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Esame di Stato – Professione Psicologo: Timori, Speranze e Riflessioni

Esame di Stato - Professione Psicologo: La sensazione è di totale smarrimento cosa è necessario memorizzare e cosa, invece, tralasciare?

Di Camilla Freccioni

Pubblicato il 04 Ott. 2012

Aggiornato il 06 Mag. 2013 13:17

Di Camilla Freccioni

Esame di Stato- Professione Psicologo. - Immagine: © olly - Fotolia.com

Prima prova dell’ esame di Stato per l’abilitazione alla professione di Psicologo: timori, speranze e riflessioni

L’autrice dell’articolo ha pubblicato il libro “24 temi svolti di psicologia”

 

Il tema: esattamente come la prima prova dell’esame di maturità, anche la prima prova dell’ esame di Stato per l’abilitazione alla professione di Psicologo suscita tutta una serie di emozioni difficilmente dimenticabili.

Vuoi perché è il primo scoglio post lauream, vuoi perché, dopo tanto tempo, senti che la professione è ormai vicina e sai che quel “passaporto” ti è indispensabile per entrare nella terra degli psicologi. Ma soprattutto perché non hai la più pallida idea di quale sia il metodo migliore per potersi preparare adeguatamente al tema.

Non è uno dei tanti esami universitari che hai già sostenuto e che ormai avevi imparato bene come si affrontano – la prima prova dell’esame di Stato non tratta un solo argomento specifico, non viene indicato ufficialmente un elenco di libri consigliati su cui prepararsi. Quindi il pensiero che prima o poi si affaccia ad ogni candidato è: e ora come faccio?

Ognuno comincia a tamponare l’ansia come può: richieste di consigli da parte di colleghi che hanno già superato la prova; compulsive fotocopie di temi o riassunti già fatti; ripasso di tutti i libri di psicologia generale e dello sviluppo utilizzati durante gli anni dell’università, con successivi schemi sui quali studiare; acquisto di libri appositamente pensati per la preparazione di questa prova; oppure assoluta noncuranza sulla preparazione: si improvviserà, magari copiando o studiando all’ultimo momento dai compendi degli amici…

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I più diligenti si scontrano con una mole incredibile di nozioni, teorie, concetti, nomi di autori ecc. da ripassare. Dopodiché tutto questo materiale, per poter essere ricordato, richiede un processo di sintesi. E l’aspetto di sicuro più problematico è proprio riuscire ad organizzarlo mentalmente, con schematizzazioni e collegamenti opportuni. La sensazione è di totale smarrimento, giacché il candidato è costretto a operare una scelta di quali argomenti studiare, su quali libri, ma soprattutto in che modo: cosa è necessario memorizzare e cosa invece è plausibile tralasciare?

Il candidato cerca di organizzarsi magari con un occhio alle linee-guida di ogni università. In alcune facoltà vengono indicati i punti che devono essere toccati nella prima prova: definizione del tema, una o due teorie con autori e relativi esperimenti, ambiti applicativi, strumenti di indagine. In altre si esplicita l’obiettivo, per esempio aver capito e saper quindi riferire i legami tra gli aspetti teorici dell’argomento trattato con quelli pratici della professione. Oppure il candidato può andare a vedersi le tracce degli anni precedenti, per farsi un’idea. Esempi: Il ruolo della memoria nella valutazione dei disturbi cognitivi dell’anziano; Presentare in modo sintetico le principali determinanti psicologiche e sociali dello sviluppo e del benessere della persona; La motivazione in psicologia. Il candidato illustri gli aspetti teorici ed applicativi in uno specifico ambito professionale.

A questo punto bisogna provare – mettersi a stilare dei veri e propri temi come se si fosse all’esame. È la cosiddetta “prova del nove”, e intanto l’ansia e la paura aumentano in modo proporzionale all’avvicinarsi della fatidica data. Ovviamente, il candidato si rende conto se è preparato, se è in grado di redigere un tema su un determinato argomento riuscendo nell’ossimoro di “analizzarne sinteticamente” gli aspetti principali, se sa svolgere i giusti collegamenti e le corrette riflessioni… ma, il giorno in cui la prova poi arriva, le sue impressioni saranno giuste?

La risposta alla temibile domanda giungerà soltanto dopo la correzione del tema. Ma a quel punto, nel caso in cui le sue impressioni siano state erronee, non resta che aspettare altri sei mesi, nei quali ripercorrere da capo tutto il percorso precedentemente descritto.

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Perché allora non dare ad ogni candidato la possibilità di migliorarsi, correggersi, perfezionarsi prima della prova, e non solo dopo i suoi errori certificati? Perché non aiutarlo prima dell’esame spiegandogli come studiare, su quali libri, su cosa concentrarsi e cosa poter trascurare, come svolgere un tema, ma soprattutto farlo provare a scrivere sotto la supervisione vigile di persone esperte, e naturalmente via via correggendolo? Tutto ciò sarebbe utilissimo per evitare la spiacevole sensazione di smarrimento iniziale e di cieco affidamento alla casualità successiva.

Malgrado la peraltro non ampia serie di manuali già a disposizione per l’esame di cui stiamo parlando – alcuni anche con temi già fatti – quello che rimane auspicabile è che a scriverli siano persone che l’esame lo abbiano superato di recente, e quindi non disancorate dalla contingenza che intercorre tra la discussione di una tesi di laurea e l’apprestarsi a divenire psicologi professionisti.

Sono loro a sapere come tale occasione valutativa funzioni dal di dentro, con quali esigenze realistiche da parte del candidato, di fronte a quali suoi effettivi disorientamenti metodologici. Chi ha da poco esperito sulla propria pelle difficoltà ed impacci, sa interpretarne il superamento al meglio. Sa quali sono gli argomenti indispensabili da selezionare in modo credibile, quali i testi accademici su cui operare montaggi efficaci, quali il tenore espositivo e i “links” giusti per comporre un tema convincente, e in definitiva quali i temi svolti da offrire al lettore come esempi validi – senza dover strafare, ma garantendo una buona preparazione.


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Camilla Freccioni
Camilla Freccioni

Psicologa Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale

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