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Psicoterapia: Il DSM 5, i clinici di campagna e i Disturbi di Personalita’

Pubblichiamo con piacere un contributo di Antonio Semerari sul problema della diagnosi dei disturbi di personalità tra DSM-IV e DSM-5

ContadiniHo un grande rispetto per gli statistici, sostegno prezioso e misterioso delle nostre modeste ricerche, e provo anche una sorta di reverenziale soggezione nei loro confronti.Ma a volte esagerano! E combinano guai se non vengono tenuti al loro posto da noi rudi clinici di campagna.

Il primo guaio l’avevano combinato con le categorie dei disturbi di personalita’ del DSM-IV. Per garantirsi la coerenza interna dei criteri hanno forzato molti disturbi descrivendoli in base ad un solo criterio ripetuto più volte.

Così il paranoide sospetta e basta, ma sospetta in sei contesti diversi che corrispondono ai vari criteri. L’evitante si sente inadeguato e teme il giudizio per sei volte in diverse circostanze. Il risultato è stato di offrirci caricature. Ma loro non si sono preoccupati di questo. Si sono preoccupati del fatto che, così facendo si ritrovavano per le mani un risultato inaccettabile dal punto di vista statistico. Le sovrapposizioni delle diagnosi. Se un borderline è sospettoso o teme il giudizio ecco che diventa anche paranoide o evitante.

Otto Kernberg, Lectio Magistralis Milano-Bicocca, Narcissistic personality disorder, towards DSM-5 - Lectio Magistralis by Otto Kernberg and Frank Yeoman (2) - Immagine: © 2012 State of Mind - Anteprima
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Che male c’è se diverse malattie condividono alcuni sintomi? Si chiede il clinico di campagna. Nessuno. Gli edemi, ad esempio, sono presenti in disturbi molti diversi. Ma noi, con la nostra rozza praticaccia, sappiamo ben fare una diagnosi differenziale. Ma non è stata la strada della ricerca dei criteri differenziali quella intrapresa. C’era bella è pronta una teoria accademica della personalità che si presta molto a procedure di validazione statistica. Qualcosa di adattissimo ai questionari.

La teoria dei tratti, si chiama. Studia le dimensioni, il più e il meno, il troppo e il poco del nostro stile comportamentale. Ed è nata proprio dai questionari. Che c’è di meglio per far tornare i conti? Che poi il concetto di tratto sorvoli su quello che pensa e prova un paziente e che non è affatto dimostrato che abbiano rilevanza clinica e potere discriminativo è cosa secondaria. I conti torneranno. Non avremo sovrapposizioni diagnostiche e nemmeno mancherà la coerenza interna. Peccato che la diagnosi richiederà un numero strabiliante di tratti e di crocette da mettere. Poco male. Alla fine nessuno, tranne qualche Pierino primo della classe la userà.

 

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Psicologia & Filosofia: Viaggio alla ricerca della libertà

Stefano Terenzi. 

Psicologia & Filosofia: Viaggio alla ricerca della Libertà. - Immagine: © gunnar3000 - Fotolia.comIn riferimento all’articolo precedente Corpi diversi, menti diverse una questione ancora più ampia riguarda il dibattito tra determinismo e libero arbitrio. L’argomento ha una valenza sia sociale che antropologica e dirige, più o meno inconsciamente, gli agiti dell’individuo e delle masse da tempi probabilmente antecedenti alla scrittura.

Per quanto ad esso concerne ritengo molto interessante la lezione tenuta sul tema dal Prof. Nicola Zippel, docente del Dipartimento di Filosofia dell’Università “La Sapienza” di Roma e dal Dott. Giuseppe Tropeano, già primario di Psichiatria dell’Ospedale San Camillo-Forlanini di Roma, Direttore Scientifico della rivista “Mente e Cura” e docente dell’Istituto Romano di Psicoterapia Psicodinamica Integrata, nel febbraio 2012.

L’argomentazione ci conduce lungo la storia della filosofia presentando ataviche visioni fatalistiche e recenti concettualizzazioni neurofilosofiche; introducendo brillanti riflessioni e stimolanti teorizzazioni che, con le sue ripercussioni sociologiche, coinvolgono sia la psicologia che la filosofia. Il tema trattato implicherebbe molte pagine, solo per le dovute riflessioni riguardo le teorie dei diversi filosofi e studiosi. Ma cercherò, attraverso brevi riflessioni, di seguire un filo logico, del tutto personale, che possa essere uno spunto per futuri approfondimenti e confronti.

Corpi diversi, Menti diverse: the Body-Specificity Hypothesis
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Partendo dalla letteratura classica greca, nei versi dell’Iliade, è proposta una visione fatalistica della libertà umana. Nel libro XXIV dell’opera di Omero, infatti, Priamo, giunto grazie ad Ermes nella tenda di Achille, chiede al “Pelide” la restituzione del corpo di Ettore, il proprio figlio, ucciso dal semidio. Quest’ultimo, colpito dal coraggio del Re di Ilio, parla del destino proponendo un’idea d’azione umana intrecciata, smossa e trasportata dal fato.

Nondimeno Esiodo, nella Teogonia, evidenziava come Cronos, padre degli dei, pur riuscendo a mangiare i propri figli, risultò alla fine sconfitto da Zeus. Appare quindi, ai nostri occhi, una visione fatalista della vita, almeno della vita degli dei. Nella letteratura classica latina, invece, Cicerone, nel libro sul fato, argomentava sulla libertà dell’individuo e sul ruolo del destino su di essa, ritenendo che esso vada accettato; e che da questa accettazione sia presente una capacità di agire liberamente. Tale considerazione si incrocia con il concetto di “responsabilità”, affrontata nelle sue argomentazione sulla “causa determinante”. Di diverso avviso era Epicuro. Egli riteneva che la libertà si adattasse alla casualità: essa è un movimento imprevedibile, che riscuote e riporta tutto in crisi.

Percorrendo la linea del tempo, Agostino, sul libero arbitrio affermava come il male, commesso volontariamente, potesse essere punito. Egli riteneva l’individuo in grado, a differenza degli animali, di essere cosciente e, di conseguenza, di essere responsabile delle proprie azioni: la libertà dell’uomo intelligente è, dunque, la volontà di poter scegliere, la capacità di poter volere quello che più egli gradisce. Degna di nota è la concettualizzazione di Pelagio che, nella sua “eresia”, giunse a dare il libero arbitrio all’uomo; a livello assoluto. Egli negava l’importanza del peccato originale, ed affermava il principio secondo il quale ognuno è responsabile solo dei peccati che ha commesso, personalmente. A seguito delle teorie evoluzionistiche di Darwin che hanno scientificamente dimostrato che Adamo ed Eva non sono mai esistiti, come dargli torto?

Il problema del libero arbitrio ha continuato però ad imperversare, fino ai giorni nostri.

Un altro grande pensatore del passato che ha affrontato il tema è stato Lutero. Egli si opponeva all’esistenza del libero arbitrio e ricollegava tutto alla grazia divina. Ma Erasmo ipotizzava che, pur non esistendo il libero arbitrio, tale considerazione non poteva essere divulgata poiché avrebbe portato con sé la conseguente concezione di poter fare tutto ciò che si voleva; non avendone responsabilità alcuna. Lutero, in aggiunta, pensava che l’uomo stesso era una deviazione dal bene e che l’unica forma di salvezza fosse la grazia divina. Egli riteneva la grazia divina predestinata ed affermava l’impossibilità di avere alcun merito nelle opere compiute poiché il destino era predefinito. Inoltre, la predestinazione divina non era data sapere poiché per noi è imprescrutabile. Quel che voleva Lutero è liberare il fedele dalla mediazione della Chiesa con Dio ma così facendo libera anche il fedele dalla libertà di incidere sulla propria salvezza.

Forse i due opposti ,“determinismo e libero arbitrio” delimitano un agire libero; in assenza di alternative. Possiamo, dunque, teorizzare la vita come una catena di cause a cui noi siamo inanellati? La scelta può essere solo un’illusione poiché non c’è ragione nella nostra scelta?

Psicoterapia: Ellis & il Disputing sulla tolleranza della Frustrazione. - Immagine: © frenta - Fotolia.com
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Attualmente, la neurofilosofia dibatte sul tema del libero arbitrio e considera il nesso tra le nuove scoperte neuroscientifiche e le teorizzazione filosofiche più accreditate. Tra le teorie più controverse, quella di Libet, pioniere nello studio della coscienza umana e primo vincitore del Virtual Nobel Prize in Psychology nell’1983, evidenzia come non esista libertà di azione poiché nel momento in cui si agisce si è già agito.

Neurologicamente, sappiamo che nella corteccia Ventromediale e Dorsolaterale si intrecciano emozioni e ragionamenti (corteccia cingolata). Quest’area potrebbe essere quella adibita alle scelte?

Un esempio interessante è il caso di una donna, colpita da un trauma nella corteccia cingolata, conseguentemente affetta da mutismo acinetico; pur essendo in grado di parlare non lo faceva poiché non lo riteneva necessario. Possiamo dunque ipotizzare che il libero arbitrio si trovi proprio in quest’area, dove emozioni e cognizioni si uniscono e ipoteticamente generano le nostre scelte? Risulta plausibile ritenere che esso dipenda dalla causalità delle nostre scelte, dall’influenza determinante dell’ambiente e dalla nostra storia?

Siamo forse co-fatali, come diceva Lisippo?

Un’altra riflessione importate è quella proposta da Derrett, professore emerito di Oriental Laws alla University of London, che considera come noi probabilmente non siamo “nel circuito” ma siamo “il circuito”. Metzinger in “The Ego Tunnel” afferma nientemeno che noi , ovvero l’io, non c’è: l’io non è altro che un processo biologico. In quest’ottica anche la scelta compiuta, dal processo, non è altro che un altro processo biologico. Ciò può comportare che l’io, in quanto concetto umanisticamente inteso, non esista.  A riguardo, Kant, nella Critica della Ragion Pura, evidenzia come non si possa parlare di libertà e di libero arbitrio, con i termini propri della logica, poiché ciò non porterebbe a nessuna risoluzione.

Giudizio morale: una questione di stomaco. Immagine: © Andy Dean - Fotolia.com -
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Va quindi riconsiderata la libertà come concetto. Essa è una speculazione di cui non si hanno elementi, termini e parametri adeguati ad un suo inquadramento e per una sua definizione.

Possiamo quindi ipotizzare che il libero arbitrio sia una concezione, un fenomeno, che non possiamo conoscere o chiarire con lo strumento proprio della ragione e della logica. Il concetto di libertà sfugge dunque al nostro intelletto, non possiamo imbrigliarlo in modo universale poiché esso può benissimo essere un elemento inesistente che noi, in quanto processi biologici, elaboriamo per necessità, per dare un significato al nostro agire, per fornire un senso al nostro fine. La libertà può anche non esistere e noi non siamo altro che processi biologici poiché la sua discussione non è avallabile attraverso la logica e la terminologia umana. Di conseguenza, il concetto in questione, se ipoteticamente insito nella natura umana, non può essere compreso veramente poiché deficitario di elementi di paragone o di corrispondenza.

