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Training al Pensiero Concreto in Realtà Virtuale

Congresso SITCC 2012 Roma

 Training al Pensiero Concreto in Realtà Virtuale

Rebecchi, D., Acerra, G., Andreoni, E., Caselli, G.,Rossi, F.  – Scuola di Psicoterapia Cognitiva e Ricerca, Studi Cognitivi, Modena.

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Abuso Economico & Depressione Materna

FLASH NEWS 

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

Abuso Economico & Depressione Materna: abuso economico si verifica quando si nega denaro, accesso a conti bancari o a opportunità di lavoro.

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Le mamme che durante il primo anno di vita del loro bambino subiscono violenza fisica, psicologica, ma anche economica, da parte del padre dei loro figli hanno maggiori probabilità di diventare depresse e sculacciare il bambino quando questo avrà 5 anni. È quanto scoperto dai ricercatori Rutgers School of Social Work, che hanno studiato l’impatto della violenza domestica – noto come IPV – nel corso del tempo.

I risultati si riferiscono specificamente alla violenza contro le donne perchè queste rappresentano la sproporzionata maggioranza di sopravvissute agli abusi domestici perpetrati dagli uomini, che sono nella maggior parte dei casi gli autori di violenza fisica, sessuale ed ecomomica. L’abuso psicologico include comportamenti come far evitare il contatto con amici e familiari e la verbalizzazione di insulti e critiche. Schiaffi, percosse, calci e contatti sessuali non desiderati sono invece considerati segni di violenza fisica o sessuale.

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L’ abuso economico si verifica quando un uomo nega il denaro, costringe la compagna a consegnare guadagni o i risparmi, quando le nega l’accesso a conti bancari o a opportunità di lavoro.

“Spilorci dentro” quando l’Avarizia è nel Cervello – Neuroscienze –
Articolo consigliato: “Spilorci dentro” quando l’Avarizia è nel Cervello

Judy L. Postmus, autrice principale dello studio e direttrice del Center on Violence Against Women and Children della University of New Jersey, sottolinea come nel parlare di violenza domestica raramente si consideri l’ abuso economico; questa particolare forma di abuso, che comprende l’alfabetizzazione finanziaria e la disponibilità personale di denaro, è a tutti gli effetti una forma di coercizione che fino ad ora è stata poco studiata.

I risultati dello studio sono particolarmente interessanti: le madri vittime di abuso economico avevano 1,9 volte più probabilità di mostrare segni di depressione rispetto alle madri che non avevano subito abusi. Allo stesso modo, le madri che avevano subito abusi psicologici o fisici avevano rispettivamente 1,4 e 1,8 volte maggiori probabilità di mostrare segni di depressione.

Durante il test per il livello e le variazioni di abusi nel corso del tempo (tra gli uno e tre i anni), solo l’ abuso economico era in grado di prevedere la depressione materna. Secondo questi risultati l’ abuso economico è così fortemente collegato alla depressione da risultare maggiormente predittivo dello sviluppo della malattia rispetto ad altre forme di abuso domestico.

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 Le capacità genitoriali sono state misurate su due dimensioni: l’impegno nelle attività genitore-figlio, come cantare, leggere o raccontare storie, giocare con i giocattoli o portare il figlio al parco giochi o a una gita; e l’uso della sculacciata come comportamento disciplinare.

I risultati indicano che tutte le madri del campione che hanno subito un abuso economico o psicologico durante il primo anno di vita del bambino, hanno messo meno impegno nelle attività quotidiane svolte con i propri figli e hanno avuto 1,5 volte più probabilità di sculacciare il bambino durante i cinque anni successivi.

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Secondo Postmus la sensazione di impotenza dovuta al controllo economico subito dal partner può avere un impatto duraturo sulla salute mentale delle donne e indurre le madri a ricorrere alla sculacciata come strategia genitoriale.

Certamente sono necessarie ulteriori ricerche per comprendere meglio il rapporto tra i vari tipi di abusi e i comportamenti genitoriali.

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BIBLIOGRAFIA: 

Camminare Sott’acqua: intervista a Sinead O’Connor – La Rockstar e lo Psichiatra

Lo Psichiatra e la Rockstar – Intervista a Sinead O Connor

Sinead O'Connor
La rockstar irlandese Sinead O’Connor durante l’intervista in videoconferenza con State of Mind.

Nella playlist della mia adolescenza anni Novanta trova spazio una Canzone (sì la c è maiuscola in questo caso) che merita una posizione d’onore sia per l’ottima fattura della ballad (non per niente l’autore è un certo genio di Minneapolis, noto come Prince), ma soprattutto per l’interpretazione che arriva diritta al cuore dell’ascoltatore, si infilza come una freccia nel ventricolo sinistro e fa sanguinare per cinque minuti e dieci secondi di emozioni allo stato puro.

La canzone è Nothing compares 2 U e a cantarla è una ragazzaccia irlandese con i capelli rasati a zero di nome Sinead O’Connor. Il brano, uscito nel 1990, ha avuto un successo planetario, favorito anche da un videoclip estremamente essenziale che mette al centro il viso angelico dell’interprete che arriva a commuoversi nel finale (Sinead cantando questo brano pensava alla madre, morta in un incidente stradale cinque anni prima).

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Gli anni successivi sono stati caratterizzati sempre da ottime produzioni musicali alternate a clamorose provocazioni (la più celebre quando strappò in diretta al Saturday night live la foto del Papa) che le hanno fatto guadagnare la fama di eretica e contestatrice, una specie di Giovanna d’Arco del rock.

Nel 2005 ha stupito molti facendo uscire l’ottimo album reggae Trow Down Your Arms, seguito da Theology (2007) in cui emerge il suo rapporto appassionato con la spiritualità.

Gli inizi di quest’anno vedono l’uscita dell’ultimo disco How About I Be Me (and You Be You)?, che avrebbe dovuto essere seguito da un tour, annullato per una seria ricaduta in una fase depressiva del disturbo bipolare di cui soffre da 8 anni (verosimilmente si tratta di un disturbo bipolare II, secondo la classificazione del DSM-IV n.d.r.). La grave crisi depressiva è stata anche caratterizzata da un tentativo autolesivo per ingestione di psicofarmaci, preceduto da una disperata richiesta d’aiuto ai propri fans attraverso il social network Twitter.

Dall’aver appreso queste notizie attraverso i media è nata l’idea di realizzare questa intervista via Skype, ognuno dalla propria casa, io a Modena e lei vicino a Dublino. Sinead mi ha concesso un po’ del suo tempo, tra gli impegni di mamma di quattro figli. Nonostante la freddezza della chat sento di aver trovato dall’altra parte dello schermo una persona autentica, che non si vergogna a raccontare le proprie fragilità ed estremamente precisa nel descrivere il proprio percorso di cure.

 

State of Mind: Bene Sinead, prima di tutto vorrei ringraziarti per la cortesia e la disponibilità nel concedere quest’ intervista. Devo ammettere che sono rimasto molto stupito che tu abbia accettato. Non so quanto tu abbia voglia di parlare di te stessa in particolare, ma mi piacerebbe che questa nostra chiacchierata potesse essere di qualche aiuto alle persone che hanno a che fare tutti i giorni con i problemi dell’umore, la depressione in particolare.

Sinead O’Connor: Ovviamente mi interessa quest’ argomento… e il motivo per il quale ho delle cose da dire deriva dalla mia esperienza personale.

 

SoM: Ho letto sui media alcune tue dichiarazioni in merito a una diagnosi di disturbo bipolare, ce lo confermi?

S: Esatto, lo diagnosticarono otto anni e mezzo fa, ma ci sono voluti 12 anni per avere la diagnosi corretta.

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SoM: Il tuo problema è iniziato con uno stato maniacale o depressivo?

S: Non ho esperienza degli stati euforici o maniacali, ma di quelli depressivi. Quando ero più giovane però, avevo un caratteraccio, quello è un po’ il mio lato maniacale; non in modo spensierato, era più tipo… andatevene tutti affanculo!

 

SoM: Una giovane ribelle…

Kurt Cobain. - Immagine: licenza d'uso Creative Commons 3.0 - Autore: Kurt Cobain. - Immagine: licenza d'uso Creative Commons 3.0 - Autore: Susan McGrane-Burke
Articolo consigliato: Il mal di pancia di Kurt Cobain. Una possibile Autopsia Psicologica.

S: La mia vita professionale come artista ha sempre funzionato bene, I problemi sono stati quasi esclusivamente nella mia vita privata, in momenti di vera rabbia coi miei fidanzati e cose così… Probabilmente avevo ottime ragioni per essere arrabbiata, ma il “volume” era troppo alto. Avevo reazioni spropositate rispetto alle offese ricevute.

