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La coppia in terapia: la prospettiva trigenerazionale

 

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La coppia in terapia- la prospettiva trigenerazionale. - Immagine: © olly - Fotolia.comDa un punto di vista sistemico relazionale la coppia è sempre il risultato dell’incontro di due sistemi familiari, e la qualità del legame di coppia, con i suoi punti di forza e di debolezza, il suo potenziale evolutivo o, al contrario, involutivo, ha a che fare con le vicissitudini relazionali di ciascun membro della coppia all’interno della sua famiglia di origine, cioè con il legame che questo ha stabilito con le persone significative della sua vita.

Questo punto di osservazione “verticale”, che guida l’analisi della forma e della qualità di questi legami, nonché l’osservazione di ridondanze o differenze nel passaggio da una generazione a quella successiva, è chiamato trigenerazionale (Andolfi, 2006).

In un ottica trigenerazionale, quindi, per capire cosa sta succedendo alla coppia in crisi che bussa alla nostra porta in cerca di aiuto, è necessario iniziare a esplorare i “piani superiori” del genogramma familiare, di cui la coppia rappresenta uno dei tanti punti nodali del complesso sistema trigenerazionale in cui ciascun individuo è inserito. 

La coppia infatti è il punto di incontro tra due assi immaginari: uno verticale, il vincolo di filiazione e uno orizzontale, quello di alleanza (Canevaro, 1999).

Il primo assicura la trasmissione da una generazione all’altra dei valori affettivi e culturali; grazie a questo vincolo viene anche garantita la sopravvivenza delle persone dopo la morte fisica.

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Il secondo si muove sull’asse orizzontale, è quello che si stabilisce tra i membri di una coppia e che si consolida grazie alla formazione di regole proprie che danno vita alla complicità di coppia; delimitando un confine attorno alla coppia, queste vanno ad allentare i vincoli di filiazione di ciascuno con le rispettive famiglie di origine. Con la nascita dei figli si stabilisce un nuovo vincolo di filiazione che lega la nuova generazione alla precedente.

La tensione dinamica tra questi due assi, tra questi due vincoli, è il punto nodale del sistema trigenerazionale: i problemi della coppia hanno sempre a che fare con difficoltà nei processi di differenziazione intergenerazionale, cioè con i processi incompiuti di appartenenza e svincolo del singolo dalle famiglie di origine e di conseguenza con la difficoltà a stabilire un nuovo e funzionale vincolo di alleanza a livello di coppia. 

In generale un sistema funzionale e armonico a livello intergenerazionale è quello in cui ciascun individuo compie il ruolo assegnato dal suo momento evolutivo: i figli possono essere figli e non vengono utilizzati nella gestione delle problematiche di coppia o in quelle con la famiglia di origine dei genitori; i valori e le tradizioni di ciascun partner sono una “dote” da condividere con l’altro  e non un campo di battaglia sul quale fronteggiano per la supremazia le due famiglie di origine; i partner rimangono all’interno della relazione di coppia sullo stesso piano generazionale, cioè  si considerano membri alla pari di un team che funziona grazie alle risorse emotive e psicologiche di ciascuno.

Per questo quando si incontra una coppia si devono tenere presenti tre piani generazionali – la famiglia di origine, la coppia, i figli – e valutare se il bilanciamento tra appartenenza e separazione/differenziazione del sè permette ai tre piani di rimanere ben distinti; i confini tra le generazioni sono infatti uno dei principali indicatori di buona funzionalità del sistema familiare.  

Nei prossimi articoli verranno trattati più nello specifico i temi accennati in questa parte introduttiva: l’importanza dei processi di appartenenza e separazione dalla famiglia di origine nella costruzione del legame di coppia, i confini intergenerazionali, la triangolazione, la trasmissione intergenerazionale di modelli relazionali disfunzionali.

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BIBLIOGRAFIA:

 

Corso di Perfezionamento CBT in Sessuologia – Parte 1

 

Corso di Perfezionamento CBT in Sessuologia - Parte 1

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A Maggio si è conclusa la prima parte del Corso di Perfezionamento Cognitivo Comportamentale in Sessuologia organizzato dalla Sede di Studi Cognitivi Modena. Il programma, estremamente completo, ha visto la presenza di numerosi professionisti che hanno alle spalle anni di esperienza nel campo sessuologico, nonché alcuni esponenti illustri della sessuologia Italiana: le danze si aprono con il Prof. Salvatore Macrì e si chiudono con il Dr. Antonio Fenelli.

“Il più grande organo sessuale ce lo abbiamo tra le orecchie” è con questa citazione che ha inizio l’intervento del Prof. Macrì, che sottolinea la necessità di prendere in considerazione l’unità somatopsichica quando ci si occupa sessualità.

L’introduzione antropologica della sessualità e un illustrazione dello sviluppo bio-psicologico della sessualità permette il costante e prezioso riferimento alla pratica clinica, a cominciare dal linguaggio da utilizzare: è fondamentale che questo sia né troppo asettico, né volgare, ma utilizzato come uno strumento terapeutico e come tale calibrato e adattato all’utenza.

L’orgasmo femminile: ma le donne come funzionano? - Immagine: © mademoh - Fotolia.com
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Il tipo di linguaggio utilizzato dovrebbe essere ovviamente comprensibile e condivisibile dal paziente; occorre inoltre precisare i termini anche al di là della loro correttezza e proprietà d’uso, dovrebbe cioè essere chiaro soprattutto cosa significa per entrambi, paziente e terapeuta, espressioni come “desiderio”, “eccitazione”, rapporto coinvolgente” ecc.

Emerge inoltre come attraverso l’indagine delle credenze disfunzionali è possibile scorgere diversi miti sulla sessualità, tra cui il più popolare, la tendenza a confondere le fattezze fisiche con le proprie capacità e prestazioni sessuali: ebbene, come “la grandezza del pisello non è assolutamente correlata alla buona riuscita della prestazione”, con grande plauso della platea maschile presente in aula.

Entrando poi nel vivo dell’argomento è stato illustrato ciò che accade nel nostro corpo durante l’attività sessuale.

Alla stimolazione erotica, infatti, segue una risposta sessuale che è divisa in diverse fasi:

  • Fase 0 del Desiderio;
  • Fase 1 dell’Eccitazione;
  • Fase 2 del Plateau;
  • Fase 3 dell’Orgasmo;
  • Fase 4 di Risoluzione.

Fase 0: Il desiderio può essere definito come uno stato di tensione emotiva che porta a cercare di raggiungere l’oggetto del proprio interesse, è uno stato emotivo, un’esperienza psicologica, in cui il corpo non subisce alcuna modificazione visibile.

Fase 1: La fase dell’Eccitazione è estremamente variabile in ogni persona (può durare da pochi minuti ad alcune ore) e consiste in una serie di modificazioni sia fisiologiche, in conseguenza di stimolazioni sia sensoriali, che possono coinvolgere tutti e cinque i nostri sensi, che psichiche, l’immaginazione per esempio. Le modificazioni consistono nell’accelerazione cardiaca, tensione muscolare, vaso congestione che consente l’erezione del pene, l’elevazione del sacco scrotale e il rigonfiamento dei testicoli nell’uomo, la modificazione della struttura di piccole e grandi labbra, i capezzoli si inturgidiscono.

Fase 2: La fase del Plateau fa parte della fase dell’eccitazione che, se continua, entrerà in questa fase che può durare un tempo variabile a seconda del tipo di stimolazioni e delle preferenze individuali, per esempio è possibile prolungarla godendo delle sensazioni che l’accompagnano, ed è tipica dell’essere umano; il livello di eccitazione diventa sempre più elevato e aumentano progressivamente le modificazioni fisiologiche.

Fase 3: Nella fase Orgasmica vi è la liberazione di tutta la tensione sessuale accumulata durante le fasi precedenti e provoca sensazioni molto intense e piacevoli, accompagnate da una vera e propria perdita di controllo in cui vi è l’affidamento completo al partner. Diversamente dalle donne, gli uomini percepiscono, a un certo momento, quella che viene definita fase di ‘inevitabilità eiaculatoria’, pochi secondi prima dell’orgasmo c’è un istante in cui l’uomo percepisce l’imminenza dell’eiaculazione e sa che, qualunque cosa accada, non riuscirà più a fermarla.

Fase 4: Nell’ultima fase, di Risoluzione, il corpo dell’uomo ritorna a uno stato rilassato e privo di eccitazione, il sangue che riempiva gli organi genitali drena rapidamente, anche il respiro, il battito cardiaco e la pressione sanguigna ritornano ai livelli normali.

L’unica eccezione degli uomini è la fase refrattaria, per cui subito dopo l’orgasmo e la fase di risoluzione entrano nel cosiddetto periodo ‘refrattario’, durante il quale nessuna stimolazione potrà produrre un ulteriore orgasmo: “non c’è trippa per gatti”, fatta eccezione per i giovanissimi.

Sotto le lenzuola: Uomini troppo “golosi” e troppo “ruminatori”? Cause o correlazioni nella Disfunzione Erettile - Immagine: Costanza Prinetti © 2012
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Ognuna di queste fasi va indagata e costruita con la persona che chiede una consulenza sessuologica, analizzando come si susseguono queste fasi, le credenze, i miti e i significati che le accompagnano, senza dare nulla per scontato, ma soprattutto senza dimenticare che il piacere è un fatto psicologico e non puramente fisico, è la decodifica che noi diamo di quello che accade a renderlo tale.

Segue a questa introduzione squisitamente psicologica, una panoramica medica della sessualità con l’anatomia e la fisiologia dell’apparato genitale, eziopatogenesi e terapia medica delle disfunzioni sessuali, sia maschile da parte del Dr. Granata (Endocrinologo) che femminile da parte della Dr.ssa Mancini (Ginecologa). Entrambi passano in rassegna le disfunzioni sessuali e le diverse terapie, mediche e non, con particolare attenzione all’approccio diagnostico utilizzato per i pazienti che lamentano loro difficoltà sessuali.

In tal senso, risulta fondamentale e si conferma la loro sensibilità all’indagine psicologica del sintomo; per citare il Dr. Granata “se un uomo lamenta una disfunzione erettile con la moglie e non con l’amante, non gli facciamo degli esami obiettivi, al massimo dobbiamo portarlo a fare delle scelte!”