 

 

 BIBLIOGRAFIA: 

  •  Cicerone, M.T. (1994).De fato-Sul Destino a cura di Magris A.. Ugo Mursia Editore.
  •  De Liquori, A.M.(1825). Storia delle eresie colle loro confutazioni. Monza.
  •  Erasmo da Rotterdam (1969). Il libero arbitrio (testo integrale) – Martin Lutero, Il servo arbitrio (passi sceltia cura di Roberto Jouvenal, Claudiana, Torino.
  •  Kant, I.(2005). Critica della Ragion Pura. Laterza. Roma.
  •  Libet, B., Gleason, C. A., Wright, E. W., and Pearl, D. K.(1983)Time of conscious intention to act in relation to onset of cerebral activity (readiness-potential). The unconscious initiation of a freely voluntary act. Brain.
  •  Lutero, M. (1993). Il servo arbitrio( 1525) a cura di De Michelis Pintacuda. Torino.
  •  Mesnard, P.(1971). Erasmo. La vita, il pensiero, i testi esemplari (1969), Milano-Firenze. Accademia Sansoni.
  •  Metzinger, T. (2009).The Ego Tunnel: The science of the mind and the myth of the self. New York, Basic Books.
  •  Pacioni, V. (2004).Agostino d’Ippona. Prospettiva storica e attualità di una filosofia, Mursia editore.
  •  Parente, M.I.(1993).Epicuro: Opere. Tea.
  •  Sanasi, P. Esiodo: Teogonia. Web.
  •  Santi, G. (2003).Agostino d’Ippona filosofo, Roma, Lateran university press.
 
  • Rivista Mente e Cura, Organo ufficiale dell’Istituto Romano di Psicoterapia Psicodinamica Integrata  www.menteecura.it

Dislessia: valutare le capacità di Attenzione Visiva per prevenirla

– Rassegna Stampa – 

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze PsicologicheSecondo un nuovo studio pubblicato su Current Biology la diagnosi di dislessia può essere fatta ancor prima che un bambino impari a leggere; sembra infatti che deficit di attenzione visiva siano predittivi di successivi disturbi nella lettura, più di quanto lo siano le capacità linguistiche in fase di pre-lettura. Secondo Andrea Facoetti dell’Università degli Studi di Padova questa scoperta mette fine a un lungo periodo di dibattito sulle cause della dislessia e apre la strada a un nuovo pioneristico approccio per l’identificazione precoce e l’intervento in quel 10% dei bambini che lottano con difficoltà di lettura estreme.

Per un periodo di tre anni i ricercatori hanno studiato i bambini di lingua italiana, dalla fase pre-lettura dell’asilo fino alla seconda elementare. Il team ha valutato le abilità di attenzione visuo-spaziale, cioè la capacità di filtrare l’informazione rilevante da quella irrilevante, l’identificazione sillabica, la memoria verbale a breve termine, e la denominazione rapida del colore, seguita nel corso dei due anni successivi dalla valutazione delle abilità di lettura.

Psicopedia - Immagine: © 2011-2012 State of Mind. Riproduzione riservata
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I risultati hanno rivelato che i bambini che inizialmente avevano difficoltà di attenzione visiva erano gli stessi che in seguito lottavano con difficoltà di lettura.

“Questo è un cambiamento radicale del quadro teorico che spiega la dislessia” ha detto Facoetti “ci costringe a riscrivere ciò che si conosce della malattia e a cambiare i trattamenti riabilitativi per ridurne l’impatto.” Egli sottolinea che semplici compiti di attenzione visiva dovrebbero aiutare a identificare i bambini a rischio di dislessia, inoltre visto che questi recenti studi dimostrano che specifici programmi di pre-lettura sono in grado di migliorare le abilità di lettura, i bambini a rischio di dislessia potrebbero essere trattati con i programmi di prevenzione basati sull’ attenzione visiva spaziale prima ancora di imparare a leggere.”

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

Psicoterapia: Ellis & il Disputing sulla Tolleranza della Frustrazione

 

Testa e cuore (e anche altro): il disputing alla Ellis sulla tolleranza della frustrazione

Psicoterapia: Ellis & il Disputing sulla tolleranza della Frustrazione. - Immagine: © frenta - Fotolia.com Nel capitolo precedente abbiamo visto come Ellis punti molto sulla critica delle doverizzazioni come primo pilastro per abbattere queste cosiddette convinzioni irrazionali. Questa critica, per Ellis, deve essere condotta in maniera aggressivamente propagandistica, poiché la radice delle doverizzazioni è profondamente radicata nell’essere umano da forze sociali e storiche il cui obiettivo è l’oppressione e il controllo sociale. Forze anti-individualistiche, quindi.

Nel terzo capitolo di Ragione ed emozione in psicoterapia Ellis discute e critica undici idee irrazionali, e si tratta per lo più di idee sociali. Parrebbe dunque che la terapia di Ellis sia tutta volta al superamento di una sorta di oppressione sociale storicamente determinata da poteri sociali: lo stato, l’opinione pubblica, il decoro, la reputazione, i tabù religiosi. Una terapia ribelle e individualistica.

Nel quarto capitolo tuttavia questo quadro si ribalta. Ellis affronta un nuovo problema, quello della frustrazione e della sua tollerabilità. Per quanto Ellis sia un individualista egli tuttavia non è un ottimista, o almeno non è un ottimista ingenuo. Egli non crede che rigettando tutti i “must”, tutte le doverizzazioni, l’uomo si liberi di tutte le sue infelicità, di tutti i suoi disagi. Anzi, scopriamo che al fondo della terapia di Ellis si cela un nucleo di pessimismo stoico.

Psicoterapia: a che le serve ragionare così? Il Disputing Pragmatico secondo Ellis. - Immagine: © zero13 - Fotolia.com
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E lo scopriamo leggendo il rapporto di un lungo dialogo terapeutico tra Ellis e un suo paziente, tale Mervin Snodds di 23 anni. Costui si lamenta del fatto di dover stendere dei noiosi inventari, suo compito da svolgere per un tirocinio che egli sta completando. Qui vediamo Ellis all’opera per cambiare le convinzioni di Mervin. E il metodo che Ellis usa è appunto stoico: accettazione della frustrazione. Accettazione che avviene attraverso due strade.

La prima è ancora di tipo conoscitivo: la riformulazione in termini sopportabili dell’esperienza negativa. Fedele alla sua impostazione, per la quale la sofferenza psicologica dipende dalle piccole sciocche frasi che ci diciamo, dagli indottrinamenti che ci infliggiamo, Ellis incoraggia Mervin a capire che cosa egli dice a se stesso mentre compila l’inventario. Egli dice che si tratta di un compito noiosissimo, insopportabile, tremendo. A essere sinceri, è piuttosto Ellis che suggerisce a Mervin che egli dica questo a se stesso. Ma effettivamente Mervin da il suo assenso. Dopodiché Ellis esorta Mervin a dire a se stesso che il tutto è piuttosto una situazione effettivamente abbastanza noiosa, ma non tremenda e tantomeno insopportabile. La tecnica di Ellis è quindi di trasformare l’etichetta da “evento catastrofico insopportabile” a “evento negativo ma sopportabile”.

Nella stessa pagina dell’edizione italiana Ellis consiglia addirittura a Mervin di accettare il compito di avere cura dell’inventario e di comprendere le ragioni del suo datore di lavoro, e addirittura di comprenderne le ragioni umane perfino nel caso in cui il capo effettivamente sbagliasse nell’aver affidato a Mervin la responsabilità di chiudere l’inventario. Un bel rovesciamento delle aspettative: il ribelle Ellis che diventa il propangandista della stoica accettazione dell’inevitabile male del mondo. O meglio dell’inevitabile fastidiosità del mondo.

Non esistono dunque per Ellis emozioni insopportabili. Siamo noi che le rendiamo tali definendole insopportabili. È sufficiente invece etichettarle in maniera più neutra come emozioni fastidiose ma sopportabili. Un elenco di queste emozioni sopportabili comprende la delusione, la preoccupazione, il fastidio stesso, la noia, la tristezza, il rammarico e infine la frustrazione.

Questo ultimo passaggio, occorre sottolinearlo, avviene per pura tecnica persuasiva. Ellis si limita a esortare il paziente e spiegargli che egli semplicemente può sopportare e accettare tutto, se semplicemente lo dice a se stesso convincendosene. Non c’è alcun particolare disputing o ragionamento logico da effettuare qui. Si tratta solo di ridefinire, rietichettare, riformulare. E forse di credere.

La dimostrazione migliore della natura persuasiva e non logica di questa mossa, che si può definire la mossa finale di ogni terapia REBT o ellisiana che dir si voglia, la si può trovare in un video pubblicato su Youtube: 

 

Cliccando ascoltiamo, dopo una breve introduzione, Ellis in persona che parla con un suo allievo, Jeffrey Guterman. Allievo che si definisce “depresso”. Vediamo cosa gli risponde Ellis.

  • Ellis (nel video al minuto 3’58”): Giusto. Ma per quale motivo sei depresso? Right. But what are you depressed about?
  • Guterman: Beh, per una serie di cose. Well, a series of events.
  • Ellis: Si Yeah.
  • Guterman: Una è che ho portato l’auto in officina e ho scoperto che devo spendere, uh, più di 600 dollari. One was I took my car in and I found out I had to, uh, spend over $600.
  • Ellis: Bene, è spiacevole, ma cosa stai dicendo a te stesso? Che è orribile? O cosa? Alright, so that’s unfortunate, but what are you telling yourself? That it’s horrible? Or what?
  • Guterman: Si, più o meno quello. Yeah. Pretty much so.
  • Ellis: Bene. Ma tu faresti meglio a pensare “è veramente una regale inculata, ma posso sopravvivere” Right. But you better go back to, “It’s a royal pain in the ass, but I could live with it!.”
  • Guterman: Hmm Well…
  • Ellis: Perché tu puoi. Because you can.
  • Guterman: Huh?
  • Ellis: Perché tu puoi. Because you can.
Psicoterapia: Il Disputing Logico-Empirico. - Immagine: © Carsten Reisinger - Fotolia.com
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Vediamo qui in azione una REBT in poche, pochissime frasi. L’individuazione dell’evento. L’immediato spostarsi dell’attenzione all’esplorazione di ciò che Guterman dice a se stesso. La conseguente svalutazione dell’evento in sé: conta solo ciò che ti dici. La formulazione catastrofica, con Ellis che spinge molto in questa direzione. Ti sei detto che è orribile? Si, più o meno, risponde Guterman. E infine la sostituzione con il negativo sopportabile. È spiacevole. Anzi, è una regale inculata, ma puoi sopravvivere. Perché tu puoi. Detto due volte, ben martellato nella testa del paziente.