 

SoM: Quindi non hai mai avuto un episodio maniacale?

S: Circa due anni fa ho avuto un periodo di shopping compulsivo, che è insolito per me perchè detesto fare shopping. Quello è stato il massimo della mia maniacalità. Ho comprato un sacco di vestiti.

 

SoM: Pensi che la tua esperienza di depressione sia mai stata in qualche modo fonte di ispirazione per il tuo processo creativo?

S: Credo tutto il contrario. Non condivido questa fantasia romantica secondo la quale la gente che soffre di depressione sia più portata all’arte. Di fatto mi accorgo di essere molto più creativa quando sono felice.
Credo che la musica sia stata un grande aiuto per me e questo è stato confermato da ogni psichiatra che ho consultato. Se non fosse per la musica sarei probabilmente morta. Gli specialisti mettono in relazione le mie esperienze vissute durante l’infanzia e l’adolescenza con la depressione di oggi. Mi è stata anche fatta una diagnosi di disturbo post-traumatico da stress. Non sarei sopravvissuta se non fosse per la musica. Perciò credo che per me la musica sia sempre stata qualcosa di confortante e anche il luogo dove potevo esprimere tutto quello che non potevo dire altrove.
Nell’Irlanda degli anni settanta in cui sono cresciuta non esisteva la psicoterapia. Pensa che non abbiamo avuto il cappuccino fino al 1998! Quindi per me la musica era la terapia, era anche il posto dove si poteva parlare di se stessi, dove si era autorizzati a parlare delle proprie esperienze traumatiche. Sono cresciuta in un ambiente di estremo malessere, ma non c’era modo di parlarne, così la musica è diventata, se vogliamo, una specie di fuga.

ARTICOLI SU: MUSICOTERAPIA

SoM: In che modo la musica ti ha aiutato? Più nel processo creativo del song-writing o più nell’esperienza catartica della performance?

S: Credo tutte e due. In primo luogo sentire la musica dentro di se è molto confortante, molto rassicurante. Per me è sempre stato, se vogliamo, un legame spirituale tra me e la musica. Quello che mi piace dell’essere musicista è anche il portare l’effetto confortante alle altre persone.

Credo inoltre che le persone che hanno alle spalle una storia di abusi o di sofferenza mentale, almeno alcuni di essi, abbiano grandi problemi di autostima. Per quanto riguarda me, ho sempre trovato nell’essere musicista, un luogo e un lavoro da cui traggo molta autostima. Sento di dare il mio contributo alla società e che non saprei darlo in altro modo.
Credo che quando si hanno dei problemi di salute mentale ci si possa sentire molto male e sbagliati, si possano combinare casini in continuazione nella vita e fare musica forse aiuta a capire che non si è delle persone terribili e che si è in grado di fare qualcosa di buono… perchè c’è una gravissima mancanza di autostima che accompagna la sofferenza mentale, specialmente se vivi in un paese come l’Irlanda, dove soffrire di disturbi mentali porta con se un grave stigma.

Per quanto riguarda la questione del live, credo sia molto catartico portare uno show alle masse e poter creare una magia che non è possibile nella vita normale, e suppongo che la spinta di autostima che si riceve in questo caso sia veramente potente.

 

SoM: Credo che il problema dello stigma legato alla malattia mentale sia importante quanto la malattia in sè. Puoi dirmi qualcosa di più riguardo allo stigma in Irlanda?

S: Beh credo che in tutto il mondo la parola “pazzo” sia un termine discriminatorio e credo che questa abitudine debba finire. In Irlanda “pazzo” è un insulto, e la gente è terrorizzata da qualunque cosa che concepisce come “pazza”. Le persone ritenute pazze non sono trattate in maniera compassionevole, vengono trattate in modo orribile e la “pazzia” viene usata come motivo per rigettare ogni cosa che uno possa pensare, fare, dire o sentire, così si precipita verso una trappola dell’autostima.
Ho ricevuto una lettera da un uomo a gennaio scorso, un vecchio di 73 anni che vive a Goolen (Ireland), pensavo a lui proprio questa mattina, ha preso antidepressivi per più di 30 anni senza mai dirlo a sua moglie o ai suoi figli ormai adulti per via dello stigma.

Creatività Musicale & Psicopatologia: Quei geni skizzati del Bebop - Immagine: Licenza Creative Commons, Autore: Tom Palumbo
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Vedi, questa è l’Irlanda. Siamo molto ignoranti circa la natura della sofferenza mentale. Per esempio, la gente nel mondo è convinta che se sei schizofrenico significa che hai molte personalità, come un “disturbo da personalità multiple”, ma non è così. E’ completamente differente.

Quando hai un problema psicologico, non hai un gesso o una stampella, che permetta a tutti di sapere che hai un problema, quindi la gente si aspetta che tu ti comporti in maniera simile agli altri e quando sei diverso te lo fanno pesare e pensano che sei una persona difficile o che sei una rottura di palle e sono orribili nei tuoi confronti.

In Irlanda passi la tua vita cercando di nascondere il fatto che hai un problema mentale. Io chiedo continuamente conferme ai miei amici: “Sembro pazza?”, “Mi sto comportando come una pazza?”, e non dovrei aver bisogno di verificare, se mi sto comportando da pazza dovrei essere lasciata nella mia cazzo di folle pace!

Devi nascondere chi sei veramente ed è veramente stressante e nocivo per la tua autostima. Perchè non è ovvio per le altre persone che tu sei malato, ti trattano come una rottura di palle e finisci per biasimarti e svalutarti, quando vedi bene che lo stai già facendo per via del tuo disturbo.

Voglio dire, capisco che siamo persone veramente complicate, ma siamo anche tremendamente semplici, ma vedi, è un mondo difficile quello dove c’è un confine tra le persone teoricamente sane e quelle teoricamente malate. I sani non hanno familiarità dei “non sani”, il che è già di per se sbagliato. Anche se le vere “sbarre” non esistono più, siamo incastrati dietro a queste, come dire, sbarre metaforiche.

 

SoM: So che hai sempre avuto una relazione difficile con la chiesa cattolica. Cosa ne pensi della posizione della chiesa nei confronti della sofferenza mentale? Trovi che ci sia accettazione e compassione per la malattia mentale?

S: (ride) Se ci fosse accettazione della malattia mentale nella chiesa cattolica, l’intera Curia si dimetterebbe! Vi serve il miglior psichiatra d’Italia che spenda un po’ di tempo là dentro! Gli uomini al comando sono malati. Sono più malati che la maggior parte di noi messi assieme. Se prendessero davvero in considerazione la malattia mentale, dovrebbero iniziare col ricoverarsi in ospedale. Chiunque dichiari che la pedofilia e l’ordinamento delle donne sono sullo stesso piano ha un problema mentale.

Quando uno critica la Chiesa, quello che noi di solito intendiamo specialmente in Irlanda, sono gli uomini al comando. Sappiamo tutti che il 99,9% dei preti e delle suore sono persone incredibili, che fanno molto per aiutare le persone, di tutti i tipi. Ma il normale prete della strada non ha le qualifiche per andare in giro per il paese sconfessando la dottrina ufficiale, tutto quello che possono fare questi poveri preti è raccogliere i cocci di questo casino, che di solito è una missione suicida, perchè lo stigma porta al suicidio. A causa dello stigma, le persone non rimangono in terapia e non ricevono l’aiuto di cui hanno bisogno, perchè sanno che saranno trattati di merda.

 

SoM: Ancora lo stigma…

S: Si… per esempio: Sono entrata in ospedale circa 2 anni fa perchè volevo essere assolutamente certa che la diagnosi fosse corretta. Mentre ero in ospedale (ci sono stata per 2 settimane), c’era una donna più o meno della mia età che era lì da 6 mesi. Non stava così male, e un giorno stavo parlando con lei del perchè fosse lì e mi ha mostrato le sue braccia, che erano tutte tagliate. Sua madre era morta di cancro e lei se ne era sempre presa cura. Non era mai successo nulla a questa donna prima, ma la notte che sua madre è morta, lei ha probabilmente perso la testa e si è affettata le braccia. La ragione per la quale stava in ospedale da così tanto tempo era che nel villaggio dal quale proveniva non la volevano indietro, non avrebbe potuto riavere il suo vecchio lavoro, nessuno dei suoi amici voleva più parlarle, era una paria nel villaggio perchè si era fatta quelle cose alle braccia, tutti pensavano che fosse matta. Perciò non poteva tornare al suo paese ed era fissa in ospedale.

 

SoM: Quante volte sei stata ricoverata in ospedale?

