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Ipersexual Disorder: Sarà Incluso nel DSM-5?

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Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

I risultati di questo studio – riportati nell’ultima edizione del Journal of Sexual Medicine – influenzeranno la probabilità che l’ipersexual disorder venga incluso nella quinta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5). Lo scopo dello studio era quindi verificare che i criteri proposti fossero validi e affidabili nell’aiutare i professionisti della salute mentale a diagnosticare con precisione la dipendenza sessuale. 

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Un team composto da psichiatri, psicologi, assistenti sociali e terapeuti di coppia e della famiglia, guidati da Rory Reid, ricercatore ricerca e assistente professore di psichiatria al Semel Institute of Neuroscience and Human Behavior at UCLA, ha testato una serie di criteri proposti per la definizione del ipersexual disorder, noto anche come dipendenza sessuale, per il nuovo DSM-5.
 
I risultati di questo studio – riportati nell’ultima edizione del Journal of Sexual Medicine – influenzeranno la probabilità che l’ipersexual disorder venga incluso nella quinta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5).Lo scopo dello studio era quindi verificare che i criteri proposti fossero validi e affidabili nell’aiutare i professionisti della salute mentale a diagnosticare con precisione la dipendenza sessuale. 
SITCC 2012 Roma - Reportage dal Congresso Annuale della Società Italiana di Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale
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I criteri definiscono una serie di sintomi che devono essere presenti: fantasie sessuali ricorrenti, impulsi e comportamenti per un periodo di sei mesi o più, che non siano causati da altri problemi, come ad esempio l’abuso di sostanze, un’altra condizione medica o episodi maniacali associati al disturbo bipolare.

Inoltre, gli individui che potrebbero essere diagnosticati con questo disturbo devono mostrare uno schema di attività sessuale in risposta a stati d’animo spiacevoli, per esempio il sentirsi depressi, o uno schema ripetitivo di comportamenti che utilizzi il sesso come modalità di risposta allo stress. I comportamenti sessuali messi in atto devono inoltre essere fonte di disagio per chi li attua, tanto da interferire con le relazioni, il lavoro o ad altri aspetti importanti della vita personale; per questo i criteri includono i tentativi compiuti dal soggetto al fine di ridurre o interrompere le attività sessuali sentite come problematiche.

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Al fine di valutare i criteri per la dipendenza sessuale, Reid e i suoi colleghi hanno testato e intervistato 207 pazienti in diverse cliniche di salute mentale in tutto il paese. Tutti i pazienti avevano cercato aiuto per mancanza di controllo del comportamento sessuale, abuso di sostanze o un’altra condizione psichiatrica, come la depressione o l’ansia.

I ricercatori hanno scoperto che i criteri proposti per l’ ipersexual disorder classificavano accuratamente 88% dei pazienti con una dipendenza sessuale; i criteri sono stati anche accurati nell’identificare risultati negativi nel 93% dei casi. In altre parole, i criteri sembrano adatti a discriminare tra i pazienti che soffrono di dipendenza sessuale e i pazienti che cercano aiuto per altre condizioni di salute mentale come l’abuso di sostanze, l’ansia o la depressione.

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 Un altro dato significativo dello studio è che i pazienti che hanno soddisfatto i criteri per ipersexual disorder hanno sperimentato conseguenze negative significativamente maggiori a causa della loro attività sessuale,

Dimmi come cammini e ti dirò quanto sesso fai - Immagine: © olly - Fotolia.com
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rispetto agli individui che facevano abuso di sostanze o soffrivano di una condizione medica generale; infatti dei 207 pazienti esaminati, il 17 % aveva perso il posto di lavoro almeno una volta, il 39% ha terminato una relazione affettiva, il 28% ha contratto un infezione a trasmissione sessuale e il 78% ha avuto interferenze con la normale attività sessuale.

Lo studio ha mostrato inoltre che l’aumento della dipendenza sessuale, che nel 54% dei casi aveva iniziato ad essere problematica prima dei 18 anni e nel 30% dei casi tra i 18 e i 25 anni, era legato a maggiori disturbi emotivi, impulsività e incapacità di gestire lo stress.

Questi dati fanno pensare che la dipendenza sessuale sia un disturbo che emerge in adolescenza o comunque in età giovanile e che sia quindi importante sviluppare strategie di intervento precoce e di prevenzione.

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BIBLIOGRAFIA:

Psicoeducazione emotiva: quando la paura diventa uno stress a lungo termine.

 

Psicoeducazione emotiva- quando la paura diventa uno stress a lungo termine. - Immagine:© lassedesignen - Fotolia.comLEGGI LA PRIMA PARTE DELL’ARTICOLO: PSICO-EDUCAZIONE EMOTIVA: LA PAURA

I problemi nascono nel momento in cui non riusciamo a spegnere le nostre reazioni corporee e mentali di fronte a una minaccia che non è più presente né imminente, così che la risposta allo stress, da adattiva, si trasforma in cronica o eccessiva. 

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“Sono sempre stata una persona attiva e positiva verso me stessa, mi davo da fare in tutto e con tutti, di certo non mi mancavano le energie e le idee…Ma ho perso tutto da quando è incominciata questa crisi…Da quando ho questi problemi sul lavoro, tutto è iniziato da lì. Ora devo davvero sforzarmi di fare qualunque cosa, anche la più banale, mi sento sempre stanca e affaticata. Anche quando riesco a portare a termine qualcosa, non riesco a trarne soddisfazione né piacere. E questa cosa non vede una fine perché anche quando vado a casa non riesco a smettere di preoccuparmi per il lavoro e per ciò che ho fatto e devo fare. Per quanto mi sforzi, non riesco a togliermi questi pensieri dalla testa, così alla fine non mi interessa più neanche provare ad avere una vita sociale. Spesso mi capita di non sentirmi bene, senza contare che non dormo bene oramai da mesi. Non riesco a capire come possa sforzarmi così tanto, ripetermi di farmi forza eppure mi sembra di non andare da nessuna parte”.

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Come spiegato nella prima parte, i cambiamenti del nostro corpo elicitati da eventi stressanti ci sono utili nel breve termine perché ci preparano fisicamente all’azione e mentalmente ci focalizziamo al problema; tali modificazioni svaniscono non appena lo stimolo minaccioso sparisce. Diventa chiaro, a questo punto, che i problemi nascono nel momento in cui non riusciamo a spegnere le nostre reazioni corporee e mentali di fronte a una minaccia che non è più presente né imminente, così che la risposta allo stress, da adattiva, si trasforma in cronica o eccessiva. 

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I cambiamenti corporei

Le sensazioni corporee iniziano a diventare più fastidiose. La tensione muscolare, fondamentale per la risposta di attacco o fuga, si trasforma in malessere che pervade tutto il corpo: mal di testa, dolori alle spalle e al petto, sintomi gastrointestinali, debolezza delle gambe. Ecco così che il respiro affannoso ci può portare a sensazioni di nausea o di mancanza del respiro; l’attenzione focalizzata al battito cardiaco non fa altro che aumentare la pressione sanguigna e farci avvertire un senso di svenimento, una visione offuscata e fischi alle orecchie. 

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I cambiamenti psicologici

A livello psicologico la persona inizia a focalizzarsi esclusivamente su ciò che teme, generalmente preoccupandosi che un problema non abbia soluzione o catastrofizzandolo. Si sviluppa, col tempo, un tipo di pensiero negativistico verso se stessi e il mondo circostante, percepito come fonte di minacce sempre possibili. Tale forme di ragionamento negativo formano un circolo vizioso con i cambiamenti corporei, come ad esempio: “Ho un dolore al petto, devo avere qualcosa che non va con il cuore”, oppure: “questa sensazione/emozione è insopportabile, non c’è niente che possa fare”. In questo modo lo stress rimane costantemente elevato, portando a un aumento del disagio e delle preoccupazioni, fattore che induce le persone a focalizzarsi sugli eventi negativi e insolubili piuttosto che su quelli positivi. 

I cambiamenti comportamentali

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I cambiamenti comportamentali, se persistenti, non fanno altro che aumentare le difficoltà. In  preda all’ansia e alle preoccupazioni, ad esempio, la maggior parte delle persone aumenta la quantità di sigarette fumate, mangia in maniera non equilibrata e smette di fare esercizio fisico. Tutto ciò incrementa il senso di non sentirsi bene e di essere cronicamente stanchi e meno capaci di fare fronte allo stress. Ricordiamoci che la risposta più comune allo stress è l’evitamento delle situazioni che ci fanno paura o dagli oggetti minacciosi. Tuttavia, il sollievo che si ricava dall’evitare gli stimoli stressanti è solo temporaneo e incrementa il senso di sfiducia personale, così che l’evento tanto temuto appare sempre più impossibile da fronteggiare.

Qualunque sia il trigger ansiogeno (sia esso reale o immaginario), ciò che mantiene la risposta allo stress anche dopo che lo stimolo è esaurito, è l’attivazione del circolo vizioso appena menzionato e che accomuna tutti i problemi di rimuginio, paura e ansia.

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BIBLIOGRAFIA:

Psicoterapia Online: Come Curarsi (e Curare) da Casa

di Alessia Offredi

Psicoterapia Online: Come Curarsi (e Curare) da Casa. - Immagine: © Konstantin Li Fotolia.com.

