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La Vulnerabilità all’ Ansia del Bambino

 

La Vulnerabilità all'ansia del bambino. - Immagine: © deber73 - Fotolia.comIl Circolo Vizioso tra Geni, Temperamento e Famiglia

L’ ansia nel bambino rappresenta una sana reazione di adattamento e un elemento del normale sviluppo emotivo. Quando e perché diventa una condizione disfunzionale?

Le cause e i fattori di mantenimento di un quadro ansioso patologico sono molteplici e in continua interazione tra loro.

Secondo il modello di Hudson e Rapee (2004), i disturbi d’ ansia nel bambino derivano dall’incatenarsi di fattori genetici con quelli ambientali, fino a creare un vero e proprio circolo vizioso che concorre al mantenimento del disturbo.

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Per gli autori, molti bambini con sintomatologia ansiosa hanno, a loro volta, genitori ansiosi (almeno uno dei due).  Oltre ad un’ereditarietà ambientale, dovuta all’imitazione da parte del bambino del modello genitoriale, è possibile parlare anche di ereditarietà genetica.

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In questi casi, i bambini presentano un temperamento ansioso, ovvero una naturale predisposizione alla preoccupazione eccessiva.  Si tratta di bambini con Inibizione Comportamentale: tendenza temperamentale a mostrare  paura e ritiro in situazioni non familiari. (Kagan, 1984).

Questo temperamento porterebbe ad una maggiore vulnerabiltà all’ ansia nel bambino, nonché ad una maggiore probabilità di sviluppare un disturbo d’ansia in fasi successive dello sviluppo.

Ma quando la vulnerabilità all’ansia nel bambino diventa ansia patologica? Perché si possa fare una diagnosi di disturbo d’ansia, è necessario che quest’ultima abbia un impatto sulla vita del bambino in termini di frequenza, durata e intensità, tale da diventare una vera e propria limitazione.

Ad esempio, sappiamo che uno dei tratti distintivi dell’ansia è l’evitamento della situazione ritenuta pericolosa. Anche l’ ansia nel bambino è caratterizzata da evitamenti. Quando essi rappresentano un’interferenza nello svolgimento delle normali attività quotidiane, si deve procedere con l’iter diagnostico. Eppure, il temperamento ansioso di per sé non è un fattore sufficiente per lo sviluppo di un vero e proprio disturbo d’ansia. Ecco che entrano in gioco i fattori ambientali, ovvero gli eventi esterni stressanti per il bambino e lo stile genitoriale. 

Rapee Intervista
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A volte, può succedere che la vulnerabilità all’ ansia del bambino /figlio, crei nel genitore l’idea che il bambino sia particolarmente sensibile e indifeso e per questo tenderà a sostituirlo e a limitare la propria autonomia. In altri termini, l’ ansia del bambino fa scaturire un atteggiamento iperprotettivo da parte dei genitori (spesso ansiosi a loro volta).

 

I genitori che adottano questo stile, tendono a rimuovere qualsiasi frustrazione nella vita del bambino, ingigantendo la portata di ogni minimo fastidio e sofferenza. In questo modo i bambini si sentono impreparati di fronte a reazioni diverse da quelle a cui sono abituati nell’ambiente familiare. Cominceranno, così, a considerare terribili le conseguenze di eventuali azioni sbagliate e a nutrire dubbi sul loro valore personale (Kendall, Di Pietro 1995).

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Risulta evidente come questo meccanismo non faccia altro che alimentare e mantenere le risposte di evitamento, e quindi l’ ansia del bambino. Si può, quindi, ritenere che la parte fondamentale della vulnerabilità ansiosa, sia proprio il rinforzo dello stile di evitamento da parte dei genitori.

Ecco composto il complesso mosaico del circolo vizioso della vulnerabilità all’ ansia del bambino … dalla famiglia ai geni, dai geni al temperamento, dal temperamento alla famiglia.

 

 

BIBLIOGRAFIA:

Patologie della Personalita’ di Alto Livello – Recensione

 

Caligor E., Kernberg O.F., Clarkin J.F. “Patologie della personalita’ di alto livello”, Cortina Editore SCARICA IL BOOKTRAILER 

Patologie della Personalità di alto livello. Cortina Editori

Gli individui strutturano la propria vita psichica intorno a modelli relazionali interiorizzati che si sono forgiati nelle relazioni con le figure rilevanti dello sviluppo.

Il testo di Caligor, Kernberg e Clarkin esamina una classe di disturbi di personalità moderatamente gravi, associati a strutture di funzionamento psicologico le cui caratteristiche fondamentali sono: identità consolidata, predominio di difese basate sulla repressione, rigidità dei tratti, esame di realtà adeguato. Tale assetto di personalità viene definito di alto livello e corrisponde all’organizzazione nevrotica teorizzata da Kernberg; assumendo invece come riferimento i disturbi in Asse II del DSM-IV-TR, le categorie diagnostiche interessate dalle riflessioni sulla personalita’ di alto livello sono i disturbi evitante, dipendente, depressivo, ossessivo-compulsivo e istrionico, quest’ultimo ampliato e riformulato secondo le classificazioni a come disturbo isterico.

La Dynamic Psychotherapy for Higher level personality Pathology (DPHP) è un modello psicoanalitico che integra la Psicoterapia Focalizzata sul Transfert (TFP) elaborata da Kernberg per il trattamento del disturbo borderline; entrambi gli approcci si fondano sulla teoria delle relazioni oggettuali, secondo cui gli individui strutturano la propria vita psichica intorno a modelli relazionali interiorizzati che si sono forgiati nelle relazioni con le figure rilevanti dello sviluppo.

La DPHP si avvale di tattiche, tecniche e strategie, ponendosi come finalità primaria il cambiamento della struttura di personalita’ attraverso l’individuazione delle relazioni oggettuali conflittuali che il paziente riproduce nella relazione col terapeuta.

Le tattiche e le tecniche – su tutte il transfert, l’ascolto, l’osservazione partecipante, l’interpretazione del conflitto inconscio, l’analisi di resistenze e difese – sono gli strumenti che il terapeuta utilizza per realizzare le quattro strategie cliniche della DPHP: il riconoscimento delle relazioni oggettuali più significative; l’analisi dei conflitti e dei meccanismi difensivi attivi nelle relazioni oggettuali dominanti; il restringimento del focus sugli obiettivi terapeutici; l’integrazione dei conflitti nel vissuto conscio del paziente.

In Studio con Otto Kernberg: l'importanza centrale del Transfert - Immagine: Proprietà di State of Mind - All rigths reserved
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Il terapeuta, avvalendosi della propria neutralità tecnica, si adopera per aiutare il paziente a far emergere le difese e i conflitti inconsci che si sono formati nelle relazioni oggettuali interiorizzate; la relazione terapeutica diventa il luogo figurato nel quale il soggetto ripropone le modalità difensive e i tratti disadattivi che hanno determinato l’insorgere della sua problematica. Il clinico ha la possibilità di osservare direttamente questi aspetti mostrando al paziente quale sia il suo funzionamento, quali le sue reazioni all’interno della relazione terapeutica e come questi elementi si intreccino con le rappresentazioni consce di sè e dell’altro; la ricostruzione di tali dinamiche si sviluppa attraverso l’individuazione dei contenuti comunicativi espliciti e impliciti, delle contraddizioni tra pensiero cosciente e attivazione emotiva, nonchè facendo preciso riferimento alle modificazioni che l’immagine del terapeuta subisce nella percezione del paziente durante l’evolversi della terapia.

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Il setting clinico favorisce l’emergere dei conflitti inconsci e dei caratteri ripetitivi che il soggetto introduce nei propri contesti interpersonali, nella rappresentazione del mondo, nell’organizzazione mentale dell’esperienza; le difese messe in atto hanno la funzione di reprimere sentimenti ritenuti inaccettabili o avvertiti come troppo penosi, insieme a percezioni di sè sgradevoli o dissonanti se confrontate con un’immagine desiderata.

Questi contenuti possono essere descritti ed elaborati solo se vengono ricondotti alle tematiche da cui si sono originati, ossia alle relazioni oggettuali in cui il paziente ha esperito un sentimento di dolorosa inconciliabilità fra bisogni emotivi e qualità delle risposte affettive. 