S: Mi sono ricoverata volontariamente due volte. La prima volta per avere una diagnosi chiara. La seconda volta l’anno scorso quando mi hanno interrotto la terapia farmacologica in modo molto stupido e sono peggiorata molto. Non riuscivo a mangiare o a dormire.

 

SoM: Come mai hai interrotto la terapia, a causa degli effetti collaterali?

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S: Stavo ricevendo molta pressione da gente dello show business riguardo al mio essere sovrappeso per via della terapia. Prendevo 200 mg di amitriptilina. Quando l’ho detto al mio medico, per qualche ragione mi ha tolto di colpo la terapia e non ha svolto una corretta supervisione. Il Servizio di Salute Mentale qui è veramente pessimo. Dopo aver interrotto la terapia, ho incominciato a stare male, senza rendermene conto. Poi sono stata trascinata dal perdere peso e ho fatto finta di non stare male. Non è stata una mia scelta quella di interrompere i farmaci, ma lo psichiatra me li ha tolti e ho creduto che andasse bene così.

Sfortunatamente nel mio caso, per via di quello che faccio per vivere, qui in Irlanda è molto difficile per me trovare un dottore che mi tratti semplicemente come una persona, che riesca ad andare oltre a Sinead O’Connor. Sono dovuta andare in Inghilterra per trovare uno psichiatra che facesse al caso mio.

 

SoM: Per quando tempo sei stata senza farmaci?

S: Sono rimasta senza terapia da agosto dell’anno scorso fino ad aprile. Il dottore mi ha detto di smettere, quindi ci ho messo un bel po’ a capire che stavo male perchè quando smetti questo tipo di farmaci ci vuole tempo per ricominciare a stare male, e non sapevo che cazzo stesse succedendo.

 

SoM: Nove mesi senza farmaci è veramente un tempo lungo… non ti hanno avvertita riguardo ai rischi di una possibile ricaduta?

S: Per via di quello che faccio nella vita, in Irlanda tutto quello che gli psichiatri facevano era lamentarsi riguardo a quello che scrivevano i giornali invece di parlare della mia malattia. Gli stessi psichiatri erano molto coinvolti nelle battaglie pubbliche della Chiesa in Irlanda… dall’altro lato della barricata rispetto a me. Nello stesso periodo in cui smettevo i farmaci, quando andavo dalla psichiatra si lamentava con me dicendo che non apprezzava quello che dicevo riguardo alla Chiesa sui giornali, così abbiamo litigato e mi ha lasciata lì, arenata.

Poi in Irlanda il Sistema Sanitario fa così schifo che ci metti mesi per avere un appuntamento con un dottore per una terapia, così avrei aspettato per sentirmi dire le stesse cazzate da un altro dottore.

Un dottore mi ha mandata a casa con degli antistaminici dicendomi di prenderne 100 mg a notte. E io ho detto “Ok!”. In Irlanda la gente considera i dottori come degli dei, senza metterli mai in dubbio. Ma questo ha significato stare male per altri 3 fottuti mesi. E la cosa divertente è che era un medico privato, e l’unica alternativa era di andare al maledetto ospedale. Nessuno vuole ricoverarsi in ospedale, la peggior cosa che ti può capitare se stai male è di dover lasciare la tua famiglia e i tuoi figli, che sono l’unica cosa che ti fa sentire sicura.

SoM: E’ molto strano… in Italia puoi scegliere un medico privato e pagare di più, ma puoi vederlo più spesso.

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S: Qui hai 6 settimane di agonia, e a meno che tu non voglia ricoverarti in ospedale, sei fottuto. Per di più la gente non ha soldi. Io ne ho, ma il ragazzo della porta a fianco non può pagare per uno psichiatra privato e non può aspettare fino a sei mesi per un consulto. Ti do un’idea di quanto il sistema sia pessimo: un mio amico lavora in un servizio di assistenza per adolescenti dai 12 ai 18 anni con problemi di droga, del Servizio Sanitario Nazionale, e hanno un frigo nel bagno! Questa è l’immagine della Sanità Pubblica in Irlanda.

 

SoM: Riesco a immaginare tu abbia avuto momenti veramente duri. E’ stato negli ultimi mesi quando non hai potuto finire il tour?

S: Si, sono quasi morta. Era giugno e stavo molto male, come mai prima. Mi hanno prescritto la carbamazepina ad aprile e ho avuto una reazione molto inusuale che ha peggiorato i sintomi. Ora sto meglio, prendendo 200 mg di lamotrigina e 100 mg di quetiapina. Prendo anche una dose molto alta di vitamina B12 prescritta dallo psichiatra. Hanno appena scoperto che aiuta nelle fasi depressive del disturbo bipolare.

 

SoM: Hai mai provato la psicoterapia?

S: Si e cazzo non finisce mai! La sto ancora facendo. Al momento ho una seduta a settimana. Da luglio ad agosto ho anche svolto un lavoro terapeutico per 12 settimane in un centro di prevenzione del suicidio a Dublino. Sono fantastici. Uno dei peggiori sintomi quando stavo molto male era il pensiero costante rivolto al suicidio e ho scoperto che la maggior parte dei terapisti non è formata in maniera specifica sul pensiero suicidario, quindi puoi andare avanti per anni senza risolverlo.

Dal momento che non stavo prendendo farmaci, i pensieri sul suicidio hanno continuato a peggiorare finchè non ci ho provato veramente a gennaio, e ci sono stati altri tre tentativi in seguito. I terapisti nel centro di prevenzione del suicidio lavorano in modo specifico sul pensiero suicidario. Non parlano semplicemente del suicidio, ti aiutano a ricostruire la tua vita, ti aiutano a capire cosa vuoi dalla tua vita. Li ho visti una volta a settimana per delle sedute individuali. Mentre fai quello non fai altre terapie.

 

SoM: Che cosa intendi con “ricostruire la tua vita”?

Il Suicidio nella Canzone d'Autore Italiana. #1 - Immagine: © olly - Fotolia.com
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S: Mi hanno aiutato a identificare una serie di problemi, per esempio “staccare” era uno di questi, imparare a stare fermi e non fare un cazzo e stare semplicemente seduti e far uscire l’energia. A quel punto ti siedi e realizzi quanto eri stanco, quando hai pensieri depressivi o suicidari non ti rendi conto di quanto sei stanco.

Poi si sono concentrati sul fatto che io sono troppo incline a fare mie le opinioni negative degli altri riguardo a me. Se ci fossero dieci persone in una stanza e nove dicessero che sono fantastica e una soltanto dice che sono una stronza, quella sarebbe la persona di cui mi preoccupo e a cui credo, quella lì, deprimendomi perchè qualcuno mi dice che sono una stronza. Sono stati capaci di insegnarmi, cosa che non avevo imparato prima, come fottersene altamente di quelle persone.

E poi un’altra cosa importante è il divertimento, voglio dire “Cos’è che fai solo per divertirti?”, “C’è qualcosa che fai solo per divertirti?”. Mi hanno fatto compilare una lista (Ndt. Bucket list); quindi prima di tutto meriti di più, poi liberarsi di tutti quelli che ti fanno sentire di merda, poi riposare il proprio corpo, prenderti tempo per te stessa e mi hanno fatto mettere insieme una lista delle cose che vorrei fare nella vita, ed è stato fantastico!

In poco tempo ti distolgono dalla sofferenza e ti aiutano a costruire una vita divertente. E’ abbastanza stregonesco il modo in cui funziona la terapia, è qualcosa di inconsapevole, non sai come cazzo facciano, ma di colpo inizi a vivere in modo diverso e a pensare in modo diverso. Sono stata in grado di costruire la vita che voglio, capisci che intendo? Quando hai un disturbo mentale credo sia importante lavorare con i servizi di prevenzione se uno dei tuoi sintomi è il pensiero suicidario.

 

SoM: Hai lottato con problemi interpersonali che ti hanno portato a pensieri riguardo al suicidio?

S: In quel periodo non prendevo i farmaci e al tempo stesso stavano succedendo molte cose molto stressanti. Se fossi stata sotto terapia forse avrei reagito in maniera diversa. Nel mio caso è stata solo la malattia che mi ha fatto pensare al suicidio, ma era una compulsione. Sono arrivata al punto in cui capisco come i sintomi del disturbo bipolare mi hanno fatto sentire come se stessi camminando sott’acqua.

SoM: Camminare sott’acqua… rende bene l’idea di come dovessi sentirti… bene Sinead, credo che tu sia stata veramente coraggiosa ed esaustiva nel raccontare la tua difficile storia, e ti voglio ringraziare a nome di State of Mind e di tutti quelli che affrontano la sofferenza mentale ogni giorno.  