Psicoterapia Online: È possibile stando comodamente seduti nel proprio salotto? La risposta della comunità scientifica è sì.

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Le prospettive più interessanti giungono dal Nord Europa, dove già da diversianni vengono ideati e proposti programmi di psicoterapia online rivolti a diverse fasce di età e destinati al trattamento di differenti disturbi.

In letteratura ricorrono alcuni elementi comuni ai programmi di supporto e psicoterapia online:

 

  • Il materiale self help, solitamente organizzato in moduli settimanali inviati al paziente, consiste in schede informative sui sintomi del disturbo trattato e sulle tecniche CBT applicabili autonomamente dai pazienti;
  • Oltre al materiale informativo e psicoeducativo, vengono assegnati ai pazienti compiti settimanali (homework), con lo scopo di aiutare gli utenti ad applicare le tecniche della terapia cognitivo comportamentale (come la stesura di un diario, la compilazione dell’ABC, …) e monitorare i progressi fatti. Vengono quindi svolti e inviati al terapeuta, che li valuta e ne restituisce un feedback;
  • Spesso è presente un forum volto a favorire la condivisione sociale e offrire spunti di riflessione agli utenti;
  • La chat costituisce uno spazio privato di confronto tra gli stessi utenti o tra utenti e terapeuta;
  • L’e-mail è lo strumento preferenziale per mantenere i contatti con il clinico, solitamente a scadenza settimanale.

I programmi possono anche usufruire di altri supporti e mezzi di comunicazione attraverso cui raggiungere i pazienti per favorire la continuità del percorso di psicoeterapia. È molto comune l’utilizzo di sms di notifica, per ricordare agli utenti la pubblicazione di nuovo materiale sulla piattaforma o la scadenza per la consegna degli homework.

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Psicologia e Tecnologia: nuova App per Smartphones contro la Depressione. - Immagine: © 2012 Costanza Prinetti
Articolo consigliato: Psicologia e Tecnologia: nuova App per Smartphones contro la Depressione

Cosa ne è dell’alleanza terapeutica e della relazione con il paziente? I dati dimostrano che nella psicoterapia online l’alleanza terapeutica non è deficitaria rispetto alla psicoterapia tradizionale. (Andersson, Paxling, Wiwe, Vernmark, Bertholds Felix,et al., 2012).

Probabilmente è anche meno determinante, alla luce del fatto che la maggior parte dei programmi di psicoterapia online si basa sull’utilizzo del materiale self – help e su un lavoro svolto in gran parte autonomamente dal paziente. In ogni caso, gli utenti si ritengono generalmente soddisfatti del supporto ricevuto.

L’efficacia di questo tipo di programmi è stata scientificamente supportata: il miglioramento del quadro sintomatico presentato alla baseline risulta significativo e viene mantenuto nel tempo (Ruwaard, Lange, Schrieken, Dolan  & Emmelkamp, 2012.) Ma questo non è l’unico aspetto positivo della psicoterapia online. Poter usufruire di un percorso terapeutico da casa è vantaggioso sia per chi ha difficoltà negli spostamenti (in Olanda è stato diffuso un programma per adulti con sintomi depressivi affetti da SM) sia per chi ha problemi di orario e non trova modo di recarsi da un professionista.

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 Inoltre, la garanzia dell’anonimato è assicurata e i costi sono ridotti. Il terapeuta, d’altro canto, può facilmente offrire il proprio supporto a più pazienti, con un evidente risparmio in termini di tempo.

Occorre, tuttavia, considerare alcune problematiche a cui è difficile fare fronte quando si parla di psicoterapia online. L’assenza totale di un contatto visivo con il paziente può causare delle difficoltà soprattutto in fase di diagnosi: pazienti con problematiche gravi necessiterebbero di un supporto psicoterapico tradizionale, la cui efficacia rimane indubbiamente superiore.

Inoltre, questo tipo di programmi sono solitamente indirizzati al trattamento di sintomi specifici di un disturbo in particolare ed escludono così il trattamento di ulteriori sintomi teoricamente estranei al disturbo, ma che il paziente potrebbe lamentare.

L’Italia comincia ora a muovere i primi passi in questa direzione: il primo programma  impostato su queste linee guida è costituito dal Progetto ProYouth, ma molte sono le prospettive offerte da questo campo su cui è necessario investire.

LEGGI LA PRESENTAZIONE DEL PROGETTO PROYOUTH

 

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BIBLIOGRAFIA:

Monogamia: merito dell’evoluzione… e della donna.

 

Monogamia: Merito dell'evoluzione… e della donna. - Immagine: © leremy - Fotolia.comLe famiglie attuali tendono ad essere monogame o poligame? Naturalmente sono tutte ligie alla monogamia, almeno apparentemente!

A quanto pare tutto dipende dal comportamento delle donne, che nel tempo hanno deciso di scegliere uomini che provvedessero al loro sostentamento rimanendovi fedeli e di conseguenza, rendendoli fedeli, si spera.

ARTICOLI SULLA FAMIGLIA

Avere una famiglia, o ambire ad averne una, stabile nel tempo e, soprattutto, dedita alla fedeltà, è un concetto frutto di una evoluzione nel tempo. In passato la società era caratterizzata da rapporti basati sulla promiscuità, tutto era finalizzato all’accaparrarsi più prede femminili possibili. Infatti, i maschi tendevano a procacciare le femmine del villaggio, e questo comportamento era considerato un indice di forza e di mascolinità.

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Articolo Consigliato: Alle origini della Famiglia: i Processi Evolutivi verso la Monogamia.

Ma tra gli ominidi la promiscuità poligama ad un tratto ha ceduto il passo alla monogamia.

Secondo gli studi di Sergey Gavrilets, biologo evoluzionista e matematico dell’ Università del Tennessee (Usa), il passaggio da una visione poligama ad una monogama si ebbe in seguito alla creazione di una sorta di compromesso che avvenne tra sessi.

ARTICOLI SU: GENDER STUDIES

In un suo recentissimo studio pubblicato su Pnas, l’autore mostra che i maschi meno virili, non in grado di battere i più forti, capirono che l’unico modo per assicurarsi una prole e una famiglia era garantire alla donna e al figlio, sostentamento, cure, cibo. Le femmine, d’altra parte, si resero conto che avere vicino un partner che in qualche modo provvedesse alla loro sopravvivenza era molto utile e vantaggioso per loro stesse e per i propri figli. Così capirono che l’unico modo per tenerli legati a loro stesse era rimaner loro fedeli. Quindi, la relazione creatasi tra cura della famiglia da parte dell’uomo e fedeltà da parte della donna ha indotto alla creazione del mito della famiglia unita e monogama.

Facendo luce su quanto accaduto durante l’evoluzione della specie, si deduce che sarebbe stato merito della donna puntare alla monogamia della coppia. La dimostrazione è stata ottenuta dalla realizzazione di una serie di modelli matematici dinamici applicati a un gruppo di ominidi (con una struttura sociale rigidamente gerarchica e in cui gli accoppiamenti non sono casuali). Da questo modello deriverebbe il bisogno da parte delle madri di curare i piccoli, la necessità dei maschi di sorvegliare la partner e  accudire la propria prole. Questi comportamenti presi singolarmente non predicono il fattore famiglia, ma se interagissero tra loro avrebbero come esito la costruzione di una famiglia unita.

Infedeltà emozionale ai tempi del web 2.0 - Immagine: © Spectral-Design - Fotolia.com
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Il modello matematico usato nello studio ha dimostrato che il fattore evolutivo fondamentale è stato la scelta del partner da parte della donna, e soprattutto la sua fedeltà al compagno. Queste due mosse della donna hanno spostato le strategie maschili di accoppiamento dalla competizione con gli altri maschi a una maggior cura nel procurare cibo e protezione alla propria compagna. Quindi, i maschi non dominanti, invece di mettersi a lottare con gli altri, hanno cercato di ottenere i favori delle donne con la tecnica che gli scienziati chiamano “cibo per sesso”.

ARTICOLI SU SESSO – SESSUALITA’ 

Le donne hanno apprezzato molto questo tipo di corteggiamento e, più i maschi si davano da fare per loro, più le donne diventavano fedeli. L’addomesticare i maschi selvatici ha dato la possibilità di porre le basi per la creazione di nucleo familiare “fedele”.

 

 

BIBLIOGRAFIA:

Genitori Omosessuali & Adozioni: Differenze con gli Etero?

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Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

Genitori Omosessuali & Adozioni. Ricerca sulle differenze nello sviluppo cognitivo di bambini con genitori omosessuali o eterosessuali.

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Un team di psicologi ha esaminato 82 bambini, dei quali 60 affidati a genitori eterosessuali e 22 a genitori omosessuali gay o lesbiche (15 con genitori maschi e 7 con i genitori femmine). Tutti i bambini avevano diversi fattori di rischio al momento dell’adozione, tra cui la nascita prematura, l’esposizione prenatale a sostanze, abuso o negligenza, e precedenti affidi. L’età dei bambini variava da 4 mesi a 8 anni, con un’età media di 4 anni, mentre i genitori adottivi avevano un’età compresa tra 30-56, con un’età media di 41. il 68% dei genitori erano sposati o conviventi.