Prossimamente verrà pubblicata la continuazione del reportage del Corso di Perfezionamento Cognitivo-Comportamentale in Sessuologia.

 

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Apprendere di sera funziona.. meglio con la memoria procedurale!

FLASH NEWS 

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

Quanti studenti si lasciano affascinare dalla credenza che lo studio prima di andare a dormire possa essere più efficace per via di un incremento del consolidamento mnestico?

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Tale credenza è solo in parte verificata a livello sperimentale. Un team di ricercatori guidato da Johannes Holz del University Medical Center di Friburgo  in Germania ha dimostrato che in realtà l’effetto di consolidamento mnestico dovuto al sonno sarebbe differenziale a seconda che si stia parlando di memoria procedurale o di memoria dichiarativa!  

Nello studio sono stati reclutati 50 soggetti adolescenti (di età compresa tra 16-17), cui veniva chiesto di svolgere due compiti sperimentali: imparare una serie di coppie  di parole (memoria dichiarativa) e un compito motorio di “finger-tapping” in due momenti specifici della giornata, e cioè alle 3 del pomeriggio o alle 9 di sera.  

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Ebbene, negli orari serali sembra essere più efficace l’apprendimento che coinvolge la memoria procedurale rispetto a un apprendimento puramente dichiarativo. Infatti i maggiori incrementi di performances sono stati ottenuti dai soggetti che  svolgevano il compito motorio procedurale durante la sera rispetto alle ragazze che nello stesso momento temporale tentavano di apprendere coppie di parole (memoria dichiarativa).  

Viceversa il pomeriggio è risultato essere più proficuo per apprendimenti dichiarativi, suggerendo che le due tipologie di memoria presentano profili circadiani specifici.

I risultati sono ancora preliminari (soprattutto quelli relativi alla memoria dichiarativa), ma vien da sorridere pensando alle abitudini culturali dei tedeschi che spesso -soprattutto d’estate- nel dopocena amano dedicarsi allo sport!

 

 

BIBLIOGRAFIA:

 

 

EABCT 2012: Intervista a Lucio Bizzini, Presidente del Comitato Organizzatore

 

EABCT 2012: Intervista a Lucio Bizzini, Chair of  the Scientific Executive Committee del 42esimo Congresso a Ginevra. 

 

Sandra Sassaroli per State of Mind intervista Lucio Bizzini, Presidente del Comitato Scientifico Organizzativo del 42esimo Congresso annuale della EABCT a Ginevra. 

 

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Strategie Cognitive e Mental Training: Il Caso di D.

di Massimo Amabili

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Strategie Cognitive e Mental Training Nel Motociclismo: Il Caso di D. - Immagine: © Andrea Danti - Fotolia.comPredisposizione naturale a parte, gli atleti imparano gradualmente, mediante prove ed errori, i comportamenti più efficaci da adottare nella prestazione sportiva. Il consolidamento, attraverso la ripetizione, di nuovi schemi comportamentali, sia fisici sia mentali, insegnati all’atleta per meglio affrontare lo stress sia in allenamento sia in gara, fa si che questi diventino quasi automatici, nei momenti di maggiore intensità agonistica, aiutando l’atleta a superare gli ostacoli psicologici nel modo migliore.

La gestione dell’ansia, preziosissima emozione nella performance sportiva, è da valutare di volta in volta in base alla personalità dello sportivo: uno stato ottimale di allerta è di fatto funzionale alla gara che dovrà affrontare. Stati di allerta eccessivi o molto blandi, influiscono negativamente sul raggiungimento della performance sportiva.

E’ qui che il mental training o mental practice, definito come il richiamo immaginativo di un atto motorio, una simulazione mentale del movimento senza che vi sia lavoro muscolare e articolare, né relative esperienze sensoriali (Barr e Hall, 1992; Grouios, 1992; Hall, Bernoties e Schmidt, 1995), diventa fondamentale.

Questa simulazione del comportamento motorio può essere vista nei termini di un modello cognitivo del movimento che necessita di diverse componenti come la motivazione, il carico attenzionale, le immagini mentali visive e cinestetiche, in modo tale da riprodurre, in tutti i suoi aspetti, l’azione che si vuole compiere (Decety e Ingvar, 1990).

L’importanza dei processi di visualizzazione ed imagery motoria per un atleta, sia nel periodo di allenamento sia nella competizione vera e propria, deve essere presa in grande considerazione dalla Psicologia dello Sport; tali processi possono essere adeguatamente guidati ed allenati attraverso specifiche procedure di mental training, allo scopo di fornire all’atleta gli strumenti per ottimizzare le strategie di “mental practice”, con importanti riflessi sulla performance motoria effettiva.

Non solo attraverso la gestione dell’ansia prima e durante la gara, ma anche per diversi altri fattori: l’incremento della coscienza di sé e il miglioramento della gestione delle emozioni, l’aumento dell’autostima, il monitoraggio delle soglie di stress, il controllo mentale della fatica atletica, una maggiore capacità attentiva, un aumento della concentrazione, il controllo del dolore acuto e cronico e il recupero dell’atleta disabile.

EABCT 2012 – State of Mind
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Il presupposto di base è che allenamento fisico e psichico, in relazione a memoria e concentrazione abbiano un ruolo determinante nello sport: cioè, il gesto atletico ripetuto, non solo durante l’allenamento fisico ma anche durante l’allenamento mentale, lo fissa meglio nella memoria, migliorando la prestazione e aiutando l’atleta a superare ostacoli mentali di vario tipo – come si evince dall’ampia letteratura degli studi neurofisiologici sulle reti neurali artificiali di Cottrell, in Taylor A. L. et al e dagli studi sulla mental imagery e sport performance (Hall, Rodgers e Barr, 1990; Benchke, 2004).

La ripetizione del gesto atletico o degli schemi tattici durante il mental training è svolto attraverso la tecnica di imagery o visualizzazione mentale del gesto atletico stesso o della gara, applicata unitamente ad una delle varie tecniche di rilassamento.

Nello stato di mental imagery, è possibile evocare in modalità immaginativa il ricordo della gara al fine di affrontare mentalmente e psicologicamente, risolvendoli, i problemi che si sono presentati. Il linguaggio esterno (della voce) e quello interno (della mente) sono due sistemi diversi che si combinano e si potenziano attraverso il mental training.

Si svolge un vero e proprio allenamento mentale che, fissando i ricordi nella memoria, aiuterà l’atleta a un miglioramento della performance. La visualizzazione mentale del gesto atletico, del proprio schema corporeo durante lo sport, o la visualizzazione di situazioni difficili per l’atleta (come una particolare tattica, o la paura della gara, l’ansia di particolari momenti, etc) integrano efficacemente il lavoro prettamente atletico fisico dello sportivo, apportando un notevole contributo.

Una delle prime possibili spiegazioni alla base dell’efficacia del Mental Training potrebbe essere quella offerta dalla Teoria Psiconeuromuscolare (Jacobson , 1930). Secondo questa teoria i gesti eseguiti mentre immaginiamo producono un’attività neuro miografica- inconsapevole al soggetto- dei muscoli interessati dall’attività immaginativa, vengono prodotti cioè un potenziale elettrico muscolare (EMG), registrabile attraverso uno strumento chiamato elettromiografo.

Questo significa che le sequenze di movimento immaginate attraverso il processo di visualizzazione producano sottilissime stimolazioni nervose ai muscoli coinvolti nell’attività a cui stiamo pensando e producano anche altre risposte (emotive, relative al sistema simpatico e parasimpatico) simili a quelle dell’esecuzione materiale.

Vasi comunicanti. il dialogo tra mente e corpo. - Immagine: © freshidea - Fotolia.com
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Questi piccolissimi impulsi secondo alcuni autori (Harris e Robinson, 1986; Jowdy e Harris, 1990; Wehner, Vogt e Stadler, 1984; Zecker, 1982; Decety e Michel, 1989; Decety e Ingvar, 1990; Decety e Lindgren, 1991) faciliterebbero un processo di memorizzazione del movimento determinando un aggancio più che favorevole ai gesti motori e agli eventi futuri.

Da queste ricerche emergerebbe il concetto che compiere realmente il movimento o solo immaginarlo attivi gli stessi sentieri nervosi che veicolano il messaggio al sistema muscolare; le visualizzazioni solleciterebbero allora le vie nervose coinvolte nella trasmissione dell’impulso motorio.

Più recente è il contributo della Embodied Cognition, termine utilizzato negli ultimi 10-15 anni per riferirsi a diverse teorie che coinvolgono ambiti disciplinari molto diversi, dall’intelligenza artificiale alla robotica, dalle neuroscienze cognitive alla psicologia cognitiva, dalla filosofia alla linguistica e all’antropologia cognitiva.

In generale, ciò che le accomuna è il fatto di sottolineare l’importanza che ha il corpo per la cognizione; l’idea di fondo è che i nostri processi cognitivi siano vincolati non solo dal nostro cervello ma più in generale dal nostro corpo, in particolare dal nostro sistema sensorimotorio.

A seconda dei diversi ambiti e dei diversi autori questa posizione può però assumere livelli più o meno radicali (si veda ad esempio Goldman e de Vignemont, 2009). Alcuni autori infatti enfatizzano l’importanza del corpo e la centralità per la cognizione dell’azione guidata da scopi (Gallese, 2009; Glenberg, 1997), altri tendono invece a preferire l’etichetta “grounded”, sottolineando così che la cognizione può essere situata non solo nel corpo (Barsalou, 2008).

Secondo tali teorie, quando osserviamo qualcuno compiere un movimento complesso, come guidare una motocicletta, o un’azione, come afferrare una mela e portarla alla bocca, attiviamo una simulazione, una forma di risonanza motoria; il nostro sistema motorio “risuona” con quello che osserviamo. In questo caso, simulare ci può aiutare a predire e comprendere le azioni degli altri, le intenzioni sottostanti e, secondo alcuni autori, addirittura i loro stati mentali (Gallese, 2008).

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Tra le basi neurali sottostanti tale processo di simulazione, il sistema dei neuroni canonici e quello dei neuroni specchio giocano un ruolo di rilievo. Sono state infatti riportate numerose prove secondo le quali durante l’osservazione di oggetti si attiva il sistema di neuroni canonici, durante l’osservazione di azioni altrui il sistema che si attiva è quello dei neuroni specchio. Alcuni autori (Prinz, 1990; 1997; Hommel et al, 2001) hanno proposto diverse teorie basate sul principio ideomotorio, ma la base neurale comune a queste teorie è rappresentata dal sistema dei neuroni specchio.