LEGGI L’INTERVISTA ORIGINALE IN INGLESE

 

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LE INTERVISTE DI STATE OF MIND

Il Trauma: Problema Diagnostico

Trauma: Problema Diagnostico. - Immagine: © udra11 - Fotolia.com LEGGI TUTTI GLI ARTICOLI DI STATE OF MIND SUL DISTURBO POST TRAUMATICO DA STRESS (PTSD)

Quali sono le conseguenze più importanti di un trauma? E soprattutto, l’attuale sistema diagnostico è in grado di cogliere le molteplici componenti di un vissuto traumatico? Al momento, non sembra azzardato dare risposta negativa alla seconda domanda.

La descrizione del disturbo da stress post traumatico non coglie la dimensione evolutiva del trauma, collocandolo in un contesto temporale circoscritto e definendo le conseguenze che esso provoca come un insieme di sintomi direttamente collegati a uno o più episodi di abuso o di violenza; lo sviluppo infantile di un bambino traumatizzato subisce però un danno pervasivo che si manifesta attraverso segni e modalità più complessi.

La disregolazione affettiva, i modelli di attaccamento disorganizzati, l’instabilità emotiva e comportamentale, la perdita di autonomia, l’aggressività contro di sé e contro gli altri, la disregolazione alimentare, del sonno e della cura di sé, la rappresentazione alterata del mondo, i problemi psicosomatici, la cronica percezione di inefficacia, il comportamento anticipatorio finalizzato a gestire le aspettative di un nuovo trauma, l’odio verso di sé, il pensiero autoaccusatorio, le condotte autolesionistiche e la mancata acquisizione di competenze evolutive compongono un quadro clinico estremamente variegato che la definizione di disturbo da stress post traumatico non può racchiudere (van der Kolk et al., 2005).

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L'impatto del trauma infantile sulla salute e sulla malattia - L'epidemia nascosta- (2012) GIovanni FIoriti Editore - Copertina
Articolo Consigliato: L’impatto del trauma infantile sulla salute e sulla malattia. L’epidemia nascosta (2012). Giovanni Fioriti Editore

 Si finisce perciò con l’attribuire ai bambini traumatizzati una serie di comorbiditá che dovrebbero rendere ragione dei differenti aspetti della sofferenza ma che in realtà non avvicinano il clinico ad una comprensione organica del fenomeno.

Il National Child Traumatic Stress Network ha lavorato alla creazione di una categoria diagnostica chiamata “Disturbo Traumatico dello Sviluppo” (van der Kolk, 2008), nella quale l’attenzione viene focalizzata sulla disregolazione affettiva in risposta a stimoli connessi al trauma, sulla generalizzazione dello stimolo e sullo sviluppo di un comportamento anticipatorio che scongiuri l’evento traumatico o al contrario lo riproduca conferendogli però un senso soggettivo di controllo, come nel caso delle condotte aggressive eterodirette.

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Secondo questa impostazione il trauma, che non viene causato solo da violenze o abusi subiti ma anche da esperienze di abbandono, tradimento, trascuratezza emotiva, esposizione alla vista di aggressioni che coinvolgono altri membri della famiglia, gestione inappropriata e morbosa della propria sessualità da parte degli adulti di riferimento, si traduce nella percezione di emozioni intense (rabbia, vergogna, paura, fallimento, rassegnazione, senso di tradimento) e nella messa in atto di comportamenti che contrastino tali emozioni.

Possiamo osservare reazioni di evitamento, congelamento emotivo, esasperazione degli impulsi, e l’elemento che accomuna queste manifestazioni è l’enorme difficoltà a ripristinare l’equilibrio precedente allo stato di attivazione traumatica. I bambini traumatizzati non sviluppano solo le risposte fisiologiche ed emotive richiamate dal trauma, così come vengono descritte nella diagnosi di disturbo da stress post traumatico, bensì anche un’immagine del mondo fondata sul tradimento subito; il loro modo di rapportarsi alle esperienze quotidiane esprime disorientamento, confusione, sentimenti dissociativi ogni volta che appare uno stimolo stressante, e l’interpretazione degli eventi è spesso erronea poiché prefigura il ripetersi del trauma anche quando non vi sono possibilità che ció accada.

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Le attribuzioni negative riferite a sè, la perdita di fiducia nelle figure genitoriali, il senso pervasivo di impotenza generano uno scenario in cui il bambino vittimizzato può solo difendersi da un ambiente minaccioso e invalidante.

La mancata comprensione dei comportamenti successivi al trauma, il cui significato difensivo non viene colto, produce negli adulti reazioni di rabbia e insofferenza che rinforzano la convinzione del bambino di non poter trovare risposte empatiche ai propri bisogni: in questo modo le dinamiche del trauma si perpetuano e diventano schemi rigidi che il bambino continuerà a utilizzare per codificare la propria esperienza.

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BIBLIOGRAFIA:

Tra Moglie e marito… modi diversi per dimostrarsi amore

 

Tra moglie e marito... modi diversi di dimostrarsi amore. - Immagine: © Sergej Khackimullin - Fotolia.comLa storia è la stessa per tante coppie. Ci si innamora, ci si sposa, ci si gongola nella certezza dell’amore corrisposto finchè un bel giorno, come un fulmine a ciel sereno, si insinua nella vita coniugale il fatidico tarlo: “mi amerà ancora?”.

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Di solito ciò accade quando col passare del tempo ciascun partner investe meno risorse nell’attuare quella serie di comportamenti che ritiene utili alla conquista, dettati dal tipico atteggiamento del “sono come tu mi vuoi”. Così ci si sforza di capire cosa può convincere chi abbiamo di fronte che corrispondiamo esattamente al suo partner ideale. E’ il tempo delle cene a lume di candela, delle frasi prese in prestito dai poeti del settecento e dei completi intimi ammiccanti.

I mesi passano, il clima di conquista abbandona il campo e il matrimonio suggella la resa dei conti e la formale adesione al nuovo atteggiamento del “sono come sono” e di conseguenza l’amore viene dimostrato con maggior naturelezza, secondo il proprio stile. Per molti mariti e mogli riconoscere e soprattutto apprezzare questo aspetto evolutivo del rapporto non è cosa semplice.

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Ricercatori dell’Università del Texas si sono interessati per ben 13 anni  alla vita di coppia di 163 sposi  per aiutarci a comprendere come viene espresso l’amore nella vita coniugale.

Una prima evidenza empirica ci rassicura: mariti e mogli sono ugualmente in grado di esprimere il proprio amore, sfatando lo stereotipo dell’uomo geneticamente poco incline a gesti d’affetto, ma lo fanno attraverso comportamenti diversi.

Quali? Le mogli manifestano il proprio amore mostrando meno comportamenti negativi o antagonisti mentre i mariti amorevoli prendono l’iniziativa sessuale e si mostrano interessati a condividere delle attività con le compagne.

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Del resto perchè dovremmo dare per scontato che l’amore sia la stessa cosa per entrambi quando anche Kelly, psicologo statunitense del secolo scorso, ci ricorda che le persone sono diverse non solo perchè hanno vissuto esperienze differenti ma soprattutto perchè attribuiscono significati diversi agli stessi eventi?

Così se desideriamo essere amati da lui, dovremmo innanzitutto imparare a conoscere la sua idea d’amore e il suo modo di manifestarlo  così da riuscire a scorgere tutto il suo amore dietro la richiesta di fare nuovamente sesso o di aiutarci a lavare i piatti.

E a voi uomini tocca fare lo stesso, rendervi conto che non c’è manifestazione d’amore più grande da parte nostra del cercare di essere accomodanti.

Ma quando si parla di matrimonio si parla di compromessi e ogni tanto potrebbe essere salutare sposare anche il costrutto d’amore altrui perchè niente fa sentire più amati dell’essere amati come intendiamo noi.

Quindi uomini ogni tanto non rompeteci le scatole e noi donne in cambio vi manifesteremo tutto il nostro, anzi il “vostro amore” con in dosso una guepiere di pizzo.

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BIBLIOGRAFIA:

Perché “Why” sembra meglio di “How” Elementi di processo nel pensiero ripetitivo in un campione italiano non clinico

Congresso SITCC 2012 Roma

 Perché “Why” sembra meglio di “How” Elementi di processo nel pensiero ripetitivo in un campione italiano non clinico

Bassanini A.a, Caselli G.b,c, Fiore F. a, Ruggiero G.M. a, Sassaroli S. a & Watkins E. d
a Studi Cognitivi, Milano.
b Studi Cognitivi, Modena.
c London South Bank University, London, UK.
d Mood Disorders Centre, School of Psychology, University of Exeter, UK

 

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ARTICOLI SU RIMUGINIO E RUMINAZIONEDEPRESSIONE

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Misura la tua memoria partecipando ad un esperimento on-line!