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La seconda parte del volume è interamente dedicata alla descrizione degli aspetti pratici del trattamento; il taglio pensato dagli autori ha infatti ambizioni formative, pertanto l’idea è di proporre un manuale destinato principalmente ai clinici tirocinanti che vogliano sperimentare le tecniche dell’approccio psicodinamico nel trattamento delle patologie della personalita’

Nella sezione dedicata alla valutazione del paziente si fa riferimento alla diagnosi strutturale di Kernberg e quindi alle tecniche per individuare le caratteristiche strutturali di personalità che potrebbero emergere durante la narrazione, in particolare il grado di integrazione dell’identità, le operazioni difensive e l’esame di realtà. Gli autori non mancano di sottolineare come un buon inquadramento diagnostico sia fondamentale per la pianificazione del trattamento, che secondo le indicazioni fornite dal modello ruota principalmente intorno a due dei cardini della teoria psicodinamica, ovvero la valutazione e l’esplorazione delle relazioni oggettuali  e quelle dei meccanismi di difesa. 

Incidenza dei Disturbi di Personalità a Milano. - Immagine: © creative soul - Fotolia.com
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Il modo in cui i pattern relazionali che il paziente ha acquisito nel corso della vita si ripresentano durante il trattamento e nelle relazioni quotidiane ricopre un’importanza cruciale rispetto all’intero processo terapeutico; lavorando sulle relazioni oggettuali, considerate il fulcro delle aree dolenti del funzionamento psicologico, il terapeuta può infatti condurre il paziente ad una rinuncia delle rappresentazioni caotiche, distorte o  idealizzate delle proprie relazioni oggettuali difensive, a favore di una valutazione più realistica e tollerante delle persone e delle relazioni più significative. 

Per quanto riguarda invece l’approccio alle resistenze, questo nuovo modello psicoanalitico tende a non considerare i meccanismi di difesa solo come strategie di gestione dei conflitti intrapsichici in una condizione psicopatologica, bensì come un processo di adattamento della persona al mondo esterno e alle pressioni esercitate dalle relazioni interpersonali quotidiane; in quest’ottica gli autori promuovono quindi una teoria psicoanalitica “moderna”, non più attenta solo ai fenomeni intrapsichici e ai tratti stabili della personalità bensì consapevole del ruolo cruciale che le relazioni interpersonali attuali giocano nel determinare la sofferenza psicologica o, al contrario,  il buon adattamento del paziente. 

Le fasi del trattamento sono illustrate nel dettaglio, dall’esplorazione delle prime resistenze alla gestione della conclusione della terapia, e nella trattazione i rimandi alla teoria psicoanalitica di riferimento si alternano a continui riferimenti a casi clinici ed esempi pratici di applicazione delle tecniche proposte; in questo emerge l’esigenza anche da parte dei terapeuti (clinici o ricercatori) psicodinamici di poter vantare non più solo un ricco background teorico, bensì anche solide competenze metodologiche e applicative.

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

SITCC 2012 – CANTA CHE TI PASSA! Musica & Musicoterapie al Congresso di Roma

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SITCC 2012 Roma - PSICANTRIA
Gaspare Palmieri e Cristian Grassilli (Psicantria) al Congresso SITCC di Roma

Tratto dal Simposio “Psicologia della musica e regolazione delle emozioni in psicoterapia cognitiva: teoria, ricerca, applicazioni cliniche”

Assistere ai simposi è un po’ come tornare dietro i banchi di scuola: lezioni frontali, presentazioni in power point, domande e risposte finali, discussioni più o meno accese, ma con un pubblico – si spera – più attento ed interessato di uno studente che faticosamente segue la lezione di psicometria.

Insomma, non è proprio scontato che finisca cantando e strimpellando chitarre! Ma questo simposio si è concluso esattamente così, tra l’ilarità ed il divertimento generale.

Christian Grassilli e Gaspare Palmieri sono riusciti nel loro lavoro ad unire la psicologia con la passione per la musica ed il risultato presentato è stato simpatico, interessante, divertente e a tratti anche un po’ commovente, quando ci hanno fatto ascoltare le canzoni composte da gruppi di loro pazienti con tanto di presentazione in stile sanremese.

Le slides del simposio:  

 

La canzone è uno strumento terapeutico preziosissimo: ci si può soffermare sul significato che una canzone ha per un paziente (“Ci vuole un fisico bestiale” per resistere agli urti della vita), sulle differenti emozioni che uno stesso brano può suscitare in momenti diversi della propria esistenza o, ancora, si può avere la possibilità di raccontarsi attraverso la musica componendo un testo o scegliendo le canzoni maggiormente rappresentative di sè. Ecco che l’ABC musicale diventa un mezzo potente per indagare cosa una canzone ha suggerito a livello di immagini, emozioni e pensieri, e l’ascolto di un brano diventa “palestra del sentire”, occasione per imparare a dare un nome alle proprie emozioni.

Per chi fosse interessato Gaspare Palmieri consiglia due libri da non perdere: “La canzone in cui viviamo” di Vincenzo Incenzo sull’importanza a livello sociale della canzone e “Rock ‘n’ Roll Wisdom” dello psicologo americano Barry Farber sull’uso delle metafore della vita tratte da canzoni famose.

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Invece noi vi segnaliamo “Psicantria”, libro-cd di psicopatologia cantata nato con lo scopo di far conoscere i disturbi psichici e lo “psicomondo” attraverso la canzone. Grassilli e Palmieri, chitarre e microfoni alla mano, hanno concluso il simposio con un divertente brano tratto proprio da questo loro progetto. Buon ascolto!

Nel video: la Psicantria al Congresso SITCC 2012 di Roma

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E che nessuno mi chieda più, per favore, “Ma Lei è psichiatra o psicologa?”

 

BIBLIOGRAFIA: 

MATERIALI: 

 

GALLERY FOTOGRAFICA: 

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Orgasmo femminile: questione di intelligenza emotiva?

 

Orgasmo Femminile: Questiona di intelligenza emotiva?. - Immagine: © laurent hamels - Fotolia.comOrgasmo Femminile & Intelligenza Emotiva: studi mostrano che una buona conoscenza delle proprie emozioni aiuta a vivere la propria sessualità. 

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Una combinazione di esperienze soggettive e mutamenti fisiologici è ciò che caratterizza l’ orgasmo femminile.

Le sensazioni riportate da ciascuna donna nel descrivere quanto si prova nel raggiungimento dell’acme del piacere sono quanto mai diverse e personali. Alcune parlano di “un accumulo di tensione che va via via dissolvendosi” altre di “continue contrazioni nell’area vaginale” altre ancora riferiscono “di provare una fortissima tensione cui segue un improvviso rilassamento”.

Vi sono delle modificazioni corporee che possono in qualche modo definire l’ orgasmo femminile, si parla infatti di contrazioni ritmiche di vagina, utero e sfintere rettale dei quali è stato addirittura identificato il ritmo (una ogni 0,8 secondi con una graduale diminuzione o variazione nell’intensità); continue contrazioni dei muscoli addominali e dei glutei, nonché un generale aumento del tono muscolare, crampi a mani e piedi, smorfie del viso. Pur essendo questi i più diffusi e riportati dalle donne non sono una condizione necessaria affinchè si verifichi l’orgasmo.

Tuttavia, ciò che emerge è che il disturbo dell’ orgasmo femminile, nonché quella che anticamente veniva chiamata anorgasmia, sono più diffusi di quanto si possa pensare.

L’orgasmo femminile: ma le donne come funzionano? - Immagine: © mademoh - Fotolia.com
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E proprio in relazione al provare o meno un orgasmo vanno sottolineati diversi aspetti:

  • La fatidica dicotomia Orgasmo Femminile Vaginale Vs Orgasmo Femminile Clitorideo: Freud ai tempi parlò di Orgasmo Vaginale come l’unico veramente maturo che una donna adulta può provare, mentre quello clitorideo è immaturo e nevrotico. Attualmente possiamo dire che da un punto di vista fisiologico tale dicotomia non ha alcun senso di esistere. Orgasmo vaginale (o coitale) ed orgasmo clitorideo sono entrambi indotti in modo prevalente dalla stimolazione del clitoride. Un campione molto diffuso di donne riferisce infatti di non provare difficoltà nel raggiungere l’orgasmo attraverso la masturbazione, mentre più difficile è raggiungerlo attraverso movimenti coitali e questo non le farebbe sentire del tutto a loro agio. Ancora ad oggi pare infatti che pregiudizi e preconcetti culturali, accompagnati forse anche da una scarsa informazione, portano la donna a credere che il non riuscire a provare un orgasmo coitale rappresenti un problema, se non addirittura un’ incapacità di provare piacere. Non è assolutamente così, ed è importante sapere che raggiungere questo tipo di orgasmo femminile non é nè l’unica via nè una meta fondamentale.
  • Entrando nello specifico del Disturbo dell’ Orgasmo Femminile è emerso da numerosi studi che questo sia associato a problemi psicologici, emotivi e sociali piuttosto che a problematiche inerenti la sfera fisica.