Gli psicologi hanno studiato i bambini due mesi, un anno e due anni dopo che erano stati collocati presso una famiglia. I bambini sono stati sottoposti ad una valutazione cognitiva da uno psicologo clinico tre volte durante il corso dello studio, i genitori hanno completato questionari standard per il comportamento dei bambini in ciascuno dei tre periodi di valutazione.

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Omofobia - Immagine: © jjayo - Fotolia.com -
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I risultati evidenziano pochissime differenze tra i bambini in tutte le valutazioni effettuate a due anni dal collocamento nella famiglia di genitori omosessuali o eterosessuali. In media, tutti i bambini hanno registrato miglioramenti significativi nel loro sviluppo cognitivo, mentre il livello di problemi comportamentali è rimasto stabile. Il punteggio QI è aumentato in media di 10 punti, da circa 85 a 95, cioè con un forte incremento da funzionamento medio-basso verso il funzionamento medio.

Un dato interessante riguarda il fatto che i bambini adottati da genitori  omosessuali avevano più fattori di rischio al momento della loro collocazione, rispetto ai bambini adottati da genitori eterosessuali, ma nonostante questo a due anni dall’adozione i loro progressi cognitivi sono paragonabili a quelli degli altri bambini del campione.

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 Dal momento che decine di migliaia di bambini adottivi non hanno case stabili e le preoccupazioni circa l’idoneità dei genitori adottivi gay e lesbiche limitano il pool di potenziali genitori, lo studio indica che i genitori omosessuali sono in grado di offrire un nucleo accogliente che si prenda cura di questi bambini in modo analogo a quella dei genitori eterosessuali. “Non vi è alcuna base scientifica per discriminare contro i genitori gay e lesbiche”, ha detto Peplau, professore di ricerca in psicologia presso la UCLA e co-autore dello studio.

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Alla domanda se i bambini hanno bisogno di una madre e di un padre, Jill Waterman ha dichiarato: “I bambini hanno bisogno di persone che li amano, a prescindere dal sesso dei loro genitori”.

 

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BIBLIOGRAFIA:

Il Disputing della Fobia Sociale – Parte III

 

 

MONOGRAFIA: IL DISPUTING IN PSICOTERAPIA   LEGGI: INTRODUZIONE AL DISPUTING DEI DISTURBI D’ANSIA 

Il Disputing della Fobia Sociale - Parte III. - Immagine: © olly - Fotolia.com

Nel trattamento della fobia sociale, occorre porre attenzione non solo alle credenze ma anche ai processi di tipo attentivo.

LEGGI LA PRIMA E LA SECONDA PARTE DELL’ARTICOLO

I principali errori processuali del fobico sociale sono l’attenzione anticipatoria, focalizzata verso l’evento sociale durante i giorni che lo precedono, e l’attenzione focalizzata sulle reazioni altrui e sulle proprie sensazioni di vergogna e imbarazzo durante l’evento sociale temuto.

Il trattamento degli errori cognitivi di tipo processuale privilegia l’intervento di tipo esperienziale e comportamentale piuttosto che il disputing cognitivo vero e proprio che rischia di essere troppo astratto ed emotivamente distaccato. L’esposizione alle situazioni temute, reale o virtuale che sia, non va effettuata come un semplice esercizio di assuefazione alla fobia, ma va guidata in modo che la persona affetta da fobia sociale apprenda quali siano gli atteggiamenti mentali dannosi e quali quelli utili e produttivi. Si tratta, quindi, di proporre alla persona tre atteggiamenti mentali, due patologici e uno sano.

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Il primo atteggiamento consiste nel focalizzarsi su di sé e sulle proprie emozioni e reazioni. Concentrando la propria attenzione sui segnali provenienti da se stessi il fobico sociale finisce per percepire segnali di vergogna o d’imbarazzo, che sono prontamente decodificati come segnali di fallimento: la mia prestazione sociale sta andando male. Il foglio di autovalutazione proposto da Clark e Beck (2010) sugli atteggiamenti di auto-focalizzazione (self-focusing) mostra quattro colonne verticali (più una utilizzata per datare gli episodi analizzati).

Disputing Monografia
MONOGRAFIA: Il Disputing in Psicoterapia

Nella prima ci sono le situazioni ansiose temute.

Nella seconda una valutazione soggettiva del grado di auto-focalizzazione, da 0 a 100.

Nella terza il bersaglio delle auto-focalizzazioni: voce, rossori, sudorazioni, balbettii o altro.

La quarta colonna è quella decisiva: in essa si chiede quali siano le conseguenze negative di queste auto-focalizzazioni.

Questi fogli di autovalutazione di Beck non vanno sottovalutati. Possono apparire banali, ma in realtà incoraggiano con semplicità i pazienti a distaccarsi dai propri automatismi. In questo foglio il paziente è incoraggiato a non considerare le proprie sensazioni come segnali che provano la sua incapacità sociale. Al contrario, essi possono essere invece degli ostacoli che, se sopravalutati, generano il cattivo esito dello stare insieme agli altri (Clark e Beck, 2010, pag. 387).

Il secondo atteggiamento consiste nel porre attenzione alle reazioni altrui. In questo caso l’effetto depressivo è dato dal fatto che è sufficiente un indizio negativo per rovinare il giudizio sull’intero episodio. Anche in questo caso è possibile costruire un foglio di valutazione che incoraggi il paziente a considerare i supposti segnali di rifiuto da parte degli altri non come prove che dimostrino con certezza la propria incapacità di stare in mezzo agli altri, ma come semplici accadimenti che sta a noi gestire in maniera fruttuosa o dannosa.

 Il terzo atteggiamento è, invece, quello di concentrarsi in maniera non giudicante su ciò che accade o su quel che si vuol e/o deve dire o fare.

Naturalmente anche in questo c’è un rischio d’interpretazione e valutazione negativa. Tuttavia dati empirici confermano che quest’ultimo atteggiamento è quello meno soggetto a esiti di tipo ansioso.

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LEGGI LA MONOGRAFIA: IL DISPUTING IN PSICOTERAPIA   LEGGI: INTRODUZIONE AL DISPUTING DEI DISTURBI D’ANSIA

LEGGI LA PRIMA E LA SECONDA PARTE DELL’ARTICOLO

 

BIBLIOGRAFIA: 

SITCC 2012 – DISTURBI DELL’ ALIMENTAZIONE: PROGRESSI E SFIDE FUTURE

 

TUTTI GLI ARTICOLI SU SITCC 2012 ROMA – SLIDES & POSTER DAL CONGRESSO – GALLERY FOTOGRAFICA

Riccardo Dalle Grave - Medico Psicoterapeuta -
Dott. Riccardo Dalle Grave, Medico Psicoterapeuta, al Congresso SITCC 2012

SITCC 2012 – Disturbi dell’alimentazione, progressi e sfide future: l’intervento del dott. Riccardo Dalle Grave

 

Il DSM-IV distingue i Disturbi della Condotta Alimentare (DCA) in Anoressia Nervosa (AN), Bulimia Nervosa (BN) e Disturbi dell’Alimentazione non altrimenti specificati (NAS), suggerendo che tali disturbi siano tra loro distinti. In realtà, però, presentano molte caratteristiche comuni e in ambito clinico si osserva spesso nel decorso di queste malattie una migrazione da una diagnosi all’altra.

Alla luce di ciò Christopher Fairburn, autorità di fama internazionale sui DCA, propone che tali disturbi vengano considerati come un’unica categoria. Fairburn (2010) ha pertanto sviluppato una specifica terapia cognitivo comportamentale focalizzata sulla psicopatologia dei DCA, flessibile, cucita su misura per il paziente e volta al trattamento di BN, AN e DCA NAS: la Terapia Cognitivo-Comportamentale Transdiagnostica (CBT-E), l’ultima versione del principale trattamento empiricamente fondato per i Disturbi dell’Alimentazione (la CBT-BN, che però fu ideata per pazienti con BN).

Magrezza non è Bellezza. I Disturbi Alimentari (e-book) & Booktrailer
Articolo consigliato: Magrezza non è Bellezza. I Disturbi Alimentari (e-book) & Booktrailer

Alla SITCC il dott. Dalle Grave ha illustrato in anteprima due interessanti studi in fase di pubblicazione sull’applicazione della CBT-E in adulti (Enhanced Cognitive Behaviour Therapy for Adults with AN: a UK – Italy Study) e adolescenti (Enhanced Cognitive Behaviour Therapy for Adolescents with AN: An Alternative to Family Therapy) con Anoressia Nervosa.

ARTICOLI SUI DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE

Da questi studi emerge che la CBT-E è ben accettata anche dai pazienti affetti da AN ed ottiene un esito soddisfacente in termini di aumento del BMI, di riduzione della psicopatologia e di mantenimento del peso nel tempo. Si osserva però una difficoltà nell’agganciare le pazienti alla terapia: un terzo infatti non completa il trattamento; il BMI non pare essere predittivo del drop-out delle pazienti, a differenza, invece, della psicopatologia specifica del DCA: più elevata risulta essere la psicopatologia, maggiore è la probabilità che il trattamento non venga completato.

Accertata l’efficacia della CBT-E, le sfide future di certo non mancano.