Tratteremo qui brevemente la principale di queste teorie: la Theory of Event Coding (TEC).

Secondo la teoria TEC, percezione e azione sono così strettamente connesse da venir rappresentate in un formato (o codice) comune. Più sovrapposizione c’è tra quanto percepiamo e il nostro repertorio motorio, più gli eventi che osserviamo (gli stimoli) e gli eventi che siamo in grado di produrre (le azioni) sono simili, più i codici comuni sono attivati, e questo fa sì che la percezione e il riconoscimento di azioni ci risultino più semplici.

Così, se ci vengono sottoposti degli stimoli acustici e ci viene chiesto di riconoscere l’azione che li ha prodotti, siamo facilitati se ascoltiamo il battito delle nostre mani anziché il battito delle mani di altri, dato che l’evento che percepiamo e il suono che con il nostro movimento riusciamo a produrre sono simili (Flach et al., 2003). Analogamente, identifichiamo più facilmente la nostra modalità di scrittura rispetto a quella altrui (Sebanz, Knoblich e Prinz, 2003).

 Negli ultimi anni sono stati ottenuti diversi risultati a supporto di questa teoria. In primo luogo, alcuni studi hanno rivelato l’importanza della prospettiva con cui si osserva un’azione. E’ stato dimostrato che c’è un vantaggio quando osserviamo ad esempio una mano nella nostra prospettiva piuttosto che nella prospettiva di un altro (Vogt, Taylor e Hopkins, 2003). Per esempio, Bruzzo, Borghi e Ghirlanda (2008) presentavano la foto di una mano “prime” seguita da una mano che interagiva con un oggetto; ai partecipanti veniva chiesto di decidere premendo un diverso tasto se l’azione compiuta con la mano era o meno adeguata all’oggetto. La mano, sia “prime” che “target”, veniva presentata in prospettiva egocentrica o allocentrica, come se fosse la mano di un altro. I tempi di risposta erano più veloci quando la mano-target veniva presentata in prospettiva egocentrica, in particolare quando era preceduta da una mano prime in prospettiva egocentrica.

Questo suggerisce che tendiamo a simulare più facilmente le azioni che sono parte del nostro repertorio motorio, rispetto alle azioni altrui (si vedano i lavori di Liuzza, Setti e Borghi, 2012, sulla risonanza motoria in bambini e adulti, e di Ranzini, Borghi e Nicoletti 2011; e di Anelli, Nicoletti, Kalkan, Sahin e Borghi, in press, sulla risonanza motoria nell’osservare mani di umani e di robot). Jackson, Meltzoff e Decety (2006) hanno trovato che aree neurali differenti si attivano elettivamente per la prospettiva egocentrica (corteccia sensorimotoria sinistra) o per quella non egocentrica (lingual gyrus).

Inoltre, studi con pazienti rivelano che cambiare la prospettiva può portare ad attribuire erroneamente le nostre azioni ad altri (Daprati, Frank, Georgieff et al., 1997). In generale gli studi comportamentali confermano che la prospettiva egocentrica è facilitata, probabilmente perché più legata alle azioni in prima persona. Analogamente, sono stati pubblicati studi che mostrano che siamo in grado di predire meglio gli effetti futuri delle nostre azioni rispetto a quelli delle azioni altrui; per esempio siamo in grado di predire con più facilità la traiettoria di una freccia se l’azione di lancio è stata compiuta da noi anziché da altri (Knoblich e Flach, 2001).

Questo suggerisce che ognuno di noi, oltre a riconoscere il modo e lo stile con cui agisce, genera predizioni più accurate basandosi sulle proprie azioni che su quelle altrui.

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Altri studi hanno mostrato che se i movimenti che osserviamo sono parte del nostro repertorio motorio riusciamo a simulare meglio. Calvo-Merino e collaboratori (2005) chiedevano a danzatori esperti di balletto classico e danzatori inesperti di osservare diversi video di ballo. Il sistema di neuroni specchio era più attivato quando i danzatori osservavano la danza che conoscevano bene; questo suggerisce che quando osserviamo altri compiere un movimento complesso tendiamo a formarci una simulazione motoria di quel movimento, e che questa simulazione viene influenzata dalla nostra competenza motoria.

L’effetto non dipendeva dalla familiarità, ma dall’attivazione di una simulazione motoria: in uno studio di controllo l’effetto di risonanza motoria era maggiore quando i danzatori osservavano ballare persone dello stesso genere, anche se avevano uguale familiarità con l’osservazione di movimenti maschili e femminili.

Sono state teorizzate altre spiegazioni sull’efficacia degli interventi di mental training (come la Teoria dell’Apprendimento Simbolico di Murphy et al., oppure la Teoria Bioinformazionale di Lang), ma tutte convergono nel testimoniare l’efficacia di queste tecniche cognitive, in grado di aiutare l’allenamento fisico, per un migliore apprendimento della tecnica fisica e la risoluzione di problemi psicologici.

 

IL CASO DI D.

D. è un ragazzo di 18 anni compiuti, che pratica il motociclismo nel campionato nazionale italiano di velocità. Giovane promessa della disciplina, dopo un periodo di risultati molto negativi, decide di richiedere un intervento psicologico allo scopo di migliorare la propria performance sportiva, iniziando un percorso di mental training.

D. si presenta descrivendo una tipica problematica dello sport, e cioè un problema di iperattivazione: l’atleta esperisce rabbia e ansia con disagio nei momenti che precedono le gare di campionato. Il timore di perdere il controllo della situazione alimentano l’ansia in un vortice che incide negativamente sulla performance.

Dopo una fase iniziale di assessment, mirata alla conoscenza più profonda del ragazzo attraverso colloqui clinici e l’uso di test specifici, D. inizia l’apprendimento della tecnica di rilassamento muscolare distensivo progressivo, unitamente alle prime pratiche di imagery che avevano lo scopo principale di rendere l’atleta capace di utilizzare sia la tecnica di rilassamento progressivo, che l’imagery (inizialmente generica) che gli venivano proposte.

Stabilendo degli incontri settimanali, durante i quali l’allenamento ideomotorio era guidato dallo psicologo, è stato concordato con il ragazzo un homework giornaliero, che consisteva nella ripetizione, mezz’ora prima del quotidiano allenamento fisico, della seduta di rilassamento e di visualizzazione (della durata inferiore ai 10 minuti) a casa; D. ha potuto avvalersi delle registrazioni audio delle sedute registrate ad hoc in base all’obiettivo settimanale, che guidavano il suo allenamento a casa.

Terminata la seduta di Mental Training, l’atleta compilava due griglie di autovalutazione, una relativa al grado di rilassamento raggiunto ed una relativa alla qualità della pratica immaginativa esperita. Il training è durato 14 sedute, durante le quali progressivamente l’atleta ha appreso e migliorato le tecniche di rilassamento e di visualizzazione, come risulta dal confronto tra le griglie di autovalutazione. Attraverso il re-test del QuAM (Questionario delle Abilità Mentali, Marina Gerin Birsa 2006), risulterebbe che l’atleta ha significativamente migliorato tutte le abilità mentali target, quali l’autostima, la gestione dell’ansia, l’attenzione, l’immaginazione, la motivazione, la gestione dello stress e la capacità di organizzarsi per obiettivi.

D. riferisce di non avere più esperito in maniera sgradevole e condizionante il disagio del momento pre-gara; per quanto riguarda gli automatismi introdotti nel mental training relativi all’esecuzione dei gesti tecnici del percorso di gara, D. riconosce un miglioramento nelle proprie gare, confermate dal progressivo miglioramento nei piazzamenti ottenuti nei pochi mesi di attività del mental training.

L’applicazione delle strategie di mental training a uno sport così complesso come il motociclismo (la velocità elevatissima dei mezzi e la lotta in termini di centesimi di secondo per ottenere un podio sono solo un paio di caratteristiche evidenti), sembrano confermare dunque la loro capacità contributiva in termini di miglioramento della performance delle strategie cognitive suddette; ciò lascia uno spazio incoraggiante per studi maggiormente approfonditi sull’argomento, vista la rilevanza che assumerebbe la psicologia negli atleti di altissimo livello di questa disciplina, in un futuro che corre al pari dei loro potentissimi motoveicoli.

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BIBLIOGRAFIA

Le Lacrime del Clown: Ho smesso di piangere, di Veronica Pivetti – Recensione

 

Recensione: Ho smesso di piangere di Veronica Pivetti. Mondadori, 2012 

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Le lacrime del clown: ho smesso di piangere-recensione. - Immagine: copertina Ho smesso di piangereDurante la perlustrazione di una di quelle folcloristiche bancarelle di libri di una nota località marittima della Versilia, la mia attenzione è stata attirata dal libro di Veronica Pivetti, sorella di Irene, già Presidente della Camera dei Deputati del primo governo Berlusconi (e successivamente passata al giornalismo e alla conduzione televisiva).

Veronica Pivetti , di professione attrice brillante, con diversi ruoli soprattutto in serie televisive, racconta nel libro un lungo periodo oscuro durato circa sei anni e iniziato con la diagnosi di un malfunzionamento della tiroide.

Non è la prima volta che vengo incuriosito dalle autobiografie o dalle biografie di personaggi noti che entrano del tunnel della cosiddetta Cosa Brutta come la chiamava il compianto e geniale David Foster Wallace (2009). Precedentemente avevo letto La Partita più importante di Gianluca Pessotto (2008), di cui mi colpì la drammaticità e il valore simbolico del tentativo autolesivo (defenestrazione dalla sede della Juventus F.C., durante il Mondiale di calcio del 2006, poi vinto dall’Italia) e il miracoloso lieto fine della vicenda.

Mi aveva toccato molto anche la tremenda fine di Marco Pantani, un atleta in grado di emozionare fino all’esaltazione un’intera nazione, ma finito isolandosi in una solitudine paranoide favorita da un’inefficace tentativo autoterapeutico a base di stupefacenti e ben raccontata da Philippe Brunel (2008).