In tutto questo anche la colorita frase di Ellis (a royal pain in the ass: una regale inculata) ha il suo senso. Il linguaggio, brutale ma in fondo fumettisticamente recitato da duro cinematografico, è caratteristico di Ellis e svolge il compito di dare sostanza emotiva allo scambio dialogico. Ellis vuole che Guterman senta il dolore proprio li, nel suo culo. Solo così egli potrà convincersi di poter sopravvivere ai suoi dolori. Vi è una componente esperienziale da non sottovalutare in Ellis. Per Ellis il disputing della frustrazione è un’esperienza reale, anzi regale: un regale dolore nel culo da provare in seduta, almeno virtualmente. O no?

In conclusione, non dimentichiamo che per Ellis la sua terapia è razionale ed emotiva, e coinvolge testa e cuore. 

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

Ellis A. (1989). Ragione ed Emozione in Psicoterapia. Ed. Astrolabio 

Psicologia & Musica: Il Suicidio nella Canzone d’Autore Italiana #2

La guerra è finita

per sempre è finita

almeno per me.

La guerra è finita, Baustelle, 2005

 

 

Psicologia & Musica: Il Suicidio nella Canzone d’Autore Italiana #2 - Immagine:  © lassedesignen - Fotolia.comIl primo atto di questo triste viaggio tra i suicidi delle canzoni d’autore si concludeva con un’impiccagione in carcere (La ballata del Michè di Fabrizio de Andrè). 

Utilizza lo stesso metodo anche il protagonista di Morire di Leva (1973) di Claudio Lolli, canzone dedicata a un amico siciliano che si suicida durante il servizio militare. Il corpo viene trovato da due ubriachi: “uno a quell’altro ha detto non ci credi, quel lampadario mi sembrano due piedi”, un verso a mio avviso tragicamente efficace, che ti porta direttamente dentro la scena come fosse un film, degno davvero di un grandissimo poeta. Rispetto al significato del gesto, dal testo appare come le difficoltà legate al cambiamento di vita che si presentavano durante il servizio militare obbligatorio non siano la causa principale del suicidio, ma che costituiscano l’evento stressante che si inserisce su una situazione di vulnerabilità preesistente. “Diceva sempre, io sono sfortunato, sia maledetto il giorno che sono nato”, e di seguito “Però lo sento, che il giorno si avvicina, che finirò per sempre la mia benzina”.

Il Suicidio nella Canzone d'Autore Italiana. #1 - Immagine: © olly - Fotolia.com
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Questa ipotesi si inserisce nell’ambito del celebre modello stress-vulnerabilità, una teoria esplicativa della patogenesi dei disturbi mentali, secondo la quale in alcune persone l’effetto combinato della vulnerabilità genetica e di fattori stressanti supera la soglia di adattamento bio-psico-sociale e favorisce la comparsa dei sintomi del disturbo mentale a cui la persona è vulnerabile (Zubin et al., 1992). Risulta dal testo anche un verosimile problema con la famiglia di origine, dove il padre si dispera per l’accaduto, mentre la mandre mostra una reazione più distaccata “e lui che piange, la madre è una donna forte, scappare da lei riuscì solo con la morte, scappare da lei riuscì solo con la morte”. Sembra quindi che in questo caso non si tratti di un suicidio indotto da episodi di nonnismo, come talvolta si legge nelle cronache, o da “metodo del tenente Hartman” (come si vede in Full Metal Jacket di Stanley Kubrick), ma di un disagio mentale comunque preesistente. Recenti studi sottolineano come sia importante la prevenzione e il trattamento del disagio psichico nelle forze armate, che in certi contesti (ad esempio negli Stati Uniti) hanno tassi di suicidio superiori alla popolazione civile.

Nel finale troviamo una nota polemica con l’attitudine cattolica di giudizio morale nei confronti del suicidio: “Il cappellano si associa al risultato, ricorda a tutti che uccidersi è un peccato”, che è presente anche Nella ballata del Michè (1968) di Fabrizio de Andrè (“domani alle tre, nella fossa comune sarà,
senza il prete e la messa perché d’un suicida 
non hanno pietà”). Da queste parole emerge l’atteggiamento laico e non giudicante di questi due cantautori, che si sforzano di comprendere il gesto suicidiario e quasi di empatizzare con la vittima di un dolore intollerabile.

Roberto Vecchioni nella canzone Tommy (1997) racconta del suicidio per impiccagione di un amico dentista che “non aveva niente da sognare
, aveva già passato tutto il suo avvenire”, che sottolinea uno degli elementi psicopatologici associati al suicidio la cosiddetta hopelessness (Pompili, 2011), la mancanza di speranza nel futuro. Nel brano Vecchioni si rivolge a un Dio benevolo (diverso dal cappellano giudicante di prima) pregandolo di “trattare bene” l’amico ed esprime una sorta di senso di colpa per non aver impedito il gesto “digli che io c’ero e non ho fatto in tempo”. Sentimenti di impotenza e di colpa, compaiono quasi sempre nei famigliari e nelle persone vicine al suicida e anche negli operatori che erano entrati in contatto con la persona prima del gesto. Uno delle poche cose che possono essere di consolazione in questi casi è il pensare che quando una persona raggiunge un forte grado di determinazione nel voler commettere il suicidio, è difficile che qualsiasi opera di prevenzione possa essere efficace.

Faust’O propone la canzone Suicidio (1978), che dà il titolo all’album, in cui esprime una sorta di riflessione sull’argomento con capacità di disincanto e drammatizzazione. Il modo ironico in cui canta il ritornello (“Ah suicidio…”) e alcuni versi (“sento tutto quello che mi gira intorno è noia, noia, noia. Anche il terremoto adesso mi dà solo noia, noia, noia”) ricordano un’attitudine un po’ dandy, un po’ decadente e orgogliosamente narcisistica. Alla fine non è chiaro se il protagonista della canzone scelga davvero la via del suicidio (“Ma penso che valga la pena di andare!”).

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Anche Giorgio Gaber ha scritto un monologo intriso di ironia dal titolo Il suicidio (1978) in cui racconta di un uomo che si guarda allo specchio interrogandosi sul senso della propria esistenza e considerando il gesto estremo come soluzione. Il finale è comunque incoraggiante in quanto conclude con “…e vedremo come va a finire. C’è una fine per tutto e non è detto che sia sempre la morte”. In questi casi sembra che la possibilità della libera scelta possa convincere la persona a non portare a termine il gesto, o quanto meno a rimandarlo. E’ chiaro che la disperazione e lo “psychache”, come lo aveva definito il padre della suicidologia Shneidman (1964), non devono essere troppo forti in questi casi. Forse si tratta dell’ideazione suicidiaria che può interessare anche persone non affette da gravi patologie psichiatriche. Possiamo definirla come “l’ideazione autolesiva del ceto medio”, se è vero che uno studio sulla popolazione che accede agli studi del medico di medicina generale ha mostrato come ben il 3,3% dei soggetti avesse un’ideazione suicidiaria, dato ben superiore a quello dei suicidi portati a termine o tentati (Zimmerman et al., 1995).

Rimandare il suicidio è l’invito di Franco Battiato nel brano Breve invito a rimandare il suicidio (1995): “Va bene, hai ragione, se ti vuoi ammazzare. Vivere é un offesa che desta indignazione…ma per ora rimanda”. L’attitudine di Battiato nella canzone ha un sapore quasi paradossale che ricorda gli interventi sistemici della Scuola di Palo Alto (Watzlawick et al., 1974). Anche Giorgio Gaber nella canzone Far finta di essere sani (1973) esprime lo stessa idea “per ora rimando il suicidio e faccio un gruppo di studio, le masse, la lotta di classe, i testi gramsciani, far finta di essere sani”.

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Gianna Nannini nella canzone Suicidio d’amore (2007) racconta di un suicidio per amore verosimilmente per defenestrazione “Angelo mio saltiamo, in fondo al buio andiamo, cadendo giù per sempre liberi”. La defenestrazione, o in generale il gettarsi dall’alto è un metodo suicidiario ad altissimo potenziale autolesivo. Chi sopravvive di solito riporta importanti disabilità sia fisiche che psicologiche. Dalla letteratura si apprende che oltre il 50% delle persone che mettono in atto questo gesto è affetta da gravi problemi psichiatrici (Joyce and Flemingher, 1998). Gli studi inoltre sottolineano una forte variabilità geografica rispetto a questa modalità, con picchi in città asiatiche come Hong Kong, con alta densità geografica e presenza massiccia di edifici alti.

Anche il brano Nancy (1975) di Fabrizio De Andrè (ma rifacimento del brano So long ago Nancy di Leonard Cohen del 1969) racconta la storia di una ragazza che si suicida per defenestrazione “E un po’ di tempo fa col telefono rotto , cercò dal terzo piano la sua serenità”.

Ultimo amore (1991) di Vinicio Capossela è una struggente ballata dal sapore sudamericano che racconta l’incontro tra un uomo e una donna entrambi segnati da profonde delusioni sentimentali, lui lasciato e lei vedova. L’incontro pare ridare speranza nel futuro alla coppia per un breve periodo, ma lei continua a provare un profondo disagio “lei aveva occhi tristi e beveva volteggiava e rideva ma pareva soffrir”, misto a una fortissima nostalgia del passato “ma giunta che era la sera, girata nel letto piangeva, pregava potere dal suo amore riuscire a ritornar”. La storia si chiude con il suicidio della donna che si butta sotto un treno, “la poteron riconoscere soltanto dagli anelli bagnati dal suo pianto” e con lui che annega il proprio dispiacere nell’alcol, “il liquore pareva mai finire”.

Concludiamo questa macabra rassegna con il tentativo di suicidio, sempre in ambito ferroviario, forse più celebre della canzone d’autore italiana: La locomotiva (1972) del Maestrone Francesco Guccini. La canzone si ispira a un fatto realmente accaduto nel 1893 quando il ferroviere anarchico Pietro Rigosi si impossessò di una locomotiva, dirigendosi a tutta velocità verso la stazione di Bologna, con l’obiettivo di investire “un treno pieno di signori” . Verosimilmente un gesto fortissimo e clamoroso di protesta sociale. Sembra che l’emozione che animi il gesto sia la rabbia e una sorta di bisogno di vendetta proletaria “E un giorno come gli altri, ma forse con più rabbia in corpo pensò che aveva il modo di riparare a qualche torto”. La deviazione della locomotiva lungo un binario morto impedisce la tragedia, ma causa comunque gravi ferite all’uomo, che non svelò mai i veri motivi del gesto.

