di graduale deterioramento cognitivo che la precede, è associata con crescente restringimento del cervello e che le cellule nervose e le loro connessioni vengono progressivamente perse.

“La capacità di invertire questa tendenza con l’esercizio fisico e una maggiore attività mentale, implica la possibilità di ritardare l’insorgenza della demenza nelle persone anziane, attraverso interventi che hanno molti benefici per la salute fisica e mentale”, ha detto Dr. James Mortimer, professore di epidemiologia presso la University of South Florida College of Public Health.

La ricerca suggerisce che l’esercizio aerobico sia associato ad un aumento della produzione di fattori di crescita del cervello.

Resta da stabilire se le forme di esercizio come il Tai Chi, che includono un’ importante componente di esercizio mentale, possano portare a variazioni simili nella produzione di questi fattori.

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

Il Paese dei Misteri Buffi – Dario Fo & Giuseppina Manin – Recensione

 

Il paese dei misteri buffi è l’ultimo esilarante lavoro di Dario Fo, frutto della collaborazione con l’amica e giornalista Giuseppina Manin.

Il Paese dei Misteri Buffi – Dario Fo & Giuseppina Manin – Recensione. - Immagine: Book Cover, Proprietà di Guanda Editore
Il Paese dei Misteri Buffi. Di Dario Fo & Giuseppina Manin, Guanda Editore

Le loro conversazioni diedero vita qualche anno fa (2007), a “Il mondo secondo Fo”, in cui si racconta di quest’attore, drammaturgo, regista, scenografo, premio Nobel, pittore, artista e uomo impegnato nel politico e nel sociale, che è Dario Fo. Ma questa volta si tratta di tutt’altro. La Manin propone a Dario Fo di riprendere le fila del celeberrimo “Mistero Buffo”, (messo in scena per la prima volta nel 1969, che grazie alla potenza narrativa del suo grammelot gli valse il Premio Nobel per la letteratura nel 1997), per narrare di quell’insieme di misteri grotteschi che mortificano il nostro Paese da quasi mezzo secolo.

Il racconto inizia con un episodio “sconvolgente e tragico al tempo stesso. La scomparsa improvvisa e inspiegabile del Cavaliere Silvio Berlusconi”, Fo attraverso una carrellata di giullarate narra le vicende del Satrapo di Arcore, ripercorrendo scandali e stragi che ancora oggi lasciano numerosi interrogativi, attraverso un sottile filo conduttore.

All’avvento di Mario Monti al governo, segue la scomparsa di Silvio-Bingo (uno dei tanti appellativi utilizzati nel testo), generando scompiglio tra i suoi seguaci al punto da indire una squadra di ricerca presso il Mausoleo di Arcore, in cui, sulla scia dell’antico fatto di cronaca dello Smemorato di Collegno, saranno coinvolti tra gli altri, il fedele avvocato Ghedini, il fedele Fedele (ah no quello è un altro capitolo), il fedele Fede e con lui le “ragazze del Drago”, così definite da Fo quell’insieme di giovani miss e non, che risiedevano, o risiedono tutt’ora, nell’ormai celebre via dell’ospedale San Raffaele di Milano.

Berlusconi - Licenza d'uso: Creative COmmons - Proprietario: http://www.flickr.com/photos/spiritolibero85/
Articolo consigliato: Il pluralismo degli Stati Uniti, l’Italia e la fine di Berlusconi.

Ad avvenuto ritrovamento un’ immancabile speciale Porta a Porta e a questo punto, personalmente, mi chiedo se fosse presente o meno il plastico di Villa San Martino. Berlusconi è tornato, ma la lotteria indetta per il suo ritrovamento sta già fruttando un sacco di miliardi ai Monopoli di Stato, dunque l’unico e inimitabile viene rapito e portato davanti a una corte di giudici ai quali dovrà raccontare il perché della sua latitanza. Due creature demoniache lo hanno prelevato da casa per portarlo “in direttissima” negli Inferi, dove ad attenderlo c’era nientemeno che Minosse, il giudice infernale. I magistrati sbigottiti lo mandano in prigione. Da qui in avanti iniziano le innumerevoli storie cantate in prima persona, dal Silvio affabulatore ai suoi nuovi compagni detenuti. Dunque citando qua e là i suoi amici Dell’Utri, Previti, il “Divino Giulio”, Licio Gelli, Mangano e chi più ne ha più ne metta, scioglie all’urna un cantico che forse non morrà: Da Capaci ad Aldo Moro, dalla P2 al Banco Ambrosiano, da Piazza Fontana alla Fondazione Monte Tabor, dall’uno all’altro mar. Fu vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza.

