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Leadership negli sport di squadra #8: Il rapporto capitano-allenatore

Il rapporto tra capitano e allenatore è un punto spinoso, la cui risoluzione può portare la squadra ad ottenere ottimi risultati per raggiungere il successo

Di Gabriele Caselli

Pubblicato il 22 Ott. 2013

Leadership negli Sport di Squadra #8:

Il rapporto capitano/allenatore

 

LEADERSHIP NEGLI SPORT DI SQUADRA – PSICOLOGIA DELLO SPORT – MONOGRAFIA

Leadership negli sport d squadra - parte 8. - Immagine: © frank peters - Fotolia.comIl rapporto tra allenatore e capitano e, cioè, tra leader istituzionale e leader intimo, risulta sempre essere un punto spinoso, la cui risoluzione può portare la squadra ad ottenere ottimi risultati e a lavorare compatta e unita per raggiungere il successo.

Se invece nasce un conflitto e una sfida aperta tra questi due ruoli chi ne risente sono tutti i membri del gruppo sia dal punto di vista prestazionale che da quello relazionale.

Secondo Mazzali [1995] il punto di vista, molto diverso, da cui allenatore e capitano osservano le relazioni interne alla squadra e le sue prestazioni, sono fonte di possibili malintesi nel momento in cui uno cerca di imporre le proprie idee all’altro. La visuale del capitano è interna e legata alla particolarità delle situazioni, quella dell’allenatore, al contrario è esterna e permetta un’analisi generale delle condizioni della squadra.

Risolvere questa relazione attraverso la supremazia di uno dei due leader non può che essere dannoso. Se soccombe il capitano, ne risentiranno tutti i giocatori che lo avevano eletto a quello status al fine di deresponsabilizzarsi. Nel momento in cui la sua posizione viene messa a rischio, tutta la stabilità e la sicurezza che il suo ruolo conferisce alla squadra inizia a perdersi. Se è l’allenatore ad uscirne sconfitto la leadership viene totalmente lasciata in mano ai suoi giocatori. Questa possibilità non è sicuramente più positiva della precedente. Senza la guida istituzionale, il capitano si trova in una posizione che non gli permette di fare delle valutazioni critiche e obiettive e non vi è più una figura forte in grado di sedare eventuali conflitti con gli outsider, i sindacalisti o con altri leader, i quali possono prendere tutta l’attenzione dei giocatori portando via impegno ed energie al raggiungimento degli obiettivi e alla prestazione. I risultati ottenuti in questo caso sono estremamente variabili e possono attraversare comunque periodi di successo, che non danno garanzie, però, sulla loro continuità futura.

Come si può risolvere questa situazione? La soluzione migliore proposta dall’autore è quella di costruire anche, e soprattutto, con il leader intimo un accordo che implichi l’investimento reciproco di fiducia l’uno nell’altro e che permetta di distinguere con chiarezza i diversi compiti e funzioni e di delineare i limiti del proprio campo d’azione.

Se quest’accordo viene sviluppato i risultati non solo eviteranno le dinamiche precedentemente esposte ma permetteranno anche di migliorare notevolmente sia la prestazione che la soddisfazione del gruppo. Questo perché i due ruoli risultano spesso complementari, dove uno non può carpire il problema o non può risolverlo direttamente, può farlo l’altro.

Per questo il buon allenatore sa farsi rispettare dal leader intimo, deve saper imporre la propria autorità, ma deve far di tutto perché il capitano lavori per la squadra dal momento che solitamente è sia uno dei giocatori più dotati, sia colui che gli altri atleti hanno designato come proprio punto di riferimento. Tutto ciò possibilmente evitando che si inneschino dei comportamenti di sfida tra loro.

 

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Gabriele Caselli
Gabriele Caselli

Direttore scientifico Gruppo Studi Cognitivi, Professore di Psicologia Clinica presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna

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