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Dal Simposio “Psicoterapie. Valutazione in Efficacia, Valutazione della Formazione” è emerso che la formazione psicoterapeutica privata in Italia, secondo alcuni membri della commissione, verte in una situazione confusa. Cesare Maffei prende spunto dai dati presentati al Simposio per condividere una riflessione davvero interessante. Ad oggi infatti esistono differenti paradigmi tradizionali nei quali le 213 scuole abilitate dal Ministero (347 se contiamo anche le scuole secondarie) si riconoscono: dall’approccio umanistico al comportamentismo, dal cognitivismo allo psicoanalitico/psicodinamico, ecc. Questi grandi paradigmi sono a loro volta frammentati in più di un centinaio di denominazioni diverse e in sempre più casi si osserva la nascita di nuove correnti proprio dalla combinazione di più paradigmi. Maffei osserva come ad oggi si assista sempre di più a numerose proposte di integrazione da parte delle scuole, integrazione che può avvenire a diversi livelli:
- integrazione teorica, in cui una precisa teoria guida la scelta degli interventi che possono includere tecniche appartenenti a diversi approcci psicoterapeutici (si pensi alla DBT o alla CAT)
- integrazione assimilativa, in cui all’interno di una cornice di un particolare sistema di psicoterapia la terapia principale è integrata con tecniche specifiche di altri sistemi
- l’integrazione sequenziale e parallela, in cui forme separate di terapia sono fornite in ordine sequenziale o durante la stessa fase di trattamento in sessioni o momenti differenti
- l’eclettismo tecnico, in cui tecniche psicoterapeutiche vengono utilizzate senza prenderne in considerazione la teoria di riferimento
In tutto il mondo – afferma Maffei – le tradizioni stanno andando a pallino!
Ma il fenomeno a cui stiamo assistendo in Italia è un tentativo di integrazione?
Secondo Antonio Semerari ciò a cui stiamo assistendo è una situazione confusa. Non si dovrebbe poter parlare di tante psicoterapie, ma dovrebbe esistere un’unica scienza psicoterapeutica all’interno della quale possano esserci differenti controversie. Il livello di integrazione teorica è indubbiamente un dibattito che ci arricchisce a livello filosofico, ma lascia un po’ il tempo che trova. La vera integrazione deve riguardare altri livelli: facendo riferimento ad un modello clinico scientificamente fondato diventa spontaneo usare qualunque tecnica per risolvere il problema portato dal paziente. L’integrazione dovrebbe pertanto avvenire a livello tecnico a condizione che ci siano robusti modelli psicopatologici alla base.
Qual è la vostra opinione in merito? Le scuole di psicoterapia in Italia stanno vivendo un momento di confusione o si stanno muovendo verso l’integrazione di approcci differenti?
Aspettiamo le vostre opinioni nella sezione commenti.
Commento di Giovanni Maria Ruggiero, Direttore responsabile di State of Mind
Aggiungo una precisazione. Le presentazioni di Del Corno, Maffei e Semerari documentano alcune difficoltà del quadro generale. Ma non si tratta di un problema specifico dell’organizzazione e della qualità delle scuole di psicoterapia italiane, che anzi sono all’avanguardia per qualità e intensità dei programmi.
Si tratta semmai di uno stato di crisi dei grandi orientamenti teorici. Che nel mondo (sottolineo nel mondo) esistano più di 400 tipi diversi di psicoterapia è un dato e un problema noto da tempo. Ma al tempo stesso è vero che gli orientamenti teorico-clinici prevalenti siano ancora i principali 4 (psicodinamico, cognitivo-comportamentale, sistemico e umanistico-esperienziale) è altrettanto vero.
Ed è altrettanto vero che, accanto a fenomeni di frammentazione, ce ne sono altri di integrazione spontanea o programmata. Il modello semi-psicodinamico di Fonagy integra una componente di addestramento a potenziare le capacità cognitive; i modelli cognitivi integrano aspetti interpersonali di provenienza psicodinamica. E così via.