Gli autori raccontano in modo allegorico e sarcastico uno squarcio di realtà, sottolineando che il vero mistero buffo dell’Italia sono gli italiani; gli stessi che dal novembre 2011, hanno dimostrato ancora una volta la propria imprevedibilità in seguito al mutamento politico-morale conseguenza del governo tecnico. D’altra parte, “tutti sanno che una cosa è impossibile da realizzare, finché arriva uno sprovveduto che non sapendolo la inventa” (A. Einstein).

 

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DARIO FO RACCONTA LA GENESI DEL LIBRO IL PAESE DEI MISTERI BUFFI,  SCRITTO INSIEME A GIUSEPPINA MANIN:

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

Sindrome da Affaticamento Cronico (CFS): una malattia

Sindrome da Affaticamento Cronico. - Immagine: © lassedesignen - Fotolia.comLa sindrome da affaticamento cronico (Cronic Fatigue Syndrome: CFS) è un disturbo complesso caratterizzato da estrema fatica, che non può essere spiegato da alcuna condizione medica. Implica una profonda disregolazione del sistema nervoso centrale (Tirelli et al., 1998) e del sistema immunitario (Broderick et al., 2010), una disfunzione del metabolismo (Myhill et al., 2009) e anomalie cardiovascolari (Hollingsworth et al., 2010).

Le cause delle Sindrome da affaticamento cronico non sono ancora del tutto chiare, si spazia da infezioni virali a stress psicologici. Per questo motivo, non esiste attualmente alcun test per verificare la presenta della sindrome. Piuttosto, vengono effettuati svariati esami per escludere altre possibili patologie con sintomi simili.. Generalmente, la sindrome da affaticamento cronico viene considerata dagli esperti nel settore come il risultato di diversi fattori – biologici, ambientali… – combinati.

Secondo i criteri sviluppati e rivisti dai ricercatori americani di Atlanta (Fukuda et al., 1994), per potere fare diagnosi di Sindrome da affaticamento cronico (CFS) sono necessari almeno due criteri maggiori e quattro minori:

 

Amarezza cronica post-traumatica. Immagine: © 2011-2012 Costanza Prinetti -
Articolo consigliato: Amarezza cronica post-traumatica: una diagnosi per i precari.

Criteri maggiori:

  1. Il primo specifica le caratteristiche della stanchezza che deve essere debilitante e persistere da almeno sei mesi, non deve risolversi con il riposo a letto e risultare così grave da ridurre di oltre il 50% l’abituale attività fisica del soggetto.
  2. Il secondo criterio maggiore impone al medico di escludere, mediante una valutazione molto accurata basata sulla scrupolosa raccolta anamnestica, sull’esame clinico e appropriati test di laboratorio, qualsiasi condizione morbosa nota che possa essere responsabile di una sintomatologia simile a quella della Sindrome da Affaticamento Cronico.

Criteri minori (sintomi e segni obiettivi):

  • Difficoltà di concentrazione e/o memoria, faringodinia, linfoadenopatia cervicale o ascellare, mialgie, dolori articolari, cefalea qualitativamente diversa da quella che il paziente può aver esperito prima della comparsa della stanchezza, sonno non ristoratore e malessere prolungato dopo esercizio fisico. Di questi sintomi devono esserne presenti perlomeno quattro contemporaneamente e persistere o ricorrere da almeno sei mesi.

Questi aspetti sono stati sottolineati anche da medici e partecipanti all’Associazione Italiana CFS nel tentativo, arduo sicuramente, di sensibilizzare la gente su questo problema tutt’altro che secondario, poichè prostra il paziente che finisce col dibattersi ogni giorno in uno stato di astenia cronica.

