expand_lessAPRI WIDGET

The Big Bang Theory – Analisi psicologica di Sheldon e compagni

 

The-big-bang-theory . - Immagine 504e274b02733The big bang theory è una sitcom nata in America nel 2007, in Italia arriva nel 2008, e racconta la vita di quattro scienziati.

Quattro personalità con tratti patologici e una riabilitatrice sociale: un profilo psicologico dei personaggi di una sitcom.

Howard Wolowitz, Raj Koothrappali, Leonard Hofstadter e Sheldon Cooper operano in quattro campi diversi: ingegneria aerospaziale, astrofisica, fisica sperimentale e fisica teorica. La loro amicizia si fonda su due aspetti principali: grande intelligenza e completa inadeguatezza nelle relazioni sociali.

La loro quotidianità viene stravolta quando arriva una nuova vicina di casa, Penny, una ragazza che sogna di diventare attrice e dalla vita sociale “movimentata”.

Oltre ad essere una simpatica commedia, ha anche un interessante risvolto psicologico rappresentato dalle personalità dei quattro protagonisti maschili. Come tratto comune i ragazzi hanno la difficoltà di instaurare rapporti interpersonali soddisfacenti, caratteristica che si struttura in personalità diverse. Abbiamo l’ossessivo-compulsivo a tratti narcisista, Sheldon, che si trova spesso “incastrato” in routine, faticose per lui e soprattutto per i suoi amici: guardare la televisione mentre fa colazione sempre con lo stesso cibo alla stessa ora e seduto nello stesso punto del divano. Segue pedissequamente le regole sociali insegnate dalla madre, ad esempio offrire una bevanda calda a chi sta male. Interessante è lo smarrimento, espresso benissimo dall’attore, che colpisce Sheldon quando, per un motivo qualsiasi, non riesce a portare termine una delle sue routine. Tale smarrimento è dovuto all’incapacità di trovare un’alternativa e Sheldon si trova come in un video bloccato in pausa. Viene descritto molto bene il contrasto tra l’impareggiabile problem solving in abito scientifico e l’assenza di strategie alternative in ambito sociale: nella fisica teorica Sheldon riesce a controllare tutto, anche le variabili, ma nella vita sociale questo è impossibile e Sheldon ci prova, a volte con successo ma nella maggior parte dei casi fallendo, usando regole sociali rigide e inflessibili. Il vantaggio per lui è forse la completa mancanza di empatia e di lettura delle proprie emozioni, questo gli consente di sopravvivere ai fallimenti, senza essere oppresso dal senso colpa di aver recato un danno agli altri. Ma nello stesso tempo gli impedisce di “leggere tra le righe” a tal punto da non riuscire, in molti casi, a capire il sarcasmo e l’ironia.

Come scienziato Sheldon è un narcisista incallito: intollerante alle critiche e con un elevato senso di grandiosità. Questo aspetto, che spesso può scatenare emozioni di intolleranza, viene mitigato dall’inettitudine che rende il personaggio insicuro e indifeso.

Leonard Hofstadter presenta tratti legati al disturbo d’ansia. Risulta essere il personaggio che meglio si adatta alle situazioni: sembra fare propri gli scopi degli altri (accetta sempre tutto immediatamente, solo dopo aver accettato mostra un atteggiamento critico). Questo potrebbe far pensare ad una personalità dipendente che ha difficoltà nel capire quali siano i propri scopi. Leonard, a differenza di Sheldon, ha infatti grandi capacità di empatia e adatta il proprio comportamento a quello che pensa vogliano gli altri da lui. Vive con Sheldon e accetta tutte le sue bizzarrie e le regole stravaganti (come il contratto tra coinquilini). In linea con una personalità dipendente, si sintonizza sulle esigenze ed aspettative degli altri, provocando una soddisfazione narcisistica. Sarà forse per questo motivo che è il migliore amico di Sheldon?!

Poi c’è Raj Koothrappali, affetto da mutismo selettivo: è incapace di parlare con le donne. Fobia per le donne che impara a gestire con l’uso di alcool, che lo trasforma in un seduttore affascinante. Quadro adattabile a una personalità evitante, che supera la paura del giudizio con l’uso di sostanze entrando in uno stato di rivalsa narcisistica, come se fosse padrone di sé e della situazione, con il risultato di sembrare ancora più ridicolo e inadeguato. Fa riflettere sul fatto che l’alcool non funziona granché, e sarebbe più funzionale un’altra soluzione.

Howard Wolowitz tenta di essere seducente e provocante, tenta di usare l’aspetto fisico per attirare l’attenzione delle donne che incontra. I suoi, però, rimangono tentativi per numerose puntate fino a quando finalmente qualcosa cambia. La sua crescita è, infatti, contraddistinta dal passaggio da un rapporto simbiotico con una madre autoritaria, ad una vita di coppia con una compagna autoritaria tanto quanto, se non di più, della madre. Queste caratteristiche potrebbero nascondere una personalità istrionica.

E infine abbiamo Penny, che con molta pazienza si prende cura di Sheldon, esorta Raj nell’affrontare la sua fobia, trova una compagna per Howard e si innamora del preoccupato Leonard. La sua funzione riabilitatrice consiste nel mostrare ai quattro ragazzi il “come si fa” nelle relazioni sociali. E con il procedere delle serie, sembra che i quattro scienziati imparino qualcosa e si applichino per il cambiamento.

L’utilità di guardare The big bang theory?! Consente di osservare le difficoltà legate alle differenti personalità, che nel telefilm vengono descritte come “stranezze” che limitano la quotidianità dei personaggi, ma che li rendono anche unici e amabili.

Stimola il pensiero critico rispetto a queste “stranezze” e nello stesso tempo le esorcizza: in fin dei conti i personaggi saranno patologici ma ci piacciono e ci divertono!

Si può instaurare nello spettatore un processo di problem solving che parte dal riconoscere nella propria vita quotidiana le stranezze viste in tv, fino a stimolare la ricerca di soluzioni utili, soprattutto comportamentali.

In fondo forse ciascuno di noi può imparare qualcosa da Penny!

 

LEGGI ANCHE:

PERSONALITA’ – TRATTI DI PERSONALITA’ – DISTURBI DI PERSONALITA’ – PD

 RAPPORTI INTERPERSONALI – TELEVISIONE E TV SERIES

BRILLANTI, SEXY, INTELLIGENTI E ORGOGLIOSE: ECCO COUGAR TOWN!

 

Il contatto oculare rende più resistenti alla persuasione

– FLASH NEWS-

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

Il contatto oculare prolungato può rendere gli altri più resistenti alle nostre finalità persuasive, specialmente se partono da un punto di vista differente e sono già in disaccordo con noi.

Tenere fisso il contatto oculare è considerato dal senso comune una delle modalità non verbali più efficaci per persuadere l’altro.

Ma una nuova ricerca della University of British Columbia dimostra che in realtà il contatto visivo prolungato può rendere gli altri più resistenti alle nostre finalità persuasive, specialmente se partono da un punto di vista differente e sono già in disaccordo con noi.

Sembrerebbe che il mantenere fisso lo sguardo – o più tecnicamente il contatto oculare diretto- renderebbe gli interlocutori già scettici ancora meno propensi a cambiare il loro punto di vista.

Per indagare gli effetti del contatto oculare nell’ambito della persuasione i ricercatori hanno utilizzato lo strumento dell’eye-tracking e hanno scoperto che i soggetti che fissavano più a lungo negli occhi l’interlocutore con minor probabilità venivano persuasi da quest’ultimo riguardo alcune controverse tematiche.

Anche un secondo esperimento ha confermato questo trend di risultati: i soggetti cui veniva chiesto di fissare a lungo negli occhi l’interlocutore mostravano un minore grado di cambiamento di atteggiamento rispetto a coloro ai quali veniva richiesto di fissare per pari tempo la bocca dell’altro.

Quindi il contatto oculare può avere specifici effetti pragmatici e veicolare significati differenti in funzione del contesto: se nell’ambito di relazioni amicali può essere un indizio di connessione e fiducia, in altre condizioni relazionali può essere più facilmente associato con dinamiche di dominanza. 

Future ricerche dello stesso gruppo indagheranno la correlazione tra il mantenimento del contatto oculare in contesti persuasivi e l’insorgenza di specifici pattern di attivazione cerebrale e fisiologica,  cosi come il rilascio di ormoni dello stress in relazione a tentativi di persuasione.

LEGGI ANCHE:

LINGUAGGIO & COMUNICAZIONE – VOCE & COMUNICAZIONE PARAVERBALE – CONTATTO VISIVO

ARTICOLO CONSIGLIATO:

Un mancato Contatto Visivo è percepito come indifferenza?

 

 

BIBLIOGRAFIA:

 

Spiare gli ex su Facebook. La tendenza al Controllo e le conseguenze

 

 

Facebook spiare ex - Immagine: © Victor Katikov - Fotolia.comFacebook, con oltre 900 milioni di utenti attivi , è il più popolare social network al mondo.

Tutti hanno un profilo su faccialibro, ottima copertina pubblicitaria e vetrina di cose pubbliche e private. Ma cosa ci spinge ad utilizzare Facebook?

