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Leadership negli Sport di Squadra – Un Quadro Generale#2

Leadership: per comprendere la figura del leader nello sport bisogna percorrere gli studi della ricerca sulla leadership nei gruppi sociali.

Di Gabriele Caselli

Pubblicato il 18 Giu. 2013

Aggiornato il 15 Lug. 2014 10:15

Leadership negli Sport di Squadra:

UN QUADRO GENERALE – Parte 2 

 

LEADERSHIP NEGLI SPORT DI SQUADRA – PSICOLOGIA DELLO SPORT – MONOGRAFIA

 

LEADERSHIP NEGLI SPORT DI SQUADRA. - Immagine ©-Texelart-Fotolia.comPer poter comprendere le peculiarità della figura del leader nello sport è indispensabile porre innanzitutto attenzione a come questo concetto è stato considerato e definito dalla letteratura socio-psicologica. Per fare ciò si deve partire da molto lontano, prima che si sviluppasse l’interesse della psicologia verso lo sport, per percorrere gli studi che hanno determinato lo sviluppo della ricerca sulla leadership nei gruppi sociali.

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Ogni gruppo sociale, e si potrebbe dire ogni squadra sportiva, possiede una propria struttura di status e cioè una struttura di posizioni ognuna delle quali definita da specifiche relazioni con gli altri membri e da una scala di prestigio [Scilligo, 1973].  Al momento dell’assegnazione dei ruoli, che avviene naturalmente, ogni membro del gruppo attecchisce a una particolare posizione che determina sia la quantità di potere che possiede, sia la possibilità di influenza sui compagni. Questa graduatoria  solitamente viene rappresentata come una piramide il cui vertice è occupato da una sola persona (vedremo poi che questo non è sempre vero), e cioè: il leader. A questo punto risulta chiaro come parlare di leader vuol dire riferirsi a quella persona che detiene la maggior quantità di potere e che esercita la maggior influenza.

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2,1 – Potere e Influenza nella Leadership

L’influenza e il potere sembrano essere due tratti determinanti della figura di leader e apparentemente correlati positivamente tra loro. Per molto tempo infatti la prima è stata considerata come il puro e semplice esercizio del potere, dal quale dipendeva necessariamente. Quest’ultimo era visto come la base per l’influenza e, contemporaneamente,  l’influenza diveniva l’esercizio pratico del potere. Gli studi più recenti hanno condotto i ricercatori su considerazioni diverse che vedono in questi concetti due diverse alternative di modifica del comportamento altrui.

Si deve all’opera di Moscovici [1976] questa distinzione, formalizzata nella teoria della conversione. In questa elaborazione l’autore dimostra semplicemente, si fa per dire, come l’influenza può essere esercitata anche in assenza di potere. Moscovici manifesta la sua proposta in aperta critica con l’idea di conformismo esposta nel paradigma di Asch [1951,1956] per il quale il cambiamento degli atteggiamenti e dei comportamenti poteva determinarsi attraverso processi informazionali e influenze normative.

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Secondo i primi, le opinioni altrui costituiscono sempre una fonte di informazione sulla realtà, che noi tendiamo a considerare come un’evidenza empirica verificata, specie in condizioni di ambiguità; mentre, nelle influenze normative, siamo spinti ad uniformarci agli altri per costituire una norma stabile ed evitare di apparire devianti. Nell’idea di Asch questi processi sono, in ogni caso, unidirezionali. Essi, cioè, si determinano a partire dalla maggioranza sulla minoranza. La provocazione di Moscovici lanciata contro questo paradigma verte soprattutto sull’idea che, se davvero esistesse solo un’influenza maggioritaria, allora non potremmo più osservare alcuna differenza nei comportamenti delle persone.

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La minoranza può, invece,  provocare anch’essa un cambiamento negli atteggiamenti e nei comportamenti delle persone che risulta essere ben più profondo e duraturo di quello esercitato dalla maggioranza, detentrice del potere. L’esito del cambiamento apportato da influenza informazionale o normativa che, secondo Moscovici, si basa su un processo di confronto in cui l’attenzione delle persone è rivolta più alla differenza tra le opinioni che al concetto in discussione, è in realtà una semplice acquiescenza tesa ad evitare di far parte della devianza. E’ retta quindi da una motivazione piuttosto superficiale che non viene internalizzata e scompare con la scomparsa della maggioranza.

Viceversa l’influenza esercitata dalla minoranza percorre un processo di convalida in cui gli oggetti di confronto e riflessione non sono le diverse opinioni ma l’idea espressa dalla minoranza e la realtà stessa e che ha come esito un cambiamento profondo, duraturo, non evidente in pubblico ma che rimane indipendentemente dalla presenza della entità che lo ha generato [Moscovici, 1980]

Per questo l’influenza sociale non è qualcosa che appartiene esclusivamente al leader in quanto detentore della maggior quantità di potere nel gruppo, ma è un processo reciproco in cui questa posizione si distingue come occupata da quella persone che è in grado di influenzare gli altri membri del gruppo più di quanto possa essere influenzato da questi [Brown,2000].

D’altra parte risulta inevitabile prendere in considerazione la dotazione di potere nelle mani del leader, che, come già accennato, se non è la base dell’influenza in generale, è comunque un’alternativa che permette a un agente sociale “O” di modificare gli atteggiamenti e i comportamenti di un’altra persona “P” [French e Raven, 1959]. Ovviamente in questa nuova veste separata dal concetto di influenza, il potere risulta essere associato a un sistema di processi di dominanza-sottomissione che, come affermano Giovannini e Savoia [2002], vanno considerati  un aspetto strutturale della vita di gruppo. Vale la pena sottolineare che questi rapporti non hanno un fondamento naturale ma dipendono da un sistema di norme sociali, in ogni ambito e così pure nello sport, confuse con norme istituzionali. La compresenza di questi due diversi tipi di norme può portare allo sviluppo di diversi leader a diversi livelli.