Le conseguenze? Oltre alla stanchezza fisica si accumula una stress e una fatica mentale che porta a un notevole calo delle funzioni cognitive e a una riduzione dei riflessi, fattori che incidono pesantemente sulla performance, sul comportamento, nonché nell’attività fisica e psichica.

L’insorgenza della Sindrome da Affaticamento Cronico è estesa a giovani e donne di età intorno ai 35/40 anni, mentre gli anziani oltre i 70 anni di età ne sono esclusi, nei bambini è poco manifesta.
Decisivo il ruolo delle Istituzioni, considerato il fatto che a nulla è servito l’allarme lanciato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che ha definito tale Sindrome una malattia grave, cronica e invalidante e, nonostante ciò, chi si ammala di questa patologia non ottiene alcun riconoscimento del suo stato di invalido civile.

Di conseguenza, chi si ammala di tale sindrome non avrà diritto alcuno a permessi lavorativi retribuiti e la stessa società civile crea un muro d’abbandono verso chi soffre di questo disturbo, proprio per l’etichetta che viene spesso loro attribuita, quella di persone lavative, fannullone, indolenti.

 

 

BIBLIOGRAFIA

Reading the Brain during Film Viewing

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Reading the Brain during Film Viewing:

This clip depicts the amount of within-subject correlation in appropriately extracted components of neural activity (scalp topographies shown on the left) and its relation to the plot trajectory.

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BIBLIOGRAFIA: 

 

 

 

L’attività Neurale durante la visione di film

– FLASH NEWS – 

L’attività neurale al “cinema”: la fruizione di stimoli altamente emotivi è collegata a specifici modelli di attività cerebrale.

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

Secondo un gruppo di ricercatori del City College of New York e della Columbia University gli stimoli visivi e uditivi che provocano un forte coinvolgimento emotivo sarebbero collegati a specifici modelli di attività cerebrale.

I ricercatori hanno utilizzato l’EEG (Elettroencefalogramma), che misura l’attività elettrica attraverso il cuoio capelluto, per raccogliere dati sulle onde cerebrali di 20 soggetti, che hanno visto scene di tre diversi film: i primi due, “Bang! Tu sei morto” di Alfred Hitchcock e “Il Buono, il Brutto e il Cattivo” di Sergio Leone, contenevano scene molto drammatiche in grado di suscitare forti reazioni emotive; il terzo, un film amatoriale di persone che camminano in un campus universitario, è stato utilizzato come controllo.

Le misure dell’attività alfa mostrano il grado di attenzione in una persona: forti oscillazioni dell’attività alfa indicano che una persona è rilassata, cioè non è emotivamente coinvolta; quando la sua attenzione cresce invece l’attività alfa è bassa.

I picchi di correlazione nell’attività neurale durante la visione si sono verificati in corrispondenza dei momenti più coinvolgenti dei film; questo effetto si riduce notevolmente alla seconda visione del film o quando la narrazione si interrompe e le scene vengono presentate in modo disconnesso.

Dopo aver dimostrato le correlazioni tra stimoli intensi e prevedibilità delle onde cerebrali, il team di ricerca vuole ora individuare dove si verifica la risposta cerebrale; a questo scopo il professor Parra vuole utilizzare una combinazione di risonanza magnetica funzionale (fMRI) e di EEG. Questa scoperta potrebbe portare a un modo nuovo di costruire film, programmi televisivi e spot pubblicitari sulla base del tipo di risposta emotiva del pubblico a determinate scene.

 

 Reading the Brain during Film Viewing:

This clip depicts the amount of within-subject correlation in appropriately extracted components of neural activity (scalp topographies shown on the left) and its relation to the plot trajectory.

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

Asessualità: Scelta, Patologia o diverso Orientamento Sessuale?

 

ASESSUALITA’: UN FENOMENO RELATIVAMENTE NUOVO E ANCORA POCO STUDIATO.

