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Pillole o parole?

...se si dava una sostanza con effetti collaterali simili al farmaco, spariva la differenza tra placebo e antidepressivi.

Di Sandra Sassaroli

Pubblicato il 26 Lug. 2011

Aggiornato il 09 Feb. 2012 18:30


antidepressivi

La New York Review of Books, uno dei più prestigiosi giornali del mondo anglosassone, pubblica  tra giugno e luglio due articoli di Marcia Angell che costituiscono un attacco duro e severissimo al mondo psichiatrico moderno.

Ha vinto nel mondo psichiatrico il punto di vista che quasi tutto dipenda da squilibri chimici nel cervello. Questo ha portato ad una crisi grave delle psicoterapie e al fatto che la maggior parte degli psichiatri ormai distribuiscono solo farmaci e non parlano più con i pazienti se non per inferire da alcune cose che essi dicono, i “sintomi” che necessitano di essere curati.  E che essi cureranno, sintomo per sintomo. Il risultato di questo è che oggi il 10% circa degli americani sopra i sei anni si cura con farmaci psicotropi.

Kirsch, l’autore di uno dei  libri recensiti nell’articolo (2011) si chiede se gli antidepressivi funzionano e arriva a sconcertanti risposte. Il punto è questo: le case farmaceutiche che distribuiscono e guadagnano sui farmaci sono divenute negli anni non solo parte del sistema diagnostico che definisce le malattie mentali e le categorizza, ma anche di come esso debba essere trattato.

Quando tutto è iniziato (anni 50) non si sapeva affatto come questi primi farmaci funzionavano:  ad esempio la clorpromazina, uno dei primi farmaci che si sono studiati a metà degli anni cinquanta,si dimostrò capace di  abbassare i livelli di dopamina nel cervello. Questo fatto ha fatto inferire (in modo del tutto arbitrario) che malattie come la schizofrenia fossero causate da un eccesso di dopamina nel cervello.  Insomma , come dice il NYTRB, invece di trovare un farmaco che curasse una anomalia, si è postulata una anomalia per giustificare il funzionamento del farmaco.

Ma non si è ancora trovata nessuna certezza sugli agenti causali della depressione. Kirsch ha studiato per anni i placebo e il problema del funzionamento degli psicofarmaci contro la depressione.  E qui arriva nel suo libro l’attacco a come sono strutturati i trial randomizzati. Questi trial durano 8,10 settimane.  E dopo avere studiato almeno 38 di questi trial kirsch arriva al preoccupante risultato che in sostanza i placebo funziona almeno tre volte meglio del nessun trattamento, e gli antidepressivi funzionano poco meglio dei placebo.  (la proporzione è del 75%, cioè il placebo funziona il 75% di come funzionano gli antidepressivi) . I dati kirsch li ha presi dalla food and drug andiminstration, non dalla letteratura pubblicata. Il motivo c’è, nella letteratura riportata non vengono riportate le ricerche che danno dati non positivi.  Se due trial dimostrano un effetto positivo e vengono pubblicati su journal e 10 trial dimostrano una inefficacia o peggio, non vengono pubblicati. Voi capite che questa prassi influenza grandemente le decisioni per il trattamento,  che poi gli psichiatri ( e spesso anche i medici di base) prendono con i loro pazienti.

Kirsch è riuscito ad avere i dati dal FDA (federal and drug administration) e ha trovato 42 trial di sei farmaci. La maggior parte erano negativi. I placebo funzionavano circa l’82% dei farmaci.

Come vedete differenze minime. Le differenze statistiche minime a favore dei farmaci non appaio non significative dal punto di vista clinico.

I trial clinici sono fatti in doppio cieco, vuol dire che né il clinico né il paz sanno chi prende il placebo e chi prende il farmaco, Kirsch è andato a studiarsi alcuni trial clinici che fornivano placebo con effetti simili ai farmaci e udite udite, se si dava una sostanza con effetti collaterali simili al farmaco, spariva la differenza tra placebo e antidepressivi. Alcuni pazienti quindi, sentendo gli effetti secondari, deducono che stanno prendendo l’antidepressivo durante il trial e si convincono che stanno migliorando a causa del farmaco.

Kirsch sostiene che molti degli aneddoti clinici del miglioramento dei pazienti in cura per antidepressivi potrebbero essere dati da questo bias della narrazione comune.

Ma questo cosa significa per noi?

Stiamo attenti, il problema non è di non avere chiari i meccanismi base di funzionamento, la medicina funziona spesso così, abbasso la febbre in ogni caso, indipendentemente dalla comprensione del perché quel corpo malato abbia avuto un rialzo della temperatura,  è una pia illusione che l’unico intervento medico corretto sia quello seduto su una comprensione assoluta del disturbo che si presenta, illusione che ha fatto molto male alla psicologia, dove spesso si è tentato di trovare coerenze assolute, e gerarchicamente inoppugnabili, dove invece occorreva il coraggio di interrompere circoli viziosi di mantenimento, o intervenire semplicemente partendo dall’alleviare la sofferenza.

Il problema attiene alla credibilità della ricerca.

Good news: Sono anni ormai che l’intervento psicoterapeutico è sotto attacco proprio a causa della potenza e forza del mondo psichiatrico pro farmaci, quindi se se ne discute la scientificità può essere un passo verso una apertura a favore degli interventi psicologici.

Bad news: per i ricercatori in psicoterapia, un attacco a trial farmacologici potenti, ben finanziati,  dove i parametri da studiare sono precisi e facili da tracciare, (misurare la dopamina) può mettere in discussione il valore di trial clinici dove i parametri sono: il perfezionismo, l’intolleranza dell’incertezza, credenze molto più difficili da definire e rendere operazionalizzate, e dove la compiacenza con il ricercatore e la manipolazione dei parametri da parte del paziente può essere sicuramente un elemento importante di disturbo sull’andamento dell’esperimento.

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

  • Angell, M. (2011). The Epidemic of Mental Illness. New York Review of Books, 58, 11, June 23.
  • Angell, M. (2011). The Illusions of Psychiatry. New York Review of Books, 58, 12, July 14.
  • Kirsch, I. (2011) The Emperor’s New Drugs: Exploding the Antidepressant Myth. Basic Books, New York.
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Sandra Sassaroli
Sandra Sassaroli

Presidente Gruppo Studi Cognitivi, Direttore del Dipartimento di Psicologia e Professore Onorario presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna

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