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Kill Me Please, il Suicidio Assistito e le nuove frontiere del Controllo.

Interpreta l’attuale rivendicazione occidentale del diritto al suicidio assistito (e istituzionalizzato) con sguardo cinico e divertito.

Di Silvia Dioni, Costanza Prinetti

Pubblicato il 18 Apr. 2012

Aggiornato il 01 Ago. 2012 15:27

 Kill Me Please, Suicidio Assistito e le nuove frontiere del Controllo. - Immagine: © 2012 Costanza Prinetti

Per uno psicologo, soprattutto di matrice cognitivista, può essere piuttosto frequente riscontrare che uno dei crucci su cui spesso si arrovellano i pazienti è il fatto di non riuscire ad avere tutto sotto controllo.

Ognuno di loro poi, a seconda della forma che il nucleo doloroso più profondo decide di assumere per far capolino in superficie, sceglie la propria strategia vincente per rincorrere la chimera della Certezza Assoluta; c’è chi trova sollievo nel monitorare in modo coatto l’apporto calorico di carote e zucchine, chi si consola ripetendo con ritualità kafkiana l’ispezione di interruttori e valvole del gas, oppure chi si costruisce una vita mentale parallela in cui, a ritroso o con pretese da Nostradamus, si scervella su quanto di brutto può aver combinato in passato o su quanto di brutto potrebbe capitare in futuro, illudendosi che la fatica di un simile lavorìo mentale abbia il potere di incidere sulla realtà dei fatti o di modificare il corso degli eventi.

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Tra i possibili scenari minacciosi che potrebbero favorire un bisogno di controllo, la morte è di certo l’evento più inevitabile e allo stesso più imprevedibile (nella forma e nei tempi) che possa capitare (e che capiterà di sicuro) ad un essere umano, e quindi non stupisce che ci sia chi pretende di dominare anche questo aspetto misterioso della propria esistenza, sostituendosi al destino nella funzione di decidere tempi e modi del congedo finale.

Ma è davvero possibile controllare la propria morte o (ribaltando il punto di vista) mettere sotto controllo la pulsione di morte altrui?

A primo impatto verrebbe da dire di sì; nonostante il dibattito sull’eutanasia sia estenuante e si abbia spesso l’impressione che sia vero tutto e il contrario di tutto, tutt’altra storia è il suicidio assistito, in quanto ogni individuo è sovrano nelle scelte che riguardano la sua sfera privata.

Pertanto, bando ai cavilli etici, morali, politici, filosofici o legislativi del caso, il giudizio di chi decide di stabilire quando e come morire rimane del tutto insindacabile.

La commedia noir “Kill Me Please” del regista belga Olias Barco smentisce però questa prospettiva e interpreta l’attuale rivendicazione occidentale del diritto al suicidio assistito (e istituzionalizzato) smascherandone, con sguardo cinico e divertito, la follia. Nel film un medico illuminato gestisce una clinica sontuosa, simile a quella realmente esistente in Svizzera, in cui si offre a pagamento un suicido assistito e ad personam a chi lo richiede; ciascun paziente è libero di decidere di farla finita quando e come crede, e ha diritto di essere affiancato e supportato da uno staff esclusivo nell’attuazione del proprio progetto di morte.

I pazienti che arrivano alla clinica, strampalati e grotteschi, spesso non hanno nessuno dei requisiti che ci si aspetterebbe da degli aspiranti suicidi, bensì rappresentano un campione di umanità mediamente sofferente, in cui tanti potrebbero, per certi versi, riconoscersi: li accomuna il desiderio (e la pretesa) che per loro si organizzi una morte su misura, studiata in ogni dettaglio a seconda dei gusti individuali. E il Dottor Kruger asseconda e accarezza insieme a loro questo sogno di terrena onnipotenza, facendosi paladino del diritto di ciascuno a morire con dignità e consapevolezza e, soprattutto, nel pieno rispetto delle proprie fantasie.

Il Suicidio nella Canzone d'Autore Italiana. #1 - Immagine: © olly - Fotolia.com
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Ma nonostante il meccanismo sembri progettato alla perfezione, entrambe le parti capiranno presto che dominare le dinamiche della vita e della morte è un’illusione, non foss’altro perché la semplice esistenza dei rapporti interpersonali introduce un gradiente di complessità impossibile da addomesticare (e nel film la complessità è rappresentata ad esempio dall’ingerenza dello Stato e delle istituzioni nella vita dei pazienti, dall’ostilità dei cittadini che si oppongono con violenza all’attività ambigua della clinica, e dai rapporti allucinanti che si creano tra i pazienti stessi e che stravolgono continuamente i piani prestabiliti).

Si intuisce insomma una critica al mito della “dolce morte” e all’attitudine nevrotica con cui l’uomo moderno si illude di avere il controllo della propria sofferenza eludendola anziché indagandone le motivazioni.

“Kill Me Please” è una pellicola divertente e a tratti molto disturbante, che tra le altre cose ammonisce sull’impossibilità di spostare fuori da sé la gestione dei propri drammi personali e ci ricorda come il bisogno assoluto di controllo sugli eventi, vissuto come un obbligo e una meta da raggiungere a tutti i costi, venga spesso scambiato per una soluzione intelligente, quando in realtà altro non è se non un grosso problema.

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

  • Sassaroli S., Lorenzini R., Ruggiero G.M. (a cura di) (2006) Psicoterapia cognitiva dell’ansia – Rimuginio, controllo ed evitamento. Raffaello Cortina Editore
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SCRITTO DA
Silvia Dioni
Silvia Dioni

Psicologa Psicoterapeuta laureata presso l’Università degli Studi di Parma e specializzata in Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale all’Istituto “Studi Cognitivi” di Modena.

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