A questo proposito riportiamo uno studio condotto da Andrea Burri e collaboratori, i quali testarono un campione di oltre 2000 donne inglesi. Il campione fu estratto dal Registro dei gemelli del Regno Unito e lo scopo della ricerca fu quello di indagare se normali variazioni dell’intelligenza emotiva fossero associate alla frequenza dell’ orgasmo femminile e durante il rapporto sessuale e durante la masturbazione.

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La scelta di concentrarsi sull’intelligenza emotiva è legata alle ricerche fatte su tale costrutto, dalle quali è emerso che le persone differiscono per il modo in cui provano emozioni, per la capacità di differenziare fra queste ed inoltre, il sapere riconoscere ed utilizzare le informazioni emotive, pare abbia un impatto non solo nelle relazioni interpersonali ma anche a livello intrapersonale.

 Queste capacità potrebbero infatti un’influenza diretta sul funzionamento sessuale della donna ma non solo, anche la capacità di comunicare i propri desideri al partner ne potrebbe risentire, andando così a rendere difficoltosa la comunicazione sessuale che è altrettanto importante quanto qualsiasi altro tipo di comunicazione all’interno della coppia.

Dai risultati ottenuti da Burri e dalla sua èquipe è emersa l’esistenza di una correlazione positiva fra la frequenza di orgasmi, sia durante la masturbazione che durante il coito, e l’intelligenza emotiva; e non solo che la correlazione fra intelligenza emotiva e orgasmi coitali seppur positiva è inferiore rispetto alla prima. Questo, come suggeriscono gli autori, mostra come sia importante, nel provare un orgasmo, non solo una maggiore conoscenza del proprio corpo, ma anche la sensazione di controllo e la possibilità di far coincidere il movimento fisico con le proprie fantasie.

MONOGRAFIA SU: LA RELAZIONE DI COPPIA

In conclusione, ad oggi in base agli studi sul settore, ciò che risulterebbe importante per vivere appieno la propria sessualità godendone è una buona conoscenza delle proprie emozioni, che consente di guidare i propri pensieri e le proprie azioni permettendo anche una maggiore conoscenza del proprio corpo e forse influenzando anche positivamente la comunicazione col proprio partner.

Disfunzione Sessuale Femminile: la necessità di un cambio di prospettiva. - Immagine: © Andrea Danti - Fotolia.com
Articolo Consigliato: Disfunzione Sessuale Femminile: la necessità di un cambio di prospettiva.

La possibilità di provare un orgasmo dipende, inoltre, anche dalla pratica sessuale, l’acquisizione di una maggiore consapevolezza di sé e del proprio corpo, nonché la sperimentazione di diversi tipi di stimolazione, sono tutti fattori che consentono alla donna di avvicinarsi sempre più all’acme del piacere. Entrare in contatto con le proprie emozioni ed i propri pensieri senza averne paura, lasciarsi andare e dimenticare per un attimo il controllo, non temere di riferire i propri desideri e le proprie fantasie, dette così potrebbero sembrare banalità ma nella realtà a volte si può fare difficoltà a metterle in pratica, e quindi aggiungiamo un’altra variabile…provare a mettersi in gioco.

GLI ARTICOLI SU: TERAPIA DI COPPIA

 

D’altronde come dice Woody Allen: “Fare sesso è come giocare a bridge. Se non hai un buon compagno è meglio che tu abbia una buona mano”, e non dimentichiamo anche un pizzico d’ironia.

 

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BIBILIOGRAFIA:

Disturbo dell’ Orgasmo Femminile

Psicopedia - Immagine: © 2011-2012 State of Mind. Riproduzione riservataDISTURBO DELL’ ORGASMO FEMMINILE

Classificato all’interno delle disfunzioni sessuali, il disturbo dell’ orgasmo femminile può essere caratterizzato non solo dall’assenza, ma anche da un persistente e ricorrente ritardo del piacere, in seguito a quella che può essere definita una normale fase di eccitazione sessuale.

Quando si parla di questo disturbo va sempre tenuto in considerazione il fatto che l’ orgasmo può essere ottenuto attraverso diversi tipi di stimolazione, e che l’intensità e la durata dello stesso variano da persona a persona.

Le informazioni utili per fare diagnosi di tale disturbo sono quelle che consentono di dire al clinico che le capacità della donna di esperire un orgasmo sono minori di quanto ci si aspetterebbe in base ad età, esperienza sessuale e stimolazione ricevuta.

 Va inoltre ricordato che tale inibizione dell’orgasmo deve causare nella donna difficoltà interpersonali o notevole disagio. Se presenti Disturbo dell’umore (es: Disturbo Depressivo) generalmente non viene fatta diagnosi aggiuntiva di Disturbo Dell’ Orgasmo in quanto problematiche legate alle sfera sessuale potrebbero dipendere dal primo. Lo stesso accade se i sintomi sono conseguenti all’utilizzo di sostanze, o possono dipendere da una condizione medica generale.

Ciò che va sottolineato è il fatto che la capacità di provare l’orgasmo può aumentare con la pratica sessuale e per tale motivo può essere più diffuso fra le donne giovani. L’acquisizione di una maggiore consapevolezza di sé e del proprio corpo, nonché la sperimentazione di diversi tipi di stimolazione, sono tutti fattori che consentono alla donna di avvicinarsi sempre più all’acme del piacere.

Una volta che si è imparato come raggiungere l’orgasmo è difficile che venga meno questa capacità, salvo l’intervento di problematiche mediche, disturbi legati all’umore, esperienze traumatiche, problemi relazionali o insufficiente comunicazione sessuale col proprio partner. La maggioranza dei disturbi dell’ orgasmo femminile risultano essere, per queste ragioni, di tipo permanente (presenti fin dall’inizio dell’attività sessuale) piuttosto che acquisito (sintomi che compaiono in seguito, mentre prima si è sempre esperito l’ orgasmo). Va inoltre distinto se la problematica è legata a specifiche situazioni (nel caso in cui per esempio vi sia orgasmo nell’atto masturbatorio e non vi sia nell’atto sessuale col partner) o se è una condizione generale; se è dovuta per lo più a fattori psicologici o a fattori combinati (problematiche psicologiche connesse a condizione medica generale e/o uso di sostanze).

 LEGGI ANCHE: MA LE DONNE COME FUNZIONANO? l’ORGASMO FEMMINILE – 

ARTICOLI SU: SESSUALITA’ 

 

BIBLIOGRAFIA:

Intelligenza emotiva

Psicopedia - Immagine: © 2011-2012 State of Mind. Riproduzione riservataIntelligenza emotiva 

Definita per la prima volta da Salovey e Mayer (1990) come: “La capacità di monitorare le proprie e le altrui emozioni, di differenziarle e di usare tali informazioni per guidare il prorio pensiero e le proprie azioni”; il concetto di Intelligenza emotiva è stato ripreso da Daniel Goleman il quale, nel 1995, lo rese popolare con la seguente definizione: “ È la capacità di riconoscere i nostri sentimenti e quelli altrui, di motivare noi stessi, e di gestire positivamente le nostre emozioni, tanto interiormente quanto nelle relazioni sociali”.

Da questa definizione si può capire come l’intelligenza emotiva sia un mix di empatia, motivazione, autocontrollo, logica, capacità di adattamento e di gestione delle proprie emozioni, così da trovare e riuscire ad utilizzare i lati positivi di ogni situazione cui si va incontro. Goleman alla base dell’intelligenza emotiva individua due tipi di competenze e a ciascuna di queste attribuisce delle caratteristiche specifiche:

Competenza Personale: ossia il modo in cui controlliamo noi stessi; racchiude al suo interno:

– Consapevolezza di Sé, da intendersi come capacità di riconoscere le proprie emozioni, sapere quali sono i propri limiti e le proprie risorse ed avere sicurezza nelle proprie capacità;

– Padronanza di Sé, la quale richiede la capacità di saper dominare i propri stati interiori, saper guidare gli impulsi e sapersi adattare e sentirsi a proprio agio in nuove situazioni;

– Motivazione, caratteristica che spinge l’individuo a realizzare i propri obiettivi sapendo cogliere le occasioni che gli si presentano, impegnandosi e restando costante nonostante le possibili avversità.

 

 Competenza Sociale: ossia la modalità con cui gestiamo le relazioni con l’Altro; a questa fanno rifermento:

– Empatia, intesa come la capacità di riconoscere le prospettive ed i sentimenti altrui, mostrandosi pronti a soddisfare le esigenze dell’Altro, ed aiutarlo cercando di mettere in risalto quelle che sono le sue risorse. Ma anche la capacità di individuare e coltivare le opportunità che vengono offerte dall’incontro con persone di diverso tipo, e il saper interagire all’interno di un gruppo sulla base dell’interpretazione delle correnti emotive e dei rapporti di potere esistenti nel gruppo stesso.