Secondo Dalle Grave innanzitutto è necessario comprendere meglio i meccanismi d’azione di questa terapia e a tal proposito sono in corso studi che ne stanno valutando i potenziali mediatori del cambiamento, ovvero la procedura della misurazione settimanale del peso, del mangiare in modo regolare, dell’affrontare le regole dietetiche e il check della forma del corpo.

In secondo luogo bisogna potenziarne l’efficacia e migliorare il tasso di riposta valutando il trattamento di eventuali problemi coesistenti con il DCA (es. depressione) o valutando la possibilità di intensificare il trattamento sia a livello ambulatoriale (es. pasti assistiti, aumento del numero di sedute di psicoterapia settimanali) che ospedaliero.

In ultimo, si deve “disseminare il trattamento; “pochi terapeuti utilizzano la CBT-E e tra questi non tutti la applicano in modo rigoroso”. Ecco perché sono in corso di valutazione diverse strategie come la stesura di manuali per i terapeuti, l’organizzazione di corsi di formazione intensiva sulla CBT-E, la creazione di un progetto di formazione CBT-E online (Oxford Study) e la supervisione a distanza (via Skype).

TECNOLOGIA E PSICOLOGIACYBERPSICOLOGIA

In conclusione la CBT-E è un trattamento efficace empiricamente supportato, transdiagnostico, nonché l’intervento evidence-based di prima scelta da consigliare ad adulti affetti da DCA. Auspichiamo che sempre più terapeuti ne vengano a conoscenza e la applichino in maniera corretta sia a livello ambulatoriale che ospedaliero.

 

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BIBLIOGRAFIA: 

Capacità Genitoriali: Una Guida Metodologica – Il Protocollo di Milano

 

Capacità Genitoriali Post-Separazione: Una Guida Metodologica. - Immagine: © yuryimaging - Fotolia.comGuida Metodologica alla Valutazione delle Capacità Genitoriali dopo separazione dei genitori. 

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Lo scopo del seguente articolo è quello riportare ed esaminare alcuni principi che stanno alla base del Protocollo di Milano, un documento scritto da un gruppo di psicologi, psichiatri, neuropsichiatri infantili, avvocati e magistrati (Camerini, Gulotta, Lopez et al.2012), avente l’obiettivo di fornire una serie di linee guida per la consulenza tecnica in materia di affidamento dei figli a seguito della separazione dei genitori.

Nel momento in cui  un consulente tecnico d’ufficio (ctu: psicologo, neuropsichiatra infantile o psichiatra) viene convocato dal giudice per indagare una situazione familiare egli dovrà effettuare una valutazione psicologica e relazionale degli individui della famiglia, della coppia e del sistema nel suo complesso. Ciascuna parte in causa, ovvero ciascun genitore potrà avvalersi di un proprio consulente tecnico di parte (Ctp).

Il consulente tecnico di ufficio nel rapportarsi con il magistrato che l’ha convocato e con gli avvocati delle parti deve mantenere la propria autonomia professionale e scientifica, soprattutto nello scegliere le tecniche, i metodi e gli strumenti che ritiene utili per la valutazione.

Allo stesso tempo anche i rispettivi consulenti di parte dovranno mantenere una propria autonomia cercando di salvaguardare in primis l’interesse del minore, rispetto a quello del genitore loro cliente. Ci si trova spesso di fronte a situazioni genitoriali fortemente conflittuali e quindi lo scopo dei consulenti di parte, non è quello di allearsi con il proprio cliente ma è proprio quello di lavorare con i rispettivi genitori per aiutarli ad uscire dal conflitto, favorendo la presa di coscienza dei propri errori e delle proprie responsabilità e cercando di fare capire il punto di vista dell’altro genitore, in modo tale da favorire collaborazione e comunicazione tra le parti in causa.

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Alienazione Parentale: Aspetti psicologici di genitori e figli. - Immagine: ©-chamillew-Fotolia.com
Articolo consigliato: Alienazione Parentale: Aspetti psicologici di genitori e figli.

Generalmente è bene che il Ctu effettui uno studio del fascicolo processuale e poi proceda con i primi colloqui valutativi. Buona prassi è quella di effettuare colloqui sia congiunti, dove sono presenti entrambi i coniugi, sia individuali; durante i colloqui congiunti si chiederà a ciascun coniuge di riportare la propria versione dei fatti e il motivo per il quale si è giunti ad una consulenza d’ufficio. Spesso durante questo tipo di colloquio i coniugi forniscono opinioni contrastanti e tendono a riproporre il consueto circuito conflittuale che caratterizza la loro relazione, in questo modo sia il Ctu che i Ctp riescono ad avere un primo quadro delle dinamiche di coppia e dei motivi che stanno alla base dei litigi familiari.

Si procede poi con colloqui individuali che il consulente d’ufficio effettuerà con ciascun genitore, in modo tale da raccogliere l’anamnesi personale, familiare e la storia di sviluppo del bambino descritta dal punto di vista di entrambi i genitori. Se si ritiene necessario, l’analisi può essere approfondita attraverso una specifica valutazione testistica, volta ad esplorare eventuali patologie e le caratteristiche psicologiche di ognuno. In questi casi il ruolo specifico del consulente è quello di valutare le capacità genitoriali e stabilire se queste sono sufficienti per la crescita adeguata di un bambino, e non quello di definire le caratteristiche psicopatologiche del genitore, o meglio, tali caratteristiche dovranno essere prese in considerazione solo nel caso in cui rischiano di andare ad interferire con lo svolgimento di un’adeguata funzione genitoriale.

 Quindi è importante indagare il profilo di personalità del genitore ma è sbagliato valutare la funzione genitoriale sulla base del solo profilo psicopatologico (vi sono madri depresse che, se ben compensate e trattate, presentano un’adeguata capacità genitoriale).

Questo è un punto cruciale in materia di valutazione delle capacità parentali ed un aspetto che ancora oggi molti esperti non comprendono in pieno. Molto utile da questo punto di vista è l’Assessment of Parental Skill-Interview (Camerini et al. 2011), si tratta di uno strumento che si propone si effettuare un assessment non tanto del profilo di personalità del genitore, ma dei comportamenti che definiscono le “funzioni di base” legate all’esercizio concreto della genitorialità.

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La consulenza procede attraverso incontri individuali con il minore, secondo modalità operative che variano in base alla sua età. Lo scopo è quello di valutare il funzionamento cognitivo, affettivo e sociale del bambino e la sua rappresentazione di ciascun genitore e della coppia genitoriale, con una specifica attenzione alle capacità riflessive (la “funzione riflessiva”, secondo la definizione di Fonagy è la capacità di comprendere gli stati mentali altrui e propri). Si predilige l’osservazione durante il gioco ed il disegno quando il bambino è piccolo, per poi passare ad un colloquio/dialogo con bambini più grandi e pre-adolescenti. Seguono incontri di osservazione della relazione genitore/minore e coppia genitoriale/minore in modo tale da poter valutare le dinamiche familiari e relazionali e il posizionamento affettivo del minore in presenza dei genitori. Utili strumenti possono essere il Trilogue Play Test Clinico e il disegno congiunto.

6 Segnali che predicono il Divorzio. 5 Regole per salvare il Matrimonio
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L’analisi di questi incontri consente all’esperto di constatare l’eventuale presenza di fenomeni di alleanza del minore con un genitore e discapito dell’altro e di comprendere i meccanismi che stanno alla base di questa dinamica conflittuale. L’esperto deve cercare di concentrare i colloqui con il minore, in modo tale da ridurre al minimo lo stress subito dal bambino, facendo attenzione alle eventuali influenze esercitate da uno e dall’altro genitore e le informazioni da questi veicolate. Si osservano situazioni fortemente conflittuali dove il genitore, nel portare avanti la propria campagna denigratoria nei confronti dell’ex coniuge, finisce con il manipolare i bisogni e le necessità del figlio. L’esperto cercherà di intervenire, quando è possibile, per provare a stemperare queste dinamiche in modo tale da ridurre il clima conflittuale nel quale il minore vive.

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Terminata la fase degli incontri, il lavoro dell’esperto prevede la stesura di un documento scritto nel quale verrà sintetizzato quanto è emerso dalle operazioni peritali, nonché le risposte ai quesiti formulati dal giudice. Il consulente dovrà in primis definire il proprio approccio teorico-metodologico e poi esplicitare gli strumenti utilizzati per la valutazione. Nell’analizzare e descrivere le dinamiche osservate è bene distinguere gli elementi descrittivi ed informativi dalle valutazione ed interpretazioni dei dati. Nel rispondere al quesito il consulente dovrà indicare le proposte ritenute più idonee, nel rispetto dell’affidamento condiviso, rispetto alla modalità di custodia dei figli, al loro collocamento prevalente e alla frequentazione dell’uno o dell’altro genitore. Potrà inoltre indicare eventuali interventi ritenuti necessari per il bene del minore e dei genitori (terapia, sostegno educativo, parent traning), ovviamente tenendo conto delle risorse presenti sul territorio di riferimento, in ambito pubblico o privato.