Tendenzialmente, serve per tenersi in contatto con amici e conoscenti, nuovi e vecchi, e per sbirciare tra le loro cose. E se tra gli “amici”  fossero presenti fidanzati attuali e pregressi? Beh, in quel caso comincia lo spionaggio! Effettivamente, chi non ha mai controllato cosa faceva un ex su faccialibro?

Forse, a tutti è capitato di farlo, anche più di una volta! E, dopo averlo fatto, ci siamo, indignati, dispiaciuti, incuriositi, arrabbiati, entrati in competizione con eventuali nuove fiamme.

 

Facebook è uno strumento ottimo per venire in possesso di notizie, visto l’accesso alle informazioni altrui in maniera anonima, ma pericoloso, perchè continuando a controllare incessante l’ennesimo post dell’ex non ci concediamo la possibilità di operare un taglio netto con il passato.

Così, ogni giorno siamo lì a controllare e ricontrollare, magari nella vaga e flebile speranza possa esserci qualcosa che rimanda approssimativamente alla nostra persona, o in relazione all’idilliaco rapporto ormai finito. Ed ecco che le speranze continuano a essere vive e l’emozione continua a crescere e il ricordo non muore. Si vive nell’attesa, ma di cosa? Di qualcosa non meglio definito ed è proprio la mancanza di definizione che spinge al controllo.

Questa forma di controllo, compulsivo, determina una forte intrusione relazionale che aumenta  l’angoscia dopo la rottura e prolunga lo struggimento per l’ex partner.

Per esempio , guardando delle foto è possibile rinvigorire il desiderio per l’ex partner, e la voglia di rivivere sensazioni e momenti trascorsi insieme. Ahimè, non sempre va così bene, quando compaiono foto con nuovi partner, le emozioni negative prendono il soppravvento e ci troviamo coinvolti in un vortice melanconico-competitivo avente come conseguenza una tendenza accresciuta verso il controllo della bacheca dell’ex.

Quindi, in qualche modo si ottiene un blocco relazionale e si rimane fissi al momento della rottura del rapporto e la nostalgia e il desiderio per la persona non sono vividi ricordi, ma diventano l’emozione corrente dominate della giornata.  Tutto questo è acuito quando si ha una scarsa possibilità di accesso alle informazioni, perchè meno cose sono note più si diventa famelici di informazioni, e si è li a pendere dalle labbra dell’ultima notifica che ci si appresta a leggere repentinamente.

Ad ogni modo, meno informazioni si riescono ad attingere online, più la curiosità aumenta, più il controllo prende il sopravvento e ci troviamo ancora una vota di fronte al nostro computer sperando di trovare, non si sa cosa, nelle pagine di amici di amici.

Ma, audite audite madame e messeri, se si mantenesse in qualche modo una sorta di amicizia facebookiana è stato dimostrato che dopo il primo impatto emotivo, determinato dall’esposizione alle emozioni che derivano dal venire a conoscenza di cose non sempre piacevoli, l’intensità del sentimento diminuisce e le informazioni pubblicate in bacheca non sono considerate più così intrusive, una sorta di esposizione graduale all’evento/persona traumatico.
Al contrario, ex partner con i quali non si è più in contatto possono rimanere avvolti in alone di mistero che porta all’auto-alimentazione del circolo vizioso del controllo.

Di fatto, guarire da una perdita è un processo lungo e doloroso fatto di recupero ed elaborazione di emozioni negative da integrare in maniera narrativa alla storia personale vissuta con questa persona.

Così, rimanendo amici di Facebook è possibile beneficiare del processo di recupero della rottura e delle emozioni negative derivanti e pian piano elaborarle per poi crescere in relazioni diverse .
In definitiva, tenere sotto controllo qualcuno tramite Facebook non porta a dei benefici, come erroneamente si pensa, pensieri fallaci derivanti da un errato problem solving, ma costituisce il problema stesso che prende il posto del problema reale, ovvero la fine della relazione.

Facebook, controindicazioni: usare a piccole dosi!

 

LEGGI ANCHE:

SOCIAL NETWORK 

PSICOLOGIA DEI NEW MEDIA 

AMORE E RELAZIONI SENTIMENTALI

 

BIBLIOGRAFIA:

Dal gemello “sacrificato” alla rinascita della individualità – PARTE 4

Alessandra Cocchi.

 

Dal gemello “sacrificato” alla rinascita della individualità

Un intervento di Danza Movimento Terapia

PARTE 4

 

DANZAMOVIMENTO TERAPIA:

Il difficile contatto: Controtransfert somatico e Movimento Autentico

LEGGI: PARTE 1 – PARTE 2 – PARTE 3

 

Dal gemello “sacrificato” alla rinascita della individualità - PARTE 4. -Immagine:© adimas - Fotolia.com Il pallone mi era sembrato un materiale perfetto per sperimentare sia col calcio che col lancio a mano l’effort del peso nella verticalità, che assolve al compito di raggiungere ciò che il bambino, secondo la Kestenberg, sperimenta nella Fase Anale, e cioè una forma di base per la presentazione e rappresentazione di Sé e degli oggetti, favorendo l’intenzionalità e l’autoaffermazione.

Riprendiamo la narrazione dell’esperienza di danza movimento terapia con L. Dopo i primi incontri di osservazione e di tentativi di interazione, ho avuto difficoltà a rimanere in contatto con L.. Nell’ascoltare i racconti del bambino, nel tentare una reciprocità di relazione verbale e di movimento non mi sentivo realmente vista da lui, sebbene mi tenesse sott’occhio in continuazione. Ero irretita in un vissuto di noia, sonnolenza, mi distraevo durante i suoi racconti; non riuscivo a trovare un modo di interagire con lui quando gli stavo di fianco mentre, improvvisamente, si dedicava a qualche minuto di movimenti “esplosivi” allo specchio.

Niente sembrava fare presa su di lui, il suo presentarsi come il “bambino non reattivo” descritto dalla mamma e dalla psicologa mi aveva catturata in un generale senso di impotenza, disattivazione e demotivazione, in cui anche i miei movimenti rispecchianti erano totalmente svuotati e inefficaci. Ho potuto diventare cosciente dei fenomeni controtransferali in corso, distinguendo ed esaminando le mie  reazioni oggettive nei confronti del paziente.

I segnali controtransferali somatici mi avvertivano che ero entrata nell’area di collusione con le difese del bambino, paralizzandomi, poichè avvertivo come fra noi non ci fosse un vero confronto, non mi vedesse come persona: io ero per L. un oggetto cui aderire adesivamente con lo sguardo per dare rifugio e protezione al suo Sé grandioso/deprivato.

Heinz Kohut descrive come nella forma di transfert fusionale arcaico (“Tu ed io siamo una sola cosa, quest’unità è dotata di ogni perfezione”) si riattivi il Sé grandioso del paziente, ed era ciò che gratificava L. durante i nostri incontri. Ma tutto ciò poteva avvenire a patto che L. ed io non stessimo troppo vicini fisicamente, o che io non prendessi iniziative. Se mi avvicinavo o se gli facevo proposte interattive, il bambino mi vedeva come il genitore imprevedibile e distante, portatore di esperienze frustranti e intrusive, da cui doveva difendersi, e si deanimava.

Oppure non accettava i miei tentativi di provare a rendere efficaci i suoi movimenti “esplosivi”, per  mettere nel corpo la “forza grandiosa”; e così i suoi calci e pugni erano sferrati in aria, nella fantasia di abbattere l’immaginario nemico o avversario, da cui in realtà era abbattuto. Non mi sentivo mai sicura di stare facendo la cosa giusta per lui, e mi sentivo come una madre che non riesce a capire cosa stia succedendo al proprio bimbo, come doveva essersi sentita sua madre, dunque. Ero dunque inglobata e paralizzata in una riattualizzazione della relazione precoce fra L. e la sua mamma.

In una attività di MA svolta in quel periodo, entrai in contatto con le qualità di movimento con cui L. esprimeva da una parte la deprivazione relazionale ed emotiva, dall’altra il conseguente cristallizzarsi del ruolo di “sacrificato”. Erano le stesse qualità che L. tentava di esprimere immaginando di essere un eroe del wrestling: io dovevo portare L. a produrre gesti compiuti, con un inizio e una fine, e non lasciarlo solo a cercare un pallido e frustrante riflesso di questi gesti, perduto e irretito nel suo mondo immaginario, irreale. Al crocevia della pubertà, L. stava semplicemente cercando di emergere dal “mondo dell’ombra” in cui era stato relegato.

Considerando gli elementi di movimento su cui potevo sintonizzarmi per agire come Oggetto-Sé empatico, ho deciso di lavorare sugli elementi mancanti, in ombra, non integrati, ma fortemente desiderati da L., e impossibili da raggiungere da solo.

Ho cercato quindi materiali facilitatori per aiutare lui e me a rimanere in contatto con le qualità di movimento che stavamo cercando: i materiali avrebbero facilitato l’indirizzarsi e lo strutturarsi dell’azione corporea, favorito l’intenzionalità del movimento, creato sia un “pretesto” per esplorare nuovi movimenti, che una possibilità di raccontare se stessi col movimento.