 

 

BIBLIOGRAFIA:  

  • Zubin, J., Steinhauer, S. R. &Condray, R. (1992) Vulnerability to Relapse in Schizophrenia. British Journal of Psychiatry, 161, 13-18.
  • Zimmerman  M, Lish  JD, Lush  DT, Faber  NJ, Plescia  G, Kuzma  MA.  Suicidal ideation among urban medical outpatients.  J Gen Intern Med.  1995;10:573–6.
  • Bachynski KE, Canham-Chervak M, Black SA, Dada EO, Millikan AM, Jones BH.(2007). Mental health risk factors for suicides in the US Army, 2007-8. Injury Prevention Program, US Army Public Health Command, Aberdeen Proving Ground, Maryland, USA.
  • Shneidman, E. S. (1964). Grand old man in suicidology. A review of Louis Dublin’s Suicide: a sociological study. Contemporary Psychology, 9, 370-371.
  • Watzlawick, P., Weakland, J.H., Fisch, R. (1974). Change. La formazione e la soluzione dei problemi. Roma: Astrolabio.
  • Pompili M. Comprendere e aiutare l’individuo a rischio di suicidio. In Palmieri G, Grassilli C. Psicantria: Manuale di Psicopatologia cantata, La Meridiana, 2011
  • Joyce J. and Fleminger S. (1998) Suicide attempts by jumping. Psychiatric Bulletin, 22:424-427. 

All’origine dell’ Omofobia: Contesto Culturale e Attrazione Repressa.

– Rassegna Stampa – 

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze PsicologicheLa teoria che dietro all’omofobia possa celarsi una particolare attrazione, seppur repressa, proprio per persone dello stesso sesso è supportata da uno studio pubblicato su Journal of Personality and Social Psychology.

Secondo i ricercatori gli individui omofobici vivrebbero un forte conflitto interno tra la propria attrazione verso persone dello stesso sesso e l’imperativo a reprimerla a causa di un educazione familiare repressiva e autoritaria in questo senso; nel momento in cui queste angosciose preferenze e tendenze vengono riconosciute nel confronto con gay e lesbiche tale conflitto verrebbe esternalizzato, prendendo la forma di paura intensa e viscerale degli omosessuali, atteggiamenti omofobi e discriminatori, ostilità verso i gay e anche nell’adozione di idee politiche anti-gay.

Omofobia - Immagine: © jjayo - Fotolia.com -
Articolo consigliato: Omofobia: paura del diverso o paura di se stessi?

Lo studio comprende quattro esperimenti separati, condotti negli Stati Uniti e in Germania, e ogni studio coinvolge una media di 160 studenti universitari. Sono state messe a confronto misure implicite ed esplicite di orientamento sessuale e omofobia e il tipo di atteggiamento genitoriale lungo un continuum da democratico ad autoritario.

I risultati forniscono nuove prove empiriche a sostegno della teoria psicoanalitica che la paura, l’ansia e l’avversione che alcune persone, apparentemente eterosessuali, hanno verso i gay e le lesbiche possano svilupparsi proprio dai loro desideri repressi; i risultati supportano anche la più moderna teoria dell’auto-determinazione, sviluppata da Ryan e Edward Deci alla University of Rochester, che collega lo stile genitoriale controllante alla scarsa accettazione di sé e alla difficoltà di valutare se stessi in modo incondizionato.

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

Un giorno di ordinaria follia #2 – Gli Alieni al CSM -Psichiatria-

Elena Ponzio.

PSICHIATRIA PUBBLICA: LETTERE DAL FRONTE.  
Naturalmente tutti i dati ed i nomi citati in queste lettere sono stati inventati e le storie raccontate sono ispirate alla realtà ed alla vita in un csm, ma per doverose ragioni di privacy  sono state amalgamate tra loro per renderle irriconoscibili. Ciò nonostante, a volte la realtà supera la fantasia! Buona lettura.

 

Un Giorno di Ordinaria Follia

  #2 – Gli Alieni al CSM  

 

Un giorno di ordinaria follia #2 – Gli Alieni al CSM -Psichiatria- Immagine: © Anatoly Maslennikov - Fotolia.comCi sono alcuni volti che sono di casa. Ci sono alcune persone che a forza di entrare e uscire e poi rientrare giorno dopo giorno in ambulatorio diventano così familiari che certe volte ti sembrano più vicini dei tuoi vicini, più intimi dei cugini, quasi qualcuno di famiglia e devi fare attenzione a non lasciarti troppo andare.

Per chi non è mai entrato in un Centro di Salute Mentale (Centro Psicosociale etc etc secondo la regione) sarà forse un po’ difficile immaginare questi luoghi strani, difficili, eterogeni ma anche molto “tipicamente ASL”. La location tanto per incominciare, è sempre un po’ casuale… e il mobilio di fortuna, ma le storie e le vite che si incontrano e si incrociano in quei corridoi stretti e ingombri di scartoffie sono davvero affascinanti per chi, incuriosito, ha voglia di starle a guardare.

Un Giorno di Ordinaria Follia #1 - Posso bere la Candeggina? - Psichiatria - Immagine: © Mario - Fotolia.com
Articolo consigliato: Un Giorno di Ordinaria Follia #1 – Posso bere la Candeggina?

C’era un signore, Giovanni, che da molti anni frequentava la psichiatria in tutte le sue forme. Un signore di una dignità ammirevole, molto compreso del suo problema e della sua peculiarità che attribuiva a contatti ravvicinati con gli extraterrestri. C’erano state molte ipotesi dei medici sulla sua patologia e c’erano anche state molte ipotesi di Giovanni su di sé e su ciò che gli alieni gli avevano fatto l’onore di fargli. Poi come a volte capita ci si era accordati per un compromesso. Psicosi per i primi, fantamistero per il secondo. Alle visite partecipava e partecipa in modo abbastanza preciso e regolare io credo per una certa curiosità e gratificazione che gli ispirano le nostre teorie e il nostro interesse per i suoi discorsi.

Un giorno Giovanni molto serio aprì le braccia e portando con gesto ampio, lento e ripetitivo del braccio un dito alla tempia disse: “C’è una vocina che mi dice che gli extraterrestri non esistono” – sorpresa poi rapido e incredulo sollievo del medico –“…e..” – altro braccio altro dito, altro ampio movimento dito tempia – “c’è un’altra vocina che mi dice che gli extraterrestri esistono…!!!”. Dei due il più veloce a riaversi e a riprendere il discorso fu Giovanni:

“Dottoressa questi signori sanno tante cose su di me, sanno così tante cose e così precise che ho pensato che nessun altro a parte me potrebbe saperle e quindi quegli alieni sono io, sono io il mio alieno”.

Poi tutto è ripartito come prima. Però c’era una nuova complicità. Per un istante avevamo trovato un punto di incontro esplicito al di fuori della metafora: “sono io e nonostante ciò non sono io, il mio onore e il mio onere, la mia vita e la mia malattia”. Per un momento insomma non era stato necessario ricorrere a alieni, strane locuzioni, persino assonanze e insalate di parole, nei momenti più bui, per parlare di sé.

Ogni settimana Giovanni viene a trovarmi, parliamo di alieni spesso senza nominarli, e a forza di farlo sembra proprio una metafora, un simbolo cui sia io sia lui attribuiamo significati molto simili, uno specchio attraverso cui è possibile comunicare emozioni stati d’animo e necessità altrimenti inesprimibili.

Un appuntamento che se viene annullato, mi manca.

Stress: Un aiuto dallo Yoga

 

Considerare l’individuo come un’unità mente-corpo diventa sempre più importante per una presa in carico globale del paziente.

Stress: Un aiuto dallo Yoga - Immagine: © antoshkaforever - Fotolia.comAd oggi sono numerosi gli studi che integrano approcci corporei ad approcci più prettamente verbali, tradizione occidentale e tradizione orientale, vedendo il processo di cura come un processo sinergico. Un gruppo di ricercatori della Boston University School of Medicine, del New York Medical College, e del Columbia College of Physicians and Surgeons, ha condotto una review sui benefici fisici e psicologici del praticare Yoga. I risultati di questo interessante studio sono stati pubblicati sulla versione online del Medical Hypotheses.

La review ruota attorno al ruolo che lo stress ha nel comportare un rischio per le malattie cardiovascolari, per l’ipertensione e per essere la causa di dolori muscolo scheletrici e cefalea muscolo-tensiva. Inoltre il riflettore di questo studio è puntato su quanto lo stress sia una componente importante nello sviluppo di una sintomatologia ansiosa e depressiva. L’ipotesi più accreditata è che lo stress causi uno squilibrio del sistema nervoso autonomo e una ridotta attività del neurotrasmettitore inibitorio GABA. Una bassa attività del GABA ha ripercussioni sull’individuo nella sua totalità essendo riscontrata in pazienti che presentano problematiche di dolore cronico, sintomatologia ansiosa, sintomi depressivi, disturbo post- traumatico, problematiche gastrointestinali…

Schiena dritta! Come la Postura (nostra e degli altri) influenza la soglia del dolore. - Immagine: © Nelli Shuyskaya - Fotolia.com
Schiena dritta! Come la Postura (nostra e degli altri) influenza la soglia del dolore

Si ritiene che lo yoga abbia un effetto benefico nel migliorare gli squilibri del sistema nervoso dovuti allo stress, questo spiegherebbe da un punto di vista neurofisiologico la sensazione di benessere che molti pazienti sperimentano dopo aver praticato yoga.

Un precedente studio considerato nella review mostrava come fossero presenti differenze significative nell’attività del GABA tra due gruppi di soggetti dei quali uno aveva ripetutamente praticato delle sedute di yoga e l’altro si era dedicato a frequenti passeggiate per un periodo di dodici settimane.Nel gruppo dei soggetti che avevano praticato yoga si registrava un aumentare dell’attività del GABA con un conseguente miglioramento della sintomatologia ansiosa e una diminuzione della percezione del dolore in alcuni pazienti che lamentavano in particolare dolori lombari, rispetto al gruppo che aveva solamente passeggiato.

Questo di fatto porta all’idea di lavorare in sinergia e di inserire nei protocolli di intervento terapeutico “tradizionali” alcune tecniche mutuate dallo yoga e dalle discipline orientali. In particolare esistono delle specifiche positure (asana) che sembrano essere maggiormente efficaci nel contrastare, affiancate ad un corretto approccio terapeutico, e fronteggiare sintomi ansiosi e depressivi.

BALASANA
Per iniziare questa posizione occorre inginocchiarsi a terra con gli alluci che si toccano e i talloni divaricati. Quindi ci si siede sui talloni, si appoggiano le mani a terra e si flette il busto. La posizione di arrivo prevede la fronte appoggiata direttamente al pavimento e le braccia distese lungo il busto con il palmo rivolto verso l’alto.

