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Lo stile terapeutico di Aaron T. Beck si può riassumere in una sola domanda: “in base a cosa dici questo? Che prove puoi portarmi?”
Naturalmente in una seduta reale il terapeuta si esprime in termini non sfidanti e aggressivi, ma coinvolgenti e concilianti, usando il noi terapeutico, ovvero: “Tutti noi siamo soggetti a errori logici. Per esempio, per me parlare in pubblico significa essere soggetto all’erronea conclusione che il discorso non sia gradito perché mi focalizzo troppo sulle mie imperfezioni. Occorre imparare a riconoscere gli errori e non saltare immediatamente alle conclusioni” (Clark e Beck, 2010, pag. 209).
Nella sua terapia, Beck dà importanza centrale al concetto di verità empirica e logica e alla scoperta degli errori. Le sue liste di errori sono differenti nelle varie edizioni della sua opera. Nel libro del 2010 di Clark e Beck troviamo 6 possibili errori:
Catastrofizzare: i possibili eventi negativi sono percepiti come intollerabili catastrofi piuttosto che essere valutati in una prospettiva più moderata. Ad esempio, una brutta figura vissuta come una catastrofe terribile e non come una situazione semplicemente imbarazzante e spiacevole. (“è terribile se…).
Saltare alle conclusioni: passare dalla formulazione di un possibile problema al suo esito negativo senza esplorare i passaggi intermedi e quindi tutti i possibili esiti, non solo quello peggiore.
Visione tunnel sulla minaccia: un unico aspetto di una situazione complessa è il focus dell’attenzione, a altri aspetti rilevanti della situazione sono ignorati. Ad esempio, focalizzare un commento negativo in un giudizio sul proprio lavoro trascurando altri commenti positivi.
Imminenza percepita della minaccia: la minaccia è percepita con esattezza, ma l’errore riguarda l’imminenza della minaccia, sentita come ravvicinatissima, a portata di mano.
Ragionamento emotivo: considerare le reazioni emotive come prove attendibili della minacciosità di una situazione. Ad esempio, concludere che, dato che ci si sente sfiduciati, la situazione è senza speranza. (“se mi sento male allora andrà male“).
Pensiero dicotomico: le cose sono viste in termini di categorie mutualmente escludentisi senza gradi intermedi. Ad esempio, una situazione o è un successo oppure è un fallimento; se una situazione non è proprio perfetta allora è un completo fallimento.
L’uso di fogli scritti facilita un intervento che, per il suo elevato grado di formalizzazione, non è facile da eseguire in maniera puramente colloquiale. Occorre facilitare il compito al paziente aiutandolo con una lista scritta.
In altri testi di Beck si trovano anche altri possibili errori, come ad esempio:
Ipergeneralizzazione: un singolo evento è visto come capace di connotare negativamente un’intera vita o un’intero ambiente piuttosto che come essere un evento tra tanti. Squalificare il lato positivo: le esperienze positive che sono in contrasto con la visione negativa sono trascurate e svalutate. Ad esempio, non credere ai commenti positivi di amici e colleghi, ritenendo che facciano commenti positivi solo per gentilezza.
Lettura del pensiero: un soggetto può sostenere che altri individui stiano formulando giudizi negativi non in base a giudizi espliciti o altre prove evidenti ma per una sua percezione emotiva che gli fa credere di essere in grado di comprendere il giudizio altrui, quasi leggendo nella loro mente.
Riferimento al destino: l’individuo pensa e agisce come se le proprie aspettative negative sugli eventi futuri siano fatti inevitabili stabiliti dal destino. Ad esempio, il pensare che qualcuno lo abbandonerà, e che lo sa già, e agisce come se ciò fosse vero.
Minimizzazione: il valore e il significato delle esperienze e le situazioni positive sono minimizzati.
Doverizzazioni: l’uso di “dovrei”, “devo”, “bisogna”, si deve”, segnala la presenza di un atteggiamento rigido in diretta connessione con regole personali.
Etichettamento: identificare qualcuno tramite una etichetta globale piuttosto che riferirsi a specifici ambiti, eventi o azioni. Ad esempio, il pensare di essere un fallimento piuttosto che si è inadatti a fare una determinata cosa.
Personalizzazione: assumere che noi stessi si è causa di un particolare evento negativo quando, nei fatti, sono responsabili altri fattori. Ad esempio, considerare che una momentanea assenza di amicizie è il riflesso della propria inadeguatezza piuttosto che un caso.
Il disputing alla Beck è una tra le più neutrali e spersonalizzate delle tecniche cognitive, quella più lontana dai cosiddetti significati personali. È vero che un termine come “significati personali” rischia di essere generico e vago. Le differenze tra credenze e significati personali non sono chiarissime. Eppure, riflettendo sulla tecnica di Beck, una differenza la troviamo tra credenze e significati personali.
I significati personali sono credenze che assumono un particolare colore soggettivo e culturale, essendo esperienze personali di apprendimento che associamo a certi stati d’animo e che utilizziamo per giudicare le situazioni, per decidere cosa ci piace e per capire cosa desideriamo. Hanno quindi a che fare con i valori personali, le preferenze e i desideri. A differenza quindi degli errori logici di Beck, non hanno molto a che fare con il concetto di verità assoluta.
BIBLIOGRAFIA
- Beck, A. T., Emery, G., Greenberg, R. L. (2010). Anxiety disorders and phobias: A cognitive perspective. New York: Basic Books.