Il pallone mi era sembrato un materiale perfetto per sperimentare sia col calcio che col lancio a mano l’effort del peso nella verticalità, che assolve al compito di raggiungere ciò che il bambino, secondo la Kestenberg, sperimenta nella Fase Anale, e cioè una forma di base per la presentazione e rappresentazione di Sé e degli oggetti, favorendo l’intenzionalità e l’ autoaffermazione.

Questi movimenti favoriscono altrettanto l’ efficacia per muoversi verso la dimensione sagittale, movimento descritto nel KMP come specifico della fase uretrale. In questa fase, il bambino sperimenta la mobilità nel camminare e nel correre nello spazio, nel fermarsi e nel ripartire e nell’ alternanza fra flusso libero e flusso tenuto, sente che il suo corpo è mobile ed elastico. La palla è un oggetto che può riportare alle caratteristiche dello sviluppo e della funzione materna di questo periodo: quella “mobilizzante”, che spinge il bambino a esplorare lo spazio, e quella “contenente” che ritorna a lui e da cui lui ritorna quando l’esplorazione è terminata.

Gli ho proposto di centrare un grande foglio che avevo attaccato al muro come bersaglio (attivazione dello spazio diretto), dove poter tirare successioni di cinque pallonate forti (attivazione del peso forte attivo), dopo di che respirare profondamente per ricaricarsi (connessione col flusso di forma).

L. si è interessato subito a questo gioco, e in esso ha sperimentato il piacere di calciare un pallone pesante e resistente, che richiede ai muscoli una forte attivazione e alla forma del corpo un grande adattamento. Sono emersi fin da subito i gesti direzionali di allungarsi verso lo spazio e poi tornare a chiudersi, allontanarsi e avvicinarsi, separarsi dall’oggetto e poi ritrovarlo, mantenendo un focus direzionale nello spazio e stabilità corporea.

Così L. si è allenato a sentire il  peso, alternando flusso libero e tenuto: gradualmente si è concentrato sul bersaglio da colpire e sul peso attivo da utilizzare nel calcio al pallone, per potere calciare da distanze sempre maggiori. Il bambino ha anche sperimentato l’allargamento e il  restringimento della propria forma corporea, ed è emersa dapprima la connessione omolaterale nella dimensione sagittale che gli permetteva di sperimentare la stabilità di una parte del corpo, mentre l’altra si muoveva in avanti, in una collaborazione degli opposti, e in una organizzazione chiara dei compiti di ciascuna parte del corpo, che dava efficacia al gesto; successivamente si è espressa in pienezza, nei calci più forti e angolati, in cui sfruttava tutto lo spazio della palestra, anche la connessione controlaterale  (Hackney 1999), grazie alla quale ho potuto vedere L. compiere movimenti tridimensionali, in grado di “scolpire” lo spazio.

Finalmente eravamo riusciti a interagire uscendo dal mondo della frustrazione e della fantasia e ad avviare una relazione portando una cosa molto semplice: un calcio a un pallone! Le fantasie di movimenti che esprimessero forza e potenza, finalmente si sono potute riversare nella realtà, e L. ha potuto avere al suo fianco un adulto che lo aiutava e lo incoraggiava in questa ricerca di autoaffermazione e di efficacia.

Ma, man mano che il gioco proseguiva nelle settimane, avvertivo sempre più chiaro in quei calci il “rumore di fondo” dell’aggressività. Attendevo dunque, fiduciosa, ma anche timorosa, i nuovi sviluppi del processo terapeutico.

LEGGI ANCHE:

FAMIGLIA – BAMBINI – GENITORIALITA’ – ARTETERAPIA – PSICOANALISI – TRANSFERT

PARTE 1 – PARTE 2 – PARTE 3

 

 

BIBLIOGRAFIA:

  • Agnew ,C.L., Klein, A., Ganon, J.A. (2006), Twins! Pregnancy, birth and the first year of life, Harper Collins Publishers, New York
  • Bacal, H. A., Newmann, K. M. (1990), Teorie delle relazioni oggettuali e psicologia del Sé, Bollati Boringhieri, Torino 1993.
  • Barbieri, F., Fischetti, C. (1997), Crescere gemelli. Individuazione psichica e relazione con l’ambiente delle coppie gemellari. Phoenix Editrice, Roma 1997.
  • Bartenieff, I. (1983), Body Movement: Coping with the Environment, Gordon & Breach, New York, 1983.
  • Bick, E. (1968), The Experience if the skin in early object-relations, in Meg Harris Williams, in Collected papers of Martha Harris and Ester Bick, The Clunie Press, Perthshire, Scotland 1978
  • Bion, W. (1963), Gli elementi della psicoanalisi, Armando, Roma 1979.
  • Bloom, K.  (2006), Il Sé nel corpo, Astrolabio, Roma 2007.
  • Bollas, C. (1987), L’ombra dell’oggetto, Borla, Roma, 1989.
  • Brazelton, T., Cramer, B. (1990), Il primo legame, Frassinelli, Milano 1991.
  • Chodorow, J. (1991), Danza Terapia e psicologia del profondo, Red Milano 2005.
  • Dosamantes- Beaudry, I. (2007), Somatic Transference and Countertransference in Psychoanalytic Intersubjective Dance/Movement Therapy, in: American Journal of Dance Therapy, 29(2), American Dance Therapy Association 2007.
  • Favaretti Camposampiero F., Di Benedetto P., Cauzer M. (1998), L’esperienza del corpo. Fenomeni corporei in psicoterapia psicoanalitica, Dunod Masson, Milano 1998.
  • Girard, R. (1972), La violenza e il sacro, Adelphi, Milano 1980.
  • Govoni, R. M. (1998),  Danza: Linguaggio poetico del corpo e strumento di cura, in: Belfiore, M., Colli L. M. (a cura di) (1998), Dall’esprimere al comunicare. Immagine, gesto e linguaggio nell’Arte e nella Danzamovimento Terapia, Pitagora, Roma 1998.
  • ——————  (1998a), Emozione, espressione, cura. Movimento e danza: modalità espressive nel processo psicoterapeutico, in: Ricci-Bitti, P. E. (a cura di) (1998), Regolazione delle emozioni e artiterapie, Carocci, Roma 1998.
  • ——————  (2012), Corpi in movimento, luoghi generativi di trasformazione, in: Atti del Convegno APID 2010 ,Il corpo contemporaneo, Ed. Psychomedia, 2012
  • Hackney, P. (1998), Making connections, total body integration through Bartenieff Fundamentals, NY, Routledge 2002.
  • La Barre F.,  (2001) Muoversi in analisi, Astrolabio, Roma 2008.
  • Kestenberg, J. (1975), Children and Parents: Psychoanalytic Studies in Development, New York: Jason Aronson, Inc., 1975.
  • Kestenberg, J., Sossin, K. M. (1979), The role of Movement patterns in development, Dance Notation Bureau Press, New York.
  • Kohut, H. (1971), Narcisismo e analisi del Sé, Bollati Boringhieri, Torino 1976.
  • ———— (1977), La guarigione del Sé, Bollati Boringhieri, Torino 1980.
  • Pallaro, P. (a cura di) (1999), Movimento Autentico. Scritti di Mary Starks Whitehouse, Janet Adler e Joan Chodorow, Cosmopolis, Torino 2003.
  • Pieraccini P. (2012), Il Corpo in movimento come luogo generativo di trasformazione. Un approccio della DMT al paziente borderline,  in Atti del Convegno APID 2010 “Il corpo contemporaneo”, Ed. Psychomedia, 2012.
  • Sandbank A. (1988), Manuale ad uso dei genitori di gemelli, Raffaello Cortina 1999.
  • Spitz R. (1965), Il primo anno di vita del bambino, Giunti, 2009.
  • Stella G, Zavattini G. C. (1999), Manuale di Psicologia dinamica, Il Mulino, Bologna.
  • Stern, D.N. (1985), Il mondo interpersonale del bambino, Bollati Boringhieri, Torino 1987.
  • ————— (1989), I disturbi delle relazioni nella prima infanzia, Bollati Boringhieri, Torino 1991.
  • ————— (1995), La costellazione materna. Il trattamento psicoterapeutico della coppia madre-bambino, Bollati Boringhieri, Torino 1995.
  • Valente Torre L. (1999), La singolarità del doppio. Studi sui gemelli. La Nuova Italia Editrice, Firenze.
  • ——————— (2001), La conflittualità nei gemelli, in Atti del Convegno: I gemelli, la persona, la famiglia e la scuola. 2 Febbraio 2001,  Edizioni Città di Torino.
  • Winnicott, D. (1945), Lo sviluppo emozionale primario, in: (1965), Dalla pediatria alla psicoanalisi, cit.
  • —————— (1950), L’aggressività e il suo rapporto con lo sviluppo emozionale, in: (1978), Dalla pediatria alla psicoanalisi, cit.
  • —————— (1953), L’intelletto e il suo rapporto con lo psiche-soma, in: (1965), Dalla pediatria alla psicoanalisi, cit.
  • —————— (1954), Gli aspetti metapsicologici e clinici della regressione nell’ambito della situazione analitica, in: (1965), Dalla pediatria alla psicoanalisi, cit.
  • —————— (1955), Le forme cliniche del transfert, in: (1965), Dalla pediatria alla psicoanalisi, cit.
  • —————— (1958),  Dalla pediatria alla psicoanalisi, Martinelli, Firenze 1975.
  • —————— (1960), La teoria del rapporto infante-genitore, in: (1970), Sviluppo affettivo e ambiente, cit.
  • —————— (1962), L’integrazione dell’Io nello sviluppo del bambino, in: (1970), Sviluppo affettivo e ambiente, cit.
  • —————— (1965), Sviluppo affettivo e ambiente, Armando, Roma 1970.
  • —————— (1971), Gioco e realtà, Armando, Roma 1974.
  • Zazzo R. (1984), Il paradosso dei gemelli. La Nuova Italia, Firenze 1987.