– Abilità sociali, ossia tutte quelle abilità che ci consentono di indurre nell’Altro risposte desiderabili. Si va dall’utilizzo di tattiche di persuasione efficienti, al saper comunicare in maniera chiara e convincente, così da saper guidare il gruppo sia in un eventuale cambiamento, sia nel risolvere eventuali disaccordi. Rientra inoltre nell’abilità sociale il cercare di favorire l’instaurarsi di legami fra i membri di un gruppo creando un ambiente positivo che consenta di lavorare per obiettivi comuni.


L’Intelligenza Emotiva racchiude al suo interno quelle capacità di consapevolezza e padronanza di se, motivazione, empatia e abilità nelle gestione delle relazioni sociali, che qualunque persona può sviluppare e che si rivelano fondamentali per ogni essere umano.

 

 

BIBLIOGRAFIA:

Training al Pensiero Concreto in Realtà Virtuale

Congresso SITCC 2012 Roma

 Training al Pensiero Concreto in Realtà Virtuale

Rebecchi, D., Acerra, G., Andreoni, E., Caselli, G.,Rossi, F.  – Scuola di Psicoterapia Cognitiva e Ricerca, Studi Cognitivi, Modena.

 ARTICOLI SUL PENSIERO CONCRETOCONCRETENESS TRAINING 

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Abuso Economico & Depressione Materna

FLASH NEWS 

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

Abuso Economico & Depressione Materna: abuso economico si verifica quando si nega denaro, accesso a conti bancari o a opportunità di lavoro.

LEGGI GLI ARTICOLI SU: DEPRESSIONE

Le mamme che durante il primo anno di vita del loro bambino subiscono violenza fisica, psicologica, ma anche economica, da parte del padre dei loro figli hanno maggiori probabilità di diventare depresse e sculacciare il bambino quando questo avrà 5 anni. È quanto scoperto dai ricercatori Rutgers School of Social Work, che hanno studiato l’impatto della violenza domestica – noto come IPV – nel corso del tempo.

I risultati si riferiscono specificamente alla violenza contro le donne perchè queste rappresentano la sproporzionata maggioranza di sopravvissute agli abusi domestici perpetrati dagli uomini, che sono nella maggior parte dei casi gli autori di violenza fisica, sessuale ed ecomomica. L’abuso psicologico include comportamenti come far evitare il contatto con amici e familiari e la verbalizzazione di insulti e critiche. Schiaffi, percosse, calci e contatti sessuali non desiderati sono invece considerati segni di violenza fisica o sessuale.

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L’ abuso economico si verifica quando un uomo nega il denaro, costringe la compagna a consegnare guadagni o i risparmi, quando le nega l’accesso a conti bancari o a opportunità di lavoro.

“Spilorci dentro” quando l’Avarizia è nel Cervello – Neuroscienze –
Articolo consigliato: “Spilorci dentro” quando l’Avarizia è nel Cervello

Judy L. Postmus, autrice principale dello studio e direttrice del Center on Violence Against Women and Children della University of New Jersey, sottolinea come nel parlare di violenza domestica raramente si consideri l’ abuso economico; questa particolare forma di abuso, che comprende l’alfabetizzazione finanziaria e la disponibilità personale di denaro, è a tutti gli effetti una forma di coercizione che fino ad ora è stata poco studiata.

I risultati dello studio sono particolarmente interessanti: le madri vittime di abuso economico avevano 1,9 volte più probabilità di mostrare segni di depressione rispetto alle madri che non avevano subito abusi. Allo stesso modo, le madri che avevano subito abusi psicologici o fisici avevano rispettivamente 1,4 e 1,8 volte maggiori probabilità di mostrare segni di depressione.

Durante il test per il livello e le variazioni di abusi nel corso del tempo (tra gli uno e tre i anni), solo l’ abuso economico era in grado di prevedere la depressione materna. Secondo questi risultati l’ abuso economico è così fortemente collegato alla depressione da risultare maggiormente predittivo dello sviluppo della malattia rispetto ad altre forme di abuso domestico.

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 Le capacità genitoriali sono state misurate su due dimensioni: l’impegno nelle attività genitore-figlio, come cantare, leggere o raccontare storie, giocare con i giocattoli o portare il figlio al parco giochi o a una gita; e l’uso della sculacciata come comportamento disciplinare.

I risultati indicano che tutte le madri del campione che hanno subito un abuso economico o psicologico durante il primo anno di vita del bambino, hanno messo meno impegno nelle attività quotidiane svolte con i propri figli e hanno avuto 1,5 volte più probabilità di sculacciare il bambino durante i cinque anni successivi.

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Secondo Postmus la sensazione di impotenza dovuta al controllo economico subito dal partner può avere un impatto duraturo sulla salute mentale delle donne e indurre le madri a ricorrere alla sculacciata come strategia genitoriale.

Certamente sono necessarie ulteriori ricerche per comprendere meglio il rapporto tra i vari tipi di abusi e i comportamenti genitoriali.

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BIBLIOGRAFIA: 

Camminare Sott’acqua: intervista a Sinead O’Connor – La Rockstar e lo Psichiatra

Lo Psichiatra e la Rockstar – Intervista a Sinead O Connor

Sinead O'Connor
La rockstar irlandese Sinead O’Connor durante l’intervista in videoconferenza con State of Mind.

Nella playlist della mia adolescenza anni Novanta trova spazio una Canzone (sì la c è maiuscola in questo caso) che merita una posizione d’onore sia per l’ottima fattura della ballad (non per niente l’autore è un certo genio di Minneapolis, noto come Prince), ma soprattutto per l’interpretazione che arriva diritta al cuore dell’ascoltatore, si infilza come una freccia nel ventricolo sinistro e fa sanguinare per cinque minuti e dieci secondi di emozioni allo stato puro.

La canzone è Nothing compares 2 U e a cantarla è una ragazzaccia irlandese con i capelli rasati a zero di nome Sinead O’Connor. Il brano, uscito nel 1990, ha avuto un successo planetario, favorito anche da un videoclip estremamente essenziale che mette al centro il viso angelico dell’interprete che arriva a commuoversi nel finale (Sinead cantando questo brano pensava alla madre, morta in un incidente stradale cinque anni prima).

LEGGI L’INTERVISTA ORIGINALE IN INGLESE

Gli anni successivi sono stati caratterizzati sempre da ottime produzioni musicali alternate a clamorose provocazioni (la più celebre quando strappò in diretta al Saturday night live la foto del Papa) che le hanno fatto guadagnare la fama di eretica e contestatrice, una specie di Giovanna d’Arco del rock.

Nel 2005 ha stupito molti facendo uscire l’ottimo album reggae Trow Down Your Arms, seguito da Theology (2007) in cui emerge il suo rapporto appassionato con la spiritualità.

Gli inizi di quest’anno vedono l’uscita dell’ultimo disco How About I Be Me (and You Be You)?, che avrebbe dovuto essere seguito da un tour, annullato per una seria ricaduta in una fase depressiva del disturbo bipolare di cui soffre da 8 anni (verosimilmente si tratta di un disturbo bipolare II, secondo la classificazione del DSM-IV n.d.r.). La grave crisi depressiva è stata anche caratterizzata da un tentativo autolesivo per ingestione di psicofarmaci, preceduto da una disperata richiesta d’aiuto ai propri fans attraverso il social network Twitter.

Dall’aver appreso queste notizie attraverso i media è nata l’idea di realizzare questa intervista via Skype, ognuno dalla propria casa, io a Modena e lei vicino a Dublino. Sinead mi ha concesso un po’ del suo tempo, tra gli impegni di mamma di quattro figli. Nonostante la freddezza della chat sento di aver trovato dall’altra parte dello schermo una persona autentica, che non si vergogna a raccontare le proprie fragilità ed estremamente precisa nel descrivere il proprio percorso di cure.

 

State of Mind: Bene Sinead, prima di tutto vorrei ringraziarti per la cortesia e la disponibilità nel concedere quest’ intervista. Devo ammettere che sono rimasto molto stupito che tu abbia accettato. Non so quanto tu abbia voglia di parlare di te stessa in particolare, ma mi piacerebbe che questa nostra chiacchierata potesse essere di qualche aiuto alle persone che hanno a che fare tutti i giorni con i problemi dell’umore, la depressione in particolare.

Sinead O’Connor: Ovviamente mi interessa quest’ argomento… e il motivo per il quale ho delle cose da dire deriva dalla mia esperienza personale.