URDHVA DHANURASANA
La posizione dell’arco, forse una delle più conosciute dello yoga, ma anche una delle più difficili. Si parte distesi a terra in posizione supina si piegano le ginocchia tenendo i piedi appoggiati sul pavimento posizionando i talloni il più vicino possibile ai glutei. I palmi sono sul pavimento accanto alla testa con gli avambracci relativamente perpendicolari al pavimento. Premendo fortemente dai piedi ci si solleva dal pavimento spingendo il cocige verso l’alto. Quindi premendo fortemente con le mani si solleva la testa dal pavimento e distendete le braccia.

SIRSASANA
La base di questa asana è formata dagli avambracci che formano un triangolo tra i due gomiti e le mani unite con le dita intrecciate. La nuca poggia contro il palmo delle mani. Una volta che si è stabilita la base, sollevare il bacino e con piccoli passi avanzare finché le gambe non si sentiranno leggere e libere di staccarsi da terra. Formare una linea dritta con il corpo, perpendicolare a terra.


Perché non provare?

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

 

I benefici psicologici dello yoga negli studenti

– Rassegna Stampa –  

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze PsicologicheLa pratica dello yoga avrebbe effetti psicologici positivi negli studenti delle scuole secondarie di secondo grado (le cosiddette “scuole superiori”) secondo uno studio pilota della Harvard Medical School di Boston e che verrà pubblicato in Aprile su Journal of Developmental & Behavioral Pediatrics.

51 studenti sono stati randomicamente assegnati a due condizioni per 10 settimane: praticare yoga (Kripalu yoga, posizioni fisiche dello yoga, con esercizi di respirazione, rilassamento e meditazione) oppure effettuare attività di educazione fisica standard.

A tutti gli studenti è stata somministrata una batteria pre-post assessment focalizzata su variabili psicologiche, quali il tono dell’ umore e l’ansia, la resilienza e abilità di mindfulness.

Dai risultati è emerso che i ragazzi che avevano praticato yoga nelle dieci settimane al posto delle classiche attività di educazione fisica ottenevano un incremento maggiore dei punteggi dei diversi test psicologici. Nello specifico, mentre i ragazzi assegnati alla condizione di educazione fisica standard presentavano un peggioramento del tono dell’umore e un incremento dei sintomi ansiosi, i ragazzi che invece avevano praticato yoga rimanevano stabili o addirittura presentavano miglioramenti in tali variabili. I due gruppi però non differivano a seguito del training in termini di altre variabili quali la resilienza e la mindfulness.

Anche se il campione è limitato, lo studio suggerisce gli effetti positivi dello yoga negli adolescenti, in linea con altri studi in letteratura che ne evidenziano effetti positivi sia in termini preventivi che in diverse condizioni di sofferenza fisica e psicologica.

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

Enclothed Cognition: Come i vestiti influenzano i nostri pensieri.

 

DIMMI COME TI VESTI E TI DIRO’ COSA PENSI! 

Enclothed Cognition. Dimmi come ti vesti e ti dirò cosa pensi! - Immagine: © Monika 3 Steps Ahead - Fotolia.comSe fino ad oggi avete speso minuti preziosi davanti allo specchio interrogandovi sulle possibili reazioni al vostro abbigliamento, dopo aver letto questo post il tempo abitualmente dedicato a ciò non sarà più sufficiente poichè, parola di autorevoli ricercatori, il tipo di vestito indossato non solo influenza l’altrui pensiero ma anche il vostro.

Ognuno di noi, soprattutto nelle occasioni che contano, quando indossa un determinato vestito lo fa con l’idea più o meno consapevole che ciò inciderà sull’opinione che gli altri hanno di lui/lei.

Quante giovani donne al primo appuntamento aprono l’armadio e scartano un maglietta che ha le pretese di essere un abitino con commenti del tipo “non vorrei mi prendesse per una poco di buono” oppure quanti uomini, depilati da testa a piedi, si rifiutano però di indossare una camicia rosa perchè temono di essere giudicati poco virili?

Insomma, noi tutti ci aspettiamo che il modo di vestirci possa influenzare le nostre relazioni sociali e, a quanto pare, tale fenomeno è enfatizzato dal fatto che l’abbigliamento sembra esercitare una discreta influenza anche sui nostri pensieri.

Lavati e non ci pensi più. Ma i processi mentali restano. Immagine: Lady Macbeth by George Cattermole - Wikimedia Commons Public Domain Art -
Articolo consigliato: Lavati e non ci pensi più. Ma i processi mentali restano.

La embodied cognition, un approccio emergente all’interno delle scienze cognitive, ci parla infatti di una mente “incorporata”, collocata in un ambiente esterno con cui ha un rapporto interattivo e dialettico. In tal senso i processi cognitivi non possono essere analizzati a prescindere dal rapporto che l’individuo intrattiene con il proprio ambiente e quindi anche con la posizione e lo stato dei nostri corpi.

In un precedente articolo avevo già discusso di come, per esempio, l’operazione di lavarsi le mani potesse indurre pensieri di purezza morale.

Sulla scia di ciò, in un recente studio, Adam e Galinsky, ci dicono che  anche i vestiti esercitano un potere sui nostri pensieri, un fenomeno a cui danno il nome di enclothed cognition. Ciò che contraddistingue tale fenomeno dalla embodied cognition è la capacità di agire in maniera meno diretta sui pensieri poichè mediato da due fattori: il significato simbolico dell’abbigliamento e il fatto di indossarli effettivamente.

L’ESPERIMENTO: 
I ricercatori hanno dapprima testato l’effetto dell’indossare camici bianchi da scienziato. 58 studenti sono stati invitati a svolgere un famoso test di attenzione selettiva (Stroop Test). I 24 che hanno indossato il camice bianco hanno commesso la metà degli errori rispetto alla media del restante campione.

La conferma che sia proprio il fatto di indossare un indumento a determinare modifiche nei nostri pensieri è data dall’evidenza che coloro che effettivamente hanno indossato il camice da laboratorio hanno registrato una migliore performance rispetto ai soggetti che l’hanno solo visto adagiato su una scrivania. Anche indossare lo stesso camice, informati però del fatto che esso appartenesse a un pittore, è stato associato a una performance più scarsa rispetto al primo gruppo del campione, confermando l’importanza del valore simbolico dell’abbigliamento.

Tuttavia sembra che gli effetti della enclothed cognition vadano al di là di una semplice identificazione con il ruolo attribuito all’abbigliamento. Gli studenti che hanno indossato il camice hanno mostrato prestazioni migliori di coloro i quali hanno soltanto scritto un saggio riguardo a come si sarebbero sentiti nell’abito di uno scienziato.

Non sembrano esserci dubbi: indossare un abito, piuttosto che un altro, esercita un discreto potere sulla percezione che abbiamo di noi stessi.

Mi chiedo allora se parte del coraggio dei vigili del fuoco non derivi proprio dalla loro uniforme, se i giudici sono così autorevoli grazie alla toga, se Belen sarebbe ugualmente sexy con il mio pigiama di flanella e se magari io con il suo abito sanremese…

no, direi no!

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

Sesso & Coppia: Riaccendere la Passione quando il Viagra non basta.

 

Sesso & Coppia: Riaccendere la Passione quando il Viagra non basta. - Immagine: © mipan - Fotolia.comParlare di impotenza (Disfunzione Erettile) per gli uomini rappresenta un vero e proprio tabù e talvolta prima di prendere di petto la situazione si lascia passare molto tempo.

Inoltre non è detto che, trovato il coraggio, affrontata la prima visita e prescritta la cura farmacologica questa vada a buon fine. Infatti si ha un abbandono del trattamento in una percentuale che va dal 20 al 50 %. Stanley Althof in un suo articolo descrive il paziente tipo che può richiedere un trattamento per una disfunzione erettile.

Il Signor C. è uomo di 54 anni, è sposato, e per due anni ha vissuto nell’ombra di questa problematica prima di riuscire a chiedere aiuto. In questo periodo ha sviluppato un forte senso d’inadeguatezza, ansia legata alla performance, risentimento e depressione. A questo si aggiunge una modifica nei comportamenti di coppia, come l’andare a letto più tardi della compagna, il fornire scuse quali : ” sono troppo stanco”, “oggi è stata una giornata faticosa” o il più classico “non ho più 20 anni tesoro” (in realtà la disfunzione erettile è diffusa anche nei giovani).

L'impotenza (o Disturbo dell'Erezione) - Immagine: © goccedicolore - Fotolia.com -
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Ma dietro queste scuse cosa si nasconde? Imbarazzo e paura di fallire, sentimenti comuni a tutti i Signor C. che soffrono di impotenza. I rapporti sessuali si vanno pian piano diradando nel tempo fino a scomparire, e con essi anche qualsiasi possibile scambio di effusione che possa essere frainteso dalla partner. La compagna potrebbe porsi domande quali: “Non mi ama più?”, “Ha un’altra relazione?”, “ Non è più attratto da me?” ed iniziare a sentire il suo uomo come lontano, triste, preoccupato, irritabile e sulle difensive.

Quando un uomo decide di andare a parlare con uno specialista può coinvolgere oppure no la propria partner e, nel momento in cui viene intrapresa una cura col Citrato di Sildenafil, più comunemente conosciuto come Viagra, questa può esserne all’oscuro. A seconda del vissuto della partner durante il periodo d’astinenza, la scoperta della famosa pillola blu può portarla a pensare che sia la chimica e non più l’attrazione ad aver ri-attivato il loro rapporto, si potrebbe pertanto prendere il via un circolo vizioso in cui la donna è restia alle effusioni, l’uomo è ancora sotto il facile cedimento all’ansia e potrebbe pensare che il rifiuto della compagna possa essere dovuto alla prestazione che non è all’altezza, e questo può portare alla sospensione della cura. Questo è un possibile scenario; di seguito vengono riportate le cause di una possibile resistenza psicologica che può contribuire all’interruzione del trattamento con Sildenafil:

1. La durata del periodo di astinenza sessuale

2. Il tipo d’approccio adottato dall’uomo nel riattivare la vita sessuale

3. La prontezza sia fisica (non solo dell’uomo ma anche della donna che potrebbe infatti andare incontro all’inizio della menopausa) che emotiva mostrata dalla partner

4. Il significato che ciascun partner attribuisce alla cura farmacologica a base di Viagra

5. La qualità e l’importanza degli aspetti puramente affettivi all’interno della coppia

6. Vanno inoltre tenute in considerazione quelle circostanze in cui il calo del desiderio nei confronti della compagna e la mancata erezione sono legati a desideri inespressi (come per esempio fantasie sadomasochistiche). In queste circostanze molto spesso l’uso del Sildenafil si rivela inutile in quanto non induce alcun tipo di risposta genitale.

L’efficacia di un trattamento farmacologico per la disfunzione erettile va dal 44 al 91% e nonostante ciò numerose sono le interruzioni della cura. A tal proposito è stato indagato un metodo che al trattamento prettamente farmacologico associ un percorso di sostegno psicologico. Il gruppo era composto da 57 uomini dai 21 ai 75 anni d’età con problemi di disfunzione erettile da un minimo di un mese ad un massimo di 38 anni. Ciò che emerge in generale è che l’interazione tra le due terapie risulta funzionale nella maggior parte dei casi.