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BIBLIOGRAFIA:

  • Camerini, G., Gulotta, G., Lopez, G., et al. (2012) Protocollo di Milano, Linee guida per la consulenza tecnica in materia di affidamento dei figli a seguito di separazione dei genitori: contributi psico-forensi. (DOWNLOAD PDF)
  • Camerini, G., Volpini, L., Lopez, G., (2011) Manuale di valutazione delle capacità genitoriali, Scienze psicologiche e diritto, Maggioli Editore.

Quali differenze nelle spiegazioni dell’errore terapeutico? – SITCC 2012 – Slides

Congresso SITCC 2012 Roma

Quali differenze nelle spiegazioni dell’errore terapeutico?

Dott.ssa Simona Errico. 
Coautori: Montali Arianna, Ruocco Fabiana, Lissandron Susanna, 
Boldrini Maria Paola, Ricchi Chiara  

 

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Violenza Domestica: Quando i Pregiudizi Condizionano il Verdetto

di Marina Morgese

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Violenza Domestica & Pregiudizi: La donna che uccide il suo abusante, se carina e curata, avrà più probabilità di essere giudicata colpevole.

Gli episodi di violenza domestica oggigiorno sono purtroppo molto frequenti, questi portano spesso numerose donne a subire in silenzio i maltrattamenti dei compagni e a tacere dinnanzi alle umiliazioni. Vi sono tuttavia donne che reagiscono alla violenza, alle volte con reazioni estreme, fino ad uccidere i propri compagni violenti.

La colpevolezza di queste donne rimane dubbia: possono essere condannate per omicidio o assolte per legittima difesa? Esiste una caratteristica che le rende, agli occhi della giuria, più accusabili?

In realtà una risposta positiva a quest’ultima domanda ci viene data da un recente studio condotto presso l’Università di Granada. Tale ricerca nasce dopo l’analisi di varie indagini di polizia, dalle quali è emerso che, nei reati di violenza domestica, se la donna che uccide il suo abusante è più indipendente e curata fisicamente, avrà più probabilità di essere giudicata colpevole, piuttosto che di essere assolta per legittima difesa.

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Narcisismo e Leadership: gli svantaggi delle apparenze. Immagine: © 2011-2012 Costanza Prinetti
Articolo consigliato: Narcisismo e Leadership: gli svantaggi delle apparenze.

Il campione utilizzato ai fini dello studio è composto da 169 agenti di polizia (153 uomini e 16 donne) delle Forze di sicurezza dello Stato spagnolo. I partecipanti scelti provengono da diverse città della Spagna. Ai fini della ricerca sono stati inventati due diversi racconti di azioni legali. In entrambi i racconti però l’imputato è una donna accusata di aver ucciso il marito e la sua difesa legale punta sull’aver subito una storia prolungata di violenza domestica, e quindi l’uccisione del compagno è avvenuta per legittima difesa. In metà delle storie però l’imputata è giovane, poco attraente e molto fragile, ha figli ed è economicamente dipendente dal suo partner. Nelle altre storie la donna è senza figli, lavora come consulente finanziario, è stata sposata per 10 anni e durante il processo viene descritta come ben vestita e tranquilla nelle sue interazioni con il giudice e gli avvocati. I ricercatori hanno chiesto ai soggetti di assumere il ruolo della giuria e di rispondere a una serie di domande relative alla percezione di credibilità, alla responsabilità e al controllo sulla situazione delle donne descritte.

È stata, inoltre, indagata l’ideologia sessista dei partecipanti.

Dalla ricerca è emerso che una delle variabili con il maggiore effetto sulla percezione della criminalità della donna è la sua vicinanza allo stereotipo della donna maltrattata (fragile, fisicamente malconcia, economicamente dipendente). I risultati hanno dimostrato infatti che quando si descrive un non-prototipo di donna maltrattata (e dunque più indipendente e fisicamente più curata), questa è considerata più capace di gestire la situazione.

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Un’altra variabile legata alla sentenza della giuria sul caso sembra essere il livello di ideologia sessista dei partecipanti. A questo proposito, chi ha raggiunto punteggi più alti di sessismo ha percepito l’imputata come più capace di controllare la situazione.

 

 A detta dei ricercatori, quando una donna è percepita in grado di controllare la situazione, questa è vista automaticamente anche in grado di controllare le sue reazioni verso l’abusante e, dunque, di non ucciderlo. Le donne meno conformi al prototipo di donna maltrattata, avrebbero dunque, da un punto di vista giuridico, un più elevato grado di colpa nel processo.

Gli autori concludono lo studio con un utile suggerimento, che sarebbe bene riportare: “Nonostante i suoi possibili limiti, questo studio sottolinea la necessità di aumentare la formazione per le forze dell’ordine sulla gestione dei casi di violenza domestica. Il loro lavoro è infatti fondamentale ai fini del processo e, come abbiamo visto, tale lavoro può essere condizionato da variabili esterne, come l’aspetto fisico o altre convinzioni stereotipate su chi subisce violenza domestica “.

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BIBLIOGRAFIA: 

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Happy Birthday! – Un anno di State of Mind –

 

Happy Birthday! - Un anno con State of Mind

Oggi festeggiamo, festeggiamo un anno dalla nascita del webjournal State of Mind.

Ci sembra che sia evidente a tutti il meraviglioso lavoro e l’impegno di moltissimi blogger, di molti colleghi che generosamente contribuiscono con contenuti originali e idee nuove, della redazione, del webmaster, del direttore editoriale, degli informatici che ci assistono,  della struttura tutta che ogni giorno inventa il giornale.

L’abbiamo molto voluto, era una scommessa bizzarra, un journal che fosse molto scientifico e servisse ad informare sulle ultime novità, e al contempo fosse capace di ospitare interviste, punti di vista sull’attualità sociale e politica, vignette, video, musica, insomma un intero mondo letto con gli occhiali psicologici.

Ci sembra che oggi possiamo festeggiare: i lettori sono enormemente cresciuti e hanno portato occasioni di incontro, di scambio, intorno a SoM comincia a esistere una rete di rapporti che ha una funzione importante nella nostra società.

Sarebbe bello ora, in questo secondo anno, fare un ulteriore salto con un opera di networking tra diverse realtà, online e non, per far confluire dentro State of Mind energie e idee dai diversi ambiti della psicologia e psicoterapia. 

Molti sono i progetti nuovi: tra questi la nuova piattaforma di e-publishing, l’ingrandimento della redazione in lingua inglese, e anche il lancio di un servizio di pubblicità interna sul sito.

Questa di State of Mind è una bella avventura e speriamo che sia anche utile, noi ci siamo divertiti a costruirlo e a portarlo avanti e continueremo a farlo. 

Grazie a voi lettori che frequentate il nostro giornale, grazie del sostegno e dell’incoraggiamento, tra mail, commenti e chiacchiere faccia a faccia nel mondo reale. Grazie per le critiche posate e i consigli utili a cambiare e migliorare, per le nuove idee e i contributi freschi. 

Buon compleanno State of Mind! 

 

 

Corvi vs bambini. Che la sfida abbia inizio! – Psicologia dello Sviluppo

 

Corvi vs Bambini. - Immagine: © Gennadiy Poznyakov - Fotolia.com

Gli uccelli “sono adatti per conoscere questo mondo”, ma “i bambini sono adattati per conoscere molti mondi possibili.”

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Un giorno d’estate un corvo, quasi morto di sete, trovò una brocca.  Quando infilò il becco nella brocca si accorse che vi era rimasto soltanto un po’ d’acqua sul fondo. Provò e riprovò, ma inutilmente, e alla fine fu preso da disperazione. Gli venne un’idea e, preso un sasso, lo gettò nella brocca. Poi prese un altro sasso e lo gettò nella brocca. Ne prese un altro e gettò anche questo nella brocca. Piano piano vide l’acqua salire verso di sé, e dopo aver gettato altri sassi riuscì a bere e a salvare la sua vita (Esopo). 

Lucy Cheke e i ricercatori del gruppo del dott. Nicola Clayton dell’università di Cambridge, hanno condotto diversi esperimenti per scoprire se i corvi sono veramente in grado di risolvere questo problema.  Gli scienziati hanno sottoposto ai corvi tre problemi:

– nel primo sono stati presentati ai corvi due tubi, uno con dell’acqua e uno con della segatura. Gli uccelli dovevano decidere all’interno del quale far cadere delle biglie per riuscire ad avere il verme all’interno;

– nel secondo, è stato presentato un solo tubo riempito d’acqua. Per raggiungere il verme i corvi dovevano scegliere fra una palla di sughero o una biglia da porre all’interno del tubo;

– nel terzo esperimento è stato presentato un apparecchio con tre diversi tubi: due grossi ai lati, nei quali poteva passare la biglia, ed uno più stretto in mezzo, nel quale non entrava la biglia. La base dei tubi era nascosta per non svelare che in realtà il tubo centrale era connesso con uno dei tubi a lato formando una “U”. In questo terzo esperimento per raggiungere il verme i corvi avevano a disposizione una sola biglia. 

Sorprendentemente i corvi hanno imparato a risolvere i primi due esperimenti piuttosto velocemente. Guardare per credere:

La dott.ssa Cheke ha osservato inoltre che per risolvere gli esercizi gli uccelli procedevano per prove ed errori, poiché il loro sistema di apprendimento gli permetteva di risolvere solo compiti che richiedevano processi mentali molto lineari, che permettono loro di utilizzare, o addirittura creare, utensili per raggiungere il cibo.