 

SoM: Ho letto sui media alcune tue dichiarazioni in merito a una diagnosi di disturbo bipolare, ce lo confermi?

S: Esatto, lo diagnosticarono otto anni e mezzo fa, ma ci sono voluti 12 anni per avere la diagnosi corretta.

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SoM: Il tuo problema è iniziato con uno stato maniacale o depressivo?

S: Non ho esperienza degli stati euforici o maniacali, ma di quelli depressivi. Quando ero più giovane però, avevo un caratteraccio, quello è un po’ il mio lato maniacale; non in modo spensierato, era più tipo… andatevene tutti affanculo!

 

SoM: Una giovane ribelle…

Kurt Cobain. - Immagine: licenza d'uso Creative Commons 3.0 - Autore: Kurt Cobain. - Immagine: licenza d'uso Creative Commons 3.0 - Autore: Susan McGrane-Burke
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S: La mia vita professionale come artista ha sempre funzionato bene, I problemi sono stati quasi esclusivamente nella mia vita privata, in momenti di vera rabbia coi miei fidanzati e cose così… Probabilmente avevo ottime ragioni per essere arrabbiata, ma il “volume” era troppo alto. Avevo reazioni spropositate rispetto alle offese ricevute.

 

SoM: Quindi non hai mai avuto un episodio maniacale?

S: Circa due anni fa ho avuto un periodo di shopping compulsivo, che è insolito per me perchè detesto fare shopping. Quello è stato il massimo della mia maniacalità. Ho comprato un sacco di vestiti.

 

SoM: Pensi che la tua esperienza di depressione sia mai stata in qualche modo fonte di ispirazione per il tuo processo creativo?

S: Credo tutto il contrario. Non condivido questa fantasia romantica secondo la quale la gente che soffre di depressione sia più portata all’arte. Di fatto mi accorgo di essere molto più creativa quando sono felice.
Credo che la musica sia stata un grande aiuto per me e questo è stato confermato da ogni psichiatra che ho consultato. Se non fosse per la musica sarei probabilmente morta. Gli specialisti mettono in relazione le mie esperienze vissute durante l’infanzia e l’adolescenza con la depressione di oggi. Mi è stata anche fatta una diagnosi di disturbo post-traumatico da stress. Non sarei sopravvissuta se non fosse per la musica. Perciò credo che per me la musica sia sempre stata qualcosa di confortante e anche il luogo dove potevo esprimere tutto quello che non potevo dire altrove.
Nell’Irlanda degli anni settanta in cui sono cresciuta non esisteva la psicoterapia. Pensa che non abbiamo avuto il cappuccino fino al 1998! Quindi per me la musica era la terapia, era anche il posto dove si poteva parlare di se stessi, dove si era autorizzati a parlare delle proprie esperienze traumatiche. Sono cresciuta in un ambiente di estremo malessere, ma non c’era modo di parlarne, così la musica è diventata, se vogliamo, una specie di fuga.

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SoM: In che modo la musica ti ha aiutato? Più nel processo creativo del song-writing o più nell’esperienza catartica della performance?

S: Credo tutte e due. In primo luogo sentire la musica dentro di se è molto confortante, molto rassicurante. Per me è sempre stato, se vogliamo, un legame spirituale tra me e la musica. Quello che mi piace dell’essere musicista è anche il portare l’effetto confortante alle altre persone.

Credo inoltre che le persone che hanno alle spalle una storia di abusi o di sofferenza mentale, almeno alcuni di essi, abbiano grandi problemi di autostima. Per quanto riguarda me, ho sempre trovato nell’essere musicista, un luogo e un lavoro da cui traggo molta autostima. Sento di dare il mio contributo alla società e che non saprei darlo in altro modo.
Credo che quando si hanno dei problemi di salute mentale ci si possa sentire molto male e sbagliati, si possano combinare casini in continuazione nella vita e fare musica forse aiuta a capire che non si è delle persone terribili e che si è in grado di fare qualcosa di buono… perchè c’è una gravissima mancanza di autostima che accompagna la sofferenza mentale, specialmente se vivi in un paese come l’Irlanda, dove soffrire di disturbi mentali porta con se un grave stigma.

Per quanto riguarda la questione del live, credo sia molto catartico portare uno show alle masse e poter creare una magia che non è possibile nella vita normale, e suppongo che la spinta di autostima che si riceve in questo caso sia veramente potente.

 

SoM: Credo che il problema dello stigma legato alla malattia mentale sia importante quanto la malattia in sè. Puoi dirmi qualcosa di più riguardo allo stigma in Irlanda?

S: Beh credo che in tutto il mondo la parola “pazzo” sia un termine discriminatorio e credo che questa abitudine debba finire. In Irlanda “pazzo” è un insulto, e la gente è terrorizzata da qualunque cosa che concepisce come “pazza”. Le persone ritenute pazze non sono trattate in maniera compassionevole, vengono trattate in modo orribile e la “pazzia” viene usata come motivo per rigettare ogni cosa che uno possa pensare, fare, dire o sentire, così si precipita verso una trappola dell’autostima.
Ho ricevuto una lettera da un uomo a gennaio scorso, un vecchio di 73 anni che vive a Goolen (Ireland), pensavo a lui proprio questa mattina, ha preso antidepressivi per più di 30 anni senza mai dirlo a sua moglie o ai suoi figli ormai adulti per via dello stigma.

Creatività Musicale & Psicopatologia: Quei geni skizzati del Bebop - Immagine: Licenza Creative Commons, Autore: Tom Palumbo
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Vedi, questa è l’Irlanda. Siamo molto ignoranti circa la natura della sofferenza mentale. Per esempio, la gente nel mondo è convinta che se sei schizofrenico significa che hai molte personalità, come un “disturbo da personalità multiple”, ma non è così. E’ completamente differente.

Quando hai un problema psicologico, non hai un gesso o una stampella, che permetta a tutti di sapere che hai un problema, quindi la gente si aspetta che tu ti comporti in maniera simile agli altri e quando sei diverso te lo fanno pesare e pensano che sei una persona difficile o che sei una rottura di palle e sono orribili nei tuoi confronti.

In Irlanda passi la tua vita cercando di nascondere il fatto che hai un problema mentale. Io chiedo continuamente conferme ai miei amici: “Sembro pazza?”, “Mi sto comportando come una pazza?”, e non dovrei aver bisogno di verificare, se mi sto comportando da pazza dovrei essere lasciata nella mia cazzo di folle pace!

Devi nascondere chi sei veramente ed è veramente stressante e nocivo per la tua autostima. Perchè non è ovvio per le altre persone che tu sei malato, ti trattano come una rottura di palle e finisci per biasimarti e svalutarti, quando vedi bene che lo stai già facendo per via del tuo disturbo.

Voglio dire, capisco che siamo persone veramente complicate, ma siamo anche tremendamente semplici, ma vedi, è un mondo difficile quello dove c’è un confine tra le persone teoricamente sane e quelle teoricamente malate. I sani non hanno familiarità dei “non sani”, il che è già di per se sbagliato. Anche se le vere “sbarre” non esistono più, siamo incastrati dietro a queste, come dire, sbarre metaforiche.

 

SoM: So che hai sempre avuto una relazione difficile con la chiesa cattolica. Cosa ne pensi della posizione della chiesa nei confronti della sofferenza mentale? Trovi che ci sia accettazione e compassione per la malattia mentale?

S: (ride) Se ci fosse accettazione della malattia mentale nella chiesa cattolica, l’intera Curia si dimetterebbe! Vi serve il miglior psichiatra d’Italia che spenda un po’ di tempo là dentro! Gli uomini al comando sono malati. Sono più malati che la maggior parte di noi messi assieme. Se prendessero davvero in considerazione la malattia mentale, dovrebbero iniziare col ricoverarsi in ospedale. Chiunque dichiari che la pedofilia e l’ordinamento delle donne sono sullo stesso piano ha un problema mentale.

Quando uno critica la Chiesa, quello che noi di solito intendiamo specialmente in Irlanda, sono gli uomini al comando. Sappiamo tutti che il 99,9% dei preti e delle suore sono persone incredibili, che fanno molto per aiutare le persone, di tutti i tipi. Ma il normale prete della strada non ha le qualifiche per andare in giro per il paese sconfessando la dottrina ufficiale, tutto quello che possono fare questi poveri preti è raccogliere i cocci di questo casino, che di solito è una missione suicida, perchè lo stigma porta al suicidio. A causa dello stigma, le persone non rimangono in terapia e non ricevono l’aiuto di cui hanno bisogno, perchè sanno che saranno trattati di merda.

