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Cinema – Recensione di A Simple Life (2011) by Ann Hui.

Psicologia & Cinema: Recensioni. A Simple Life (2011) di Ann Hui, è un film bellissimo. Ricco, da lasciare frastornati. Quasi Neorealista.

Di Redazione

Pubblicato il 27 Mar. 2012

Aggiornato il 01 Ago. 2012 15:27

Sonia Marino. 

Cinema - Recensione di A Simple Life (2011) di Ann Hui. - Immagine: Theatrical Release Poster for A Simple Life, Copyright © 2011 by Distribution Workshop.
A Simple Life (2011) by Ann Hui. Movie Poster, Copyright © 2011 by Distribution Workshop.

A Simple Life  (2011) è un film bellissimo. Ricco, da lasciare frastornati. Quasi Neorealismo.

È ambientato a Hong Kong e racconta la storia di una amah (una serva) che per 60 anni vive con la famiglia presso la quale presta servizio, vedendo susseguirsi le diverse generazioni, che finiscono tutte per emigrare negli Stati Uniti. Anziana e poi malata viene accudita sempre con maggiore tenerezza dall’unica persona della famiglia ormai rimasta in Cina, un giovane uomo (Roger) che lavora nel cinema. E con questo basta con la trama, che è semplice come la storia raccontata.

Tutt’altro che semplice è invece lo sguardo con cui la regista, Ann Hui, ci propone i protagonisti, i loro sentimenti e il legame profondo tra i due protagonisti.

Tutti e due, il giovane uomo e la donna anziana, sono accomunati dalla solitudine, dai ricordi, dall’amore per il cibo e dalla malattia (Roger ha avuto un infarto e viene accudito proprio da Ah Tao coi suoi manicaretti). Roger sempre più consapevole e attento sembra riconoscere nell’anziana donna le attenzioni di una madre più che quelle di una governante.

E ora dove andiamo? Il conflitto libanese e la folle impulsività dei maschi. - Immagine: © Les Films des Tournelles
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Non ci sono mai emozioni urlate. Tutto il racconto è semplice e anche se una tristezza profonda permea ogni immagine (ma Honk kong non era una delle città più belle della Cina?); c’è spazio per la nostalgia la riconoscenza la dignità l’impegno nel fare bene le cose. Certo il film parla di argomenti scottanti e tabù ai giorni nostri: la vecchiaia e la malattia. Ma non c’è alcuna retorica o esagerazione o melodramma.

Molto particolare anche il senso del tempo nel film, che dura oltre due ore ma non stanca o annoia. Un tempo lento regolare calmo, come quello che cerchiamo di ricostruire in noi stessi quando siamo preda dell’ansia. Ogni fatto della vita ogni cambiamento viene presentato senza toni angosciati e senza affanno.

L’elemento che più mi ha colpito rimane la descrizione del sentimento di affetto e grande gratitudine reciproca di cui i due protagonisti sembrano diventare man mano sempre più consapevoli.

Deannie Yip, la protagonista, ha vinto per questa interpretazione la Coppa Volpi a Venezia.  

 

 

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