È a questo punto della storia che parte la sfida: bambini tra i 4 e i 10 anni saranno in grado di essere altrettanto bravi? E per farlo useranno processi di apprendimento simili a quelli dei corvi? Al fine di rispondere a questa domanda il gruppo di Cheke ha collaborato con la dott.ssa Elsa Loissel, per somministrare, durante l’orario scolastico, gli stessi tre esperimenti ad 80 bambini. Nell’esperimento con i bambini gli indigesti vermi erano sostituiti da gettoni rossi, che successivamente i bambini avrebbero potuto scambiare con adesivi colorati. Così come i corvi, anche i bambini avevano cinque tentativi e solo 2 minuti risolvere i compiti. 

Se state pensando che i bambini hanno stracciato i corvi state per essere parzialmente delusi. Infatti al termine delle prime due prove troviamo che bambini e uccelli sono a pari merito, poiché entrambi riescono a risolvere senza problemi i compiti. Tuttavia al termine della terza prova i bambini battono decisamente gli uccelli, che non riescono proprio a padroneggiare un esercizio con una soluzione non evidente, anzi controintuitiva.

A partire da questi risultati Cheke ed i suoi colleghi hanno dedotto che la differenza fondamentale fra bambini e corvi è che i primi non si sono scoraggiati dall’apparente impossibilità del compito, ma sono andata avanti e hanno imparato a sollevare il gettone in ogni caso, anche se non c’erano prove di come questo stava accadendo o la soluzione non sembra avere un intuitiva. “I bambini iniziano senza una idea di ciò che è possibile e ciò che non è possibile”, dice Cheke. “Se lo facessero, non sarebbero mai in grado di imparare. Per questo motivo ai bambini piace la magia, ecco perché ti crederanno quando dirai loro ogni tipo di cose fantasiose”.

La Vulnerabilità all'ansia del bambino. - Immagine: © deber73 - Fotolia.com
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Alison Gopnik, un’esperta in psicologia dello sviluppo infantile presso l’Università di Berkeley, California, ha definito questo studio come “affascinante e illuminante”. La differenza principale tra gli uccelli ei bambini, dice Gopnik, è che i membri della famiglia dei corvi “hanno una conoscenza sofisticata ma specifica”, mentre i bambini “sembrano avere più ampia capacità di apprendimento e ad ampio raggio”. Di conseguenza, aggiunge Gopnik, gli uccelli “sono adatti per conoscere questo mondo”, ma “i bambini sono adattati per conoscere molti mondi possibili.”

Probabilmente questo studio non farà vincere il premio Nobel ai ricercatori che l’hanno condotto, ma di sicuro ha fornito un interessante aneddoto da raccontare a cena con gli amici.

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BIBLIOGRAFIA:

Intelligenza? Una Questione di Ormoni

Intelligenza? Una questione di Ormoni. - Immagine:© Yuri Arcurs - Fotolia.comL’intelligenza moderna è femminile

–  Philippe Starck –

La capacità di leggere la mente degli altri nei loro occhi è maggiore nelle donne che hanno un assetto fisico più tipicamente femminile caratterizzato da vita stretta e fianchi larghi. 

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A quanto pare la conformazione fisica tipicamente femminile caratterizzata da fianchi larghi e vita stretta discrimina un particolare tipo di intelligenza.

L’indice fisico prescelto per indagare questo rapporto è la relazione tra il giro vita e i fianchi (waist-to-hip ratio, WHR) e l’idea di Bremser & Gallup (2012) è nata da precedenti ricerche che hanno dimostrato come la conformazione a clessidra fosse correlata nelle donne a un aspetto più attraente agli occhi degli uomini intervistati e fosse in grado di predire la buona riuscita in compiti cognitivi (Lassek & Gaulin, 2008).

Orgasmo Femminile: Questiona di intelligenza emotiva?. - Immagine: © laurent hamels - Fotolia.com
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A partire da questi dati, gli autori hanno misurato i fianchi e la vita di 44 studentesse con un’età compresa tra 18 e 22 anni, sottoponendole poi a un test con la richiesta di attribuire un’emozione a una serie di fotografie scegliendo  tra 4 stati mentali distinti quello che, a loro parere, era espresso dagli occhi della persona fotografata. Le ragazze hanno poi  compilato due questionari che hanno valutato le loro capacità empatiche e la tendenza a ragionare in modo logico per relazioni causali del tipo “se…allora”. 

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A conti fatti, l’indice fisico del rapporto vita-fianchi (WHR) è stato in grado di spiegare per il 20% gli esiti nel compito di riconoscimento facciale e sembra andare di pari passo con le capacità empatiche delle fanciulle intervistate. Non è emersa invece nessuna correlazione tra il WHR e la tendenza a ragionare in modo logico/causale.

Cosa ci dicono concretamente questi risultati?

A quanto pare, la capacità di leggere la mente degli altri nei loro occhi è maggiore nelle donne che hanno un assetto fisico più tipicamente femminile caratterizzato da vita stretta e fianchi larghi. 

Se pensiamo che la conformazione a clessidra è causata da alti livelli di estrogeni (responsabili dell’accumulo adiposo sui fianchi) e bassi livelli di testosterone (che portano a una vita sottile), sembra proprio che la poca empatia che le donne tanto spesso lamentano negli uomini abbia in qualche modo un fondamento ormonale e biologico. Come dire, siamo di fronte a un conflitto tra i livelli di testosterone e alcune capacità cognitive.

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Precedenti studi (Schattman & Sherwin, 2007) hanno addirittura rilevato che all’interno dello stesso “sesso debole”,  le donne con la sindrome dell’ovaio policistico, con maggiori livelli di testosterone, hanno un esito più scarso in compiti cognitivi tipicamente appannaggio femminile (Lassek & Gaulin, 2008). 

Per quanto riguarda, invece, la capacità di ragionare razionalmente, per “se…allora” e secondo logica, non sembra esistere nessun rapporto tra i livelli ormonali e le performances.

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Articolo Consigliato: Cooperazione ed Evoluzione dell’intelligenza.

Contestualizzando i risultati della ricerca gli autori si lanciano in alcune interpretazioni. Un corpo femminile  a clessidra sembra essere maggiormente adattivo in termini di fertilità, salute e intelligenza emotiva, è ritenuto più attraente dagli uomini (Singh, Dixson, Jessop, Morgan, and Dixson, 2010) e queste donne sembrano avere più partner sessuali nell’arco della vita e essere più propense al tradimento (Hughes, Dispenza, and Gallup, 2004)

Di conseguenza, gli autori ipotizzano che, incontrando molti consensi tra gli uomini, la maggiore capacità delle donne con queste caratteristiche fisiche di leggere gli stati d’animo sia loro utile da un punto di vista evoluzionistico per poter discriminare tra un corteggiamento finalizzato al rapporto sessuale tout court e un corteggiamento che implichi anche un impegno da parte del maschio nell’allevamento della prole e nella costruzione di una famiglia. Con la speranza di trovare un partner con una buona mediazione tra testosterone e empatia.

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BIBLIOGRAFIA:

Una Nuova Figura: Lo Psicologo di Base

 

FLASH NEWS 

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

Istituire l’assistenza psicologica attraverso la figura professionale dello psicologo di base, garantita dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN), risulta utile per la salvaguardia della salute psico-fisica ed è un passo necessario da effettuare.

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L’articolo 32 della Costituzione Italiana recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Appare chiaro che in una società in piena crisi, come quella in cui viviamo dove il disagio psicologico aumenta giorno per giorno, il diritto dei cittadini è rispettato solo in parte. Infatti se da un lato gli ambulatori sono aperti 24 ore su 24 come previsto dal ministro della Salute Renato Balduzzi, dall’altro lato manca il supporto psicologico di cui molti hanno bisogno. Ad esempio se un paziente non riesce a chiudere occhio per l’angoscia e va in ambulatorio lamentando l’insonnia, il medico prescriverà un sonnifero, eliminando il sintomo ma non risolvendo il problema.

Il Flash Mob davanti all’Ordine degli Psicologi del Piemonte
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Istituire l’assistenza psicologica attraverso la figura professionale dello psicologo di base, garantita dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN), risulta utile per la salvaguardia della salute psico-fisica ed è un passo necessario da effettuare.

All’inizio del mese di Settembre 2012, nel Comune di Carmignano (Padova) è partita una sperimentazione in cui si istituisce la figura dello psicologo di base in collaborazione con i medici di famiglia. Si tratta di un ambulatorio con quattro psicologi, che per tre volte alla settimana ricevono gli utenti inviati dai medici di base. Questa esperienza è sostenuta dal Comune con 15 mila euro fino a dicembre, quando verrà rifinanziata e gode dell’appoggio dell’Usl 15 di Cittadella e della collaborazione con l’Ordine degli psicologi. I risultati verranno riferiti  alla Regione, in modo da appoggiare la diffusione del modello. 

Oltre all’assistenza psicologica, l’importanza di questa figura professionale sta nel contribuire alla prevenzione della depressione, dello stress e di altre patologie che possono portare a loro volta ad altri problemi quali l’abuso di alcolici o droghe, devianza giovanile, etc.