 

SoM: Ancora lo stigma…

S: Si… per esempio: Sono entrata in ospedale circa 2 anni fa perchè volevo essere assolutamente certa che la diagnosi fosse corretta. Mentre ero in ospedale (ci sono stata per 2 settimane), c’era una donna più o meno della mia età che era lì da 6 mesi. Non stava così male, e un giorno stavo parlando con lei del perchè fosse lì e mi ha mostrato le sue braccia, che erano tutte tagliate. Sua madre era morta di cancro e lei se ne era sempre presa cura. Non era mai successo nulla a questa donna prima, ma la notte che sua madre è morta, lei ha probabilmente perso la testa e si è affettata le braccia. La ragione per la quale stava in ospedale da così tanto tempo era che nel villaggio dal quale proveniva non la volevano indietro, non avrebbe potuto riavere il suo vecchio lavoro, nessuno dei suoi amici voleva più parlarle, era una paria nel villaggio perchè si era fatta quelle cose alle braccia, tutti pensavano che fosse matta. Perciò non poteva tornare al suo paese ed era fissa in ospedale.

 

SoM: Quante volte sei stata ricoverata in ospedale?

S: Mi sono ricoverata volontariamente due volte. La prima volta per avere una diagnosi chiara. La seconda volta l’anno scorso quando mi hanno interrotto la terapia farmacologica in modo molto stupido e sono peggiorata molto. Non riuscivo a mangiare o a dormire.

 

SoM: Come mai hai interrotto la terapia, a causa degli effetti collaterali?

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S: Stavo ricevendo molta pressione da gente dello show business riguardo al mio essere sovrappeso per via della terapia. Prendevo 200 mg di amitriptilina. Quando l’ho detto al mio medico, per qualche ragione mi ha tolto di colpo la terapia e non ha svolto una corretta supervisione. Il Servizio di Salute Mentale qui è veramente pessimo. Dopo aver interrotto la terapia, ho incominciato a stare male, senza rendermene conto. Poi sono stata trascinata dal perdere peso e ho fatto finta di non stare male. Non è stata una mia scelta quella di interrompere i farmaci, ma lo psichiatra me li ha tolti e ho creduto che andasse bene così.

Sfortunatamente nel mio caso, per via di quello che faccio per vivere, qui in Irlanda è molto difficile per me trovare un dottore che mi tratti semplicemente come una persona, che riesca ad andare oltre a Sinead O’Connor. Sono dovuta andare in Inghilterra per trovare uno psichiatra che facesse al caso mio.

 

SoM: Per quando tempo sei stata senza farmaci?

S: Sono rimasta senza terapia da agosto dell’anno scorso fino ad aprile. Il dottore mi ha detto di smettere, quindi ci ho messo un bel po’ a capire che stavo male perchè quando smetti questo tipo di farmaci ci vuole tempo per ricominciare a stare male, e non sapevo che cazzo stesse succedendo.

 

SoM: Nove mesi senza farmaci è veramente un tempo lungo… non ti hanno avvertita riguardo ai rischi di una possibile ricaduta?

S: Per via di quello che faccio nella vita, in Irlanda tutto quello che gli psichiatri facevano era lamentarsi riguardo a quello che scrivevano i giornali invece di parlare della mia malattia. Gli stessi psichiatri erano molto coinvolti nelle battaglie pubbliche della Chiesa in Irlanda… dall’altro lato della barricata rispetto a me. Nello stesso periodo in cui smettevo i farmaci, quando andavo dalla psichiatra si lamentava con me dicendo che non apprezzava quello che dicevo riguardo alla Chiesa sui giornali, così abbiamo litigato e mi ha lasciata lì, arenata.

Poi in Irlanda il Sistema Sanitario fa così schifo che ci metti mesi per avere un appuntamento con un dottore per una terapia, così avrei aspettato per sentirmi dire le stesse cazzate da un altro dottore.

Un dottore mi ha mandata a casa con degli antistaminici dicendomi di prenderne 100 mg a notte. E io ho detto “Ok!”. In Irlanda la gente considera i dottori come degli dei, senza metterli mai in dubbio. Ma questo ha significato stare male per altri 3 fottuti mesi. E la cosa divertente è che era un medico privato, e l’unica alternativa era di andare al maledetto ospedale. Nessuno vuole ricoverarsi in ospedale, la peggior cosa che ti può capitare se stai male è di dover lasciare la tua famiglia e i tuoi figli, che sono l’unica cosa che ti fa sentire sicura.

SoM: E’ molto strano… in Italia puoi scegliere un medico privato e pagare di più, ma puoi vederlo più spesso.

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S: Qui hai 6 settimane di agonia, e a meno che tu non voglia ricoverarti in ospedale, sei fottuto. Per di più la gente non ha soldi. Io ne ho, ma il ragazzo della porta a fianco non può pagare per uno psichiatra privato e non può aspettare fino a sei mesi per un consulto. Ti do un’idea di quanto il sistema sia pessimo: un mio amico lavora in un servizio di assistenza per adolescenti dai 12 ai 18 anni con problemi di droga, del Servizio Sanitario Nazionale, e hanno un frigo nel bagno! Questa è l’immagine della Sanità Pubblica in Irlanda.

 

SoM: Riesco a immaginare tu abbia avuto momenti veramente duri. E’ stato negli ultimi mesi quando non hai potuto finire il tour?

S: Si, sono quasi morta. Era giugno e stavo molto male, come mai prima. Mi hanno prescritto la carbamazepina ad aprile e ho avuto una reazione molto inusuale che ha peggiorato i sintomi. Ora sto meglio, prendendo 200 mg di lamotrigina e 100 mg di quetiapina. Prendo anche una dose molto alta di vitamina B12 prescritta dallo psichiatra. Hanno appena scoperto che aiuta nelle fasi depressive del disturbo bipolare.

 

SoM: Hai mai provato la psicoterapia?

S: Si e cazzo non finisce mai! La sto ancora facendo. Al momento ho una seduta a settimana. Da luglio ad agosto ho anche svolto un lavoro terapeutico per 12 settimane in un centro di prevenzione del suicidio a Dublino. Sono fantastici. Uno dei peggiori sintomi quando stavo molto male era il pensiero costante rivolto al suicidio e ho scoperto che la maggior parte dei terapisti non è formata in maniera specifica sul pensiero suicidario, quindi puoi andare avanti per anni senza risolverlo.

Dal momento che non stavo prendendo farmaci, i pensieri sul suicidio hanno continuato a peggiorare finchè non ci ho provato veramente a gennaio, e ci sono stati altri tre tentativi in seguito. I terapisti nel centro di prevenzione del suicidio lavorano in modo specifico sul pensiero suicidario. Non parlano semplicemente del suicidio, ti aiutano a ricostruire la tua vita, ti aiutano a capire cosa vuoi dalla tua vita. Li ho visti una volta a settimana per delle sedute individuali. Mentre fai quello non fai altre terapie.

 

SoM: Che cosa intendi con “ricostruire la tua vita”?

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S: Mi hanno aiutato a identificare una serie di problemi, per esempio “staccare” era uno di questi, imparare a stare fermi e non fare un cazzo e stare semplicemente seduti e far uscire l’energia. A quel punto ti siedi e realizzi quanto eri stanco, quando hai pensieri depressivi o suicidari non ti rendi conto di quanto sei stanco.

Poi si sono concentrati sul fatto che io sono troppo incline a fare mie le opinioni negative degli altri riguardo a me. Se ci fossero dieci persone in una stanza e nove dicessero che sono fantastica e una soltanto dice che sono una stronza, quella sarebbe la persona di cui mi preoccupo e a cui credo, quella lì, deprimendomi perchè qualcuno mi dice che sono una stronza. Sono stati capaci di insegnarmi, cosa che non avevo imparato prima, come fottersene altamente di quelle persone.

E poi un’altra cosa importante è il divertimento, voglio dire “Cos’è che fai solo per divertirti?”, “C’è qualcosa che fai solo per divertirti?”. Mi hanno fatto compilare una lista (Ndt. Bucket list); quindi prima di tutto meriti di più, poi liberarsi di tutti quelli che ti fanno sentire di merda, poi riposare il proprio corpo, prenderti tempo per te stessa e mi hanno fatto mettere insieme una lista delle cose che vorrei fare nella vita, ed è stato fantastico!

In poco tempo ti distolgono dalla sofferenza e ti aiutano a costruire una vita divertente. E’ abbastanza stregonesco il modo in cui funziona la terapia, è qualcosa di inconsapevole, non sai come cazzo facciano, ma di colpo inizi a vivere in modo diverso e a pensare in modo diverso. Sono stata in grado di costruire la vita che voglio, capisci che intendo? Quando hai un disturbo mentale credo sia importante lavorare con i servizi di prevenzione se uno dei tuoi sintomi è il pensiero suicidario.