FLASH NEWS 

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

I ricercatori della Washington University di St. Louis stanno invitando soggetti di tutto il mondo a partecipare a un esperimento on-line grazie al quale i partecipanti potranno verificare la loro abilità nel ricordare volti e nomi.

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Il test, che può essere fatto al computer, smartphone, tablet, fa parte di una crescente tendenza “crowd-sourcing” in campo scientifico, che sfrutta Internet per raccogliere grandi quantità di dati di ricerca, consentendo ai partecipanti allo studio di imparare anche qualcosa su se stessi. Per partecipare è sufficiente visitare il sito web di prova a experiments.wustl.edu.e completare un test di soli 10 minuti.

Psicologia e Tecnologia: nuova App per Smartphones contro la Depressione. - Immagine: © 2012 Costanza Prinetti
Articolo consigliato: Psicologia e Tecnologia: nuova App per Smartphones contro la Depressione

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Partecipando chiunque può dare il suo contributo allo studio dei processi mnestici e ricevere anche un feedback sulla propria performance nel compito di memoria, cioè la stima approssimativa del suo punteggio “Face-Name Memory IQ”, e confrontarlo con quello degli altri partecipanti.

Progettato per essere sia divertente che informativo, il test è anche facile da condividere tra amici attraverso i social network.

Questo progetto si è sviluppato grazie a un lavoro di squadra che coinvolge i docenti, il personale e gli studenti del Department of Psychology in Arts & Sciences e del Department of Computer Science & Engineering all’interno della School of Engineering & Applied Science. Il team di ricerca sta esplorando l’uso dei social media e altre opportunità per diffondere il passa-parola sull’esperimento nella speranza di convincere più persone possibile a fare il test on-line.

 

 

BIBLIOGRAFIA:

Psicoterapia: Il Disputing della Fobia Sociale – Parte I

 

LEGGI LA MONOGRAFIA: IL DISPUTING IN PSICOTERAPIA   LEGGI: INTRODUZIONE AL DISPUTING DEI DISTURBI D’ANSIA

Psicoterapia: Il Disputing della Fobia Sociale - Parte I.  - Immagine: © Edyta Pawlowska - Fotolia.com

Molte sono le idee che possono intimidire gli uomini e le donne. Anche nelle situazioni più rilassate vi è sempre una misura di giudizio e di competizione, di accettazione o di rifiuto.

A differenza del panico, il paziente affetto da fobia sociale è in grado di collegare le sue paure con una situazione ben definita. In altre parole, egli è capace di indicare con precisione cosa lo preoccupa: le situazioni sociali e il giudizio sociale. L’intensa paura di essere giudicati negativamente pervade il pensiero di queste persone, paura che genera il timore di affrontare tutte le situazioni in cui si rischia di essere oggetto di valutazione da parte degli altri. 

Naturalmente, secondo il modello cognitivo, questi timori sono legati a idee distorte che inducono la persona a valutare in maniera errata le situazioni sociali. Veri e propri errori, per i quali la persona si sente esclusa, derisa, rifiutata, malgiudicata. Oppure, secondo la via pragmatica, i pensieri non sono falsi, non sono errori, ma sono disfunzionali, ovvero non aiutano la persona a stare bene in mezzo agli altri, a godere della compagnia degli altri. 

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Molte sono le idee che possono intimidire gli uomini e le donne. Anche nelle situazioni più rilassate vi è sempre una misura di giudizio e di competizione, di accettazione o di rifiuto. Inoltre, è vero che tutti desideriamo godere della compagnia degli altri in maniera attiva. Desideriamo essere simpatici e desideriamo essere -almeno per un attimo, l’attimo di una battuta brillante- essere il centro della serata, conquistare la risata di chi ci ascolta, ma anche vederci confermati e incoraggiati nel nostro desiderio di essere accettati dagli altri come uno di loro.

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Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche
Articolo Consigliato: Neuroimaging: misurare l’efficacia del Trattamento dell’Ansia Sociale

 Non è facile. E non basta. Le difficoltà vanno negate, nascoste, non espresse e non confidate. Vietato lamentarsi, in questo campo. La competizione sociale va fatta con eleganza, senza sforzo e senza esagerare la sfida. Occorre essere pronti a concedere amicizia miscelata nella sfida se si vuole veramente essere accolti. La paranoia in agguato va tenuta a bada come una bestia feroce. Simpatia e capacità sociale vanno conquistate con leggerezza e noncuranza. Guai a chi si sforza in questo campo. Così come un eccesso di ansia è dannoso, un eccesso di preoccupazione sociale ci rende poco simpatici e per nulla attraenti. E qui possono entrare in campo le credenze distorte e disfunzionali.  

Le credenze più diffuse si possono suddividere in due categorie.

Quelle che sopravvalutano la disapprovazione altrui, spesso attraverso un eccesso di attenzione alle espressioni del viso, allo sguardo e agli atteggiamenti di chi ci ascolta e quelli che sopravvalutano le proprie mancanze, che pensano di dire cose poco interessanti, di non sapere parlare, di fare troppe esitazioni e di non avere mai la giuste parole che dicano le cose (Clark e Wells, 1995).

Queste idee finiscono naturalmente per diventare profezie che si auto-avverano. Il timore del giudizio negativo genera reazioni fisiologiche di vergogna che sono a loro volta oggetto di imbarazzo. Balbettio, tremori, sudorazione eccessiva e pause nel parlare, di cui il fobico sociale si rende conto con terrore e che interpreta ancora una volta come segnale della propria incapacità di stare con gli altri. Il fobico sociale finisce quindi per vergognarsi della sua vergogna, generando un classico circolo vizioso (Heimberg, Liebowitz, Hope, Schneier, 1995). Ma ascoltiamo la voce dei pazienti.

T.: Perché teme le situazioni sociali?

P.: Non so stare bene in mezzo agli altri, sono timido, impacciato.

T.: Essere timidi è un’emozione. Mi racconti con più precisione in cosa consiste il suo non saper stare in mezzo agli altri.

P.: Gli altri se ne accorgono. Non so cosa dire, parlo poco e quando parlo non dico cose interessanti. E poi spesso m’impappino, non mi vengono le parole.

Oppure:

P.: Quando parlo, gli altri non mostrano molto interesse. Mi guardano annoiati. Ma anche prima che proferisca parola, non mi danno retta. A volte inizio a dire qualcosa nessuno si volta verso di me. Tutti continuano a parlare tra loro, come se non ci fossi.

Il disputing della fobia sociale nasce da un’accurata raccolta dati. Occorre valutare con attenzione le situazioni temute e soprattutto le basi empiriche dei timore della persona fobica sociale. Cosa teme esattamente e perché? Ci sono stati giudizi espliciti altrui o solo cenni di dissenso, occhiate, smorfie? Davvero il cliente balbetta fino al punto di non potersi esprimere, o arrossisce o suda in maniera imbarazzante, o si tratta solo di sensazioni interiori? Insomma, fino a che punto il problema è esterno e oggettivo e quanto è soggettivo?

LEGGI LA MONOGRAFIA: IL DISPUTING IN PSICOTERAPIA   LEGGI: INTRODUZIONE AL DISPUTING DEI DISTURBI D’ANSIA

 

 

BIBLIOGRAFIA:

Correlati Psicologici e Qualità di Vita nei pazienti affetti da Fibrillazione Atriale: Uno Studio Pilota

Congresso SITCC 2012 Roma

CORRELATI PSICOLOGICI E QUALITÀ DI VITA NEI PAZIENTI AFFETTI DA FIBRILLAZIONE ATRIALE: UNO STUDIO PILOTA

 Rafanelli C., Formiconi C., Marchetti G., Roncuzzi R.

Presentato da Cristina Formiconi

 

LEGGI: EMDR, Cardiopatia e salute Psico-fisica  –  Le reazioni psicologiche dei pazienti con scompenso cardiaco

 

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La Terapia Metacognitiva Interpersonale alle Olimpiadi – Psicologia dello Sport

Vittoria Galasso

 

 

La Terapia Metacognitiva Interpersonale alle Olimpiadi. - Immagine: © Brian Jackson - Fotolia.com

Olimpiadi 2012: Molti atleti dei diversi team nazionali sono stati accompagnati dal proprio mental coach. Ed anche io ero tra questi.