Sotto le lenzuola: Uomini troppo “golosi” e troppo “ruminatori”? Cause o correlazioni nella Disfunzione Erettile - Immagine: Costanza Prinetti © 2012
Articolo consigliato: Sotto le lenzuola: Uomini troppo “golosi” e troppo “ruminatori”? Cause o correlazioni nella Disfunzione Erettile

Guardare al rapporto sessuale soltanto dal punto di vista di un puro e semplice fallimento fisiologico è di gran lunga riduttivo, numerosi sono i fattori che possono interferire col ri-raggiungimento dell’intesa e dell’atto sessuale. Parlare di accettazione dei cambiamenti avvenuti nella propria vita, dagli eventi stressanti, al naturale mutamento cui il corpo, sia esso maschile o femminile, va incontro, alle conseguenze che determinati tipi di malattie possono aver portato, non sarà di certo sufficiente da sé a far risbocciare la passione ma risulta fondamentale. Infatti, se non affrontati, tali impedimenti psicologici rendono del tutto inutile anche la cura medica più appropriata. Il terapista non solo può aiutare la coppia ad andare verso un nuovo modo di vedersi ed accettarsi, ma può anche aiutarli a ritrovare quel romanticismo andato perduto negli anni, coinvolgendoli in conversazioni che li preparino sia fisicamente che psicologicamente a ritornare di nuovo amanti.

Se nella coppia c’è una rabbia irrisolta da tanto tempo, l’astinenza sessuale potrebbe essere una semplice conseguenza di questa, per cui va da sé che se non si affronta il primo scoglio sarà difficile superare il secondo. Vanno poi tenute in considerazione le aspettative nei confronti della cura farmacologica, spesse volte sono irrealistiche supponendo che, con il ritorno dell’erezione, aumenti la frequenza dei rapporti, oppure che questa possa rendere l’uomo un “amante di successo”… qualora tutto ciò non accadesse è facile che venga data la colpa alla cura e non alle aspettative irrealistiche.

Erezioni virtuali - Immagine: © Blanca - Fotolia.com -
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È inoltre fondamentale ricordare che il Sildenafil è un farmaco che non agisce se non c’è da parte dell’uomo desiderio nei confronti della propria partner. Pertanto un colloquio con una persona non soltanto specializzata, ma neutrale e che si mostri priva di ogni giudizio potrebbe rivelarsi utile anche per la scelta della cura farmacologica più adeguata. Diversi sono i farmaci che consentono una riattivazione fisiologica dell’apparato genitale maschile, oltre al Sildenafil, vi sono anche delle iniezioni intracavernose di sostanze stimolanti quali la Papaverina. È un tipo di cura che, sebbene assicuri l’erezione, risulta essere alquanto invasiva e interferisce notevolmente con l’aspetto affettivo del rapporto, tuttavia se il caso non risponde ad altri tipi di cura resta comunque un rimedio valido da tenere in considerazione.

Se l’uomo confida di avere fantasie sessuali, sia convenzionali che non convenzionali, che differiscono notevolmente da quelle della propria partner, e sa di non poterle portare a compimento, allora la strada del Viagra potrebbe essere quella sbagliata, proprio per l’aspetto legato al desiderio, e prima di abbandonare ogni speranza si potrebbe considerare d’intraprendere una via d’intervento quale la precedente. Se ci sono aspetti psicologici che possono portare ad un blocco nella vita sessuale di un uomo, e conseguentemente anche di una coppia, una semplice pillola non è sufficiente a sistemare la situazione.

La vergogna, il timore del giudizio, la paura di non poter tornare ad essere quelli di prima, i desideri e le fantasie nascoste e volutamente smorzate da troppo tempo, sono tutti fattori che vanno presi in considerazione ed affrontati, affinché si ritrovi un equilibrio di coppia nuovo e perché no altrettanto soddisfacente.

 

 

BIBLIOGRAFIA:

Il Ritorno alla Coscienza: Neuroimaging del risveglio dall’anestesia generale.

– Rassegna Stampa – 

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze PsicologicheIl risveglio dall’anestesia generale è un’esperienza fenomenologicamente affascinante spesso associata a una fase iniziale di subcoscienza prima di accedere a un completo recupero del proprio stato di coscienza vigile e di ri-orientamento spazio temporale: basti sentire i racconti di chi l’ha vissuta.

Un gruppo di ricercatori guidati dal professor Harry Scheinin (University of Turku, Finland) in collaborazione con University of California, Irvine, USA ha sottoposto a tecniche di neuroimaging il processo del ritorno alla coscienza a seguito di un’anestesia generale. A venti giovani volontari è stata somministrata un’anestesia generale mentre veniva monitorata a livello di neuroimaging la loro attività funzionale cerebrale attraverso la tecnica PET.

Ecco cosa accadeva durante il processo del recupero di uno stato di coscienza vigile (valutato mediante una risposta motoria del soggetto a un commando verbale): ciò che iniziava ad attivarsi per primo durante tale processo di risveglio era un network di aree subcorticali e limbiche, quali il tronco cerebrale, il talamo, l’ipotalamo, la corteccia cingolata anteriore, profonde, primitive e filogeneticamente più antiche rispetto alla neocorteccia; solo in un secondo momento sono state poi rilevate le attivazioni a livello neocorticale

La coscienza umana è uno tra gli aspetti più misteriosi e complessi da indagare a livello scientifico, piccoli tasselli empirici possono aiutarci a comprenderlo: in questo caso il brain imaging ci fornisce dati in merito alle aree filogeneticamente più antiche, rispetto alla neocorteccia, che sembrano avere un ruolo primario nel processo del recupero di coscienza. Certo il come queste meccanismi neurali arrivino poi a creare la sensazione soggettiva puramente fenomenica del “risveglio” da un così particolare stato alterato di coscienza è ancora tutto da esplorare.

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

  

Una stanza piena di gente, by Daniel Keyes (Disturbo Dissociativo)

Condannereste il Dr. Jekyll per i crimini commessi da Mr. Hyde?

Una stanza piena di gente. by Daniel Keyes. (Recensione). Recensione di: UNA STANZA PIENA DI GENTE  by Daniel Keyes

Siete seduti in salotto a guardare la tv, quando la polizia fa irruzione in casa vostra e in men che non si dica vi ritrovate con una pistola puntata contro, mentre un poliziotto vi ammanetta e vi legge i vostri diritti. Siete accusati di aver rapito, stuprato e rapinato tre studentesse e le prove contro di voi sono assolutamente schiaccianti. Non c’è dubbio che siate colpevoli, peccato che voi non abbiate alcun ricordo di quanto avete commesso. Come vi sentite?

Questo è quanto accade al ventiduenne Billy Milligan ed è così che comincia la storia che nel 1978 ha profondamente scosso e indignato l’opinione pubblica americana. Nonostante prove inconfutabili, Milligan viene infatti dichiarato non colpevole per infermità mentale poiché dalla perizia psichiatrica emerge una verità sconvolgente: Billy Milligan soffre di Disturbo di Personalità Multipla. Mai nella storia giudiziaria degli Stati Uniti era stato emesso un tale verdetto in caso di reati così gravi, tanto che questa sentenza all’epoca suscitò grandissimo scalpore.

Trauma e dissociazione: riflessioni teoriche e cliniche verso il DSM-5 - Immagine: © Redshinestudio - Fotolia.com
Articolo consigliato: Trauma e dissociazione: riflessioni teoriche e cliniche verso il DSM-V

Una stanza piena di gente racconta la vera storia di Billy – dagli abusi subiti durante l’infanzia fino al ricovero in una clinica, passando attraverso l’intero processo giudiziario – e sotto forma di romanzo offre una descrizione reale, accurata e dettagliata di uno dei più affascinanti disturbi psichiatrici.

Il Disturbo di Personalità Multipla, oggi ribattezzato Disturbo Dissociativo dell’Identità (DID), comporta il passaggio di una persona a differenti stati di personalità che prendono il controllo del suo pensiero e del suo comportamento. Queste personalità sono ben distinte e definite: ciascuna ha il proprio nome, i propri ricordi, la propria postura, il proprio modo di vestire e parlare (Steinberg, 2000); addirittura ogni personalità ha una propria calligrafia, una propria voce, proprie allergie e malattie (es. disturbi della vista) e persino propri tracciati EEG (Coons, 1988).

Il lettore può apprezzare la complessità di questa malattia facendo conoscenza con ciascuna delle 24 identità che si alternano in Billy, tra cui il londinese saccente Arthur (“quando parlò l’accento era quello dell’alta società britannica”), il violento iugoslavo Ragen (“Non sembrava l’imitazione di un accento slavo. La sua voce ora aveva davvero quel sibilo caratteristici di chi è cresciuto nell’Europa dell’Est e ha imparato l’inglese senza però perdere l’accento”), il quattordicenne fobico Danny e la dolce piccola Christene di 3 anni.

Ogni volta pare di trovarsi di fronte ad una persona diversa: una personalità è dislessica mentre un’altra legge e scrive correntemente l’arabo, una è esperta di arti marziali mentre l’altra è timorosa ed indifesa. Solitamente il passaggio da una personalità all’altra avviene in uno stato di trance rapidissimo, della durata di 5 secondi (Putnam, 1985): “Il corpo di Milligan sembrò ritirarsi in se stesso. Impallidì, e gli occhi si velarono come se fossero sul punto di rovesciarsi. Muoveva le labbra come se stesse parlando con se stesso […] Gli occhi di Milligan vagavano da una parte all’altra. Si guardò in giro, come qualcuno che si è appena svegliato da un profondo sonno.”

In un paziente affetto da Disturbo Dissociativo dell’Identità non è detto che tutte le personalità si conoscano ed interagiscano tra di loro. A volte alcune assumono il controllo e stabiliscono quale personalità possa uscire in determinate situazioni; per esempio alcune identità di Billy (soprannominate Gli Indesiderabili) erano state bandite perché ritenute pericolose per la sopravvivenza delle altre.

Psicopatia - Immagine: © Gina Sanders - Fotolia.com -
Articolo consigliato: “Psicopatia, PTSD e genesi di condotte antisociali”

Il libro è stato scritto da Daniel Keyes con la collaborazione del Maestro – la sintesi di tutte le personalità di Billy – il risultato dell’efficace psicoterapia a cui il protagonista è stato sottoposto (le sedute narrate sono tratte direttamente dai nastri registrati).