Libertà di parola (2013), di Nigel Warburton – Recensione

Recensione del libro:

Libertà di parola

di Nigel Warburton

(2013)

 

LEGGI TUTTE LE RECENSIONI DI STATE OF MIND

Libertà di parola . - Immagine @Forsthoff-B-927Libertà di parola: Il filosofo inglese Nigel Warburton – con il suo ultimo saggio, pubblicato da Raffaello Cortina editore – ci offre una visione critica, ed analitica dell’effettiva valenza di una libertà tanto importante, come quella di parola, nella società odierna

Disapprovo ciò che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo”. Non è forse questa espressione, attribuita a Voltaire, che più di ogni altra sublima la radice della libertà di parola? “Certamente”, potrebbe sostenersi in prima battuta. “Forse”, verrebbe da pensare riflettendoci qualche minuto in più. “No”, azzarderebbero alcuni.

E allora, cosa vuol dire in realtà libertà di parola? E quanto influiscono gli schemi individuali, sociali o la situazione politica?

Il filosofo inglese Nigel Warburton – con il suo ultimo saggio, pubblicato da Raffaello Cortina editore – ci offre una visione critica, ed analitica dell’effettiva valenza di una libertà tanto importante, come quella di parola, nella società odierna. L’autore traccia, così, una sorta di percorso a mezzo del quale disegna, ad uso e consumo del lettore, una tela sulla quale prendono forma, pagina dopo pagina, molteplici e talora contrastanti riflessioni. Riflessioni che accompagnano in un viaggio che muove i primi passi sul selciato di casi pratici, noti alla cronaca, ed assai discussi, vertenti proprio sul delicato tema della libertà di parola, intesa come ampia gamma di comunicazione, scritta, verbale, fotografica, o cinematografica.

Ebbene, Warburton – nel richiamare, con immediatezza espositiva, peculiari vicende – ci ammonisce della difficoltà di individuare le eccezioni alla rivendicazione della libertà di parola, che consentano di leggere il principio in maniera coerente ed estranea ad indesiderabili censure. Così, egli ricorda come in quante occasioni, nel più recente trascorso, scrittori, politici, registi, abbiano dovuto bilanciare tale libertà – lungi dal poterne individuare una zona franca, scevra da limiti e confini – con l’esigenza di garantire alla società la protezione di rilevanti fattori, quali la sicurezza nazionale, o il pregiudizio al minore. Bilanciare senza censurare, si intende. Ecco che l’autore ricorda come il giornale Index on Censorship, per anni abbia relazionato di scrittori imprigionati, torturati o uccisi per aver espresso le loro idee.

ARTICOLI SU: PSICOLOGIA & FILOSOFIA

E ancora, si apre lo scenario sul memorabile verdetto emesso dal giudice Oliver Wendell Holmes Jr nella decisione “Schenck vs United States”, quando sostenne che la libertà di parola non includesse la libertà di urlare “Al fuoco!” in un teatro affollato. Il filosofo si sofferma, poi, sul caso del libro “Hit Man: A Technical Manual for Indipendent Contract Killers”, che – scritto come lavoro di finzione teso a fornire indicazioni sul come uccidere e disfarsi dei corpi – monopolizzò l’attenzione pubblica quando un certo Horn, seguendo le istruzioni contenute nell’opera, assunse un killer per uccidere l’ex moglie, il figlio e la sua infermiera, ed incassarne così l’assicurazione.

Ricordando, poi, la questione degli incriminati passaggi contenuti nel noto romanzo “I versi satanici” di Rushdie, lo studioso – nel secondo capitolo – ci introduce nel dibattito filosofico dominato dal “Saggio sulla libertà” di John Stuart Mill, a difesa della tolleranza di un vastissimo ambito di espressioni individuali, fermo il rispetto del cosiddetto “principio del danno”, ovvero della preservazione della libertà d’espressione, contenibile nei soli limiti della possibilità di arrecare pregiudizio ad altri soggetti.

E se la discussione di Mill – sostiene Warburton – “getta comunque luce sul problema della negazione dell’Olocausto” – tale caso, focalizzato sui fatti e dunque sulla circostanza che affermazioni specifiche potessero o meno essere veritiere, differisce nettamente da altre questioni. Si pensi alla prima messa in scena della commedia “Behzti” (disonore) interrotta da manifestanti sikh, che la reputarono offensiva. Di qui, lo scrittore torna sulla querelle inerente l’efficacia offensiva della parola, accendendo i riflettori sui limiti da porsi a detta libertà, nell’ipotesi in cui ne possa discendere un’offesa a terzi. Il riferimento, in particolare, è alla sensibilità religiosa. Il filosofo, in sintesi, si chiede se possa imbavagliarsi la parola a fronte del pregiudizio arrecato, o arrecabile, a questo o a quel credente.

Si percorrono – nel terzo capitolo – le vie della legge sulla blasfemia, della proposta legislativa avanzata da Tony Blair nel 2005 sulla proibizione dell’incitazione all’odio religioso, sul tragico omicidio del regista Theo van Gogh, ucciso da un uomo che appuntò sul petto della vittima una lettera che citava il Corano. L’opera si adagia, poi, sulla problematica sfida alla liberta d’espressione: la pornografia.

L’autore – richiamando il pensiero di Schauer, che la inquadra come mero ausilio sessuale, e non come vera e propria comunicazione – giunge a chiedersi se, assicurata l’assenza di lesioni a terzi, ed escluso il danno psicofisico per gli stessi attori che partecipano alla realizzazione delle scene, la si dovrebbe tollerale o meno. Pornografia messa in connessione, di seguito, con l’arte.

Interessante, sul punto, l’annotazione del processo “Lady Chatterley”, teso a stabilire se potesse consentirsi la pubblicazione del romanzo, o se, invece, dovesse propendersene per il veto alla stampa, alla luce dell’Obscene Publications Act.

Scorrendo oltre, la penna del Warburton si adagia sulle potenzialità legate all’avvento delle nuove tecnologie e del particolare sistema di interazione attraverso la chat room, o gli incontri virtuali. Ecco che lo scrittore, legandosi al pensiero di Richard Posner, elenca i pericoli, da questi individuati, e connessi all’uso di Internet (anonimato, mancanza di controllo di qualità, enorme pubblico potenziale, la comunicazione tra persone antisociali).

Non da ultimo, esamina le problematiche legate al web, ed agli ulteriori limiti alla libertà di parola imposti dalla legislazione sul copyright. Inciso nella mente del lettore, lo si deve ammettere, è il rilievo conclusivo per cui – se è vero che Internet “democraticizza la comunicazione” – allora nel futuro che ci apprestiamo a percorrere, la tolleranza della libertà di parola potrà inquadrarsi (più che come decisione di principio), quale mero “risultato della difficoltà pratica di ridurre al silenzio così tante voci espresse in così tanti modi intorno ai principali media”.

Si chiude, così, con un marcato input ad una coerente riflessione sugli odierni mutamenti, la pregiata opera di Warburton.

 

LEGGI TUTTE LE RECENSIONI DI STATE OF MIND

LEGGI ANCHE:

 LINGUAGGIO & COMUNICAZIONE – PSICOLOGIA DEI NEW MEDIA – SESSO – SESSUALITA’

SULL’INGIUSTIZIA DI AMARTYA SEN (2013) – RECENSIONE

 

 

BIBLIOGRAFIA:

 

Rimuginio e Ruminazione nella Sindrome Fibromialgica – Assisi 2013

 

Assisi 2013

LA SINDROME FIBROMIALGICA:

IL RUOLO DEL RIMUGINIO E DELLA RUMINAZIONE RABBIOSA

Ricci A. 1, Bonini S. 1, Continanza M.1, Turano M.T.2, Puliti E.1,2, Finocchietti A.1,3

 1 Scuola Cognitiva Firenze; 2 Centro Cognitivismo Clinico Firenze; 3 Studi Cognitivi Milano.

Introduzione

La Fibromialgia è una malattia reumatica caratterizzata da dolore muscolo-scheletrico cronico

ed esteso a tutte le aree del corpo, dalla presenza di aree dolorabili alla digitopressione senza però presentare alterazioni rilevabili con esami di laboratorio. A livello clinico, inoltre, il dolore sembra essere associato ad una complessa sintomatologia extra-scheletrica che varia da caso a caso. Nell’ultimo decennio vari studi, partendo dal modello biopsicosociale, si sono focalizzati sull’analisi dei fattori psicologici coinvolti nell’insorgenza ed evoluzione della SF dimostrando l’esistenza di una comorbilità con i disturbi d’ansia e i disturbi dell’umore.