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Le Olimpiadi di Londra 2012 sono un’esperienza ormai compiuta, per i protagonisti e per gli spettatori. Un caleidoscopio di emozioni, colori e sensazioni che fanno parte dei ricordi di tutti coloro che in qualche modo vi hanno preso parte. Parliamo di Olimpiadi, ovviamente, di quell’imponente giostra carica di ritualità e di imprevisti che anima lo scenario sportivo internazionale ogni quattro anni. E gli psicologi? Come al solito non sono stati a guardare! Molti gli atleti dei diversi team nazionali sono stati accompagnati dal proprio mental coach. Ed anche io ero tra questi. Una grande opportunità giunta a coronamento di quella che ormai è una lunga collaborazione con il CONI.

Questa esperienza è stata l’occasione per sperimentare un protocollo di intervento nato dalla fusione tra la psicologia dello sport e la Terapia Metacognitiva Interpersonale.

Questo approccio è nato da una estemporanea esigenza: quali strumenti dell’agire psicologico utilizzare quando l’atleta è chiaramente portatore di una sofferenza soggettiva, riconducibile a specifiche caratteristiche di personalità che, pur riverberando nella prestazione, non ha in essa la sua sola origine o possibilità di risoluzione? È questo l’interrogativo che si è andato definendo nella mia mente all’incirca due anni fa all’inizio di questa avventura, quando mi sono trovata a dover intervenire su di un atleta che, pur provenendo da innumerevoli successi internazionali, sembrava, a seguito di una serie di eventi personali e sportivi, non riuscire più ad ingranare le marce per compiere delle scelte gratificanti.

Mental_Training. - Immagine: © Andrea Danti - Fotolia.com
Articolo Consigliato: Strategie Cognitive & Mental Training: Il Caso di D.

“La prestazione prima di tutto!” È questo l’imperativo a cui mirare… ma questa volta era diverso. A non funzionare non era più solo la prestazione. L’Olimpiade non era poi così lontana e l’assessment iniziale aveva chiaramente lasciato emergere caratteristiche di personalità tali da non poter essere ignorate nella formulazione dell’intervento. Se infatti la prestazione sportiva è frutto dell’integrazione tra aspetti psicologici e fisiologici, tralasciare gli elementi di sofferenza soggettiva emersa, sarebbe equivalso ad invalidare la possibilità di accedere con successo, anche se solo in un secondo momento, al programma di allenamento mentale.

Perfezionismo, bassa autostima, alessitimia sono di fatto elementi ricorrenti nell’organizzazione di personalità degli atleti di alto livello e, di frequente , essi stessi attivatori dell’impegno agonistico. Quando però sopraggiungono fattori stressanti, come ad esempio l’esposizione protratta alla dinamica agonistica, questi stessi aspetti possono tradursi in elementi di rischio psicopatologico capace di determinare quadri sintomatologici che richiedono interventi terapeutici specifici, come quello TMI. L’atleta in questione presentava caratteristiche che motivavano un intervento di questo tipo.

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Emergevano nel colloquio emozioni intense e dolorose, unitamente ad una assoluta difficoltà di gestione delle stesse, con conseguente percezione di inefficacia personale. La vita di relazione risultava guidata da schemi impliciti che lo costringevano a reiterare dinamiche stereotipate.

Le capacità metacognitive erano fortemente sollecitate dall’impegno sportivo ma decisamente compromesse: gli veniva richiesto di organizzare il proprio comportamento in vista della meta (le olimpiadi), impegnando capacità di ragionamento finalizzate alla definizione di obiettivi, al compimento delle scelte, alla formulazione delle valutazioni. Il comportamento doveva essere costantemente monitorato ed adeguato all’andamento dell’allenamento e delle gare, gestendo nel contempo il proprio stato psicoemotivo e gli aspetti relazionali. Promuovere, attraverso gli interventi terapeutici, il processo di riflessione su di sé , avrebbe consentito di focalizzare l’attenzione sui fattori capaci di favorire il funzionamento, accrescendo anche la consapevolezza su quanto provoca disagio. Il lavoro sulle abilità metacognitive avrebbe poi consentito di intervenire sugli aspetti relazionali (particolarmente critici all’inizio dell’intervento), agevolando il potenziamento di quelle capacità che permettono di capire gli altri (compagni, avversari, allenatore, dirigenti sportivi), a tutto vantaggio dell’organizzazione strategica del proprio comportamento in gara e non solo (consapevolezza dei punti di forza e di debolezza di compagni e avversari).

 Alla luce di queste riflessioni iniziali si è dunque proposto all’atleta di avvalersi di un intervento gerarchicamente organizzato e sdoppiato in due momenti diversi. Ottenuta la piena condivisione e in un clima di collaborazione, il programma ha avuto avvio, con sedute settimanali, compatibilmente con le disponibilità legate alle trasferte.

Settimana dopo settimana si è giunti a conclusione del primo anno con la piena convinzione che si fossero ormai definite le condizioni necessarie e sufficienti ad implementare il secondo modulo: il lavoro sul campo. L’atleta aveva sviluppato strategie efficaci per la gestione delle emozioni dolorose e andava acquisendo consapevolezza dei propri schemi. La psicoterapia andava avanti, mentre le tecniche di mental training cominciavano ad essere strutturate in un programma di allenamento sistematico affidato ad una collega.

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Da lì a poco la qualifica olimpica. E poi una lunga cavalcata fino alla gara! A pochi giorni dall’evento la richiesta esplicita da parte dell’atleta: la presenza del nostro team di lavoro a Londra! L’obiettivo dichiarato e condiviso era quello di affrontare la gara con le condizioni mentali ottimali. I colloqui sarebbero serviti in quei giorni, oltre che a contenere l’ansia, ad agevolare il rapporto con l’allenatore (vera figura chiave di un pregara olimpico), attraverso interventi terapeutici che sostenessero l’atleta nel suo processo di lettura delle dinamiche relazionali. In questi frangenti di massima tensione, ogni particolare può diventare importante e una difficoltà con il proprio coach può essere cruciale … e poi a Londra ci si era arrivati tutti insieme e tutti insieme dovevamo gareggiare, così esclamò l’atleta nel fare la sua richiesta: e olimpiade fu!

Vasi comunicanti. il dialogo tra mente e corpo. - Immagine: © freshidea - Fotolia.com
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Di sicuro, un’esperienza particolare nel suo genere, proprio perché il lavoro con gli atleti di alto livello pone agli psicologi interrogativi assolutamente peculiari, tra il bisogno di favorire le prestazioni e la consapevolezza di esistenze spesso schiacciate tra sacrifici da palestra e luci dei riflettori. In tale contesto l’intervento di Terapia Metacognitiva Interpersonale sembra riuscire ad incidere sia su un piano strettamente individuale (favorendo la consapevolezza e la capacità di descrizione del proprio mondo interiore) che su quello relazionale (agevolando la capacità di comprensione di ciò che gli altri pensano e sentono). Sul piano individuale, dunque, un atleta che necessiti di un simile intervento avrà modo di riscoprire scopi e desideri personali laddove questi risultano spesso celati da una motivazione agonistica frequentemente mediatrice di bisogni relazionali di altra natura. Il miglioramento sul piano relazionale riverbera subito nel rapporto con l’allenatore ed i compagni a tutto vantaggio della prestazione.

Il cantiere di Olimpia 2016 è ormai già aperto. Dopo qualche settimana di riposo il mondo dello sport si riorganizza silenziosamente in vista della nuova meta. Speriamo di esserci, e buon viaggio a tutti!

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BIBLIOGRAFIA:

Solo poche righe sull’orrenda storia del bambino trascinato via dalla scuola

 

Poche righe sull’orrenda storia del Bambino Trascinato via da ScuolaSolo poche righe sull’orrenda storia del bambino trascinato via dalla scuola. Dove sicuramente non abbiamo tutti gli elementi per farci un’opinione, ma dove di certo sono stati commessi errori da parte delle forze dell’ordine.

TUTTI GLI ARTICOLI SU: BAMBINI 

Ma oggi vorrei parlare dei genitori, che mi sembrano la maggiore fonte di scandalo e di preoccupazione. Questi genitori di cui non sappiamo nulla, dal 2005 litigano sulla separazione e non trovano un accordo. O se lo trovano per via giudiziaria, lo infrangono. Portano via il bambino e impediscono all’altro coniuge di vederlo. (nel caso della madre con la solidarietà della famiglia d’origine, ahimè, nessuno in questa storia è saggio).

Qual è il punto più drammatico in questa vicenda? Che queste due persone non possono mai cambiare idea. Che rimangono davanti ai problemi reciproci per anni nella stessa posizione aumentando e migliorando soltanto le armi per la battaglia reciproca.

