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Psicoterapia: Il Disputing della Fobia Sociale – Parte I

Il paziente affetto da fobia sociale è in grado di collegare le sue paure con una situazione: le situazioni sociali e il giudizio sociale

Di Giovanni Maria Ruggiero, Francesca Fiore

Pubblicato il 15 Ott. 2012

Aggiornato il 17 Set. 2014 12:57

 

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Psicoterapia: Il Disputing della Fobia Sociale - Parte I.  - Immagine: © Edyta Pawlowska - Fotolia.com

Molte sono le idee che possono intimidire gli uomini e le donne. Anche nelle situazioni più rilassate vi è sempre una misura di giudizio e di competizione, di accettazione o di rifiuto.

A differenza del panico, il paziente affetto da fobia sociale è in grado di collegare le sue paure con una situazione ben definita. In altre parole, egli è capace di indicare con precisione cosa lo preoccupa: le situazioni sociali e il giudizio sociale. L’intensa paura di essere giudicati negativamente pervade il pensiero di queste persone, paura che genera il timore di affrontare tutte le situazioni in cui si rischia di essere oggetto di valutazione da parte degli altri. 

Naturalmente, secondo il modello cognitivo, questi timori sono legati a idee distorte che inducono la persona a valutare in maniera errata le situazioni sociali. Veri e propri errori, per i quali la persona si sente esclusa, derisa, rifiutata, malgiudicata. Oppure, secondo la via pragmatica, i pensieri non sono falsi, non sono errori, ma sono disfunzionali, ovvero non aiutano la persona a stare bene in mezzo agli altri, a godere della compagnia degli altri. 

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Molte sono le idee che possono intimidire gli uomini e le donne. Anche nelle situazioni più rilassate vi è sempre una misura di giudizio e di competizione, di accettazione o di rifiuto. Inoltre, è vero che tutti desideriamo godere della compagnia degli altri in maniera attiva. Desideriamo essere simpatici e desideriamo essere -almeno per un attimo, l’attimo di una battuta brillante- essere il centro della serata, conquistare la risata di chi ci ascolta, ma anche vederci confermati e incoraggiati nel nostro desiderio di essere accettati dagli altri come uno di loro.

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 Non è facile. E non basta. Le difficoltà vanno negate, nascoste, non espresse e non confidate. Vietato lamentarsi, in questo campo. La competizione sociale va fatta con eleganza, senza sforzo e senza esagerare la sfida. Occorre essere pronti a concedere amicizia miscelata nella sfida se si vuole veramente essere accolti. La paranoia in agguato va tenuta a bada come una bestia feroce. Simpatia e capacità sociale vanno conquistate con leggerezza e noncuranza. Guai a chi si sforza in questo campo. Così come un eccesso di ansia è dannoso, un eccesso di preoccupazione sociale ci rende poco simpatici e per nulla attraenti. E qui possono entrare in campo le credenze distorte e disfunzionali.  

Le credenze più diffuse si possono suddividere in due categorie.

Quelle che sopravvalutano la disapprovazione altrui, spesso attraverso un eccesso di attenzione alle espressioni del viso, allo sguardo e agli atteggiamenti di chi ci ascolta e quelli che sopravvalutano le proprie mancanze, che pensano di dire cose poco interessanti, di non sapere parlare, di fare troppe esitazioni e di non avere mai la giuste parole che dicano le cose (Clark e Wells, 1995).

Queste idee finiscono naturalmente per diventare profezie che si auto-avverano. Il timore del giudizio negativo genera reazioni fisiologiche di vergogna che sono a loro volta oggetto di imbarazzo. Balbettio, tremori, sudorazione eccessiva e pause nel parlare, di cui il fobico sociale si rende conto con terrore e che interpreta ancora una volta come segnale della propria incapacità di stare con gli altri. Il fobico sociale finisce quindi per vergognarsi della sua vergogna, generando un classico circolo vizioso (Heimberg, Liebowitz, Hope, Schneier, 1995). Ma ascoltiamo la voce dei pazienti.

T.: Perché teme le situazioni sociali?

P.: Non so stare bene in mezzo agli altri, sono timido, impacciato.

T.: Essere timidi è un’emozione. Mi racconti con più precisione in cosa consiste il suo non saper stare in mezzo agli altri.

P.: Gli altri se ne accorgono. Non so cosa dire, parlo poco e quando parlo non dico cose interessanti. E poi spesso m’impappino, non mi vengono le parole.

Oppure:

P.: Quando parlo, gli altri non mostrano molto interesse. Mi guardano annoiati. Ma anche prima che proferisca parola, non mi danno retta. A volte inizio a dire qualcosa nessuno si volta verso di me. Tutti continuano a parlare tra loro, come se non ci fossi.

Il disputing della fobia sociale nasce da un’accurata raccolta dati. Occorre valutare con attenzione le situazioni temute e soprattutto le basi empiriche dei timore della persona fobica sociale. Cosa teme esattamente e perché? Ci sono stati giudizi espliciti altrui o solo cenni di dissenso, occhiate, smorfie? Davvero il cliente balbetta fino al punto di non potersi esprimere, o arrossisce o suda in maniera imbarazzante, o si tratta solo di sensazioni interiori? Insomma, fino a che punto il problema è esterno e oggettivo e quanto è soggettivo?

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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