Da diversi anni si parla di biblioterapia (Floyd, 2003), cioè della lettura di libri o manuali di autoaiuto come potenziamento della psicoterapia o della terapia farmacologica

Molti clinici consigliano la lettura di libri ai propri pazienti affetti soprattutto da disturbi d’ansia o depressivi. A me è capitato ad esempio in ambulatorio un paio di volte di consigliare a persone affette da depressione la lettura di  E liberaci dal male oscuro di Cassano(Cassano e Zoli, 2003), dove una giornalista con precedenti di depressione intervista un luminare della psichiatria biologica. I consigli mirati possono in parte evitare la ricerca selvaggia di informazioni e storie nell’oceano del web, che spesso possono contenere informazioni errate. 

Recensione "I Territori dell'Incontro" di Coratti Lorenzini Scarinci Sagre.
Articolo Consigliato: Film e Psicoterapia. Recensione de “I Territori dell’Incontro”.

La Cosa Brutta non guarda in faccia nessuno: ricchi e poveri, anonimi e famosi, giovani e vecchi. Credo che chi abbia il coraggio di raccontare il proprio incontro con la Cosa Brutta lo faccia innanzi tutto per sé stesso con intento catartico, oltre che commerciale.

Un po’ di coraggio ci vuole perché come scrive la Pivetti “se sei un assassino ti accettano più facilmente che se sei depresso”, soprattutto nel mondo dello spettacolo, dove l’apparenza luminosa, il sorriso a trentasei denti sfoggiato forzatamente, il dinamismo a tutti i costi sono praticamente dei must (anche per questo il consumo di cocaina in questi ambienti non è così insolito).

Il depresso qualunque che vede che “anche i ricchi piangono” potrebbe sentirsi un po’ meno solo e forse anche meno sfigato, almeno per la durata della lettura del libro.

Veronica attribuisce nel libro una grande importanza all’origine biologica (distiroidismo) della propria depressione, parlando poco delle proprie relazioni affettive e degli aspetti intrapsichici (a parte una precisa descrizione dei sintomi depressivi). Accenna a un divorzio e sottolinea l’importanza del sostegno paziente e infaticabile dell’amica del cuore Gio e dei cani Harpo e Nyo. 

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Sicuramente non viene molto aiutata da una serie di incontri con medici sbagliati per diversi motivi, parte dei quali legati all’essere la paziente persona di successo. C’è il luminare che sente l’ansia da prestazione di fronte al paziente vip, c’è il medico vanesio attore mancato che racconta le sue esperienze teatrali ai tempi dell’Università invece di concentrarsi sui problemi della paziente, quello decisamente insensibile, che congeda la paziente dicendo “Mi raccomando continui a farci ridere!!!”. 

E poi spunta una psicoterapeuta un po’ new age che scioglie i nodi con delle manipolazioni (bioenergetica…?), consiglia di pensare alla propria vagina come a qualcosa di bello e che alla fine resta la presenza costante e rassicurante di fronte al vertiginoso turnover di medici. La sventurata Veronica sperimenta anche due psichiatri, la prima bocciata per mancanza di carisma e il secondo promosso, almeno all’inizio.

Accetta di assumere diverse terapie psicofarmacologiche, che poi si autosospende in modo graduale, per paura di dover dipendere dagli psicofarmaci a vita, paura diffusissima tra le persone depresse.Lo psichiatra ipotizza anche una forma di bipolarismo che lei rifiuta categoricamente.

Da psichiatra dovrei essere orripilato dall’autosospensione dei farmaci da parte di un paziente. In realtà, chiaramente nelle forme patologiche non troppo gravi, capita che sia il paziente a scegliere in modo un po’ anarcoide per quanto tempo assumere la terapia farmacologica, essendoci ancora poca chiarezza sui tempi precisi di assunzione degli antidepressivi. L’ideale sarebbe comunque che medico e paziente decidano insieme e che non si facciano le cose di nascosto. Un percorso lungo e difficile insomma, come quello di milioni di persone depresse. 

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Uno dei pregi del libro è l’autoironia con cui la Pivetti sdrammatizza sulla propria storia, come quando dice “Anche perché, è giusto dirlo, il depresso è un immenso rompicoglioni”, arrivando poi ad esprimere concetti clinicamente validissimi come “Il depresso è convinto che nessuno soffra quanto lui, e il guaio è che ha ragione. Su mille depressi ci sono mille sofferenze diverse e uniche al mondo, mille dolori indicibili e mille solitudini che nessuno potrà alleviare”. 

Condivido che “la persona depressa ha bisogno di cure, è innegabile. Ma ha anche bisogno dell’amore di chi le sta vicino, perché solo l’amore altrui ti dà la forza di non desiderare di morire”.

C’è il valore della sofferenza come strumento di conoscenza “Sì, la depressione era un ottimo motore di ricerca di me” e l’innegabile potere sanatorio del tempo. 

Il libro si conclude con la decisione di intraprendere un percorso psicanalitico da un affascinante terapeuta ottuagenario, visto per la prima volta in una trasmissione televisiva. Qualcuno ricorda qualcosa sul vecchio concetto di narcisismo

LEGGI TUTTE LE RECENSIONI DI STATE OF MIND

 

 

BIBLIOGRAFIA:

Primo Premio Italiano State of Mind per la Ricerca in Psicologia e Psicoterapia

Premio State of Mind 2012

Per la Ricerca in Psicologia e Psicoterapia

Premio State of Mind 2012 per la Ricerca in Psicologia e Psicoterapia -

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Leggi le Domande Ricorrenti riguardo al bando (FAQ)

State of Mind, il Giornale delle Scienze Psicologiche, in collaborazione con l’Istituto di Ricerca Studi Cognitivi, promuove nel 2012 la prima edizione del Premio Italiano per la Ricerca in Psichiatria, Psicologia e Psicoterapia.

L’iniziativa ha lo scopo di sostenere:

1. la ricerca scientifica in queste discipline;
2. la divulgazione di risultati scientifici rigorosi;
3. l’opera di giovani ricercatori del settore.

Sezione A − Junior

La Sezione Junior è dedicata a estratti di tesi di laurea magistrale che siano sperimentali e concluse entro gli ultimi tre anni (2010-2012) e da laureandi di età non superiore ai 30 anni.

Gli autori dovranno indicare nell’e-mail d’iscrizione: nome, cognome, indirizzo e numero telefonico per eventuali comunicazioni. I lavori inviati devono essere accompagnati da una lettera di presentazione ove l’autore dichiari se il manoscritto presentato sia inedito, in sottomissione, in stampa o già pubblicato su una rivista scientifica.

Il manoscritto deve riferirsi (o essere direttamente estratto) a tesi di laurea sperimentali condotte negli ultimi tre anni (2010-2012).

Gli articoli potranno essere in lingua italiana o inglese. L’autore partecipante potrà essere italiano o straniero, ma la ricerca deve essere stata condotta in Italia.

I temi inclusi nel concorso si riferiscono alle seguenti discipline: Psicologia Clinica, Psicoterapia, Psichiatria, Psicologia Sociale, Psicologia della Salute, Psicologia dello Sviluppo e Psicologia Generale.

La lunghezza degli articoli dovrà essere compresa tra le 2000-6000 battute (abstract e bibliografia escluse) e un massimo di tre allegati (tabelle e/o figure).

Gli articoli devono includere nell’ordine:

1. Titolo, autore/i e relative affiliazioni;
2. Abstract in italiano e inglese;
3. Cinque parole chiave;
4. Manoscritto contenente le seguenti sezioni: Introduzione, Metodo, Risultati e Discussione;
5. Le citazioni e i riferimenti bibliografici che dovranno essere redatti secondo le norme dell’American Psychological Association;
6. Tabelle e figure, nel numero massimo di tre in totale, che dovranno essere allegate al termine dell’articolo e numerate progressivamente con cifre arabe. Le immagini devono essere ad alta risoluzione e di dimensioni tali da consentire una buona leggibilità.

 

Sezione B − Senior

La Sezione Senior è dedicata ad articoli di ricerca pubblicati o in stampa (già accettati) nel 2011-2012 su riviste scientifiche peer-reviewed, italiane o straniere, dei relativi settori.

Gli articoli potranno riportare il nome di più autori, ma verrà accettato solo un autore come partecipante al concorso. Il primo autore non deve essere di età superiore ai 40 anni.

Gli autori dovranno indicare nell’e-mail d’iscrizione: nome e cognome, indirizzo e numero telefonico dell’autore partecipante per eventuali comunicazioni.

I lavori inviati devono essere accompagnati da una lettera di presentazione (in cui si specifica quale sia l’autore da considerare partecipante al concorso) ove l’autore dichiari se il manoscritto presentato è in stampa (già accettato) o già pubblicato su una rivista scientifica.

Il manoscritto deve riferirsi a ricerche pubblicate negli ultimi due anni (2011-2012) o già accettate e in stampa e dovrà essere allegato nella sua versione definitiva al momento dell’iscrizione.

L’accesso ai manoscritti sottomessi sarà ristretto ai soli membri della giuria incaricati di valutare i lavori in concorso.

Gli articoli potranno essere in lingua italiana o inglese. L’autore partecipante potrà essere italiano o straniero, ma la ricerca deve essere stata condotta in Italia.

I temi inclusi nel concorso si riferiscono alle seguenti discipline: Psicologia Clinica, Psicoterapia, Psichiatria, Psicologia Sociale, Psicologia della Salute, Psicologia dello Sviluppo e Psicologia Generale.

 

Invio

Per entrambe le sezioni (Junior e Senior), l’elaborato scientifico dovrà pervenire come allegato in formato word all’indirizzo e-mail:

[email protected]

entro e non oltre il 15 novembre 2012.

Per qualsiasi chiarimento o informazione è possibile contattare la segreteria scrivendo allo stesso indirizzo mail o chiamando il numero:

+39-347-3354424.

 

 

Giuria (o Comitato scientifico)

La giuria che eleggerà il vincitore sarà composta da: Nino Dazzi, Franco Del Corno, Ettore Favaretto, Marcello Gallucci, Vittorio Lingiardi, Giovanni M. Ruggiero e Sandra Sassaroli.