Inoltre da un nostro precedente studio è stato possibile osservare, rispetto ad un campione di soggetti sani, un diverso profilo psicologico nei soggetti fibromialgici in relazione all’ansia e alle

variabili cognitive di controllo e rimuginio.

 

Obiettivo

Lo scopo del presente lavoro è stato quello di esplorare la differenza tra un gruppo di soggetti affetti da Sindrome Fibromialgica, un gruppo con altre patologie di dolore cronico (osteoporosi e artrosi) e un gruppo di soggetti sani rispetto alle variabili  ansia e depressione.

Inoltre si è indagata la differenza tra i tre gruppi relativamente ai processi cognitivi di rimuginio ansioso e ruminazione rabbiosa.

 

Metodo

A 30 soggetti con diagnosi di Fibromialgia (SF), con età media pari a 53,79 anni, a 30 soggetti con un’altra tipologia di dolore cronico (osteoporosi e artrosi) (DC), di età media pari a 61,63 anni, e a 30 soggetti sani (SANI), di età media pari a 56,29 anni, è stata somministrata una batteria di test composta da:

– Questionario anamnestico

– State-Trait Anxiety Inventory STAI – Y

– Penn State Worry Questionnaire PSWQ

– Anger Rumination Scale  ARS

– Beck Depression Inventory BDI-I

Successivamente dai dati ricavati sono state calcolate le differenze tra i tre gruppi rispetto a tutte le variabili considerate.

 

Analisi dei dati

E’ stata condotta una Analisi della varianza (ANOVA) separatamente per ciascuna variabile considerata attraverso la quale è stata verificata una differenza significativa tra i gruppi in tutti i test: STAI di stato (F=62.5; p<0.001); STAI di tratto (F=51.7; p<0.001); PSWQ (F=69.9; p<0.001); ARS (F=66.5; p<0.001); BDI (F=707.2; p<0.001).

Nei test STAI di stato, STAI di tratto, PSWQ e ARS, SF differisce sia dal DC (p<0.001) che dai SANI (p<0.001), presentando livelli più alti di ansia di stato e di tratto, rimuginio ansioso e ruminazione rabbiosa; DC e SANI non differiscono significativamente.

Nel test BDI, ciascun gruppo differisce significativamente dall’altro (p<0.001); SF presenta livelli di depressione più alti rispetto ai SANI, ma non al DC; il DC presenta un livello di depressione più alto sia rispetto ai SF che ai SANI.

 

Conclusione

In accordo con la letteratura, il gruppo SF presenta livelli più alti alla variabile ansia rispetto al gruppo DC e ai SANI e alla variabile depressione, rispetto al solo gruppo SANI. In riferimento a quest’ultima variabile, il gruppo DC presenta livelli più alti sia rispetto al gruppo SF che ai SANI: dato interessante che necessita di ulteriori approfondimenti.

Lo studio evidenzia un risultato nuovo, non presente ad oggi in letteratura: i pazienti fibromialgici mostrano, infatti, livelli più alti alle variabili rimuginio ansioso e ruminazione rabbiosa rispetto agli altri due gruppi. I dati relativi al rimuginio ansioso sono in linea con quanto emerso nel nostro precedente studio, mentre risulta essere del tutto innovativo il dato relativo alla ruminazione rabbiosa.

Questi risultati hanno permesso di aggiungere ulteriori caratteristiche al profilo psicologico del paziente fibromialgico e potrebbero avere importanti implicazioni nel trattamento della Sindrome Fibromialgica attraverso protocolli mirati di CBT.

ll presente studio si sta attualmente sviluppando attraverso l’analisi correlazionale di tutte le variabili oggetto della ricerca.

 

Riferimenti Bibliografici

Baldetti & Bartolozzi, 2012; Bonini et al.; 2012, Ghisi et al.; 2006, Pedrabissi & Santinello, 1989; Sanavio et al.,1997; Sarzi–Puttini, 2003; Sarzi-Puttini & Cazzola, 2009; Sassaroli, Lorenzini & Ruggiero,2006

 

ARTICOLI SU: RIMUGINIO E RUMINAZIONE

TUTTI GLI ARTICOLI SU ASSISI 2013

GUARDA IL VIDEO DEL DISCORSO DI APERTURA (S. Sassaroli e F. Mancini)

ELENCO COMPLETO DEI LAVORI

 

Bias Egocentrico Emotivo: quale area cerebrale è coinvolta? – Neuroscienze

– FLASH NEWS-

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

Bias egocentrico emotivo: Quando siamo tristi ci sembra che il mondo pianga con noi, quando siamo contenti invece tutto splende e anche gli altri ci sembrano felici.

Si pensa che questo noto meccanismo di proiezione delle proprie emozioni sugli altri possa essere alla base della capacità di interpretare e rapportarsi agli altri.

In alcune circostanze, tuttavia, questo egocentrismo emotivo – un errore chiamato bias egocentrico emotivo, EEB –  può indurci ad errori grossolani.
Giorgia Silani , neuroscienziato presso la SISSA , in collaborazione con un gruppo internazionale di ricercatori ha identificato un’area del cervello coinvolta in questo processo.

I ricercatori hanno misurato la probabilità dei soggetti di sbagliare valutazione, poi, grazie alla risonanza magnetica funzionale, hanno identificato una zona cerebrale che si attivava quando i soggetti commettevano errori: il giro sopramarginale destro.

In una  terza fase dell’esperimento i ricercatori hanno cercato di “sabotare” l’attività cerebrale di questa zona, disattivando temporaneamente l’attività nervosa in quest’area con la stimolazione magnetica transcranica. Quando l’area cerebrale era disattivata i soggetti commettevano significativamente più errori della media, confermando il ruolo fondamentale di questa area cerebrale nel processo.

“I risultati del nostro studio,” spiega la Silani “mostrano per la prima volta i marcatori fisiologici dei meccanismi sociali altamente adattabili, come ad esempio la capacità di sopprimere i nostri stati emotivi per permetterci di valutare correttamente quelli degli altri. La ricerca ci permetterà di capire come queste abilità si sviluppano e decadono nel tempo e come possiamo incrementarle.

LEGGI:

BIAS – EURISTICHE NEUROPSICOLOGIA

 

BIBLIOGRAFIA:

 

 

Italy in a Day – Documentario Collettivo di Salvatores, girato da voi.

Italy in a day

Un Social Documentary (Crowd-sourced movie)

Diretto da Gabriele Salvatores

Sabato 26 ottobre 2013 è stato scelto come il giorno di Italy In A Day, progetto cinematografico documentario ricalcato sull’originale Life In A Day su progetto di Ridley Scott, circolato su Youtube nel 2010, definito il primo social movie

Italy in a Day - Progetto di social documentary a cura di Gabriele Salvatores - Immagine: © 2013 Costanza Prinetti
Illustrazione: Costanza Prinetti

LEGGI LA RECENSIONE DI LIFE IN A DAY (2010) DI RIDLEY SCOTT

Da qualche anno, più precisamente dalla comparsa degli amati e vituperati social network, i nostri autoscatti, le foto con gli amici, i nostri pranzi e le nostre cene, i nostri video più o meno divertenti sono finiti su bacheche di Facebook o circuiti di Instagramers, giusto per citare due dei social più famosi; gli autoscatti delle nostre gambe nude e abbronzate in riva al mare sono state protagoniste dell’estate 2013 con la serie “Wurstel che pubblicano le foto della propria vacanza”, ripresa da più testate giornalistiche. E l’autoscatto non si chiama più autoscatto, già: ora si dice selfie.

Tutti questi frammenti visivi delle nostre vite, però, circolano ancora separati, in chiave autoreferenziale: sono simili a parole solitarie che non riescono a formare un vero e proprio discorso leggibile. In poche parole, non raccontano una storia. Sono accenni, semmai.

Per questa valanga di immagini c’è adesso l’occasione di inserirsi in un nuovo canale più collettivo, più “partecipativo”. Sabato 26 ottobre 2013 è stato scelto come il giorno di Italy In A Day, progetto cinematografico documentario ricalcato sull’originale Life In A Day su progetto di Ridley Scott, circolato su Youtube nel 2010, definito il primo social movie.

Prodotto da Indiana Production e da Rai Cinema con Gabriele Salvatores alla regia, Italy In A Day sabato prossimo darà la possibilità di mostrare a tutti, e non solo agli “amici di bacheca”, la nostra quotidianità: che si tratti di portare a spasso il cane, accogliere in aeroporto un gruppo di ceramisti tedeschi o affrontare un’operazione chirurgica; la prima colazione in famiglia, i capricci del figlio, la macchina che si è rotta, la spesa al supermercato dell’ultimo minuto; la telefonata via Skype a un amico lontano, il cinema del sabato sera o la nascita di un figlio… niente è banale, tutto è ben accolto.

I filmati verranno in seguito selezionati e montati per creare l’affresco di un giorno in Italia. Vedere cosa la gente avrà scelto di riprendere potrà farci intuire, forse, una sorta di possibile “psiche” (o zeitgeist) nazionale al di sopra di politica, religione e credo?