“Una stanza piena di gente” apre una profonda riflessione su un disturbo controverso dal punto di vista medico-legale. Negli USA alcune corti negano la validità di tale disturbo o ne ribadiscono la mancanza di prove scientifiche a sostegno, sebbene la dissociazione sia un fenomeno ampiamente osservato e documentato in ambito clinico. Qualora invece siano ammesse testimonianze a favore dell’esistenza del DID, questo disturbo rappresenta una grande sfida in ambito forense quando sulla base di tale diagnosi si invoca la non colpevolezza per infermità mentale.

Solitamente la linea di difesa adottata è impostata sull’analisi di quale delle personalità detenesse il controllo dell’imputato al momento del reato e se tale personalità fosse in grado di intendere e di volere. Posto che uno stato dissociativo può realmente ridurre la capacità di controllo delle proprie azioni e quindi diminuire la responsabilità criminale, spesso appellarsi alla presenza di un DID viene accolto con scetticismo a causa della possibilità che l’imputato possa simulare tale disturbo per evitare la detenzione, e raramente ha successo (Farrell, 2011).

Ma se tutte le prove indicassero che l’imputato soffre effettivamente di Disturbo Dissociativo dell’Identità, e foste voi il giudice, assolvereste il Dr. Jekill o condannereste Mr Hyde?

BIBLIOGRAFIA: 

  • Keyes, D. (2009) Una Stanza Piena di Gente (titolo originale: The Minds of Billy Milligan). Nord.
  • Steinberg, M. & Schnall M. (2006) La dissociazione. I cinque sintomi fondamentali. Cortina Raffaello, Milano.
  • Farrell, H.M. (2011) Dissociative Identity Disorder: Medicolegal Challenger. J Am Acad Psychiatry Law 39:402-6, 2011
  • Coons, P.M. (1988) Psychophysiologic Aspects of Multiple Personality Disorder: A review Dissociation 1:1, March 1988
  • Putnam, F.W. (1985). The switch process in multiple personality disorder. PROCEEDING OF THE SECOND INTERNATIONAL CONFERENCE ON MULTIPLE PERSONALITY/DISSOCIATIVE STATES, In B.G. Braun (Ed), (p.4). Chicago: Rush-Presbyterian-St Lukes medical Center

Narcisismo: Quanto mi amo?… e gli effetti sul colloquio di lavoro.

– Rassegna Stampa – 

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze PsicologicheIl segreto per il successo nei colloqui di lavoro sembra stare nel “quanto tu ti piaci” e non nel “quanto piaci” a coloro che ti stanno valutando secondo un nuovo studio che verrà pubblicato sul Journal of Applied Social Psychology.

Lo studio ha valutato l’efficacia di diversi tipi di comportamento – generalmente visti come maladattivi- che il narcisista mostra durante il colloquio di lavoro. In una prima parte dello studio 72 soggetti sono stati videoregistrati durante la simulazione di un colloquio di lavoro. Come ci si aspettava, i narcisisti tendevano già spontaneamente ad autopromuoversi maggiormente, ma proprio nel momento in cui l’intervistatore cercava di metterli in difficoltà tale modalità di autopromozione si accentuava maggiormente a differenza dei non-narcisisti che battevano in ritirata su questo aspetto. E senza che tale accentuazione dell’autopromozione risultasse poi nefasta negli esiti del colloquio.

Narcisismo e Leadership: gli svantaggi delle apparenze. Immagine: © 2011-2012 Costanza Prinetti
Articolo consigliato: Narcisismo e Leadership: gli svantaggi delle apparenze.

In una seconda parte dello studio, circa 200 esperti hanno esaminato e valutato video di candidati (con diversi livelli di narcisismo ma simili competenze lavorative) durante colloqui di lavoro reali: ebbene sì, gli intervistatori generalmente premiavano con valutazioni più positive gli autopromotori “cronici” rispetto ai candidati più orientati verso strategie low-profile e di modestia.

Le ricadute applicative dello studio impattano sui selezionatori: maggior consapevolezza di tali strategie in relazione al narcisismo può favorire anche una valutazione più accurata che tenga in considerazione se e quanto sia utile e funzionale avere in una certa posizione lavorativa chi cronicamente si autopromuove e cerca in qualche modo di sedurre l’altro. Tanto più che non sembrano esserci evidenze scientifiche che supportino una reale maggiore efficacia lavorativa dei narcisisti rispetto ai non narcisisti.

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

 

Studi Cognitivi: la Video Presentazione.

Studi Cognitivi

 

Studi Cognitivi, partner e finanziatore di State of Mind, ha recentemente portato online il nuovo sito, completamente rinnovato.

 

Tra le molte novità, ecco il video di presentazione della scuola:  

 

VISITA IL SITO DELLA SCUOLA! 

Corpi diversi, menti diverse: The Body-Specificity Hypothesis.

Stefano Terenzi. 

 

Corpi diversi, Menti diverse: the Body-Specificity Hypothesis
Body-Specificity & Lateralità

Piace pensarci come creature razionali che acquisiscono informazioni, le rapportano attentamente e prendono decisioni ponderate. Ma, come si vuol dimostrare, forse ci stiamo prendendo in giro. Da molti anni gli scienziati hanno dimostrato che esistono fattori interni ed esterni in grado di modificare il nostro pensiero, il nostro sentire e come lo comunichiamo. Un elemento di grande influenza sembra essere proprio il nostro corpo.

Un recente studio, pubblicato sull’edizione di Dicembre del Current Science, il giornale dell’ Association for Psychological Science, ha dimostrato come i “capricci” del nostro corpo influenzino il nostro pensiero, in molti modi ed in diverse aree: dall’emotività all’immaginazione, fino al linguaggio. Le persone hanno, ovviamente, differenti tipi di corporatura; ma questa banalità ha un ruolo molto particolare nella regolazione di come le persone pensano e decidono.

L’ipotesi di Daniel Casasanto, della New School for Social Research, denominata da lui stesso body-specificity ritiene che attraverso la lateralità della mano il nostro corpo possa influenzare le nostre scelte. Lo studioso ed i suoi colleghi, tramite le loro ricerche, hanno osservato come essere mancini o destrimani possa influenzare il nostro giudizio riguardo idee astratte; come il valore, l’intelligenza e l’onestà.

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Articolo consigliato: Da mesi sogni di vedere quel film? Allora ti siedi a destra

Con una serie di esperimenti hanno scoperto che, in generale, le persone tendono a preferire cose che incontrano sul lato del loro arto dominante. Infatti, quando ai partecipanti veniva chiesto quale di due prodotti avrebbero comprato, quale di due persone assunto per un incarico lavorativo o quale di due creature aliene fosse più credibile, i destrimani regolarmente sceglievano il prodotto, la persona o l’alieno che avevano visto sul lato destro della pagina mostrata; viceversa avveniva per i mancini. Questo genere di preferenze sono state trovate fin dai bambini di 5 anni.

Perché la lateralità manuale influenza così tanto la capacità di valutare?

Per Casasanto, tutto dipende dalla presenza di una maggiore fluidità nella scelta. “Le persone apprezzano più facilmente le cose e le persone più facili da percepire e con cui risulta più agevole l’interazione” dice Casasanto. I destrimani interagiscono nel loro sviluppo maggiormente con il lato destro, rispetto che con quello sinistro, così da creare col tempo un’associazione tra “buono” e “destro” e tra “cattivo” e “sinistro”.

Difatti, quando qualcosa ci fa uno strano effetto o incute un po’ di paura spesso usiamo il termine “cosa sinistra”. Questa preferenza per ciò che è localizzato sul nostro “lato dominante” non è innata e può, dunque, essere modificata. Infatti, è stato riscontrato come i destrimani che avevano subito un danno permanente al loro arto dominante, col passare del tempo, cominciarono ad associare il termine “buono” a “sinistro”. Ciò avveniva anche in esperimenti fatti in laboratorio. Questo evidenzia come, cambiando il “corpo” delle persone, sia possibile cambiare anche il loro sistema mentale.

Risultano ora chiare le molteplici implicazioni di questa ricerca. Una tra le molte potrebbe essere come tale fenomeno possa influenzare i risultati elettorali. Oggettivamente, circa il 90% della popolazione è destrimana, quindi, vien da se che per attrarre la maggior parte dei votanti la collocazione del nome sulla scheda elettorale o sul manifesto politico debba essere sul lato destro. Ergo, possiamo chiederci quanto il voto sia determinato da una scelta soggettiva del votante e quanto, invece, lo sia dalla posizione, lato dominante o non dominante, dell’icona politica posta sulla scheda elettorale.

 

 

 BIBLIOGRAFIA: 

Psicologia & Musica: Il Suicidio nella Canzone d’Autore Italiana #1

 

Quando attraverserà l’ultimo vecchio ponte

ai suicidi dirà baciandoli alla fronte

venite in Paradiso là dove vado anch’io

perché non c’è l’inferno nel mondo del buon Dio.

Preghiera in gennaio, Fabrizio de Andrè, 1967

 

Il Suicidio nella Canzone d'Autore Italiana. #1 - Immagine: © olly - Fotolia.com Il suicidio di un paziente è sicuramente l’evento più drammatico nella vita professionale di uno psichiatra o di uno psicoterapeuta, e non è così raro se si considera che in tutte le nazioni il suicidio è attualmente tra le prime tre cause di morte nella fascia di etá 15-34 anni (WHO, 2004). Il fenomeno del suicidio è un problema complesso non ascrivibile ad una causa o ad un motivo preciso. Sembra piuttosto derivare da una complessa interazione di fattori biologici, genetici, psicologici, sociali, culturali ed ambientali.

Più che di suicidio possiamo parlare quindi di suicidi, nel senso che ogni evento di questo tipo va ricollegato alla storia della persona, per poter tentare di capirne le motivazioni e il significato del gesto.

Non si tratta di una questione che interessa soltanto il mondo della psichiatria, ma è stato ampiamente affrontato anche da filosofi, poeti e scrittori. Lo stoicismo è forse uno degli esempi più noti di filosofia che accetta il suicidio e, anzi, in determinate condizioni, lo descrive come un atto naturale. Lo scrittore e filosofo Camus invece sottolinea come “Vi è solamente un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia” (Camus,2001).

Le Metafore Psicologiche dei Cantautori Italiani. - Immagine: © nmarques74 - Fotolia.com
Articolo consigliato: Le Metafore Psicologiche dei Cantautori Italiani.

E i nostri cantautori? Non possiamo affrontare l’argomento suicidio e canzone senza partire da quella camera dell’Hotel Savoy di Sanremo nel 1967 dove Luigi Tenco si sparò alla testa (anche se come in tutti i suicidi più celebri del mondo della musica sono fiorite le più disparate teorie complottiste) lasciando il famoso biglietto: 

“Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt’altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda Io tu e le rose in finale e ad una commissione che seleziona La rivoluzione. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi”.