La giuria sceglierà il vincitore sulla base dei seguenti criteri:

1. la correttezza formale dell’elaborato;
2. l’originalità dei contenuti;
3. l’aggiornamento con la letteratura scientifica internazionale;
4. la correttezza metodologica e statistica;
5. l’impatto sulla conoscenza scientifica rispetto alla disciplina di riferimento.

L’operato della giuria è insindacabile.

 

 

Premi

Al vincitore della Sezione A (Junior) sarà assegnato un premio di 500 euro.

Al vincitore della Sezione B (Senior) sarà assegnato un premio di 800 euro.

 

 

Premiazione

La premiazione si terrà il 14 Dicembre 2012 a Milano, in occasione della conclusione degli esami di diploma della scuola di specializzazione in Psicoterapia Cognitiva Studi Cognitivi.

La classifica dei vincitori verrà pubblicata sul sito web di State of Mind (www.stateofmind.it) dalla settimana successiva alla premiazione.

 

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State of Mind, Il Giornale delle Scienze Psicologiche. ISSN 2280-3653 – Testata giornalistica. Registrazione al Tribunale di Milano n. 587 del 2-12-2011 – Direttore Responsabile: Giovanni Maria Ruggiero.

 

FAQ (Frequently Asked Questions)

1 Vorrei sottomettere un paper estratto dalla mia tesi di Dottorato, è possibile? 

SI, gli articoli derivati da tesi di Dottorato possono concorrere nella sezione SENIOR.

 

2 E’ possibile partecipare con più di un articolo? 

NO, ogni candidato al premio può partecipare solamente con un articolo e solo in una sezione (Junior o Senior).

 

3 Sono ammessi solo articoli sperimentali o si può sottomettere anche articoli di meta-analisi e review?

Sono ammessi gli articoli sperimentali e di meta-analisi. NON SONO AMMESSI articoli di review.

11 Settembre: Immagini violente & Impatto dei Traumi Collettivi

FLASH NEWS 

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– LEGGI GLI ARTICOLI DI STATE OF MIND SU “ESPERIENZE TRAUMATICHE” – 

– LEGGI ANCHE “PSYCHOLOGICAL/SOCIAL FACTORS ENHANCING POLITICAL RADICALISM” –

Secondo un nuovo studio della University California Irvine l’esposizione ripetuta a immagini violente – dagli attacchi terroristici dell’11 settembre alle fucilazioni della guerra in Iraq- porterebbe a un aumento di disturbi fisici e psicologici in soggetti adulti. Lo studio mette in luce gli effetti rilevantemente negativi dell’esposizione ripetuta a immagini violente di “traumi collettivi” quali calamità naturali, attacchi terroristici e scene di guerra.

Le persone che hanno guardato per più di quattro ore al giorno immagini violente  multimediali relative all’evento dell’11 settembre o al conflitto in Iraq nelle settimane successive a tali eventi hanno riportato sintomi sia da disturbo acuto da stress che da disturbo post-traumatico da stress nel corso dei mesi successivi.

Parimenti gli stessi individui hanno presentato significativi malesseri somatici dai due ai tre anni successivi all’esposizione ripetuta di tali immagini traumatiche.

Lo studio ha previsto un assessment della salute fisica e mentale dei soggetti prima degli eventi in questione, del livello di esposizione mediatica a tali immagini, dei sintomi di stress acuto immediatamente seguenti cosi come del disturbo post-traumatico da stress. Una fase di assessment di follow-up si è poi svolta a tre anni da tali eventi.

Quasi il 12 per cento dei 1322 partecipanti ha riferito un alto livello di stress acuto relativamente all’11 settembre, mentre circa il 7 per cento ha riferito elevati livelli di stress acuto legati alla guerra in Iraq. Soprattutto le persone che avevano visto ripetutamente per più di quattro ore cruente immagini violente televisive di tali eventi avevano più probabilità di presentare sintomi di stress acuto rispetto a coloro che ne avevano fruito in misura minore.

Secondo gli studiosi tali risultati suggeriscono che l’esposizione ripetuta a immagini violente multimediali potrebbe essere un importante meccanismo attraverso il quale si diffonde l’impatto dei traumi collettivi. La ricerca finanziata dalla National Science Foundation verrà pubblicata a breve su Psychological Science.

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

Psicoterapia: Il Disputing del Panico – I PARTE

 

LEGGI: INTRODUZIONE AL DISPUTING DEI DISTURBI D’ANSIA

Psicoterapia: Disputing panico prima parte. - Immagine: © ArTo - Fotolia.comCom’è noto, la caratteristica essenziale del Disturbo di Panico è la presenza di attacchi di panico ricorrenti, inaspettati, seguiti da almeno 1 mese di preoccupazione persistente di avere un altro Attacco di Panico, preoccupazione sulle possibili implicazioni o conseguenze degli Attacchi di Panico o un significativo cambiamento di comportamento correlato agli attacchi.

Ma cosa si intende per panico? Esso indica un periodo preciso di paura o disagio intensi, durante il quale quattro (o più) dei seguenti sintomi si sono sviluppati improvvisamente ed hanno raggiunto il picco nel giro di 10 minuti:

a) palpitazioni, cardiopalmo o tachicardia; b) sudorazione; c) tremori fini o a grandi scosse; d) dispnea o sensazione di soffocamento, sensazione di asfissia; e) dolore o fastidio al petto; f) nausea o disturbi addominali; g) sensazioni di sbandamento, di instabilità, di testa leggera o di svenimento; h) derealizzazione (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (essere distaccati da se stessi); i) paura di perdere il controllo o di impazzire; l) paura di morire; parestesie (sensazioni di torpore o di formicolio); m) brividi o vampate di calore.

I vari disturbi d’ansia mostrano forme differenti del cosiddetto pensiero negativo. Nel disturbo di panico la previsione negativa è collegata a sensazioni corporee di vario tipo, ma tutte in qualche modo collegate a un’esperienza terrorizzante di paura. È, appunto, il cosiddetto panico. 

Accertare le credenze centrali. - Immagine: © Olivier Le Moal - Fotolia.com
Articolo Consigliato: Psicoterapia: Accertare le credenze centrali

Il paziente con panico è, tendenzialmente, concentrato sull’esperienza di panico stessa. La connessione con la realtà esterna è scarsa. Non vi sono quindi disgrazie o sciagure esterne temute. Vi possono essere situazioni specifiche esterne temute, ma non perché intrinsecamente catastrofiche, ma perché associate dal soggetto al panico. Si tratta di luoghi dove, secondo il paziente, è più facile improvvisamente provare uno stato di panico per qualche ragione. Ad esempio, perché lì è avvenuta una precedente esperienza di panico. Un altro tipo di luoghi temuti sono i posti dove si è in uno stato di attesa obbligata o di costrizione. Per esempio, le file, le attese nei luoghi pubblici. Lo stato di costrizione rende il paziente vulnerabile, in quanto egli pensa di non avere possibilità di fuga se dovesse avere il panico. Fuga verso luoghi ritenuti più sicuri, come ad esempio casa.

L’individuo in preda al panico percepisce percezioni sgradevoli che egli catastrofizza ritenendole terrorizzanti in varie zone o funzioni del corpo: il cuore (palpitazioni, cardiopalmo, tachicardia, dolore o fastidio al petto), il respiro (dispnea, sensazione di soffocamento, sensazione di asfissia), i visceri addominali (nausea o disturbi addominali), la pelle (sudorazione), le membra (tremori fini o a grandi scosse, le parestesie, cioè le sensazioni di torpore o di formicolio) o l’intero corpo (brividi o vampate di calore) e poi, avvicinandoci a sensazioni sempre più puramente mentali, incontriamo ancora le parestesie, le sensazioni di sbandamento, di instabilità, di testa leggera o di svenimento fino ad arrivare alla derealizzazione (senso di irrealtà) o alla depersonalizzazione (sensazione di essere distaccati da sé stessi). E si conclude con quelle che ormai sono vere e proprie credenze cognitive di paura: la paura di perdere il controllo o di impazzire e la paura di morire.

In questo ventaglio di possibilità possiamo intuire che l’individuo soggetto al panico è, almeno apparentemente, poco introspettivo. È un individuo che sembra parlare e descriversi più in termini di sensazioni. Non ci sono emozioni in questa lista. Oppure si arriva direttamente a una paura molto semplice e primordiale: il timore di morire oppure quello più sofisticato di impazzire. 

Essendosi così focalizzato sugli stati interiori, il disputing del panico si focalizza a sua volta sugli stati interni, ovvero sul panico stesso. Con il paziente panicoso si ingaggia un disputing molto concentrato sulla reale gravità dell’esperienza di panico e sulla sua tollerabilità. Si può effettuare un lavoro anche sulla realtà esterna. Ma non si tratta di valutare quanto sia pericolosa una situazione, quanto piuttosto di ragionare insieme perché una certa situazione debba, in qualche modo, associarsi mentalmente alla possibilità di avere uno stato di panico.

Panic Attack - © Scanrail - Fotolia.com
Articolo Consigliato: Attacchi di Panico: Il Protocollo di Andrews

Il paziente in genere ha la convinzione di non avere alcun controllo deliberato sullo scatenamento del panico. Ma in realtà, facendolo riflettere attentamente sulla sequenza degli eventi mentali che precedono il panico è possibile renderlo consapevole di una finestra di controllo volontario in cui si inserisce una interpretazione catastrofica della situazione scatenante, interpretazione che può essere sottoposta a una ristrutturazione cognitiva

Il training attentivo si deve applicare anche agli atteggiamenti mentali del paziente che precedono il panico. È noto che il paziente panicoso è in uno stato di perenne ipervigilanza dei suoi stati corporei. Egli monitora continuamente le percezioni corporee, in particolare quelle provenienti dalla zona toracica e/o addominale. Zone che il paziente percepisce come vulnerabili. Ogni affanno del respiro, ogni battito cardiaco, ogni mal di pancia può essere interpretato come segnale di un possibile attacco di panico.