 

Per chi volesse partecipare, tutte le informazioni sono disponibili sul sito www.italyinaday.rai.it

 

LEGGI ANCHE: Life in a day: un Poema Audiovisivo 2.0

ARTICOLI SU: CINEMA

CINEMA & PSICOTERAPIA

Màt 2013: la Settimana della Salute Mentale – Modena

Renata Bedini, Associazione Insieme a Noi

 Màt 2013

La Settimana della salute Mentale a Modena

 

Si è apertaMàt 2013 - Settimana della salute Mentale venerdì 18 ottobre la terza edizione della Settimana della Salute Mentale a Modena, una sperimentazione di divulgazione scientifica e partecipazione pubblica nata dalla collaborazione tra il locale Dipartimento di Salute Mentale e le associazioni del territorio.

Il Direttore del Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze Patologiche Fabrizio Starace e i Presidenti delle associazioni di utenti e familiari Paola Relandini e Tilde Arcaleni hanno presentato stamane 10 ottobre un programma ricco di iniziative artistiche e culturali, di approfondimento scientifico e di dibattito.

Sempre più nutrito e variegato il gruppo di ospiti nazionali e internazionali che accompagna la manifestazione. Si va da Shekhar Saxena, Direttore della divisione Salute Mentale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, a Peppe Dell’Acqua, successore ed erede di Franco Basaglia nell’impegno per l’umanizzazione dei luoghi di cura della sofferenza psichica. Passando per il Vice Ministro Maria Cecilia Guerra e il Senatore Nerina Dirindin, note per il grande impegno profuso per la modernizzazione e l’equità nelle politiche di welfare. Da David Shiers, esperto britannico di politiche sanitarie, allo scrittore Ugo Cornia, che si cimenterà in un dialogo letterario con la follia. Passando per Sergio Zavoli e Massimo Cirri, due generazioni di grandi giornalisti a confronto, fino ad arrivare a Bobo Rondelli, cantautore livornese noto al pubblico per le sua ballate intrise di ironia e impegno civile.

Il filo conduttore degli eventi della settimana sarà quello della “guarigione possibile”, un tema scelto per dare speranza a chi soffre un disagio psichico oppure vive in famiglia l’esperienza della malattia di un proprio caro. Un’esperienza largamente diffusa, come dimostrano i dati recentemente divulgati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Secondo le stime scientifiche, una persona su tre vive un periodo di disagio psichico nell’arco della propria esistenza. Il confronto con i dati raccolti dall’OMS negli anni precedenti dimostra inoltre che è in corso una crescita delle richieste di intervento psichiatrico, da ricollegare alle crescenti condizioni di stress provocate dalla crisi economica in atto.

Si è scelto allora proprio il tema della guarigione possibile per mantenere vive le ragioni di un argomentato ottimismo. I dati in raccolti dal Dipartimento di Salute Mentale dell’AUSL di Modena dimostrano che negli ultimi anni stanno crescendo in qualità e in quantità le “buone prassi” all’interno dei servizi della Provincia. La maggiore attenzione alle evidenze scientifiche, la costante collaborazione e la verifica dei risultati svolte con i rappresentanti degli utenti e dei familiari, stanno accrescendo l’efficacia degli interventi e, di conseguenza, aumentando la credibilità del servizio pubblico. L’abbattimento degli episodi di “contenzione” purtroppo ancora tristemente diffusi fino a qualche anno fa, dimostra il “cambio di rotta” dei servizi di salute mentale, ormai orientati verso la promozione dei diritti e delle capacità personali, che, se protette e coltivate, resistono anche al sopraggiungere del disturbo più severo.

La relazione annuale presentata dal Dipartimento indica sempre più chiaramente il cambiamento complessivo che sta interessando la cultura dei servizi: superato l’ultimo pregiudizio della “inguaribilità”, nessun cittadino può più essere condannato a perdere il proprio ruolo e i propri diritti in conseguenza di una diagnosi psichiatrica. Ma questo, come sottolinea il Direttore Starace, solo a patto che alla tutela della salute mentale siano affidate risorse in misura congrua e razionale. Proprio nel momento in cui la cittadinanza è più esposta ai rischi di una crisi che ha gravi ripercussioni sulla salute mentale, la collettività e i suoi organi di governo hanno il compito di rafforzare le reti di difesa. In primo luogo aumentando la spesa sociale, in secondo luogo riconvertendo la spesa oggi destinata ai ricoveri ospedalieri, spesso svilenti e dannosi per chi li subisce, in interventi professionali rivolti alla crescita della sensibilità, della consapevolezza e della capacità di accogliere e superare il disagio.

La settimana della Salute Mentale lancia allora un messaggio alla cittadinanza: è necessario “riprendersi la salute”, cioè ripensare alla propria condizione di benessere psicofisico e soprattutto riprendere in mano i servizi pubblici: controllare, valutare, esprimere bisogni, proporre idee e soluzioni.

E proprio questo è stato lo spirito che ha orientato la costruzione di questo programma denso di iniziative: da Febbraio a Settembre sono giunte più di 90 proposte da soggetti interessati del mondo dell’associazionismo, della cooperazione sociale, delle amministrazioni pubbliche, della scuola, dell’università, del volontariato, delle associazioni di categoria, delle associazioni professionali e del mondo imprenditoriale. Dopo 3 assemblee pubbliche e aperte alla cittadinanza, ciascuna con una presenza di circa 80 partecipanti, e un percorso di elaborazione partecipata durato 8 mesi, sono stati definiti più di 80 eventi, che coinvolgono più di 150 enti tra promotori e collaboratori, distribuiti in 50 sedi in 15 Comuni della Provincia. 16 presentazioni di libri, 10 spettacoli teatrali, 8 proiezioni di film, 5 spettacoli musicali, per finire con 3 gruppi di automutuo aiuto “aperti” su problemi specifici come l’abuso di sostanze, un’assoluta novità nel panorama modenese. Innumerevoli i temi toccati: dalla lotta alle mafie, alle nuove dipendenze, agli interventi precoci sul disagio giovanile, dalle politiche sanitarie al ruolo dell’associazionismo, dall’inclusione degli studenti disabili a scuola alle migrazioni, dall’autismo alla scrittura autobiografica, dalla contenzione meccanica al superamento degli Opg, dal rapporto con i Mass Media alle riflessioni di Franca Ongaro Basaglia.

70 sono gli ospiti tra i relatori, provenienti da tutta Italia e rappresentanti di vari territori, esperienze umane e formazioni professionali. Oltre alle associazioni, ai comitati, ai movimenti di cittadini e alle rappresentanze di familiari e utenti, i dibattiti saranno condotti e partecipati da rappresentanti delle professioni mediche, sanitarie, tecniche, accompagnati da psicologi, sociologi, antropologi, pedagogisti, giornalisti, giuristi, giovani ricercatori, sindacalisti, scrittori, esperti di politiche pubbliche, amministratori e rappresentanti delle istituzioni.

Come nella famosa canzone di De Andrè, “dietro ogni matto c’è un villaggio”, dietro Màt può ormai sentirsi rappresentata tutta la comunità modenese, ma questa volta non in una dinamica di esclusione, come era quella narrata dal cantautore genovese, ma orgogliosa di prendere parte a un progetto collettivo di inclusione e costruzione collettiva di benessere.

 

LEGGI ANCHE:

Màt 2012 – La Settimana della Salute Mentale a Modena

Giornata Mondiale della salute Mentale

ARTICOLI SU: PSICHIATRIA E PSICOLOGIA PUBBLICHE

SCOPRI IL PROGETTO PROYOUTH

 

BIBLIOGRAFIA:

  • Mental health action plan 2013-2020. I.Mental health. 2.Mental disorders – prevention and control. 3.Mental health services. 4.Health planning. I.World Health Organization ISBN 978 92 4 150602 1 (NLM classification: WM 101)
  • Organizzazione Mondiale della Sanità – Website: www.who.int

 

L’autocaratterizzazione degli allievi prima e dopo la formazione in psicoterapia – Assisi 2013

Assisi 2013

L’autocaratterizzazione degli allievi prima e dopo la formazione in psicoterapia

Aprile C., Del Ponte H., Di Bari S., Formiconi C.,

Galassi F. R., Ialenti V., Lambertucci L.

(Studi Cognitivi, San Benedetto del Tronto)

 

INTRODUZIONE:

La ricerca consiste in uno studio longitudinale che confronta le autocaratterizzazioni di 20 allievi di una scuola di specializzazione in psicoterapia, all’inizio e al termine del percorso formativo, con quelle di un gruppo di controllo che non svolge nel medesimo arco temporale alcuna formazione. L’obiettivo è verificare se la formazione comporterà negli studenti della scuola un processo evolutivo di assimilazione e accomodamento. Vengono presentati i risultati preliminari. I risultati definitivi si avranno nel 2015 al termine del training di formazione. Le autocaratterizzazioni sono state valutate con l’analisi del contenuto. E’ stato adottato un protocollo che definisce le procedure seguite, il manuale dei codici interpretativi e la griglia di codifica. Un gruppo di ricercatori è stato addestrato e formato e opportune modalità di controllo e rotazione hanno consentito di confrontare e omogeneizzare la codifica delle categorie d’analisi.