Più precisamente, in termini tecnici il biglietto si chiama “nota suicidiaria” ed è presente circa nel 15% dei casi di suicidio (Shioiri et al., 2005). Tra i motivi per cui un suicida lascia tale messaggio ci possono essere sia quello di proteggere le persone che lascia nel mondo dai sensi di colpa, sia quello di indurre il senso di colpa in qualcuno. In questo caso emerge chiaramente la rabbia e il risentimento nei confronti del mondo musicale e dello spietato sistema delle competizioni canore.

Fabrizio De Andrè ha dedicato a Tenco la canzone Preghiera in gennaio (1967) parlando dei suicidi come coloro “che al cielo ed alla terra mostrarono il coraggio”. La questione del coraggio credo che sia cruciale quando si parla di suicidio. Sorprendentemente non esistono studi che vadano a misurare il coraggio, mentre esiste una forte evidenza che l’impulsività (l’agire d’impulso, senza valutare le conseguenze) sia un importante fattore di rischio per il comportamento suicidario (Hull-Blanks, 2004). D’altra parte coraggio e impulsività hanno qualche correlazione. Già Aristotele (1998) aveva definito il coraggio come una forma di impulsività con carattere di scelta e consapevolezza del proprio obiettivo.

Più avanti nel testo Faber parla “di quelle labbra smorte che all’odio e all’ignoranza preferirono la morte” cercando di sottolineare i motivi del gesto suicidiario che in questo caso assume un carattere di protesta quasi ideologica. E poi ancora il gesto suicidiario assume quasi un significato di sacrificio per una catarsi collettiva “Meglio di lui nessuno mai ti potrà indicare gli errori di noi tutti che puoi e vuoi salvare”.

Anche Francesco De Gregori ha ricordato Luigi Tenco nella canzone Festival (1976), attaccando pesantemente il cinismo e le manipolazioni mediatiche del mondo dello show business, che pilatescamente e ipocritamente ipotizza come motivazioni del gesto problemi di donne, di debiti, di abuso di alcol e di tranquillanti. Ma dal testo il cantautore ligure risulta sicuramente come una vittima di un sistema senza pietà: “La notte che presero le sue mani e le usarono per un applauso più forte” oppure “Nessuna lacrima vada sprecata, in fin dei conti cosa c’è di più bello della vita, la primavera è quasi cominciata”, per finire in una cena grottesca dove si canticchia la Vie en rose.

La scuola dei cantautori liguri è tra quelle che ha prodotto sicuramente più brani che raccontano di suicidi.

Bruno Lauzi ne Il poeta (1963) racconta la storia di un uomo che si toglie la vita per aver perso l’amore di una donna…lui piangeva e parlava di te…sospirava e parlava di te…”. In questo testo colpisce la frase “Ed infine una notte si uccise per la gran confusione mentale”, che ricorda uno stato dissociativo.

Marsha Linehan. - Immagine: © University of Washington http://faculty.washington.edu/linehan/
Articolo consigliato: Marsha Linehan e l’approccio dialettico per affrontare i propri demoni

Recentemente la dissociazione è stata infatti individuata come possibile fattore di rischio per i tentativi di suicidio in pazienti affetti da disturbo della personalità borderline (Wedig et al., 2012).

Deriva invece dal mondo psicanalitico una metafora molto pregnante per spiegare lo stato mentale del suicida: l’inondazione (flooding) in sentimenti dolorosi, intollerabili e incontenibili che può portare a una perdita di controllo e disintegrazione (Maltsberger, 2004).

Albergo a ore (1969) è una canzone tradotta in italiano da Herbert Pagani dalla versione in francese di Les amants d’un jour (portata in Francia al successo da Edith Piaf nel 1962) e cantata anche da Gino Paoli. La canzone racconta il suicidio di due amanti, scoperto dal portiere di notte dell’hotel: “se n’erano andati, in silenzio perfetto, lasciando soltanto i due corpi nel letto”. In questo caso non è chiaro se si tratti di un omicidio-suicidio di coppia, che ritroviamo frequentemente nelle cronache nell’ambito della violenza domestica, o di una follia a due, fenomeno descritto per la prima volta nell’800, in cui un “malato attivo” influenza un individuo recettivo (Lesegue e Falret, 1877).

Restando nell’ambito di problematiche della coppia La ballata dell’amore cieco (o della vanità) (1966) racconta di un rapporto sadomasochista che culmina con il suicidio di lui, come prova d’amore richiesta da lei: “la Vanità fredda gioiva, un uomo si era ucciso per il suo amore”. La canzone, come spesso succede nei brani della prima produzione di De Andrè, ha un andamento da ballata popolare, in cui le strofe pregnanti di significati drammatici si alternano ai “Trallallero”, con un effetto di cinismo grottesco che rende il brano ancora più efficace.

Il Disturbo Narcisistico di Personalità secondo la Teoria di Kernberg. - Immagine: © marcodeepsub - Fotolia.com
Articolo consigliato: Il Disturbo Narcisistico di Personalità secondo la Teoria di Kernberg

La canzone si conclude con la vittoria morale della vittima, che muore contenta e innamorata, mentre la persecutrice viene “presa da sgomento” in quanto le resta solo “il sangue secco delle sue vene”. La figura della persecutrice sadica ricorda il narcisismo maligno descritto da Kernberg (1992), anche se nella pratica clinica capita più frequentemente incontrare donne-vittima e maschi-persecutori. I soggetti affetti da questo grave disturbo presentano aggressività egosintonica e sadismo rivolto verso gli altri e verso sé stessi, comportamenti crudeli e onnipotenti e disprezzo verso gli oggetti buoni, percepiti come deboli e inaffidabili.

La Ballata di Michè (1968) di Fabrizio de Andrè racconta invece il dramma di un suicidio per impiccagione di un carcerato condannato a vent’anni per omicidio passionale. Il gesto è dedicato all’amata da cui la lunghissima separazione è impensabile “io so che Miché ha voluto morire perché, ti restasse il ricordo del bene profondo che aveva per te”. Il brano è estremamente attuale in quanto in Italia il numero di suicidi in carcere è in costante aumento negli ultimi dieci anni ed è di ben diciannove volte superiore alla popolazione libera. Tra le cause individuate ci sono il sovraffollamento, l’assenza di efficaci programmi rieducativi e di programmi di prevenzione, la mancanza di prospettive per il futuro e la comorbidità con patologie croniche (HIV, dipendenza da alcol e sostanze).

Leggi la seconda parte dell’articolo.

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

  • Centro Studi di Ristretti Orizzonti. (2003). Dossier: Morire di Carcere.
  • World Health Organization. Suicide huge but preventable public health problem, says WHO (World Suicide Prevention Day – 10 September 2004). Geneve: WHO; 2004 – Cent Eur J Public Health. 2004 Dec
  • Camus A. Il mito di Sisifo, Bompiani. 2001
  • Shioiri T., Nishimura A., Akazawa K., Abe R., Nushida H., Ueno Y., Kojika-Maruyama M., Someya T. (2005). Incidence of note-leaving remains constant despite increasing suicide rates. Psychiatry and Clinical Neurosciences, 59, 2, 226–228
  • Maltsberger JT (2004). The descent into suicide. International Journal of Psycho-Analysis 85, 653-667.
  • Lasègue e Falret, J. (1877). La folie à deux ou folie communiqée. Archives générales de Médecine)
  • Aristotle. (1998). The Nicomachean ethics. Book VII. Oxford: Oxford University Press.
  • Hull-Blanks E. E., Kerr, B. A. & Robinson Kurpius S. E. (2004) Risk factors of suicidal ideations and attempts in talented, at-risk girls. Suicide & Life-Threatening Behavior, 34(3), 267-276.
  • Wedig M.M., Silverman M.H., Frankenburg F.R., Reich D.B., Fitzmaurice G., Zanarini M.C. (2012) Predictors of suicide attempts in patients with borderline personality disorder over 16 years of prospective follow-up. Psychol Med, 22:1-10.
  • Kernberg, O. (1998). Narcisismo patologico e disturbo narcisistico di personalità, in Ronningstam, E. F., I disturbi del narcisismo, Raffaello Cortina, Milano, 2001.

Video: La storia delle Neuroscienze in 3 minuti

 

L’Institute of Cognitive Neurosciences di Londra promuove diverse iniziative volte a divulgare la ricerca scientifica al pubblico, una di queste è il concorso “Brains on film” in cui studenti e ricercatori possono inviare dei video che raccontino qualcosa del mondo delle neuroscienze. 

Il vincitore di quest’anno è il video musicale: “We didn’t start the scanner” cover umoristica della canzone di Billy Joel “We didn’t start the fire”.

Autori: Jake Fairnie & Anna Remington 

 

 Buona visione! 

 

‘WE DIDN’T START THE SCANNER’ LYRICS:

VERSE 1:

Where on Earth Do We Start? Aristotle, Descartes,

J-P Flourens, Pigeon Lesions, Gall Phrenology.

Hughling Jackson, Brainstorm Status, Golgi and His Apparatus,

Broca, Wernike, Language Expertise.

 

VERSE 2:

Canine Brains, Hitzig, Fritch, Electrify and See Them Twitch,

Miller and His Magic Few, Seven Plus or Minus Two.

Neuron Theory, Drawing Cells, Ramon y Cajal Yells,

Gazzaniga Coined the Phrase with Miller in the Taxi Bays.

 

CHORUS:

We didn’t start the scanner – but we’ve strong attraction to that big contraption.

Get inside the magnet… we need activations for our publications.

 

VERSE 3:

Neisser, Sperry, Sherrington, Brodmann and His Brain Region,

Pinker, Chomsky, Hodgkin, Huxley, Phineas Gage.

Treisman and Gelade, Deutsch And Deutsch, Cherry Aid,

Broadbent, Moray, Pay Attention.

 

VERSE 4:

TMS PET NIRS EEG

fMRI MEG BOLD EMG

ERP SCR MMN GSR

RT SPECT — Find Out What it Means For Me.

 

CHORUS

 

VERSE 5:

Pavlov, Kiss-Me-Katz, Gregory, Sacks and Hats,

Kanwisher, FFA, Ramachandran, Piaget.

Christof Koch, Rensink, Most, Simons with Gorilla Ghost,

Tulving, Luria, Hebbian Decay.

 

VERSE 6:

Rizzolati, Posner, T. Robbins, Malenka,

Adrian, Owen, Saving Us from Locked-in.

Rutter, The Frith Crew, What The Hell Will Le Doux Do?

Psychos Getting Physical, Science Going Digital…

 

CHORUS

 

VERSE 7:

Alzheimers, Mattson, Vuilleumier, Emotion,

Hubel, Wiesel, Neurons Going Visual.

Subliminal Messaging, Are You Sure You’re Noticing?

Freg Gage, Braddick, Morris Going Plastic.

Flicker Paradigm, Dehaene and the Unseen Prime,

Kanizsa, Eriksen, Brains at the ICN.

 

CHORUS

 

FINAL CHORUS:

We didn’t start the scanner – but we’ve strong attraction to that big contraption.

Power down the magnet… write some publications on those activations.

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