Il sé-concettualizzato: la maschera (scomoda) che indossiamo
Vi è mai capitato di… dimenticare alcuni oggetti in giro? Non ascoltare ciò che viene detto da un’altra persona (magari qualcosa di importante)? Camminare mentre parlate al cellulare? Mangiare qualcosa guardando la tv e leggendo il giornale? Percorrere una strada a noi arcinota sovrappensiero, in modo automatico? Pensare a qualcosa che non sta succedendo in quell’esatto momento in cui la pensate? Non ricordarsi il nome di una persona che si è appena presentata?
Bene, benvenuti nel mondo degli sbadati, “senza testa”!
La quotidianità di tutti noi è fondata su queste piccole (e grandi) distrazioni. Freud li chiamerebbe “atti mancati”, oggi noi cognitivisti le chiamiamo esperienze di “mindlessness”: letteralmente “senza mente”. Più precisamente, potremmo definire la mindlessness quell’insieme di comportamenti e/o pensieri che noi mettiamo in atto senza essere del tutto consapevoli a noi stessi nel momento stesso in cui li mettiamo in atto. Quando rifletto sulle mie (e dei miei pazienti) piccole esperienze di mindlessness, mi trovo a chiedermi sempre la stessa cosa:
“E’ possibile che queste esperienze di mindlessness le mettiamo in atto anche quando ci troviamo a ricoprire un ruolo, ripetuto ricorsivamente a cui, sebbene dannoso per noi stessi, ci affezioniamo, nonostante ci porti talvolta solo molta sofferenza?”

Cercherò di spiegarmi meglio. Quante volte ci troviamo a sentire frasi del tipo: “sono sempre il solito stupido, il solito casinista, il solito pasticcione, il solito depressone, il solito ansioso, il solito guastafeste etc…”
Queste sono le nostre trappole (o Schemi Maladattivi Precoci), per usare un termine da Schema Therapy (Young et al., 2003) o per dirla con Steven Hayes (2003), è il nostro sé-concettualizzato, la nostra maschera, talmente incollata alla pelle del nostro viso che ci scordiamo di averla addosso e diventa i nostri occhi, le nostre orecchie e la nostra bocca.
In breve, il sé concettualizzato contiene una descrizione complessa di noi stessi, a cui ci siamo affezionati e che presto diventa così cristallizzato che noi lo scambiamo per la realtà assoluta. Quindi, una problematica come un problema d’ansia (ma vale veramente per qualsiasi tipo di difficoltà) si trasforma nel sé concettualizzato “io sono un ansioso” e non importa quante esperienze io faccia in cui non ho provato quell’ansia forte e spaventosa, io continuo a descrivermi verbalmente con “io sono un ansioso”.
Pensiamo anche ad altri tipi di descrizioni di tipo “sé concettualizzato” come “il figlio debole”, “quello che nelle relazioni lascia/è lasciato”, “quello che se la cava da solo”, “quello con la testa sulle spalle” e pensiamo a quanto il linguaggio contribuisce a creare questa “narrativa” di sé, in cui il passato il presente e il futuro, alla fine del processo, si confondono e si fondono in una descrizione di sé a cui ci affezioniamo ma che spesso è molto poco utile a ciò che vogliamo per la nostra vita, ai nostri valori personali e alle nostre risorse.
In che modo può essermi utile fondermi con un pensiero del tipo “sono un fallito” per impegnarmi a non esserlo più?
A questo punto sorge una seconda questione: se io leggo la realtà attraverso gli occhiali di una maschera a cui sono affezionato e che però mi ha sempre fatto soffrire, che cosa traggo dall’esperienza che faccio ogni giorno, momento per momento? Probabilmente leggerò solo ciò che i limiti della mia maschera mi permettono e mi concedono di leggere… e questo non può che farmi perdere tanto delle mie esperienze e più in generale della vita.
BIBLIOGRAFIA:
- Hayes, Steven C.; Kirk D. Strosahl, Kelly G. Wilson (2003). Acceptance and Commitment Therapy: An Experiential Approach to Behavior Change. The Guilford Press. ISBN 1-57230-955-5.
- Young, J.E., Klosko, J.S., & Weishaar, M. (2003). Schema Therapy: A Practitioner’s Guide.Guilford Publications: New York.

In Italia, studi recenti (2001)condotti sia a livello nazionale che locale, hanno mostrato che la prevalenza annuale dei disturbi mentali nella popolazione generale è dell’8% circa ed un recente sondaggio, condotto su un campione di psichiatri italiani, ha riscontrato un aumento rispetto a dieci anni fa della frequenza con cui vari disturbi mentali giungono all’osservazione clinica. Anche in Italia, come in altri Paesi industrializzali, i disturbi mentali costituiscono una delle maggiori fonti di carico assistenziale e di costi per il 


Il 




Accadeva solo undici anni fa e non durante il ventennio fascista. Era solo Genova e non il Cile o l’Argentina dei generali, eppure tutto questo è successo davvero. 




Mark Zuckerberg quota in borsa Facebook e 
Credo che essere genitori rimanga il mestiere più difficile del mondo. Infatti qualsiasi genitore, pur cercando di svolgere al meglio il proprio “ruolo”, può mettere in atto comportamenti non adeguati alle necessità del proprio figlio o al suo benessere psicologico. Al di là dei piccoli errori educativi che qualsiasi genitore commette almeno una volta, esistono ancora oggi genitori violenti e maltrattanti.
Di che cosa discutiamo, quando discutiamo di 

Heather Orom dell’Università di Buffalo, insieme ad alcuni collaboratori, ha condotto la prima analisi sistematica volta ad indagare i costi sociali legati ai disastri ambientali, con particolare riferimento agli effetti psicologici negativi (

Nihao-Buongiorno. Sono per flatelo. Qui mio flatelo.