Il quadro è complesso ma non caotico. Da direttore posso dire che il lavoro che noi svolgiamo è spesso di integrazione, esplorazione di dati scientifici e clinici nuovi, assimilazione delle novità cliniche all’interno di quadri di riferimento teorici che non sono unidimensionali ma non per questo sono caotici.
Commento di Sandra Sassaroli, direttore di Studi Cognitivi.
Alcuni dati importanti a commento della riunione di oggi:
Innanzitutto penso che il lavoro di raccolta dati della commissione sia stato importante, ma che alcune interpretazioni che poi vengono proposte non rappresentino bene la realtà e siano ancora lontane da una comprensione autentica del mondo delle scuole di psicoterapia.
1. le scuole che fanno poca supervisione secondo la commissione, spesso chiamano la supervisione: esercitazioni, o usano altre dizioni, certo occorre che vi sia almeno una omologazione linguistica.
2. Altre note mie: il problema dei tirocini sollevato da Del Corno: molte scuole chiedono una convenzione per il tirocinio di un certo allievo in una certa struttura, poi l’allievo si diploma e la convenzione per uno o due anni rimane silente. Questa non mi sembra malascuola, ma semplicemente la norma: se invece alcune scuole chiedono tirocinii in strutture in modo massivo ma poi non le usano e le tengono silenti questo si mi sembra cattiva pratica.
3. Io sono stata molto colpita che la commissione abbia fatto un lavoro così importante di catalogazione e chiarimento della realtà italiana, traendo conclusioni, senza mai convocare alcun direttore di scuola. Io credo che sulle difficoltà nel tenere viva e di qualità la propria scuola, i direttori avrebbero qualcosa da dire.
4. Altro: nel nostro mestiere (parlo da cognitivista) esistono alcuni dati protocollari definiti e chiari (i protocolli efficaci, le tecniche base, gli interventi efficaci per i pazienti difficili ecc), Ma non possiamo ridurre una scuola solo a questo. Esiste un costante incontro con il nuovo sia interno che proveniente dall’esterno, di pensieri tecniche e concettualizzazioni e diagnosi. Non si può non tenerne conto ma non è caos. E’ evidente che le scuole sono organismi vivi che si trasformano nel tempo (se dentro hanno pensiero alto e pratica clinica eccellente). Non è vero che tutto ciò che è disorganizzato, in movimento e non protocollare sia caotico. Questa cosa del caotico non mi piace affatto. Nelle scuole di legge, si vedono pazienti, si studia e si ragiona e molte tecniche che non avrei mai insegnato o fatto insegnare nella scuola oggi le ritengo utili per alcuni tipi di pazienti e le insegno. L’incremento di complessità, l’integrazione NON è caotico allo stato attuale delle conoscenze. Io credo che il pericolo sia non il caos ma anzi la scelta di una ideologia (magari importata da fuori e basata su ricerche fatte all’estero e basta) che divenga totem ideologico unico e esclusivo di una scuola. Segno di immaturità clinica e di passione ideologica che non condivido. Forse ci sono troppe scuole come dice la commissione ma secondo me ci sono ancora troppo poche scuole che abbiano il coraggio di investire realmente per proporre un pensiero e una pratica originali, basati su sapienza clinica si ma anche su ricerca e capacità di assimilazione autentica del nuovo. Da ultimo: e’ evidente che occorre un controllo sulla formazione e che compito della commissione è aver messo le basi per poterlo fare. Questo è anche interesse delle scuole, che la propria formazione sia controllata, che si analizzi l’aderenza degli allievi ai modelli che imparano per avere una prima base solida dalla quale cominciare la propria avventura professionale, che si conosca meglio il processo della formazione così come si è interessati ai processi di cambiamento dei pazienti. Questo può rendere le cose più facili, agli studenti, ai didatti e a chi verifica l’opera di chi forma. Ma che i criteri dei controlli e delle verifiche siano essi stessi non ideologici, o poco informati o parziali o autoriferiti, ma animati da una vera curiosità per la realtà delle scuole.