 

SoM: Hai lottato con problemi interpersonali che ti hanno portato a pensieri riguardo al suicidio?

S: In quel periodo non prendevo i farmaci e al tempo stesso stavano succedendo molte cose molto stressanti. Se fossi stata sotto terapia forse avrei reagito in maniera diversa. Nel mio caso è stata solo la malattia che mi ha fatto pensare al suicidio, ma era una compulsione. Sono arrivata al punto in cui capisco come i sintomi del disturbo bipolare mi hanno fatto sentire come se stessi camminando sott’acqua.

SoM: Camminare sott’acqua… rende bene l’idea di come dovessi sentirti… bene Sinead, credo che tu sia stata veramente coraggiosa ed esaustiva nel raccontare la tua difficile storia, e ti voglio ringraziare a nome di State of Mind e di tutti quelli che affrontano la sofferenza mentale ogni giorno.  

LEGGI L’INTERVISTA ORIGINALE IN INGLESE

 

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LE INTERVISTE DI STATE OF MIND

Il Trauma: Problema Diagnostico

Trauma: Problema Diagnostico. - Immagine: © udra11 - Fotolia.com LEGGI TUTTI GLI ARTICOLI DI STATE OF MIND SUL DISTURBO POST TRAUMATICO DA STRESS (PTSD)

Quali sono le conseguenze più importanti di un trauma? E soprattutto, l’attuale sistema diagnostico è in grado di cogliere le molteplici componenti di un vissuto traumatico? Al momento, non sembra azzardato dare risposta negativa alla seconda domanda.

La descrizione del disturbo da stress post traumatico non coglie la dimensione evolutiva del trauma, collocandolo in un contesto temporale circoscritto e definendo le conseguenze che esso provoca come un insieme di sintomi direttamente collegati a uno o più episodi di abuso o di violenza; lo sviluppo infantile di un bambino traumatizzato subisce però un danno pervasivo che si manifesta attraverso segni e modalità più complessi.

La disregolazione affettiva, i modelli di attaccamento disorganizzati, l’instabilità emotiva e comportamentale, la perdita di autonomia, l’aggressività contro di sé e contro gli altri, la disregolazione alimentare, del sonno e della cura di sé, la rappresentazione alterata del mondo, i problemi psicosomatici, la cronica percezione di inefficacia, il comportamento anticipatorio finalizzato a gestire le aspettative di un nuovo trauma, l’odio verso di sé, il pensiero autoaccusatorio, le condotte autolesionistiche e la mancata acquisizione di competenze evolutive compongono un quadro clinico estremamente variegato che la definizione di disturbo da stress post traumatico non può racchiudere (van der Kolk et al., 2005).

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L'impatto del trauma infantile sulla salute e sulla malattia - L'epidemia nascosta- (2012) GIovanni FIoriti Editore - Copertina
Articolo Consigliato: L’impatto del trauma infantile sulla salute e sulla malattia. L’epidemia nascosta (2012). Giovanni Fioriti Editore

 Si finisce perciò con l’attribuire ai bambini traumatizzati una serie di comorbiditá che dovrebbero rendere ragione dei differenti aspetti della sofferenza ma che in realtà non avvicinano il clinico ad una comprensione organica del fenomeno.

Il National Child Traumatic Stress Network ha lavorato alla creazione di una categoria diagnostica chiamata “Disturbo Traumatico dello Sviluppo” (van der Kolk, 2008), nella quale l’attenzione viene focalizzata sulla disregolazione affettiva in risposta a stimoli connessi al trauma, sulla generalizzazione dello stimolo e sullo sviluppo di un comportamento anticipatorio che scongiuri l’evento traumatico o al contrario lo riproduca conferendogli però un senso soggettivo di controllo, come nel caso delle condotte aggressive eterodirette.

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Secondo questa impostazione il trauma, che non viene causato solo da violenze o abusi subiti ma anche da esperienze di abbandono, tradimento, trascuratezza emotiva, esposizione alla vista di aggressioni che coinvolgono altri membri della famiglia, gestione inappropriata e morbosa della propria sessualità da parte degli adulti di riferimento, si traduce nella percezione di emozioni intense (rabbia, vergogna, paura, fallimento, rassegnazione, senso di tradimento) e nella messa in atto di comportamenti che contrastino tali emozioni.

Possiamo osservare reazioni di evitamento, congelamento emotivo, esasperazione degli impulsi, e l’elemento che accomuna queste manifestazioni è l’enorme difficoltà a ripristinare l’equilibrio precedente allo stato di attivazione traumatica. I bambini traumatizzati non sviluppano solo le risposte fisiologiche ed emotive richiamate dal trauma, così come vengono descritte nella diagnosi di disturbo da stress post traumatico, bensì anche un’immagine del mondo fondata sul tradimento subito; il loro modo di rapportarsi alle esperienze quotidiane esprime disorientamento, confusione, sentimenti dissociativi ogni volta che appare uno stimolo stressante, e l’interpretazione degli eventi è spesso erronea poiché prefigura il ripetersi del trauma anche quando non vi sono possibilità che ció accada.

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Le attribuzioni negative riferite a sè, la perdita di fiducia nelle figure genitoriali, il senso pervasivo di impotenza generano uno scenario in cui il bambino vittimizzato può solo difendersi da un ambiente minaccioso e invalidante.

La mancata comprensione dei comportamenti successivi al trauma, il cui significato difensivo non viene colto, produce negli adulti reazioni di rabbia e insofferenza che rinforzano la convinzione del bambino di non poter trovare risposte empatiche ai propri bisogni: in questo modo le dinamiche del trauma si perpetuano e diventano schemi rigidi che il bambino continuerà a utilizzare per codificare la propria esperienza.

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BIBLIOGRAFIA:

Tra Moglie e marito… modi diversi per dimostrarsi amore

 

Tra moglie e marito... modi diversi di dimostrarsi amore. - Immagine: © Sergej Khackimullin - Fotolia.comLa storia è la stessa per tante coppie. Ci si innamora, ci si sposa, ci si gongola nella certezza dell’amore corrisposto finchè un bel giorno, come un fulmine a ciel sereno, si insinua nella vita coniugale il fatidico tarlo: “mi amerà ancora?”.

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Di solito ciò accade quando col passare del tempo ciascun partner investe meno risorse nell’attuare quella serie di comportamenti che ritiene utili alla conquista, dettati dal tipico atteggiamento del “sono come tu mi vuoi”. Così ci si sforza di capire cosa può convincere chi abbiamo di fronte che corrispondiamo esattamente al suo partner ideale. E’ il tempo delle cene a lume di candela, delle frasi prese in prestito dai poeti del settecento e dei completi intimi ammiccanti.

I mesi passano, il clima di conquista abbandona il campo e il matrimonio suggella la resa dei conti e la formale adesione al nuovo atteggiamento del “sono come sono” e di conseguenza l’amore viene dimostrato con maggior naturelezza, secondo il proprio stile. Per molti mariti e mogli riconoscere e soprattutto apprezzare questo aspetto evolutivo del rapporto non è cosa semplice.

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Ricercatori dell’Università del Texas si sono interessati per ben 13 anni  alla vita di coppia di 163 sposi  per aiutarci a comprendere come viene espresso l’amore nella vita coniugale.

Una prima evidenza empirica ci rassicura: mariti e mogli sono ugualmente in grado di esprimere il proprio amore, sfatando lo stereotipo dell’uomo geneticamente poco incline a gesti d’affetto, ma lo fanno attraverso comportamenti diversi.

Quali? Le mogli manifestano il proprio amore mostrando meno comportamenti negativi o antagonisti mentre i mariti amorevoli prendono l’iniziativa sessuale e si mostrano interessati a condividere delle attività con le compagne.

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Del resto perchè dovremmo dare per scontato che l’amore sia la stessa cosa per entrambi quando anche Kelly, psicologo statunitense del secolo scorso, ci ricorda che le persone sono diverse non solo perchè hanno vissuto esperienze differenti ma soprattutto perchè attribuiscono significati diversi agli stessi eventi?

Così se desideriamo essere amati da lui, dovremmo innanzitutto imparare a conoscere la sua idea d’amore e il suo modo di manifestarlo  così da riuscire a scorgere tutto il suo amore dietro la richiesta di fare nuovamente sesso o di aiutarci a lavare i piatti.

E a voi uomini tocca fare lo stesso, rendervi conto che non c’è manifestazione d’amore più grande da parte nostra del cercare di essere accomodanti.