HA PRESENTATO IL LAVORO: Dott.ssa Laura Lambertucci

 

 

 

 

LEGGI:

PSICOLOGIA & FORMAZIONE

TUTTE LE PRESENTAZIONI

 

Come cambia la diagnosi dei disturbi di personalità alla luce del DSM 5?

 

Nel DSM 5 i disturbi della personalità sono presenti sia nella sezione II, dove sono stati riproposte le stesse categorie diagnostiche presenti nel DSM IV TR,   sia nella sezione III dove si propone il nuovo modello “ibrido” . Lo scopo è abituare i clinici alla nuova classificazione, dimensionale e tratto specifica, e orientare la ricerca  in questa direzione. Malgrado possano esistere dei vantaggi nell’effettuare  una diagnosi dimensionale ci sono state molte resistenze nell’accogliere la nuova proposta diagnostica al punto da dover riproporre le vecchie diagnosi. Presenteremo, in ogni caso, la nuova nosografia.

 

DSM5 . - Immagine @ o-DSM-5-facebookCome cambia la diagnosi dei disturbi di personalità alla luce del DSM 5? Tantissime sono state le voci che si sono susseguite, cosa resta e cosa sarà eliminato, ma ecco finalmente fare l’ingresso trionfale del nuovo manuale e della nuovissima nomenclatura, almeno per quanto riguarda l’Asse II.

Come si procede in ambito di personalità?

Prima di effettuare diagnosi vera e propria il clinico, esperto, deve seguire una serie di indicazioni che portano a valutare la gravità del disturbo presentato e il funzionamento interpersonale del paziente. In sostanza, sono tre i livelli da valutare: il funzionamento generale, la patologia e i tratti/domini.

In primo luogo, dunque, si effettua una valutazione dimensionale del livello di compromissione del Sé e delle relazioni interpersonali, attraverso un continuum di gravità espresso con 5 livelli (Self and Interpersonal Functioning Continuum).

Successivamente, il clinico deve verificare se presente un disturbo di personalità patologico (borderline, evitante, etc.). Nel caso in cui non fosse presente patologia, ma solo una compromissione generale derivante dalla prima valutazione effettuata, si passa alla valutazione dei tratti/domini di personalità.

Primo step valutativo che mira a definire i diversi livelli di organizzazione della personalità. La Scala dei Livelli di Funzionamento della Personalità, permette di individuare delle dimensioni che si dividono in disturbi del Sé e funzionamento interpersonale.

Per quanto riguarda i disturbi del Sé si hanno due aree da valutare lungo un continuum di gravità:

(1) l’identità, intesa come l’esperienza di se stessi come soggetti unici e dotati di confini definiti, la stabilità della propria autostima, l’accuratezza della propria auto-valutazione e la capacità di regolare una vasta gamma di emozioni;

(2) l’autodirezionalità, intesa come capacità di perseguire obiettivi a breve termine e scopi di vita coerenti e significativi, l’utilizzo di standard di comportamento interni costruttivi e prosociali e la capacità di riflette in modo produttivo su di sé.

Il Funzionamento interpersonale, invece, è valutato tenendo conto di due dimensioni:

(1) l’empatia, intesa come comprensione delle esperienze e motivazioni altrui, tolleranza di prospettive diverse e comprensione degli effetti del proprio comportamento sugli altri;

(2) l’intimità, intesa come profondità e durata delle relazioni positive con gli altri, desiderio e capacità di intimità e rispetto reciproco.

Dopo aver definito questa parte generale, si passa a quella di diagnostica vera e propria, secondo step.

Anche qui, però, sono state introdotte delle novità: saranno sei i disturbi di personalità che si possono diagnosticare: schizotipico, antisociale, borderline, narcisistico, evitante e ossessivo compulsivo.

Mancano, e non saranno reintegrati lo schizoide, l’istrionico, il paranoide e il dipendente. Alcuni potrebbero dire, “che fine hanno fatto il passivo aggressivo e il depressivo di personalità?“. Beh, erano stati eliminati e inseriti in appendice da un pezzo, malgrado nella SCID II erano ancora presenti.

Ognuno di questi disturbi di personalità è presentato in maniera più articolata da come era stato inserito nel DSM-IV TR, perché caratterizzati da una parte sul funzionamento generale e un’altra sui tratti patologici di personalità relativamente stabili, non riconducibili alla condizioni socio-culturali dell’individuo e a una condizione medica generale o all’uso di sostanze.

In sostanza, per porre diagnosi di disturbo di personalità dovranno essere soddisfatti i seguenti criteri:

  • Criterio A. Compromissioni significative del sé e del funzionamento interpersonale (empatia o intimità).
  • Criterio B. Uno o più domini del tratto patologico della personalità o sfaccettature/aspetti del tratto.
  • Criterio C. La compromissione nel funzionamento della personalità e l’espressione del tratto della personalità dell’individuo sono relativamente stabili nel tempo e costanti tra le situazioni.
  • Criterio D. La compromissione nel funzionamento della personalità e l’espressione del tratto della personalità dell’individuo non sono meglio compresi come normativi per la fase di sviluppo individuale o per l’ambiente socio-culturale.
  • Criterio E. La compromissione nel funzionamento della personalità e l’espressione del tratto della personalità dell’individuo non sono dovuti agli effetti fisiologici diretti di una sostanza o di una condizione medica generale

Fatto ciò, si passa alla parte successiva, ovvero l’individuazione di 5 grandi tratti/ domini: Affettività Negativa (AN), Distacco (D), Antagonismo (A), Disinibizione vs Compulsività (DS vs C) e Psicoticismo (P).

Questi 5 domini, valutati anche su una scala dimensionale (0-4) sono ulteriormente articolabili in un totale di 28 sottodomini o “trait-facets”.

Quindi, se un paziente soddisfa i criteri per la presenza di un funzionamento patologico, ma non per uno dei 6 disturbi di personalità, il clinico viene invitato a procedere alla valutazione secondo i 5 grandi domini appena elencati, per mezzo dei quali vengono descritti una serie di Personality Disorders Trait Specified (PDTs) che prendono il posto dei famosi disturbi di personalità Non Altrimenti Specificati del DSM-IV-TR.

Ogni trait-domain può essere ulteriormente valutato in modo dimensionale per mezzo di una scala a 4 passi (da 0 a 3). Questa descrizione può essere approfondita prendendo in considerazione le 28 trait-facets associate ai vari domini. Le informazioni derivate da domini e sottodomini possono essere quindi utilizzate per la formulazione del caso anche se nessuno dei criteri dei disturbi della personalità sia soddisfatto.

Da quanto emerge, risulta essere abbastanza evidente la poca linearità e scorrevolezza nella diagnosi, al punto da risultare molto difficile da far digerire soprattutto a chi effettua diagnosi da molti anni. In particolare, far parlare la patologia con i Big Five, da cui originano i tratti/domini sembra essere un impresa piuttosto ardua. Si otterrà una valutazione del funzionamento globale del paziente e l’incasellamento dello stesso in categorie poco diagnostiche.

Speriamo di non fare un volo nel vuoto.

 

LEGGI ANCHE:

DIAGNOSTIC AND STATISTICAL MANUAL OF MENTAL DISORDERS – DSM5 

DISTURBI DI PERSONALITA’ – PD

MISURARE LA PATOLOGIA MENTALE CON IL DSM5…ECCO LE NOVITA’!

 

 

BIBLIOGRAFIA:

Musica & Selezione Sessuale: se suoni uno strumento piaci di più!

 

“…non sembra improbabile il sospetto che i progenitori dell’uomo, 

siano maschi o femmine,

o dei due sessi, 

prima che avessero acquistato la facoltà di esprimere 

il loro vicendevole amore col linguaggio articolato, 

cercassero di allettarsi l’un l’altro con note o ritmo musicale…”

(Darwin, 1871)

 

Musica & Selezione Sessuale: Se suoni uno strumento piaci di più!. -Immagine: © Tommaso Lizzul - Fotolia.comSuonare uno strumento aumenta le possibilità di uscire con una donna.

Un passo in più per rispondere all’intramontabile domanda senza risposta di Freud, “Cosa vogliono le donne?”, forse un musicista.

Darwin l’aveva già detto che la musica gioca un ruolo nella selezione sessuale.

Alcuni ricercatori francesi hanno condotto un esperimento proprio per trovare conferme scientifiche a questa ipotesi.

Numerose ricerche hanno cercato di capire quali siano le caratteristiche degli uomini maggiormente attrattive per la popolazione femminile.

Diversamente dagli uomini, infatti, le donne possono avere soltanto un numero limitato di figli e questo le porterebbe a scegliere uomini che possano assicurare di avere risorse necessarie per sè e per la propria stirpe.

Un recente lavoro (Gueguen & Lami 2012) riporta infatti che coloro che avevano una macchina più costosa erano più inclini a ricevere il numero di telefono chiesto ad una passante.

In accordo con la Teoria Evoluzionistica e quella dell’Investimento Parentale di Trivers (1972) sembra che per le donne l’elevata classe sociale e l’elevato stipendio rappresentino un fattore importante nella scelta della partner, ma non è l’unico.