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Inoltre in questo modo il paziente verrebbe liberato dall’imbarazzo di passare in maniera obbligatoria per i Centri di igiene mentale nel caso in cui  richiede questo tipo di servizio. 

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Infine, sostenendo un approccio multidisciplinare alla salute e includendo la componente psichica come facente parte del disagio, si ha il risultato di migliorare la qualità delle cure (le quali sarebbero maggiormente finalizzate) e far risparmiare il sistema socio sanitario.

 

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BIBLIOGRAFIA: 

Attaccamento: l’Importanza del Padre

“Il bambino si costruisce un modello interno di se stesso
in base 
a come ci si è preso cura di lui.” (John Bowlby)

 

Attaccamento. - Immagine: © BlueOrange Studio - Fotolia.com

L’amore paterno è fondamentale per lo sviluppo di una persona.

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Chi svolge il ruolo di base sicura per il proprio figlio, la madre o il padre? Da sempre si assume possa essere la madre a svolgere un ruolo chiave, ma una ricerca recente ne attesta il contrario. 

La teoria dell’attaccamento, avviata in modo originale da John Bowlby che ha introdotto per primo il termine “attaccamento” per identificare i comportamenti dei bambini nei confronti delle figure di accudimento, riconosce la presenza di una predisposizione innata nell’essere umano atta a ricercare e mantenere una condizione di accessibilità fisica e psicologica con la figura elettiva di riferimento.

Il comportamento di attaccamento, evocato da eventi allarmanti, si esplicita attraverso la ricerca attiva del caregiver e/o richiamando l’attenzione attraverso il pianto o l’appello verbale. L’allarme cessa quando hanno luogo la vicinanza o il ricongiungimento fisico e ciò consente al bambino di passare da emozioni di paura, ansia o tristezza a sentimenti di tranquillità e di felicità. L’attaccamento si compie attraverso alcune tappe e può essere di diverse tipologie infatti, grazie al contributo di Mary Ainsworth, possiamo identificare quattro diversi stili: Sicuro, Insicuro Evitante, Insicuro Ambivalente e Disorganizzato.

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Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche
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 Da sempre il famigerato attaccamento è oggetto di contenzioso e critiche, perché in base allo stile mostrato è possibile sviluppare diversi tratti personologici che potrebbero portare a sviluppare diversi disagi psicologici. Questi ultimi hanno origine durante l’infanzia in relazione a momenti in cui il bambino se sente abbandonato dalla propria figura di attaccamento.

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Una ricerca su vasta scala, riguardante il potere del rifiuto e dell’accettazione dei genitori nel formare la personalità nei bambini, ha permesso di comprendere che l’amore del padre, al pari di quello della madre, contribuisce molto allo sviluppo di un bambino.

Ronald Rohner, professore presso l’Università del Connecticut, dopo aver analizzato le ricerche realizzate a livello internazionale nell’ultimo mezzo secolo, ritiene si possa affermare che l’esperienza del rifiuto, soprattutto da parte dei genitori, durante l’età pediatrica ha un effetto molto forte sullo sviluppo della personalità. Inoltre, i bambini e gli adulti, indipendentemente dalle differenze di cultura e genere, tendono a rispondere esattamente allo stesso modo quando hanno percepito loro stessi come respinti dai loro caregiver e dalle altre figure di attaccamento.

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Ronald Rohner e Abdul Khaleque, analizzando 36 studi in cui sono stati coinvolti più di 10.000 soggetti provenienti da tutto il mondo, hanno scoperto che i bambini, in risposta al rifiuto da parte dei genitori, non solo tendono a sentirsi più ansiosi e insicuri, ma risultano anche più ostili e aggressivi nei confronti degli altri. Il dolore del rifiuto tende a ripresentarsi in età adulta, rendendo più difficile instaurare relazioni sicure e fiduciose con i loro partner.

I risultati di ricerche svolte nell’ultimo decennio in psicologia e in neuroscienze rivelano che le parti del cervello che vengono attivate quando le persone si sentono respinte sono le stesse che si attivano durante l’esperienza del dolore fisico. Rohner afferma: “A differenza del dolore fisico, le persone possono psicologicamente rivivere il dolore emotivo del rifiuto più e più volte per anni”.

Quando si tratta l’argomento dell’impatto dell’amore di un padre rispetto a quello di una madre, i risultati provenienti da più di 500 studi suggeriscono che i bambini sperimentano l’influenza del rifiuto da parte del padre come superiore rispetto a quello della madre.

Un team di psicologi, provenienti da 13 nazioni che lavorano all’International Father Acceptance Rejection Project, ha sviluppato una spiegazione di questa differenza: i bambini e i giovani adulti tendono a fare maggiore attenzione a qualsiasi genitore che percepiscono avere una maggiore potenza interpersonale o di prestigio. Solitamente questo ruolo è relegato alla figura paterna, che da sempre svolge un ruolo fondamentale all’interno della famiglia. Non a caso tra i latini veniva annoverato col termine di Pater familias, inteso come il capo indiscusso di tutto il clan (parentado), a lui erano sottomessi la moglie, i figli, gli schiavi, le nuore. Su tutti aveva la patria potestas, potere che conservava vita naturale durante e che comportava amplissime facoltà insieme ad un potere punitivo che si estendeva fino al diritto di vita o di morte. Quindi, se un bambino percepisce suo padre come colui che ha maggior prestigio allora sarà proprio lui ad avere maggiore influenza nella vita del bambino, più di quanto potrebbe averne la madre. 

Il caso del bambino di Padova: Sindrome da Alienazione Parentale?
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Il messaggio di questa ricerca è che l’amore paterno è fondamentale per lo sviluppo di una persona. L’importanza dell’amore di un padre dovrebbe contribuire a motivare molti uomini ad essere più coinvolti nella promozione della cura del bambino. Inoltre, il riconoscimento dell’influenza dei padri sullo sviluppo della personalità dei propri figli dovrebbe favorire la riduzione dell’incidenza della atavica “colpa della madre” da sempre riconosciuta come totale fautrice dei un cattivo sviluppo psicologico della prole. La grande enfasi sulle madri e sulle cure materne in America hanno portato a una tendenza inappropriata a incolpare le madri per i problemi di comportamento e di disadattamento dei bambini quando, in realtà, i padri spesso sono implicati maggiormente rispetto alle madri nello sviluppo di problemi come questi. 

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BIBLIOGRAFIA:

Il Trattamento EMDR con Pazienti Cardiopatici

 

Il trattamento EMDR e i Pazienti Cardiopatici. - Immagine: © iadams - Fotolia.com

Dopo un evento cardiaco grave, si può andare incontro a stati di ansia e depressione e sviluppare addirittura i sintomi tipici di un disturbo post traumatico da stress (PTSD).

La letteratura scientifica (Shemesh, E. et al., 2004; Ladwig KH, et al. 2008; Hemingway, H., Kuper, H. 1990) offre diversi spunti in favore dell’evidenza che la sofferenza psicologica ed emotiva, dovuta a depressione, ansia e isolamento sociale, può contribuire all’insorgere di malattie cardiache; d’altro canto anche sopravvivere ad eventi cardiaci gravi (infarto del miocardio, arresto cardiaco, chirurgia cardiaca, trapianti) influenza fortemente il benessere psicologico e le condizioni di salute delle persone che ne sono vittime (Razzini C, et al., 2008, Kubzansky LD, et al. 2006; Shemesh, E. et al., 2004;). 

Dopo un evento cardiaco grave, si può andare incontro a stati di ansia e depressione (Berkman; Davidson, et al. 2010) e sviluppare addirittura i sintomi tipici di un disturbo post traumatico da stress (PTSD)(Mavros, N., et al., 2011): secondo i dati in letteratura va incontro a un PTSD il 19%-38% dei pazienti che hanno avuto un arresto cardiaco (Gamper et al., 2004; Ladwig et al., 1999; O’Reilly, Grubb, & O’Carroll, 2004), il 16%-22% di quelli che hanno avuto un infarto del miocardio  (Ginzburg, et al., 2006; Pedersen, Middel, & Larsen, 2003; Shemesh et al., 2006), 8%-18% dei pazienti sottoposti a chirurgia cardiaca  (Connolly, et al. 2004; Doerfler, Pbert, & DeCosimo, 1994; Schelling et al., 2003) e 11% -16% dei pazienti che hanno subito un trapianto (Dew et al., 1996, 1999, 2000, 2001).

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Non intervenire adeguatamente su questi aspetti psicologici ed emotivi può compromettere le possibilità di recupero sia psicologico che fisico del paziente (Shemesh, E. et al.,2004, Frasure-Smith N, Lespérance F., 2008), peggiorando anche la compliance con il personale medico.

La ricerca in questo campo (Davidson, et al. 2010) dimostra che uno stato depressivo minore dopo un infarto del miocardio può aumentare significativamente le probabilità di mortalità negli anni successivi. Secondo i dati presentati all’12th Annual Spring Meeting on Cardiovascular Nursing (Damen et al. 2012), che si è tenuto a Marzo 2012 a Copenhagen, in un campione di più di 1000 pazienti che hanno subito interventi alle coronarie il 26,3% va incontro a depressione, e nei 7 anni successivi è stata registrata una mortalità del 23,5% tra i pazienti depressi contro il 12,2% tra i pazienti non depressi; la depressione inoltre è risultata indipendentemente associata a tutte le cause di mortalità.