Ma quando si parla di matrimonio si parla di compromessi e ogni tanto potrebbe essere salutare sposare anche il costrutto d’amore altrui perchè niente fa sentire più amati dell’essere amati come intendiamo noi.

Quindi uomini ogni tanto non rompeteci le scatole e noi donne in cambio vi manifesteremo tutto il nostro, anzi il “vostro amore” con in dosso una guepiere di pizzo.

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BIBLIOGRAFIA:

Perché “Why” sembra meglio di “How” Elementi di processo nel pensiero ripetitivo in un campione italiano non clinico

Congresso SITCC 2012 Roma

 Perché “Why” sembra meglio di “How” Elementi di processo nel pensiero ripetitivo in un campione italiano non clinico

Bassanini A.a, Caselli G.b,c, Fiore F. a, Ruggiero G.M. a, Sassaroli S. a & Watkins E. d
a Studi Cognitivi, Milano.
b Studi Cognitivi, Modena.
c London South Bank University, London, UK.
d Mood Disorders Centre, School of Psychology, University of Exeter, UK

 

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Misura la tua memoria partecipando ad un esperimento on-line!

FLASH NEWS 

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

I ricercatori della Washington University di St. Louis stanno invitando soggetti di tutto il mondo a partecipare a un esperimento on-line grazie al quale i partecipanti potranno verificare la loro abilità nel ricordare volti e nomi.

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Il test, che può essere fatto al computer, smartphone, tablet, fa parte di una crescente tendenza “crowd-sourcing” in campo scientifico, che sfrutta Internet per raccogliere grandi quantità di dati di ricerca, consentendo ai partecipanti allo studio di imparare anche qualcosa su se stessi. Per partecipare è sufficiente visitare il sito web di prova a experiments.wustl.edu.e completare un test di soli 10 minuti.

Psicologia e Tecnologia: nuova App per Smartphones contro la Depressione. - Immagine: © 2012 Costanza Prinetti
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Partecipando chiunque può dare il suo contributo allo studio dei processi mnestici e ricevere anche un feedback sulla propria performance nel compito di memoria, cioè la stima approssimativa del suo punteggio “Face-Name Memory IQ”, e confrontarlo con quello degli altri partecipanti.

Progettato per essere sia divertente che informativo, il test è anche facile da condividere tra amici attraverso i social network.

Questo progetto si è sviluppato grazie a un lavoro di squadra che coinvolge i docenti, il personale e gli studenti del Department of Psychology in Arts & Sciences e del Department of Computer Science & Engineering all’interno della School of Engineering & Applied Science. Il team di ricerca sta esplorando l’uso dei social media e altre opportunità per diffondere il passa-parola sull’esperimento nella speranza di convincere più persone possibile a fare il test on-line.

 

 

BIBLIOGRAFIA:

Psicoterapia: Il Disputing della Fobia Sociale – Parte I

 

LEGGI LA MONOGRAFIA: IL DISPUTING IN PSICOTERAPIA   LEGGI: INTRODUZIONE AL DISPUTING DEI DISTURBI D’ANSIA

Psicoterapia: Il Disputing della Fobia Sociale - Parte I.  - Immagine: © Edyta Pawlowska - Fotolia.com

Molte sono le idee che possono intimidire gli uomini e le donne. Anche nelle situazioni più rilassate vi è sempre una misura di giudizio e di competizione, di accettazione o di rifiuto.

A differenza del panico, il paziente affetto da fobia sociale è in grado di collegare le sue paure con una situazione ben definita. In altre parole, egli è capace di indicare con precisione cosa lo preoccupa: le situazioni sociali e il giudizio sociale. L’intensa paura di essere giudicati negativamente pervade il pensiero di queste persone, paura che genera il timore di affrontare tutte le situazioni in cui si rischia di essere oggetto di valutazione da parte degli altri. 

Naturalmente, secondo il modello cognitivo, questi timori sono legati a idee distorte che inducono la persona a valutare in maniera errata le situazioni sociali. Veri e propri errori, per i quali la persona si sente esclusa, derisa, rifiutata, malgiudicata. Oppure, secondo la via pragmatica, i pensieri non sono falsi, non sono errori, ma sono disfunzionali, ovvero non aiutano la persona a stare bene in mezzo agli altri, a godere della compagnia degli altri. 

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Molte sono le idee che possono intimidire gli uomini e le donne. Anche nelle situazioni più rilassate vi è sempre una misura di giudizio e di competizione, di accettazione o di rifiuto. Inoltre, è vero che tutti desideriamo godere della compagnia degli altri in maniera attiva. Desideriamo essere simpatici e desideriamo essere -almeno per un attimo, l’attimo di una battuta brillante- essere il centro della serata, conquistare la risata di chi ci ascolta, ma anche vederci confermati e incoraggiati nel nostro desiderio di essere accettati dagli altri come uno di loro.

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 Non è facile. E non basta. Le difficoltà vanno negate, nascoste, non espresse e non confidate. Vietato lamentarsi, in questo campo. La competizione sociale va fatta con eleganza, senza sforzo e senza esagerare la sfida. Occorre essere pronti a concedere amicizia miscelata nella sfida se si vuole veramente essere accolti. La paranoia in agguato va tenuta a bada come una bestia feroce. Simpatia e capacità sociale vanno conquistate con leggerezza e noncuranza. Guai a chi si sforza in questo campo. Così come un eccesso di ansia è dannoso, un eccesso di preoccupazione sociale ci rende poco simpatici e per nulla attraenti. E qui possono entrare in campo le credenze distorte e disfunzionali.  

Le credenze più diffuse si possono suddividere in due categorie.

Quelle che sopravvalutano la disapprovazione altrui, spesso attraverso un eccesso di attenzione alle espressioni del viso, allo sguardo e agli atteggiamenti di chi ci ascolta e quelli che sopravvalutano le proprie mancanze, che pensano di dire cose poco interessanti, di non sapere parlare, di fare troppe esitazioni e di non avere mai la giuste parole che dicano le cose (Clark e Wells, 1995).

Queste idee finiscono naturalmente per diventare profezie che si auto-avverano. Il timore del giudizio negativo genera reazioni fisiologiche di vergogna che sono a loro volta oggetto di imbarazzo. Balbettio, tremori, sudorazione eccessiva e pause nel parlare, di cui il fobico sociale si rende conto con terrore e che interpreta ancora una volta come segnale della propria incapacità di stare con gli altri. Il fobico sociale finisce quindi per vergognarsi della sua vergogna, generando un classico circolo vizioso (Heimberg, Liebowitz, Hope, Schneier, 1995). Ma ascoltiamo la voce dei pazienti.

T.: Perché teme le situazioni sociali?

P.: Non so stare bene in mezzo agli altri, sono timido, impacciato.

T.: Essere timidi è un’emozione. Mi racconti con più precisione in cosa consiste il suo non saper stare in mezzo agli altri.

P.: Gli altri se ne accorgono. Non so cosa dire, parlo poco e quando parlo non dico cose interessanti. E poi spesso m’impappino, non mi vengono le parole.

Oppure:

P.: Quando parlo, gli altri non mostrano molto interesse. Mi guardano annoiati. Ma anche prima che proferisca parola, non mi danno retta. A volte inizio a dire qualcosa nessuno si volta verso di me. Tutti continuano a parlare tra loro, come se non ci fossi.

Il disputing della fobia sociale nasce da un’accurata raccolta dati. Occorre valutare con attenzione le situazioni temute e soprattutto le basi empiriche dei timore della persona fobica sociale. Cosa teme esattamente e perché? Ci sono stati giudizi espliciti altrui o solo cenni di dissenso, occhiate, smorfie? Davvero il cliente balbetta fino al punto di non potersi esprimere, o arrossisce o suda in maniera imbarazzante, o si tratta solo di sensazioni interiori? Insomma, fino a che punto il problema è esterno e oggettivo e quanto è soggettivo?

LEGGI LA MONOGRAFIA: IL DISPUTING IN PSICOTERAPIA   LEGGI: INTRODUZIONE AL DISPUTING DEI DISTURBI D’ANSIA

 

 

BIBLIOGRAFIA:

Correlati Psicologici e Qualità di Vita nei pazienti affetti da Fibrillazione Atriale: Uno Studio Pilota

Congresso SITCC 2012 Roma

CORRELATI PSICOLOGICI E QUALITÀ DI VITA NEI PAZIENTI AFFETTI DA FIBRILLAZIONE ATRIALE: UNO STUDIO PILOTA

 Rafanelli C., Formiconi C., Marchetti G., Roncuzzi R.

Presentato da Cristina Formiconi

 

LEGGI: EMDR, Cardiopatia e salute Psico-fisica  –  Le reazioni psicologiche dei pazienti con scompenso cardiaco

 

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