 

 LEGGI LA SECONDA PARTE DELL’ARTICOLO

 

BIBLIOGRAFIA:

EABCT 2012: Report sulle Iniziative e le Attività (Di Antonio Pinto)

Riceviamo e pubblichiamo una relazione di Antonio Pinto, membro del Board dell’EABCT (European Association for Behavioural and Cognitive Therapies) sul congresso appena concluso a Ginevra (EABCT 2012)

 

LEGGI TUTTI GLI ARTICOLI SU EABCT 2012

EABCT 2012 Genève

Il congresso è stato ricco di spunti e particolarmente interessante. L’idea dell’organizzatore, Lucio Bizzini, di sottolineare nel tema dominante l’importanza delle neuroscienze nel lavoro psicoterapeutico ha  determinato riscontri positivi sia in termini di iscritti al congresso  che di contributi scientifici presentati. L’integrazione tra le terapie standard e quelle di terza generazione ancora una volta ha destato notevole interesse, ma al contempo sono state gettate le basi anche per le terapie del futuro.

Ormai da diversi anni l’EABCT  sta diventando un luogo di incontro e di confronto sempre più aperto e multiculturale, sia da un punto di vista scientifico che sociale. Arrivano continue richieste di iscrizione e di adesione alla nostra associazione, da diverse parti del mondo, anche extra-europee. Segno evidente di rinnovato interesse che, soprattutto da alcuni anni a questa parte, l’EABCT sta suscitando, sia per i contenuti e le iniziative scientifiche che propone, sia per le sue caratteristiche di accoglienza ed ospitalità.

Le ultime a unirsi all’EABCT, di cui sono entrate a far parte come Full Memberships, sono state le Associazioni di Terapia cognitiva dell’Ucraina e del Montenegro, mentre hanno chiesto e ottenuto di diventare nostre Affiliate Members  le associazioni del Canada e del Marocco.

Notevole è lo sforzo che l’EABCT sta producendo sia in termini organizzativi  che scientifici, e il piano operativo (Activity Plan) diventa ogni anno sempre più ricco e impegnativo.

EABCT 2012 – State of Mind
Articolo Consigliato: Ultime impressioni dall’EABCT 2012: una Società che non è da Rottamare!

Oltre all’ordinaria gestione della vita societaria e congressuale, il Board in questi ultimi anni ha promosso una serie di iniziative ed attività:

1) grazie al monumentale lavoro svolto da alcuni colleghi, coordinati da Thomas Kalpakogku, sono state portate a termine le linee guida per l’accreditamento dei Training Standard, secondo parametri e linee guida comuni e condivisi;

2) è stata attivata una task force per la diffusione della terapia cognitiva e cognitivo-comportamentale (ovvero la CBT) in Africa. L’idea è quella di aiutare pazienti meno fortunati dei nostri a poter beneficiare degli stessi avanzati ed efficaci trattamenti di cui  possono usufruire i nostri  pazienti;

3) non solo in Africa, ma anche in altre regioni europee in cui la CBT è meno sviluppata, i membri dell’EABCT si stanno adoperando per aiutarle nell’organizzazione di training e percorsi formativi;

4) sono stati istituiti dei premi per i migliori poster presentati ai congressi;

5) è stata costituita una commissione per la valutazione della richiesta di fondi (di cui l’EABCT dispone grazie all’ottima gestione del passato congresso Mondiale di Barcellona) da destinarsi a progetti e/o iniziative varie provenienti da associazioni e/o gruppi appartenenti all’EABCT;

6) si sta costituendo uno Scientific Advisory Board con lo scopo di contribuire a fornire maggiore spessore scientifico all’Associazione e fornire un supporto ai locali  comitati scientifici organizzatori di congressi;

7) sono stati attivati dei gruppi di ricerca  scientifici internazionali, i SIG (Specialized Interest Group), per i quali mi sono personalmente adoperato, per cercare di spingere quanto più è possibile i nostri soci alla cooperazione ed al confronto.

Il primo a essere stato attivato è stato quello sull’OCD, che grazie all’ottimo lavoro organizzativo e coordinativo di Barbara Barcaccia, ha già realizzato due meeting regionali ad Assisi (nella prossima primavera si terra’ il terzo), e un simposio a Ginevra che ho avuto il piacere di coordinare e di presiedere; abbiamo da poco lanciato anche il SIG sui BIPOLAR  Disorders ed altri sono in fase di costituzione (Low Intensive Therapy, Depression, Psycosis, Trauma , Sex and couple Therapy).

 

EABCT 2012 – State of Mind
Articolo Consigliato: Segal all’ EABCT 2012: Neuroscienze e Mindfulness – Opening Lecture

Giovanni Ruggiero è in fase di start up per il SIG sul Worrying and Rumination. Ricordo a tutti che i SIG rappresentano una straordinaria opportunità per entrare a far parte di gruppi di lavoro internazionale all’interno dei quali apportare il proprio contributo e nei quali è possibile arricchirsi e preparare momenti di confronti, ricerca, e future cooperazioni.

LEGGI ARTICOLI SU: RIMUGIONIO E RUMINAZIONE

Ricordo inoltre che sono previste sessioni di meeting e di incontro in camere virtuali, all’interno di piattaforme telematiche che stiamo cercando di allestire. Invito pertanto tutti i Direttori di Scuole, Didatti, Trainers e affini a dare massima diffusione a questa iniziativa soprattutto tra gli studenti e persone più giovani e desiderose di sviluppare un maggior senso di appartenenza alla nostra associazione e che hanno bisogno di essere adeguatamente stimolati ed incuriositi. Pochi per esempio sanno  che se si iscrivono alla SITCC diventano automaticamente membri anche dell’EABCT.

8 ) Gestione di rapporti con altre associazioni;

9) Diffusione delle Newsletter;

10) Organizzazione di congressi che saranno: 2013: Marocco (Marraketch) (organizzato dall’EABCT stessa in mancanza di altri gruppi organizzatori); 2014: Olanda (L’Aia); 2015: Israele (Gerusalemme); 2016: Svezia (Stoccolma); 2019: collaborazione del Congresso Mondiale in Europa (Londra o Berlino).

I due congressi in Marocco ed Israele rappresentano quel tentativo a cui accennavo prima di allargare i nostri confini scientifici e non. Invito pertanto tutti a prenderli in seria considerazione al fine di una vostra partecipazione. Peraltro, soprattutto in Marocco, ci stiamo adoperando per mantenere i costi a livello più basso possibile, cercando di andare incontro alle esigenze dei giovani e dei nostri studenti.

Per ulteriori approfondimenti o chiarimenti non esitate a consultare il sito EABCT  o a contattarmi personalmente ([email protected]).

LEGGI TUTTI GLI ARTICOLI SU EABCT 2012

Disturbo d’ansia generalizzato: connessioni fronto-limbiche deboli

FLASH NEWS 

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze PsicologicheAncora una volta le neuroscienze tentano il loro colpo in ambito psicopatologico (LEGGI: EACBT 2012 – NEUROSCIENZE E PSICOPATOLOGIA).

Un nuovo studio di neuroimaging condotto presso l’ università di Wisconsin-Madison  dimostra che il cervello delle persone con disturbo d’ansia generalizzato (GAD) presenta connessioni più deboli  tra la corteccia cingolata anteriore e prefrontale e l’amigdala, suggerendo anomalie in termini di regolazione emotiva.

Il disturbo d’ansia generalizzato è caratterizzato da eccessiva e incontrollabile preoccupazione estesa a diversi domini della propria vita, e colpisce quasi il 6 per cento della popolazione.

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche
Articolo Consigliato: Alcool & Ansia: bere peggiora il Recupero Post-Traumatico

Nello specifico lo studio, che ha utilizzato tecniche neuroimaging DTI e fMRI, ha coinvolto 49 pazienti con GAD e 39 volontari sani. I risultati hanno mostrato che analizzando la materia bianca cerebrale rispetto ai soggetti sani, nei pazienti con diagnosi di disturbo d’ansia generalizzato l’amigdala (area essenziale del sistema limbico responsabile dei processi di regolazione emotiva) avrebbe connessioni più deboli con la corteccia cingolata anteriore e prefrontale (aree del sistema fronto-limbico): tale circuito definito uncinate fasciculus sarebbe quindi in qualche modo depotenziato, un po’ come fosse un muscolo che non viene allenato nei pazienti con disturbo d’ansia generalizzato, il tutto a sfavore di una sana regolazione emotiva.

Sarebbe oltremodo utile verificare a livello neuroscientifico l’effetto della psicoterapia  sulla funzionalità di tale circuito: veramente la psicoterapia agendo sui processi di regolazione emotiva può aiutare alla ricostituzione di tale fascio di connessioni associato a un miglioramento sintomatologico che consiste in una riduzione dei sintomi ansiosi?  

 

 

BIBLIOGRAFIA:

The Self Illusion: Siamo davvero solo un Ammasso di Atomi?

 

Di Elena Lucchetti e Francesca Fiore

Siamo davvero solo un ammasso di atomi?. - Immagine: © ~lonely~ - Fotolia.comSiamo un ammasso di atomi è il riassunto di quanto espresso nell’ultima opera di Bruce Hood, “The Self Illusion”, in cui tutto quelle che ci circonda è caratterizzato da un insieme di atomi, allora, anche noi siamo solo un “ammasso di atomi”? O c’è qualcosa di più? 

Se fermiamo una persona per la strada, ponendogli la domanda su come si percepisce, probabilmente risponderebbe che oltre al solo corpo vi è qualcos’altro di intangibile, evanescente, che può essere definito spirito, anima, essenza, identità: Sé.

Anche noi stessi, se dovessimo pensarci come fatti di sola materia, avremmo forse una sorta di rigetto a questa idea. Vi è, quindi, un istinto intrinseco nella natura umana a considerare ciascuno di noi come un’identità unica e di grande valore; provvisti di una dimensione più elevata rispetto all’elemento puramente materiale. Gli esseri viventi sembrano avere un’essenza che è un qualcosa di più della somma delle loro parti. Secondo Hood, questa è un’illusione.

Il problema è che l’immagine di sé è generata dalla mente, e la mente è generata dal cervello, e il cervello è solo un sacchetto di atomi, e gli atomi possono essere scambiati e riordinati, e forse, uno giorno, copiati. Quindi, il sé è solo un illusione dettata dalla forza di una insieme di parti fatte anche esse solo di atomi.

A questo punto mi sovviene alla mente la “teoria dei tre mondi” di Karl Popper che afferma l’esistenza di sottomondi ontologicamente distinti:

  1. Il Mondo fisico;
  2. Il Mondo degli stati mentali e delle esperienze soggettive;
  3. Il mondo delle idee in senso oggettivo, ossia il mondo degli oggetti possibili di pensiero (teorie scientifiche e le loro relazioni logiche).