La madre per sempre vuole togliere al figlio il padre. Ma anche il padre per sempre vuole togliere e riavere per sé il figlio. Questa guerra dei Roses non è però una guerra in una coppia appesa a un lampadario ma una guerra in cui un bambino che oggi ha 11 anni ma ne aveva 5 quando il tutto è cominciato paga il costo della inflessibilità malata dei genitori. Ignari del danno per il figlio causato dalla loro incapacità di cambiare idea.

L'impatto del trauma infantile sulla salute e sulla malattia - L'epidemia nascosta- (2012) GIovanni FIoriti Editore - Copertina
Articolo Consigliato: L’impatto del trauma infantile sulla salute e sulla malattia. L’epidemia nascosta (2012). Giovanni Fioriti Editore

Un figlio che impara che non si può mai pensare cose nuove e affrontare nuove emozioni,. Dove nessuno è capace di mettersi nei panni dell’altro genitore e comprenderne il dolore, la sofferenza. Dove si è disposti a pagare qualsiasi prezzo per volgere la realtà a proprio favore. Che vede genitori completamente incapaci di uscire dal proprio punto di vista per un bene più generale.

ARTICOLI SU: EMPATIA

Ecco la gravità per il figlio, oltre al dolore dell’orrenda scena, e al dover sempre escludere almeno un genitore dalla propria scena esistenziale, è che impara che non si può mai cambiare idea in una ossessione terribile e ignara del rispetto per l’altro. Egli ha visto che i suoi genitori non sanno affrontare gli intoppi, le invalidazioni, i problemi, le emozioni di dolore, se non con strappi odiosi e schematici.

Ha visto che hanno continuato negli anni a pensare, fare, provare, soltanto una cosa, la rabbia e la vendetta e le strategie di guerra reciproca, comportamentale, emotiva, legale, giudiziaria.

Questa coppia malata dove si è malati in due ma ognuno è malato a modo proprio, senza l’autorità non è stata capace di risolvere nulla in un colloquio o magari un aspro confronto maturo che contemplasse il rispetto dell’altro e cedimenti reciproci alla saggezza per il bene dell’altro e del figlio.

ARTICOLI SU: RELAZIONI SENTIMENTALI –  TERAPIA DI COPPIA

Noi auguriamo a questo bambino di non assorbire tutto questo e che abbia la fortuna di incontrare nel suo viaggio qualcuno che sappia vedere le cose in modo diverso, laterale, inaspettato, nuovo. Che gli insegni che le emozioni di rabbia e ingiustizia si possono accettare in modo saggio e generoso insieme al dolore che esse comportano.

Queste figure a lui sono mancate e di questo nella sua storia evolutiva resterà una traccia dolorosa e potenzialmente pericolosa per le sue stesse emozioni e per il suo stesso modo di pensare. 

Noi pensiamo che entrambi genitori (e non solo il bambino) abbiano bisogno di un aiuto psicologico per un loro personale percorso di crescita.

 

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Nicotina: favorisce i Processi di Apprendimento e Memoria

FLASH NEWS 

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

La Nicotina produce effetti positivi sulla possibilità dell’ippocampo di elaborare le informazioni favorendo i processi di memoria e l’apprendimento.

Dopo i cerotti alla nicotina per migliorare la memoria, ecco la conferma che questa sostanza gioca un ruolo importante nei processi di apprendimento e memoria.

(LEGGI L’ARTICOLOLa nicotina migliora la memoria ed aiuta a combattere i Deterioramenti Cognitivi

Un team di ricercatori della Uppsala University, insieme ai loro collaboratori brasiliani, ha scoperto un nuovo gruppo di cellule nervose che regolano i processi di apprendimento e memoria.

Queste cellule chimate gatekeeper, nella cui attivazione la nicotina sembra avere un ruolo importante, agiscono come custodi di un passaggio a livello  assegnando priorità di elaborazione nell’ippocampo alle informazioni provenienti dai circuiti locali e favorendo quindi il consolidamento dei ricordi.

L’ippocampo è una zona del cervello che è importante per il consolidamento delle informazioni in memoria e ci aiuta a imparare cose nuove. La recente scoperta di cellule nervose gatekeeper, chiamate anche cellule OLM-alfa2, fornisce una spiegazione di come il flusso di informazioni è controllato nell’ippocampo.

Psicologia & Dipendenze (Fumo): la Sicurezza che ci dà la Sigaretta. - Immagine: © dred2010 - Fotolia.com
Articolo Consigliato: Psicologia & Dipendenze (Fumo): la Sicurezza che ci dà la Sigaretta

LEGGI TUTTI GLI ARTICOLI DI STATE OF MIND SULLA NEUROPSICOLOGIA

E ‘noto che la nicotina migliora i processi cognitivi compreso l’apprendimento e la memoria, ma questa è la prima volta che viene identificata una popolazione di cellule nervose è legata agli effetti della nicotina,” dice il professor Klas Kullander della Uppsala University.

Gli esseri umani pensano, apprendono e memorizzano grazie alle cellule nervose che scambiano segnali tra loro. Alcuni di questi segnali vengono inviati e ricevuti all’interno della stessa area cerebrale, altri invece raggiungono altre aree del cervello, più lontane. Alcuni circuiti nervosi locali dell’ippocampo processano le informazioni in entrata e trasformano alcune di queste in ricordi. Ma come funziona questo meccanismo? E come può la nicotina migliorarlo?

La ricerca getta letteralmente “nuova luce” su questo meccanismo intrigante: i ricercatori hanno utilizzato una nuova tecnologia denominata optogenetics, in cui la luce viene usata per stimolare le cellule nervose selezionate, e hanno scoperto che la luce attivante le cellule gatekeeper modifica il flusso di informazioni nell’ippocampo nello stesso modo in cui fa la nicotina.

 Attraverso la ricerca sui topi, gli scienziati hanno dimostrato che le cellule gatekeeper sono collegate alla cellula principale dell’ippocampo. L’attivazione delle cellule gatekeeper fa in modo che i segnali inviati alla cellula principale dal circuito locale abbiano la priorità, quando invece queste cellule sono inattive i segnali in entrata provengono da aree diverse e più lontane. La nicotina attiva le cellule gatekeeper, in questo modo assegna una priorità alla formazione dei ricordi attraverso i segnali locali.

Gli scienziati adesso vogliono verificare quali tipi di memoria e apprendimento possono essere selezionati per dall’attivazione di cellule gatekeeper. Grazie a questi dati, può essere possibile stimolare queste cellule nervose con mezzi artificiali, ad esempio selezionando farmaci simili alla nicotina, per migliorare la memoria e l’apprendimento nell’uomo; sfruttando perciò gli effetti positivi della nicotina sulla possibilità dell’ippocampo di elaborare le informazioni, senza però che si crei la dipendenza da nicotina tipica dell’assunzione della sostanza.

LEGGI TUTTI GLI ARTICOLI DI STATE OF MIND SULLE DIPENDENZE

 

 

BIBLIOGRAFIA:

Core Belief e Caratteristiche di Personalità in un gruppo di Donne con Disturbi Alimentari

Congresso SITCC 2012 Roma

 Core Belief e Caratteristiche di Personalità in un gruppo di Donne con Disturbi Alimentari

 LUCA CALZOLARI, C LA MELA, S MORI, M MAGLIETTA, S LUCARELLI

 

 GLI ARTICOLI SU DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTAREBELIEFS/CREDENZEGENDER STUDIES

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Partecipare per apprendere

Marcella Offeddu.

Partecipare:

Partecipare per apprendere - FIgura 1
Schema della Partecipazione

Se partecipare, nel senso più ampio dato dall’approccio della democrazia deliberativa al termine, è questo, allora come può essere utilizzato un approccio partecipativo?

1. Può essere utilizzato per il cambiamento organizzativo (change management): l’approccio partecipativo serve in momenti di cambiamento, o che richiedono di definire strategie specifiche, per garantire che le decisioni assunte si trasformino in azioni effettive. È utile dunque in questo ambito per superare i rischi legati al ‘falso consenso’ o alla non piena comprensione delle diverse prospettive e opzioni.

2. È ormai molto utilizzato per affrontare questioni rilevanti per la comunità. Da molti anni anche in Italia (cfr. in primis l’esperienza della Regione Toscana – cha ha istituito una vera e propria Autorità per la partecipazione e della Regione Emilia‐Romagna, tra altre) i metodi partecipativi vengono utilizzati per coinvolgere i cittadini in decisioni che hanno un elevato impatto sulla comunità locale (su tematiche come ad es. la costruzione di infrastrutture sul territorio).

Una riflessione più approfondita su metodi ed ambiti è rintracciabile nell’articolo Partecipazione e cittadinanza: uno sguardo metodologico. La proposta di questo articolo è quella di applicare alcune metodologie ed i principali assunti dell’approccio partecipativo al contesto della formazione. Ci porremo dunque due questioni fondamentali a cui rispondere in questa riflessione.