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Anche i sintomi di un PTSD hanno effetti a lungo termine nell’aumentare il rischio di mortalità, sia in pazienti a cui siano stati impiantati defribillatori (Ladwig KH, et al., 2008; Davidson, et al. 2010) sia in pazienti che hanno subito trapianti  (Ladwig KH, et al. 2008), aumentando anche il rischio di problemi cardiovascolari correlati (Shemesh, E. et al.,2004).

I dati di ricerca (Denollet, J. Et al., 2010; Razzini C, et al., 2008; Petersen e Denollet, 2003) suggeriscono inoltre che pazienti cardiopatici con una personalità di tipo D – caratterizzata da negatività, pessimismo e inibizione sociale – hanno tre volte il rischio, rispetto agli altri pazienti cardiopatici, di sviluppare ulteriori problemi cardiaci in futuro.  Tale tipo di personalità è pertanto associato a una prognosi cardiaca negativa. Il trattamento del disagio psicologico, oltre che indurre una riduzione dei sintomi depressivi, sembra migliorare gli esiti fisici di questi pazienti. 

Di fronte di questi dati intervento psicologico-psicoterapeutico appare molto indicato e può attuarsi a diversi livelli:

 Relazionale:

− Stabilire una comunicazione efficace tra il paziente ed i familiari

− Facilitare la collaborazione tra il paziente e la sua famiglia, e gli operatori sanitari 

− Migliorare la compliance del paziente 

Diagnostico e di ricerca:

Attraverso la somministrazione di alcune scale per valutare, e monitorare nel tempo, la severità di sintomi ansiosi e depressivi e l’intensità delle reazioni di evitamento, intrusività e iperarausal:  

CES-D (Radloff, L., S., 1977), è una scala validata per misurare la depressione negli adulti, nel caso di pazienti anziani si usa la GDS (Yesavage, J., A.; Brink, T., L.; Rose T., L. et al., 1983) ; 

STAI è una scala che permette di misurare sia l’ansia di stato che quella di tratto (Spielberger, Gorsuch, Lushene, 1968)

IES-R (Weiss & Marmar, 1997),  è uno strumento usato per monitorare l’intensità delle reazioni di evitamento, intrusività e iperarausal a seguito di eventi traumatici;

Terapeutico, riabilitativo, preventivo: 

Lavorare sui sintomi ansiosi e depressivi e sulla reazione allo stress traumatico (il trattamento prevede in media 10-15 sedute di EMDR)

L’EMDR (Eyes Movement Desensitization and Reprocessing) è un approccio terapeutico inventato nel 1989 da Francine Shapiro, psicologa di Palo Alto (California).

Nato per curare il PtSD (i primi pazienti sono stati i reduci dal Vietnam e vittime di stupro) ora viene applicato anche ad una vasta serie di disturbi psichici che hanno come fattore causale o scatenante un evento traumatico.

RICOMPORRE IL PUZZLE Quando il trauma interferisce nel percorso di crescita - SOCIETA’ ITALIANA di PSICOLOGIA CLINICA e PSICOTERAPIA - Immagine: Pablo Picasso, Girl with a boat.
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L’EMDR è usato fondamentalmente per accedere, elaborare e portare ad una risoluzione adattativa i ricordi di esperienze traumatiche che stanno alla base di disturbi attuali del paziente sotto forma di informazione immagazzinata in modo non funzionale. Nonostante il cervello abbia un sistema innato di elaborazione dell’informazione, secondo questo modello questa elaborazione a volte non avviene come dovrebbe in seguito a esperienze traumatiche e l’informazione rimarrebbe racchiusa in una rete neurale con le stesse emozioni, convinzioni, sensazioni fisiche che esistevano al momento dell’esperienza originale.

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L’esperienza in questi casi non viene immagazzinata nella memoria in modo integrato e funzionale; questo materiale immagazzinato in modo disfunzionale viene pertanto sollecitato dai vari stimoli dell’esperienza presente. Questo fattore è alla base dei pensieri intrusivi, dei flashback e di tutte le risposte a stimoli condizionati.

L’EMDR è un metodo terapeutico che attraverso la doppia focalizzazione (si chiede al paziente di pensare agli elementi più significativi del ricordo traumatico e contemporaneamente il terapeuta attua stimolazioni bilaterali degli emisferi cerebrali facendo muovere gli occhi del paziente da destra a sinistra e da sinistra a destra o tamburellando in modo alternato le mani o facendo ascoltare degli stimoli acustici alternati) permette una elaborazione accelerata dei ricordi traumatici (elaborazione adattativa della informazione).

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La desensibilizzazione del ricordo e il cambiamento di prospettiva in ambito cognitivo osservabili durante una seduta di EMDR riflettono l’elaborazione del ricordo dell’esperienza traumatica: il paziente per la prima volta “vede” il ricordo lontano, distante; modifica le valutazioni cognitive su di sé incorporando emozioni adeguate alla situazione ed eliminando le sensazioni fisiche disturbanti. Al termine di una seduta completa di EMDR il paziente è quindi in grado di pensare all’evento traumatico senza alcun disagio emotivo, facendo una valutazione positiva su di sé come persona e senza alcun disturbo a livello corporeo.

Il trattamento vero e proprio con l’EMDR inizia due/tre settimane dopo il trauma, bisogna infatti prima dare il tempo alla persona traumatizzata di uscire dallo stato dissociativo e di recuperare risorse emotive; le sedute effettuate durante le prime settimane sono sedute di supporto finalizzate alla creazione di una alleanza terapeutica e alla instaurazione di risorse emotive.

 La durata di ciascuna seduta può variare dai 45 ai 90 minuti.

In genere 3/6 sedute EMDR portano alla remissione di PTSD in vittime di traumi singoli tra il 77 e il 100%, invece sono necessarie 12 sedute per vittime di traumi multipli.

L’EMDR è insieme alla terapia comportamentale focalizzata sul trauma (Trauma Focused Comitive Behaviour Therapy) la più efficace per il PTSD (Bisson J. Et al., (2007). British Journal of Psychiatry, 198, 97.104).

L’EMDR è stato riconosciuto in ambito scientifico e accademico e dichiarato come uno dei metodi evidence based per il PTSD. 

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L’EMDR, che può essere effettuato solo da psicoterapeuti che si sono formati al metodo, è già usato in molte ASL, Aziende Ospedaliere e centri del servizio sanitario nazionale, tra cui Ospedale Sacco Milano, Ospedale Neurologico Besta Milano, Ospedale San Raffaele di Milano, Istituto Europeo Oncologico (IEO), Ospedale Fatebenefratelli di Milano. Per una più approfondita analisi della letteratura anche riguardo all’adozione del metodo da parte di organismi istituzionali, negli Stati Uniti e in Europa: Isabel Fernandez, (2006)“EMDR: un approccio integrato e integrante” in “EMDR: uno strumento di dialogo per le psicoterapie”, Mac Graw-Hill, (2006).

 

Memorie Traumatiche e Ruminazione. - Immagine: © PZDesigns - Fotolia.com -
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EMDR  IN PAZIENTI SOPRAVVISSUTI A EVENTI CARDIACI GRAVI 

Sono già stati condotti due studi sperimentali in pazienti sopravvissuti ad eventi cardiaci gravi per testare l’efficacia del metodo nel trattare i sintomi di PTDS, ansia e depressione che si sono sviluppati nel periodo post operatorio. In entrambi gli studi (Arabia, E; Manca, M L; Solomon, R M. 2011; Shemesh et al., 2010) il trattamento (in media 10 sedute) si è dimostrato efficace nella riduzione della sintomatologia postraumatica, nel ridurre sia l’ansia di stato che quella di tratto e nel ridurre la sintomatologia depressiva; inoltre questo tipo di trattamento si è dimostrato superiore ad altre tecniche di trattamento usate, ad esempio le tecniche immaginative.


Il follow up a 6 mesi ha dimostrato il persistere dei benefici anche a lungo termine. Questi risultati replicano quelli di ricerche precedenti sull’efficacia dell’EMDR nel trattamento di sintomi ansiosi e depressivi (Raboni, Tufik, & Suchecki, 2006; Scheck, Schaeffer, & Gillette, 1998; Ironson, Freund, Strauss, & Williams, 2002; Marcus, Marquis, & Sakai, 1997; van der Kolk et al., 2007).

 

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BIBLIOGRAFIA:

L’AIMIT e le sue applicazioni in Psicoterapia: dalla validazione dello strumento allo studio della relazione terapeutica, nella ricerca e nella didattica

Congresso SITCC 2012 Roma

L’AIMIT e le sue applicazioni in psicoterapia: dalla validazione dello strumento allo studio della relazione terapeutica, nella ricerca e nella didattica

Giovanni Fassone, Chiara Santomassimo, Paola Foggetti, Valeria Trincia, Antonella Ivaldi, Floriana Lo Reto, M. Rita D’Onofrio 
& Gruppo di Lavoro “Motivazione interpersonale, Relazione e Personalità” 

 

ARTICOLI SU: SISTEMI MOTIVAZIONALI 

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