LEGGI GLI ARTICOLI SU: PSICOLOGIA E FILOSOFIA

Senza addentrarci nella teoria e nelle speculazioni filosofiche, è possibile osservare come Popper abbia affiancato ad un mondo prettamente fisico, costituito da materia, ad altre due dimensioni che sono il prodotto della mente umana. Quindi, l’antimaterialismo popperiano si contrappone all’estremo atomismo espresso da Hood nel suo libro. Quindi siamo fatti di solo corpo o anche di altro?

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche
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Attualmente, ciò che più somiglia ad una “copia di cervelli” è rappresentata dai gemelli omozigoti.

Questi gemelli possiedono lo stesso corredo cromosomico, ovvero la stessa materia. Spesso, durante l’infanzia, i gemelli si percepiscono e vengono considerati dalle altre persone, come un’entità unica chiusa al mondo esterno.

Con l’inizio di un momento importante quale l’adolescenza, emerge per essi il fastidio di essere considerati una cosa sola e affiora lo stupore di capire che si ha un valore anche senza il doppio. Inizia, così, il lungo viaggio verso  la “degemellizzazione”.

Può capitare che questo percorso personale possa trasformarsi in una competizione e/o conflitto agguerrito, causato dal fatto di avere continuamente uno specchio con il quale paragonarsi.

Con questo esempio dei gemelli omozigoti appare chiaro come, pur avendo un substrato fisico estremamente simile, la necessità di differenziarsi e affermare un proprio Sé emerga in tutta la sua forza.

Tuttavia,  immaginando che tali gemelli siano dotati della stessa struttura fisica e  ipoteticamente che, fino ad un certo punto della loro vita, possano essere dotati di una uguale identità, è evidente come ciò non possa durare a lungo.

Infatti studi recenti, hanno dimostrato come il cervello umano mantenga una certa plasticità neuronale durante tutto il corso della vita. Questa capacità dei neuroni di modificarsi e riorganizzarsi continuamente è dovuta all’influenza del mondo esterno per rispondere a particolari esigenze motorie, sensoriali ma anche cognitive e affettive. Il Sé quindi comincerebbe, ancora una volta, a distinguersi e a manifestarsi nella sua peculiarità. 

Anche se il sé fosse solo un’illusione, come affermato da Bruce Hood, tale illusione sarebbe considerata come realtà individuale e quindi da prendere in considerazione da parte degli studiosi della psiche per poterci lavorare e dare, in alcuni casi, delle basi anatomiche, farmacologiche, per dare significato a quanto di più profondo esista.

 

 

BIBLIOGRAFIA:

Sindrome di Rebecca: quando la Ex Fidanzata diventa un Fantasma

 

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Sindrome di Rebecca: quando la ex diventa un fantasma. - Immagine: © iceteastock - Fotolia.comLa Sindrome di Rebecca e’ la gelosia per il passato sentimentale del partner e deriva il proprio nome dal celebre film di Alfred Hitchcock “Rebecca la prima moglie”, tratto a sua volta dall’omonimo romanzo di Daphne du Maurier.

In questa particolare configurazione emotiva, descritta accuratamente da Posadas (1988), prende forma un’autentica ossessione che si concentra sulle esperienze vissute dal partner nelle relazioni precedenti.

La persona affetta dalla Sindrome di Rebecca non tollera che vengano menzionati luoghi ed eventi che appartengono ai legami già vissuti e in generale viene travolta da un pensiero ricorrente in merito alla figura di chi l’ha preceduta, alle sue doti più brillanti, agli elementi che potrebbero aver reso speciale e ineguagliabile quel rapporto.

Il quadro peggiora se il partner, non comprendendo o sottovalutando la gravità del fenomeno, parla liberamente delle esperienze vissute in passato senza curarsi di ciò che potrebbe scatenare : il rimuginio dell’altro; d’altro canto la Sindrome di Rebecca agisce anche quando i riferimenti pericolosi vengono ridotti al minimo o sono semplicemente casuali: il pensiero ossessivo trascura i dati di realtà e si fonda su una carente lettura della mente dell’altro, al quale viene attribuita l’intenzione di ricordare il partner precedente in virtù di un legame affettivo che non si e’ mai sciolto.

Quando si verificano queste interazioni l’emozione prevalente e’ una rabbia profonda che gradualmente pregiudica la qualità della relazione, il dialogo fra i partner, la costruzione di un rapporto che sia in grado di collocarsi nel tempo presente integrando le diverse fasi di vita degli individui coinvolti.

"Gelosi tecno-patologici" - Immagine: © 2012 Costanza Prinetti -
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Se una precedente relazione si e’ poi distinta per uno o più aspetti rilevanti, ad esempio la nascita di un figlio, il superamento di difficoltà personali importanti, la condivisione di esperienze intense, la Sindrome di Rebecca si amplifica e diventa difficilmente gestibile; la figura del presunto rivale viene mitizzata e odiata, la sua immagine talmente distorta da diventare attiva nella relazione che si sta vivendo.

La causa principale di questa problematica può essere identificata in una rappresentazione di sé svalutata, che induce chi e’ affetto dalla Sindrome di Rebecca a ritenersi indegno dell’amore del partner, le cui attenzioni non sono mai sufficienti a consolidare un’autostima adeguata.

Il rivale del passato, che in alcuni casi si mostra ancora presente nella vita del partner ma il più delle volte e’ oggettivamente lontano ed escluso dalla prospettiva attuale, viene idealizzato e i suoi pregi messi a confronto con le presunte carenze del soggetto geloso; entrambe le rappresentazioni sono però influenzate dalla percezione di disvalore da cui si origina la Sindrome di Rebecca, che colpisce persone fortemente danneggiate nella capacità di sentirsi amabili.

Queste arrivano addirittura a desiderare il male per colui o colei che odiano, la sua rovina fisica, la sua sparizione, ma il nucleo centrale del problema può risolversi solo in psicoterapia poiché riguarda contenuti mentali ed emotivi che si strutturano anche in assenza dell’oggetto temuto: il sospetto che il partner sia comunque impegnato a ricordare esperienze affettive precedenti, che alcuni legami sentimentali siano ancora significativi nel suo vissuto intimo, non viene placato dalle rassicurazioni e dalle prove di fedeltà. L’autostima si mantiene vacillante e Rebecca, se non viene contrastata da un buon lavoro clinico, fa sentire la propria presenza.

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BIBLIOGRAFIA:

Sindrome Metabolica e Obesità: fonte di deficit cognitivi?

FLASH NEWS 

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

Secondo il Centers for Disease Control and Prevention (CDC), dai primi anni 1980 fino al 2000 i tassi di obesità tra i bambini e gli adolescenti negli Stati Uniti è quasi triplicato. Dal 2000 al 2006 è rimasto invariato.

Nel 2008 circa il 17% di tutti gli americani di età inferiore ai 18 anni erano obesi, mentre il 32% erano obesi o in sovrappeso.

Nel 2011 uno studio ha rivelato che quasi un terzo di tutti i bambini americani di età compresa tra 9-24 mesi erano in sovrappeso o obesi.

A fronte di questi dati la recente ricerca pubblicata dalla rivista Pediatrics appare particolarmente importante. Infatti secondo un team di ricercatori del New York University School of Medicine e del Nathan Kline Institute for Psychiatric Research i bambini obesi e con sindrome metabolica avrebbero maggiori probabilità, rispetto ai loro coetanei normopeso, di rimanere indietro in una serie di abilità cognitive.

La sindrome metabolica, considerata l’anticamera del diabete di tipo 2, è un insieme di condizioni di salute, tra cui la pressione alta (ipertensione), elevati livelli di glucosio nel sangue, obesità centrale (troppo grasso al girovita), i livelli di colesterolo anomali, e l’insulino-resistenza.

Disturbi del comportamento alimentare e impulsività. - Immagine: © Olivier Le Moal - Fotolia.com
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Studi precedenti avevano già dimostrato un legame tra sindrome metabolica negli adulti e nei deficit cognitivi, ma questo studio dimostra che la sindrome metabolica negli adolescenti è associata a problemi cognitivi ancora più gravi.

I ricercatori hanno messo a confronto 49 ragazzi con sindrome metabolica con 62 coetanei senza il disturbo. I risultati indicano chiaramente che i ragazzi con sindrome metabolica hanno riportato punteggi significativamente più bassi dei coetanei normopeso in: Aritmetica, Attenzione, Flessibilità mentale, Ortografia.

Inoltre sono stati riscontrati minori volumi di materia nell’ippocampo e minore integrità della sostanza bianca. L’ippocampo è una zona del cervello implicata nei processi di apprendimento, memoria e nella regolazione delle emozioni.

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Sulla base di questi risultati gli autori sostengono che l’obesità associata a disregolazione metabolica, che non ha ancora raggiunto un livello per una diagnosi di diabete di tipo 2, può essere responsabile di complicazioni cerebrali durante l’adolescenza; per questo motivo quando si pianifica il trattamento per l’obesità infantile precoce i medici dovrebbero includere terapie per migliorare la funzionalità cerebrale.

Sono necessari ulteriori studi per verificare le possibilità di ripristino delle funzioni cognitive perse e delle anomalie cerebrali strutturali nel caso in cui avvenga una perdita di peso.

 

 

BIBLIOGRAFIA:

Film e Psicoterapia. “I Territori dell’Incontro” – BOOKTRAILER.

 

State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche. - Psicologia, Psicoterapia, Psichiatria, Neuroscienze.CORATTI, B., LORENZINI, R., SCARINCI, A., SEGRE, A. (2012). TERRITORI DELL’INCONTRO. STRUMENTI PSICOTERAPEUTICI.

 

In anteprima per i nostri lettori: Alpes Editore e State of Mind presentano: 

 

Brunella CorattiRoberto Lorenzini, Antonio Scarinci, Anna Segre (2012)

I Territori dell’Incontro. Strumenti Psicoterapeutici.

 

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L’arte è un linguaggio universale in grado di veicolare contenuti e, soprattutto,emozioni. Tutto quanto fa parte dell’esperienza umana, compresa la follia, è stato descritto mirabilmente nella narrativa. Libri e film sono uno strumento utilissimo da utilizzare in terapia per guidare il paziente alla ricerca di sè stesso scoprendosi partecipe alle comuni vicende umane e sentendosi dunque meno solo. Anche nella formazione degli psicoterapeuti spesso la pagina di un libro o la sequenza di un film raccontano molto di più del mondo della sofferenza di lunghe lezioni frontali sui criteri del DSM-IV.