Partecipazione e Cittadinanza: uno Sguardo Metodologico. - Immagine: © AMATHIEU - Fotolia.com
Articolo consigliato: Partecipazione e Cittadinanza: uno Sguardo Metodologico

Perché l’approccio partecipativo nella formazione? Cosa dell’approccio partecipativo può essere utile in un contesto formativo, e a quali condizioni?

Rispetto alla prima domanda, l’approccio partecipativo è utile nella formazione perché consente di affrontare alcune problematiche storiche di tale ambito, tra le quali due fondamentali e tra loro connesse:

• La percezione di utilità: la formazione rappresenta un costo, dunque è importante per l’organizzazione che lo sostiene poter predire un certo ritorno dell’investimento (il ROI). Rispetto alla definizione e quantificazione di tale ‘ritorno’ al lavoratore e all’impresa, in termini di competenze e professionalità, si sollevano molte problematiche. Il ROI della formazione è infatti difficilissimo da quantificare. La domanda che si pone è: perché pagare un servizio che non so se mi è utile e rispetto ai cui esiti non possiedo parametri chiari di valutazione? Diverse tipologie di intervento formativo, sulla base della filiera in cui si collocano, del target, dei contenuti, dei metodi, hanno risposto in modo vario a tale domanda.

L’utilizzo dell’approccio partecipativo permette a mio avviso di rispondere: realizzo un percorso formativo perché l’applicazione di questo metodo mi garantisce che al termine otterrò un prodotto definito. Appiclare principi della partecipazione deliberativa implica in primo luogo che fin dalla fase di progettazione viene definita la tipologia di prodotto che ci si attende in esito al percorso. Il prodotto può consistere in una decisione, in linee guida, in proposte, ma può anche essere prodotto tangibile (cfr. esperienza UCMAN a seguire).

• L’effettività degli esiti. Gli esiti di un percorso partecipativo hanno un aspetto in comune, pur nella differenza di contenuti e interlocutori: sono sempre condivisi. Il metodo stesso è pensato per far emergere le diverse prospettive, tutte, e creare la migliore mediazione possibile tra esse, in modo da ottenere un risultato condiviso. Il fatto che il risultato/prodotto nasca dal contributo attivo di tutti i partecipanti aumenta esponenzialmente il livello di coinvolgimento di ciascuno rispetto ad esso. Non è un prodotto. È il mio prodotto, anche il mio. Sarà importante progettare, per percorsi formativi che utilizzino anche metodi partecipativi, momenti di follow up per verificare la persistenza nel tempo di tale coinvolgimento, e dunque l’effettività del cambiamento prodotto.

In merito alla seconda domanda, Cosa dell’approccio partecipativo può essere utile in un contesto formativo, e a quali condizioni?

Ritengo che i metodi partecipativi possano essere utili in ogni fase di un progetto formativo, e in particolare:

PArtecipare per apprendere. Tabella 1
CLICCA SULLA TABELLA PER VISUALIZZARE LA VERSIONE ESTESA

UN ESEMPIO:

Un esempio di utilizzo sperimentale di un metodo partecipativo nella formazione è dato dall’esperienza portata avanti nei primi mesi di quest’anno dall’Unione dei comuni modenesi (UCMAN) e dalla sua agenzia formativa Iride formazione, con mia consulenza (nell’anno precedente un intervento differente ma sempre realizzato con metodi partecipativi era stato portato avanti con la consulenza di A. Cacciani).

In questa occasione, il metodo è stato utilizzato prevalentemente nella fase centrale dell’erogazione formativa. Il prodotto/obiettivo finale era la co‐costruzione, con gli attori presenti sul territorio nei settori commercio e cultura, di un cartellone che comprendesse tutti gli eventi in previsione per il 2012 nei 9 Comuni dell’Area. Il committente aveva dunque chiaro fin dall’incontro preliminare il prodotto desiderato: anzi, la progettazione dell’intervento formativo e partecipativo è stata realizzata in vista di quel prodotto/obiettivo. Il lavoro di formazione e condivisione è servito per arrivare al prodotto e ‘riempirlo’ di contenuto.

L’esperienza presentata ci illustra come una condizione fondamentale perché tali metodi possano essere usati nella fase di erogazione della formazione è che il gruppo di apprendimento possieda già delle conoscenze/competenze in merito all’oggetto dell’approfondimento. In questo caso il metodo partecipativo permette di far circolare le conoscenze già presenti tra i partecipanti (eventualmente col supporto di esperti esterni, ma senza che il facilitatore della discussione entri nei contenuti oggetto del corso: il ruolo del facilitatore è proprio quello di far emergere dai partecipanti le opinioni e le riflessioni). Questa condizione non è necessaria invece nel caso in cui il metodo sia utilizzato per rilevare le aspettative dei partecipanti.

Infine, una seconda ed ultima condizione fondamentale è che il percorso formativo preveda effettivi ed ampi margini di libertà per il progettista: se l’analisi del fabbisogno è già stata realizzata, o gli obiettivi sono ormai definiti, utilizzare un metodo partecipativo solo come attivatore dell’attenzione rischia di farlo assomigliare ad un gioco. Perdendo dunque la componente metodologica, e molti dei risultati. Infatti, se un importante risultato dell’utilizzo di questi metodi è il coinvolgimento attivo dei partecipanti nelle decisioni assunte insieme, questo risultato decade laddove al termine dell’incontro partecipativo non si vedano esiti concreti (che si tratti della ridefinizione dei contenuti del corso, o delle strategie formative, o altro ancora…).

 

 

 

RIFERIMENTI PER APPROFONDIRE:

Fruits, Vegetables, Antioxidants and Popcorn?

 

 I recently received this notice and thought it was worthwhile to share with the State of Mind community.

Fruits, Vegetables, Antioxidants and Popcorn? - Immagine: © Frog 974 - Fotolia.com

Polyphenols are much more abundant in popcorn than in fruit and vegetables. The levels are similar to those found in nuts, and up to 15 times higher than quantities found in other whole-grain foods.

Many people are aware of the beneficial health effects of eating fruits and vegetables. One reason for this is that they are a good source of antioxidants called polyphenols. Research has shown that polyphenols are anti-inflammatory, anti-tumor and help prevent heart disease (Scalbert et al. 2005). While fruits and vegetables are high in these healthy antioxidants, did you know that popcorn is also loaded with polyphenols?

In an interesting presentation at the National Meeting & Exposition of the American Chemical Society, Chemistry Professor Joe Vinson, Ph.D., of the University of Scranton explained that popcorn is approximately 4 percent water, compared to 90 percent in most fruit and vegetables (Vinson, 2012). This means that polyphenols are much more diluted in the fruit and veggies compared to popcorn.

No recipes for treating eating disorders. Image: © kikkerdirk #27366320 -
Recommended Article: Science does not offer recipes for treating eating disorders.

The researchers found that polyphenols were much more abundant in popcorn than they had expected. They explained that levels were similar to those found in nuts, and up to 15 times higher than quantities found in other whole-grain foods. The team also found that popcorn hulls have the highest polyphenols concentrations and are rich in fiber.

In order to have a healthy diet, you cannot replace fresh fruits and vegetables with popcorn, Dr. Vinson stressed. Popcorn does not contain several other key nutrients present in fruit and veggies.

However, popcorn may be the perfect snack food, as it’s the only snack that is 100 percent unprocessed whole grain. One serving of popcorn will provide more than 70 percent of the daily intake of whole grain but it’s important to remember that everything is better in moderation. This study assumes you are eating a single serving of popcorn without salt or butter, leading to a mere 93 calories per serving.

How the popcorn is prepared can considerably alter the popcorn’s health benefits. Oil, butter and salt dilute the health benefits of popcorn by adding fat and even doubling its calories. Your best bet is air-popped popcorn made with a hot air popper without any oil, but if plain popcorn sounds too bland, consider adding spices or herbs to improve its flavor. Mist the popcorn with a touch of water or a healthy oil like olive or canola then toss in flavorings like chili powder, cinnamon, curry powder, dried dill or a teaspoon of grated parmesan cheese.

 

 

BIOGRAFIA:  

  • Scalbert, A., Johnson, I, T,. Saltmarch, M. (2005). Polyphenols: antioxidants and beyond. The American Journal of Clinical Nutrition, 81, 1, 2155-2175. DOWNLOAD
  • Vinson, J. (2012, March). The snack with even higher antioxidants levels than fruits and vegetables. Presentation at the 243rd National Meeting & Exposition of the American Chemical Society, San Diego, Calif.

 

Popcorn: The snack with even higher antioxidant levels than fruits and vegetables

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