Come ormai è noto, sentirsi parte di una “cricca” di amici o colleghi è una parte essenziale dell’esperienza dell’essere umano. Quando ci sentiamo “lasciati fuori” o “tenuti all’oscuro” siamo dispiaciuti e proviamo frustrazione o stress. Leggo un articolo interessante, pubblicato da Psychological Science, che conferma proprio come il “sentimento di esclusione” possa scaturire anche da cose molto semplici, come un’occhiataccia di un passante.
La diffusione esplosiva e mondiale dei social network (probabilmente, il fenomeno sociologico del secolo…) conferma quanto sia importante per l’essere umano il feedback dell’altro e quanto i nostri stati d’animo siano connessi e influenzati dalle persone che ci circondano e a cui teniamo.
Due chiacchiere al bar, una telefonata, un piccolo “like” o un messaggio su facebook, un sms, uno sguardo complice… ebbene, tutte queste interazioni soddisfano il nostro bisogno di “connessione” con gli altri.
Wesselmann, della Purdue University, Cardoso della Universidad Nacional de Mar del Plata (Argentina), Slater della Ohio University e Williams della Purdue Universitiy hanno escogitato un curioso esperimento, coinvolgendo molti studenti del campus della Purdue University.
In breve, un ricercatore passeggia in mezzo agli studenti, sceglie una “cavia”, gli passa di fronte e decide se, quando incrocia lo sguardo dello studente
a) “agganciarsi” per qualche secondo (stabilire un contatto visivo) allo sguardo e far spuntare un timido sorriso oppure
b) “agganciarsi” per qualche secondo allo sguardo mantenendo il volto inespressivo oppure
c) “passare attraverso” lo sguardo dello studente, come fosse una velina di carta di riso, come se non fosse neanche lì…
Una volta incontrato, o per così dire “trapassato”, lo studente, il ricercatore indica con un segno ai colleghi ricercatori il soggetto della scenetta, che viene avvicinato e gli viene chiesto “in quest’ultimo minuto, quanto ti senti disconnesso dagli altri?” (NB: il termine inglese disconnect viene usato anche in termini metaforici per indicare il senso di esclusione/estraneazione/non sentirsi in… NdA).
Bene: le persone che avevano avuto almeno un contatto visivo con il ricercatore (con o senza timido sorriso) hanno riferito di sentirsi meno “disconnessi” rispetto agli studenti “attraversati” dallo sguardo indifferente del ricercatore. Gli stessi ricercatori riconoscono che l’effetto avuto da una così breve interazione sia momentaneo e possa durare pochi secondi/minuti; ma di fatto sembra che un effetto, sebbene piccolo, ce l’abbia.
Nonostante la ricerca presenti moltissimi limiti (chi sono questi studenti? Come sono stati selezionati? Altre variabili indagate? etc…) mi sembra molto interessante e potrebbe davvero aprire alcune porte a ulteriori approfondimenti e ricerche sulla potenza della comunicazione umana. Non è la sede per fare una rassegna di tutta la letteratura già esistente sulla comunicazione, sugli scambi interpersonali, sulla comunicazione non verbale etc…
Quello che mi sembra interessante di questa ricerca è che apre riflessioni su quanto qualcosa che non ci riguarda personalmente o da vicino (come ad esempio lo sguardo di uno sconosciuto) possa avere un effetto, sebbene minimo, sul nostro stato d’animo.
Nota a margine: E se quello sconosciuto mi “attraversasse” con lo sguardo il venerdì sera, dopo una settimana di lavoro, stipato in metropolitana, mentre sto pensando che avrò un weekend molto impegnativo, in cui non mi potrò riposare e che oltretutto ho appena litigato con la fidanzata e con i colleghi?
BIBLIOGRAFIA:
- Eric D. Wesselmann, Florencia D. Cardoso, Samantha Slater, Kipling D. Williams. (2012). To Be Looked at as Though Air Civil Attention Matters. Psychological Science January 13, 2012