Un rapporto di potere tende poi a poggiare su diverse basi. French e Raven [1959] ne individuano cinque tipologie attraverso cui il leader, o comunque l’agente sociale “O”, può intervenire sull’atteggiamento e sui comportamenti degli altri membri del gruppo:

Il potere di ricompensa (reward power): si basa sull’abilità di O di concedere ricompense a P ma soprattutto sull’abilità di far percepire a P di poter ottenere ricompense da lui. Queste ricompense possono appartenere a diverse tipologie e possono essere sia materiali che puramente simboliche.

Il potere coercitivo (coercive power): rappresenta esattamente l’opposto del potere di ricompensa. In questo caso P non è spinto alla sottomissione dall’attesa o dall’aver ricevuto un dono ma più che altro dalla paura di poter ricevere una punizione. E’ importante, perché questo potere abbia sufficiente effetto, che P percepisca la minaccia di poter ricevere sanzioni come reale potenzialità di O.

Il potere legittimo (legitimate power): rappresenta il potere conferito a O da parte di norme legittimate e interiorizzate da parte di P. Questo tipo di potere obbliga P a sottomettersi a questa azione di O. L’origine delle norme che conferiscono il potere legittimo al leader può dipendere dalla cultura o dalla società a cui O e P appartengono. Questo tipo di potere è strettamente legato ai due precedenti in quanto, pur avendo una base legittima, si realizza comunque attraverso un sistema di ricompense per il conformismo e sanzioni per la devianza.

Il potere d’esempio (referent power): è il potere esercitato da O in quanto modello per P. In questo caso il potere di modificare il comportamento altrui è estremamente sottile e complesso in quanto si basa su un processo di identificazione di P in O, e quindi su un processo estremamente intricato che ha origine innanzi tutto in P stesso. In un certo senso è P, in questo caso, a legittimare il potere di O su di sé in modo, a volte, del tutto inconscio.

Il potere di competenza (export power): si basa sull’idea che P ha riguardo l’esperienza di O in un determinato ambito. In questo caso O viene riconosciuto come competente e preparato ad affrontare una particolare situazione all’interno della quale può assumere il ruolo di dominatore. E’ una forma di potere simile a quella precedente con l’unica differenza di rimanere limitata all’interno di una sola area. Perché comunque questo potere venga riconosciuto da P è necessario che quest’ultimo abbia modo di riconoscere l’esperienza di O e che si fidi della sua parola.

Queste cinque categorie rappresentano cinque diversi modi attraverso i quali chi ha in mano il potere è in grado di agire sugli atteggiamenti e sui comportamenti delle altre persone. Ognuna di queste categorie è applicabile senza troppe difficoltà al mondo dello sport e in particolare all’interno delle discipline di squadra.

 Come afferma Mazzali [1995] e, come verrà descritto in modo più approfondito nei capitoli successivi, esistono diverse posizioni nella struttura di status che, caratterizza una squadra, a cui è conferita una certa dose di potere. Esistono, quindi, diversi status, fonte di potere per chi li occupa, e, per questo, possono anche esistere diversi leader. Il potere di ricompensa e il potere coercitivo si possono considerare una prerogativa quasi totalmente conferita alla dirigenza (solitamente rappresentata da una figura che funge da leader per lo più esterno alla pratica sportiva in sé) e all’allenatore (in quanto delegato della dirigenza stessa e come detentore del potere e della leadership all’interno dell’attività sportiva). Il potere legittimo è sancito da norme istituzionali e da contratti che vincolano i giocatori alla sua obbedienza. Essendo basato, come già accennato, su ricompense (come i cosiddetti premi-partita) o sanzioni (per lo più economiche ma anche inerenti l’attività sportiva come nel caso della “panchina”), esso è custodito dai medesimi detentori delle tipologie di potere precedenti. Per quanto riguarda il potere d’esempio e il potere di competenza il discorso invece cambia. Difficilmente questi riguardano la dirigenza o qualsiasi persona esterna all’attività sportiva (specie per il potere di competenza). Possono essere riconosciuti all’allenatore, se questi ha dimostrato di essere esperto dello sport che allena o se risulta essere particolarmente famoso. In questo caso egli può diventare un termine di paragone per i propri comportamenti, un simbolo da seguire, o comunque una persona dotata di una conoscenza ed esperienza in materia che non può essere messa in discussione e che nessuno ha intenzione di contraddire. Allo stesso tempo anche un membro della squadra, specie se rientra tra i veterani, potrebbe assumere questa posizione rispetto a giocatori più giovani, guadagnando un potere che gli permetta di essere riconosciuto come un altro leader, questa volta interno alla squadra. Per semplicità si può associare questa figura al capitano della squadra anche se non sempre le due figure si sovrappongono.

Nonostante la chiarezza di questa classificazione operata da French e Raven, Minguzzi [1973] muove alcune critiche. L’autore ritiene che nel suddividere queste cinque tipologie di potere French e Raven non abbiano preso in considerazione almeno due dimensioni importanti: a) il sistema dei rapporti economici come fonte di potere e b) le motivazioni alla base di coloro che accettano consapevolmente il rapporto di sottomissione.

 

LEADERSHIP NEGLI SPORT DI SQUADRA – PSICOLOGIA DELLO SPORT – MONOGRAFIA

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Gabriele Caselli
Gabriele Caselli

Direttore scientifico Gruppo Studi Cognitivi, Professore di Psicologia Clinica presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna

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