Asessualità: Scelta, Patologia o diverso Orientamento Sessuale?. - Immagine: Screenshot illustrativo, a bassa risoluzione del TV Series "The Big Bang Theory" Proprietà di Warner Bros
Dr. Sheldon Cooper e Amy Farrah Fowler, dal telefilm “The Big Bang Theory”

Reduce dall’intensa, colorata ed emozionante esperienza del Bologna Pride (Vedi LGBT), in cui tutte le diversità – non solo sessuali – sono state celebrate e inorgoglite della loro legittima unicità, ..scopro per caso e con molto stupore dell’esistenza di una piccola comunità che si sarebbe sentita forse esclusa dal grido “fate l’amore con chi vi va e come vi va”: la comunità degli Asessuali (www.asexuality.org).

Presenti da molti anni come community, sono giunti per la prima volta quest’anno a manifestare il loro “pride” in occasione del Boston Pride. Una persona “asessuale” è una persona che non sente e non ha mai sentito nella vita nessun tipo di attrazione/desiderio sessuale. Diversamente dal celibato, di solito scelto volontariamente per qualsivoglia motivo, l’ asessualità secondo gli asessuali è parte della loro identità, un modo diverso di sentire e di stare nel mondo. Nessuna conseguenza negativa dunque nella vita relazionale ed emotiva, semplicemente si pongono scopi ed obiettivi che non includono il sesso. Definiscono le loro relazioni normali e caratterizzate da elementi comuni a tutti gli orientamenti sessuali, vicinanza intimità divertimento ironia fiducia condivisione, tranne che, appunto, il sesso.

Asessualità: Scelta, Patologia o diverso Orientamento Sessuale?. - Asexual Hand
“Asexual Hand”, i colori della bandiera del movimento.

Insomma il loro “pride” non sembra guidato da divieti morali o religiosi, o da tentativi di purificazione e ascesi spirituale, né da una stravagante moda del momento, quello che li distingue dagli individui sessuali è “solo” l’assenza di desiderio sessuale e di arousal fisiologico di fronte a stimoli erotici, entrambi sperimentati (o meglio non sperimentati!) da sempre nella vita.

Le ricerche sull’argomento sono poche e tutte da approfondire; un’importante ricerca epidemiologica (Bogaert, 2004) condotta su un campione di 18.000 cittadini inglesi, ha evidenziato come solo l’1% della popolazione potesse essere definita effettivamente “asessuale”, sulla base del solo criterio di assenza di attrazione sessuale verso un partner di qualunque orientamento; inoltre l’asessualità sembra correlare con molti altri fattori tra cui genere (più donne che uomini), bassa statura, problemi di salute, bassa istruzione e basso livello socio-economico, facendo ipotizzare la possibilità di un enorme ventaglio di fattori che possano concorrere nel determinarla.

Alcuni ricercatori (Brotto et al, 2010) hanno quindi provato a differenziare i criteri per definire meglio l’asessualità: le differenze significative emerse nei due gruppi sperimentali – sessuali e asessuali – sono state relative a risposte sessuali, isolamento sociale e alessitimia, mostrando caratteristiche riconducibili ad un Disturbo Schizoide di Personalità, anche se nella ricerca la tendenza ad avere questi tratti non è risultata in alcun modo patologica.

Altri studi (Brotto e Yule, 2011) si sono invece concentrati sugli aspetti fisiologici dell’assenza di desiderio sessuale, come possibile marker somatico dell’ asessualità, ma i risultati non hanno evidenziato differenze significative tra i due gruppi rispetto agli indici di attivazione fisiologica e le misure self report di arousal di fronte a stimoli erotici; nel solo gruppo degli asessuali è emersa una minore affettività positiva legata al desiderio sessuale, senza tuttavia sintomi di ansia e/o depressione. Nessuna prova dunque che si tratti di una disfunzione sessuale!

 

Le domande suscitate da questa curiosa community possono essere tante e del tutto simili a quelle che ci poniamo rispetto a tutti gli altri orientamenti sessuali: una volta escluse cause organiche e/ genetiche (es: Sindrome di Turner), la presenza di abusi sessuali che possano aver alimentato una cronica incapacità nel sentire l’eccitamento sessuale, sintomi depressivi o tratti patologici di personalità, potremmo allora davvero trovarci di fronte ad una nuova e diversa identità sessuale…. in cui indubbiamente uno dei principali sistemi motivazionali primari che siamo abituati a considerare, viene incredibilmente meno.