Forse anche la musica gioco un ruolo pertanto, tornando a Darwin e a quello che ormai più di un secolo fa asseriva, potrebbe essere che le donne siano particolarmente sensibili alla musica, così come accade nelle altre specie?

Già in letteratura sono presenti studi che rivelano lo stretto legame tra musica e selezione sessuale. Sanders & Venmoth (1998) hanno evidenziato come le donne subiscano maggiormente l’influenza della musica nel periodo dell’ovulazione e Sluming & Manning (2000) in un altro interessante studio, hanno rilevato il rapporto tra secondo e quarto dito della mano (rapporto 2D:4D) ritenuto essere un maker genetico della presenza di testosterone in epoca prenatale e quindi indicativo di una buona fertilità, evidenziando come questo fosse minore (quindi migliore) nei componenti di un orchestra piuttosto che nella popolazione generale. 

Pertanto Gueguen, Meineri and Fisher-Louku (2013) hanno condotto uno studio per valutare se, e in che modo, l’essere un musicista possa favorire la possibilità di ricevere un numero di telefono da una donna. 

Nell’esperimento un ragazzo di 20 anni (preliminarmente selezionato come il maggiormente attraente da un campione di donne tra altri uomini) è stato istruito a chiedere, a ragazze approssimativamente tra 18 e 22 anni che passeggiavano da sole, il loro numero di telefono invitandole ad uscire per un drink in 3 diverse condizioni: una con la custodia di una chitarra in mano, una con una borsa sportiva in mano, e una senza alcun oggetto, mantenendo inalterate le altre variabili (cosa dire, quando sorridere) ed evitando di selezionare la ragazza sulla base della sua attraenza.

I risultati dimostrano che il 31% dei numeri telefonici sono stati raccolti nella condizione che prevedeva la presenza della custodia di chitarra, a differenza del 9% con la borsa sportiva e del 14% senza nulla in mano, evidenziando una differenza significativa tra la prima condizione e le altre e supportando l’ipotesi degli autori che la musica possa giocare un ruolo nella selezione sessuale. Questo non ci stupisce, Darwin l’aveva già  visto in tutti gli animali, perchè dovrebbe essere diverso nell’uomo?

Un passo in più per rispondere all’intramontabile domanda senza risposta di Freud, “Cosa vogliono le donne?”, forse un musicista.

LEGGI ANCHE:

MUSICASCELTA DEL PARTNER

ARTICOLO CONSIGLIATO:

Scelta del partner – Tradimento: meglio donne con visi femminili!

 

 

BIBLIOGRAFIA:

 

I geni della visione negativa del mondo. Genetica & Psicologia

– FLASH NEWS-

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

Secondo un nuovo studio della University of British Columbia, il colore delle lenti attraverso cui guardiamo il mondo ha a che fare con variazioni genetiche che predispongono alcuni, ma non altri,  a vedere il mondo in termini negativi.

Il gene in questione è una variante del gene ADRA2B, che influenza l’ormone e neurotrasmettitore noradrenalina e che svolge un ruolo nella formazione di memorie emozionali; il nuovo studio dimostra che la variante ADRA2B gioca anche un ruolo nei processi percettivi individuali.
200 soggetti hanno partecipato allo studio in cui sono stati esposti a parole positive, negative e neutre, in rapida successione.

I partecipanti con la variante del gene ADRA2B erano più suscettibili degli altri nel percepire le parole negative; entrambi i gruppi invece erano più sensibili alle parole positive piuttosto che a quelle neutre.

Questa predisposizione genetica, spiega Todd, autore dello studio, induce le persone a una selezione di elementi negativi nell’ambiente circostante.

Ulteriori ricerche esploreranno questo fenomeno tra i gruppi etnici: si ritiene infatti che più della metà dei caucasici abbiano la variante ADRA2B che invece è significativamente meno diffusa in altre etnie; per esempio, un recente studio ha rilevato che solo il 10 % dei ruandesi possiede tale variante nel suo corredo genetico.

LEGGI ANCHE:

GENETICA & PSICHEPSICOLOGIA CROSSCULTURALE

 

 

BIBLIOGRAFIA:

 

Genesi e risoluzione dell’Attaccamento materno–infantile – PARTE 3

Elena Commodari, Maria Tiziana Maricchiolo

 -PARTE 3-

Risoluzione dell’attaccamento
Capacità di contenimento e gestione delle emozioni

LEGGI: PARTE 1 – PARTE 2 – PARTE 3 – PARTE 4 – PARTE 5

 

Attaccamento materno-infantile . - Immagine: ©evgenyatamanenko-Fotolia.comIl punto cardine della risoluzione dell’attaccamento materno – infantile, sembra trovare le sue fondamenta nella capacità di contenimento e gestione delle emozioni.

Tale capacità permetterebbe al bambino, che vive una buona e necessaria dipendenza emotiva, di imparare gradualmente la mediazione riflessiva grazie alla quale potersi differenziare dalle figure genitoriali.

Riuscendo a districarsi nella selva dei sentimenti e dei vissuti potrebbe, da adolescente prima e da adulto poi, far fronte alle inevitabili frustrazioni che la vita riserva senza crollare, fuggire o rifugiarsi in nuove e distorte forme di dipendenza, quali alcool, droghe o altre forme di devianza (Montefoschi, Pietrini, Raggi, 2009).

Alcune ricerche sull’argomento, presentano un adolescente che sembra far di tutto pur di allontanarsi dalla relazione con i genitori e con altre figure di attaccamento familiari, ostentando spesso spirito di opposizione e capacità di autonomia. Ma la conquista dell’autonomia, che non va realmente a discapito dei rapporti genitoriali o familiari, si accompagna all’instaurarsi di una serie di relazioni sicure, che dureranno con molta probabilità ben oltre l’adolescenza (Fraley e Davis, 1997).

Non si tratta dunque di una fase in cui i comportamenti e i bisogni di attaccamento vengono abbandonati, piuttosto è il periodo in cui questi sono gradualmente trasferiti ai coetanei (Allen e Land, 1999), ai partner sentimentali in prima istanza ed agli amici in seconda.

Il trasferimento dei bisogni e dei comportamenti di attaccamento dai genitori ai pari, richiede comunque una trasformazione, da relazioni d’attaccamento gerarchiche si passerà a relazioni d’attaccamento simmetriche. Vien da sé che l’adolescente che avrà vissuto da piccolo attaccamenti sicuri, più facilmente gestirà il conflitto di separazione con i genitori in modo partecipato, e le identificazioni con i pari saranno adeguate, coinvolgenti seppure critiche (Allen & Land 1999). Adolescenti con attaccamento evitante vivranno tale conflitto in modo prevalentemente inconsapevole e meno partecipato, ma le identificazioni con i pari potranno essere più difficoltose.

Adolescenti con attaccamento ambivalente tenderanno a vivere il conflitto genitoriale con violenza e rabbia, e trovandosi più facilmente preda di forti emozioni, tenderanno a identificazioni massicce e acritiche verso i pari.

Il baricentro affettivo si sposterà eccessivamente dalla famiglia ai pari (branco, bullismo, devianza). Un discorso più complesso riguarda l’attaccamento disorganizzato, in cui le conseguenze a lungo termine sembrano essere una difficile gestione dello stress e delle emozioni negative, attestate dalla presenza perdurante di elevati livelli di cortisolo nella saliva e dall’aumento della frequenza dei battiti cardiaci ben oltre il tempo di esposizione allo stress (Van Ijzendoorn, Schuengel, Balermans-Kranenburg,1999).

Interessanti a tal proposito i lavori di Mary Main (2008) e di Lyons-Ruth e Jacobvits (2008) sulle cause e le evoluzioni degli attaccamenti evitanti e disorganizzati dalla prima infanzia alla prima età adulta, e quelli di Gianni Liotti (Liotti, Farina, 2011) sugli sviluppi dissociativi degli attaccamenti disorganizzati associati a esperienze traumatiche.

Tali studi permettono di capire in modo più preciso e sperimentalmente fondato come caregivers che si relazionano ai bambini in modo spaventato e spaventante, presentandosi come fonti di protezione ed in egual misura di paura, agevolino relazioni precoci caratterizzate da sentimenti di impotenza e ostilità; ciò rende loro impossibile il compito di sviluppare strategie relazionali organizzate, rappresentazioni coerenti di sé e degli altri e una buona capacità di comprendere il comportamento proprio e altrui in termini di stati intenzionali.

Per Liotti, dato che l’attivazione del sistema di attaccamento determina in queste persone profonde angosce di annientamento, il loro comportamento finirebbe per essere controllato in modo più o meno rigido dai sistemi motivazionali dell’accudimento, del rango e forse anche della sessualità e il loro funzionamento psichico si organizzerebbe in senso dissociativo.

 

LEGGI: PARTE 1 – PARTE 2

LEGGI ANCHE:

ATTACCAMENTO ATTACCAMENTO DISORGANIZZATOACCUDIMENTO – GRAVIDANZA & GENITORIALITA’ – BAMBINI – RAPPORTI INTERPERSONALI

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

 

Genesi e risoluzione dell’Attaccamento materno–infantile – Bibliografia

LEGGI: PARTE 1 – PARTE 2 – PARTE 3 – PARTE 4 – PARTE 5

Bibliografia

 

cancel