Ben venga in ogni caso il Boston Pride e la bandiera simbolo degli asessuali, se servirà ad informare e a dare più colori e sfumature ad un ambito, quello della sessualità, che nonostante l’evoluzione culturale incontra pre-giudizi e mal-informazione, queste si davvero poco evolute!

 

 

BIBLIOGRAFIA:

Il Disagio Psicologico? Punti di vista! il Self Discrepancy Monitoring

 

DISAGIO PSICOLOGICO: QUANTO CONTANO I PUNTI DI VISTA? NUOVA RICERCA SULLA SELF-DISCREPANCY  

Il Disagio Psicologico? Punti di vista! il Self Discrepancy Monitoring. - Immagine: © archinte - Fotolia.comLa prospettiva da cui si guarda il mondo non è rappresentativa del mondo stesso, ma di certo è predittiva degli stati d’animo e delle valutazioni su di sé e sul mondo che ne conseguono. Ogni situazione può essere osservata attraverso lenti diverse, che ci restituiscono diverse percezioni. Questo ce lo insegnano le immagini ambigue, i due profili bianchi che racchiudono una coppa nera, la giovane donna voltata che subito dopo diventa una anziana signora di profilo. E se questo è un effetto della diversità che caratterizza tutti noi, diventa problematico nel momento in cui facilita l’assunzione di un particolare punto di vista, che tende a riproporsi nelle diverse situazioni. Se è vero che i sistemi che funzionano sono i sistemi flessibili, quando un sistema è rigido, e in più anche settato su aspetti negativi e mancanti, questo può essere un problema che favorisce il mantenimento di emozioni sgradevoli.

Sembrerebbe la famosa storiella del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto: l’acqua è un dato oggettivo, ma io cosa decido di guardare? Si è dimostrato, per esempio, che focalizzarsi in modo ripetitivo e inconcludente sulle cause del proprio umore depresso e sulle sue conseguenze faciliti le ricadute depressive (Nolen-Hoeksema, 2000), e per questo la “ruminazione” diventa un importante focus terapeutico per la prevenzione delle ricadute, una sorta di “boostering phase” della terapia, che rafforza appunto i risultati raggiunti.

Come o Perché? E le conseguenze per il pensiero.
Articolo consigliato: "Come o Perché? E le conseguenze per il pensiero"

Se non ci interessa più di tanto capire cosa spinge una persona a percepire la figura di giovane donna voltata o quella di anziana signora di profilo, per le scarse ricadute applicative, è interessante invece capire cosa spinga le persone a focalizzarsi più sull’acqua mancante o su quella presente, più sul tragitto percorso o su quello che si ha ancora davanti.

Perché decidiamo di utilizzare la lente del “cosa manca” piuttosto di quella della “cosa ho raggiunto”?

Wells negli ultimi 10 anni ha messo un importante focus sulle credenze metacognitive, intese come convinzioni che ognuno di noi possiede circa l’utilità o il danno di determinati stili di pensiero (Wells, 2000). Come dire, se pensi in questo modo sarà perché ne percepisci un’utilità.

Alla luce dell’importanza della prospettiva che si adotta nel valutare e interpretare un evento o una serie di situazioni, il Gruppo Ricerca della Scuola di Specializzazione Studi Cognitivi sta implementando uno studio che mira a:

  1. Raccogliere dati circa la frequenza con cui le persone appartenenti alla popolazione generale tendono a utilizzare uno stile di pensiero focalizzato su ciò che c’è o ciò che manca;
  2. Valutare se e in che misura questo stile di pensiero si correla con i livelli di sintomi ansiosi e depressivi;
  3. Esplorare le credenze che le persone hanno circa l’utilità o il danno di uno stile di pensiero focalizzato su ciò che manca, sul bicchiere mezzo vuoto.

 

A questo scopo, chiediamo il vostro aiuto nella compilazione di 4 questionari che potrete visionare e riempire tramite internet in circa 10 minuti.

 

Questo è l’indirizzo: https://www.surveymonkey.com/s/discrepancymonitoring

Ovviamente tutti i dati verranno raccolti in forma anonima.

I risultati saranno pubblicati presto su State of Mind!

 

 

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BIBLIOGRAFIA:

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