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Film e Psicoterapia. Recensione de “I Territori dell’Incontro”.

 

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Recensione "I Territori dell'Incontro" di Coratti, Lorenzini, Scarinci e Sagre.
Coratti, Lorenzini, Scarinci e Sagre (2012). "I territori dell'incontro". Alpes Editore.

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Il libro i “Territori dell’incontro“, in uscita in questi giorni per la casa editrice Alpes, scritto da Brunella Coratti, Roberto Lorenzini, Antonio Scarinci, Anna Segre, apre scenari molto interessanti alla terapia cognitiva. La dedica iniziale cita: “A tutti quelli che hanno scritto insieme a noi la sceneggiatura del film che stiamo interpretando”, e il libro parla proprio di questo, di un film o di un libro da leggere, ma in un contesto particolare che è quello terapeutico. Uno dei punti focali della terapia cognitiva, dopo l’iniziale comprensione del problema, consiste nell’assegnazione di homework, in cui è richiesto impegno e lavoro costante da parte del paziente per modificare le idee disfunzionali all’origine del disagio. Gli homework velocizzano il cambiamento incrementando le funzioni meta-cognitive del paziente, offrendo in questo modo una visione oggettiva della propria situazione clinica. Quindi, il lavoro da fare si estende oltre il tempo delle seduta, allo scopo di “esplorare le possibilità di cambiamento delle varie componenti del sistema”. Tra i tradizionali compiti da assegnare al paziente è possibile consigliare la lettura di un libro o la visione di un film. Naturalmente, contenuti e trame variano al variare del tipo di sofferenza presentata dal paziente. L’homework, di conseguenza, diventa parte fondamentale del percorso terapeutico perché stabilisce un continuum tra una seduta e l’altra.

Fornire al paziente libri da leggere e/o film da guardare è utile perché svolge:

1. Una funzione protesica della mente del paziente:

  • Aumenta la consapevolezza guardando il problema in terza persona;
  • Fa scoprire alternative di pensiero e di comportamento;
  • Permette di imparare per imitazione (modeling);
  • Falsifica credenze e decatastrofizza.

2. Una funzione di simulazione in cui un particolare evento (A) permette:

  • Di ricostruire sequenze problematiche (“B”=Pensieri, “C”=Emozioni e Comportamenti) (v. tecnica ABC);
  • Di esporre il paziente ad un livello intermedio tra immaginazione e realtà.

 

Autoterapia del delirio. - Immagine: © Lucian Milasan - Fotolia.com
Ebook Consigliato: "Autoterapia del Delirio" di Roberto Lorenzini.

In molti nella pratica clinica consigliano libri da leggere come coadiuvanti o supportivi alla terapia, mentre esiste una minore propensione all’uso di film. Si evidenzia in maniera molto netta la superiorità del film rispetto al libro, poiché le immagini permettono di evocare più facilmente sentimenti e emozioni. Infatti, il cinema, ripropone in modo creativo la realtà, ma utilizza l’immagine per rendere “con immediatezza simbolica la vita reale”. Questa modalità permette al paziente di diventare consapevole dei propri meccanismi patogeni, di intervenire sulle valutazioni e sulle interpretazioni, offrendo visioni alternative attraverso nuovi scenari, ovvero arrivare alla formazione di una realtà nuova e più adattiva.

Come avviene il processo di cambiamento con la lettura di un libro e la visione di un film?

Ovviamente, in tre tappe:

  • Diventare consapevoli del problema;
  • Prendere distanza critica da ciò che è necessario modificare;
  • Costruire un’alternativa.

 

Lo scopo finale è far diventare il paziente psicologo di se stesso, acquisendo una capacità di mastery tale da poter elaborare strategie di coping funzionali.

Storie di Terapie. Una Rubrica a cura del Dott. Roberto Lorenzini.
Leggi la Rubrica di State of Mind, a cura di Roberto Lorenzini.

Quindi, i film e i libri aiutano e velocizzano questo processo di cambiamento, perché offrono soluzioni immediatamente visibili al problema mostrato, senza doverci lavorare per molto tempo. Quindi, letteratura e cinematografia permettono la consapevolizzazione dei temi problematici e il distanziamento da essi, offrendo la possibilità di esporsi immaginariamente ad una situazione temuta, allargano i limiti individuali e mettendo in discussione bisogni, scopi, credenze, attraverso il campo dell’esperienza. Dunque, i libri e i film sono metafore, ricche di codici comunicativi, utilizzabili come i miti, le favole, i sogni per aiutare a capire meglio se stessi e le proprie esperienze di vita, oltre che per favorire il passaggio dalla situazione attuale a esperienze nuove. La metafora utilizzata è in realtà una struttura di pensiero, essenziale nell’organizzare l’esperienza: consente la costruzione di un linguaggio comune mobilizzando le risorse soggettive per superare le resistenze al cambiamento e la facilitazione dei processi di problem solving con minor carico mentale. Dulcis in fundo, nel libro è trattata a largo spettro la patologia mentale, dove per ogni sintomatologia si consigliano, con tanto di motivazioni in allegato, diversi libri e film.

Naturalmente è necessario identificare pazienti con cui è possibile usare tale tecnica. Per questo, come per ogni tecnica che si rispetti, è necessario discuterla e valutarla anticipatamente con il paziente, previa attivazione di un atteggiamento negativo che potrebbe minare l’alleanza terapeutica.

 

Non immaginare le cose come le giudica il prepotente o come egli vuole che tu le giudichi,

ma sappile vedere come effettivamente sono.

(Marco Aurelio, Pensieri, 166/79)

 

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BIBLIOGRAFIA:

Ultime impressioni dall’EABCT 2012: una Società che non è da Rottamare!

Giovanni M. Ruggiero e Sandra Sassaroli

Un bilancio finale sulla EABCT 2012 e sullo stato di salute del Cognitivismo Europeo

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EABCT 2012 GenèveQuesto congresso di Ginevra rappresentava una cartina di tornasole sullo stato delle terapie cognitivo comportamentali in Europa. L’ EABCT è una vecchia società, giunta al suo 42esimo congresso, che da sempre raduna in Europa partecipanti da tutti i continenti, il suo congresso per molto tempo è stato il più importante luogo d’incontro internazionale per i clinici e i ricercatori d’area. 

Ha avuto momenti trionfali, quando le terapie cognitivo-comportamentali, con la loro efficacia, sembravano spazzare via gli altri approcci e confrontarsi con forza con gli psichiatri e le ricerche di psicofarmacologia, con la sensazione che il nuovo paradigma fosse ineluttabile. 

Poi da Helsinki (2008) fino a Reykjavik (2011) si è vista una grande crisi. Avanzavano approcci diversi con i pazienti difficili, e molti ricercatori e clinici si sentivano sempre più stretti nel confronto con certe rigidità e chiusure dei protagonisti della seconda ondata di Salkovskis, Clark e Fairburn. La reazione di alcuni è stata quella di lasciare e formare una propria società. Così hanno fatto Hayes, Young e Wells. Ma non è detto che abbiano fatto bene. La scelta di trovarsi solo tra adepti dello stesso orientamento non ci sembra creativa in questa fase.

Noi temevamo, andando a Ginevra, di trovare una società sclerotica e poco aggiornata con le nuove ricerche nate dalle riflessioni cliniche di chi approccia pazienti difficili e non riesce a adattare i modelli della seconda ondata ai pazienti complessi. Ma gli organizzatori del congresso sono stati molto bravi. L’esperienza e l’intelligenza di Lucio Bizzini e del suo gruppo ha saputo radunare le nuove correnti e ha portato al congresso esperienze e ricerche nuove e molto, molto interessanti. Certo, mancava un’intera generazione. Non c’erano i “vecchi” protagonisti che hanno contribuito a portare il cognitivismo a essere leader del mondo, mancavano Clark, Hayes, Salkovskis e Wells. 

EABCT 2012 – State of Mind
Articolo consigliato: A pochi giorni dalla fine del congresso, un breve bilancio sui contributi del cognitivismo made in Italy al Congresso Annuale EABCT.

Ma gli stessi organizzatori (e noi con loro) sono rimasti basiti di fronte alla ricchezza dei contribuiti di tantissimi giovani e poco meno giovani che portano ricerche importanti spesso in aree del tutto innovative. 

Cosa sono le cose nuove? L’area di integrazione tra neuroscienze, neuropsicologia, imagery e psicoterapia (il tutto talvolta denominata audacemente neuropsicoterapia); le varie modalità di somministrazione della psicoterapia che affrontano le esigenze della modernità, come le Internet Based Psychotherapy (standard e individualizzata), la CBT a bassa intensità, ovvero adattata alla domanda clinica estensiva e non intensiva dei servizi pubblici, la prevenzione dei disturbi e applicazioni sociali delle tecniche CBT. La CBT insomma si adatta e lavora anche per formalizzare gli interventi con pazienti nuovi, gli anziani, i malati organici, i sex offenders

Ma ci ha colpito anche la presenza di nazioni che fino a pochi anni fa erano presenti solo come fruitori di formazione dai paesi anglosassoni, e oggi producono ricerca originale su vari temi, dall’attaccamento, alla mindfulness, all’integrazione tra terapia e neuroscienze. Abbiamo assistito a lavori scientifici provenienti dalla Serbia, dalla Lettonia, dalla Tunisia. La sensazione è di una grande vitalità e di un cambiamento in atto che non si può non guardare con interesse. L’Italia ha fatto la sua parte. In futuro forse la crisi della vecchia egemonia di seconda ondata potrà aprire a paesi di seconda linea la possibilità di essere ascoltati e di contribuire con ricerche originali al mainstream del cognitivismo.  

Chi è rimasto nelle EABCT ha chiaro che certi trionfalismi che vorrebbero mettere sotto un’unica etichetta tutta la creatività clinica e scientifica hanno (in parte) fallito o perlomeno non hanno potuto rispettare certe promesse eccessive e che ora l’assetto integrativo e curioso verso il nuovo, da qualunque parte esso arrivi, è la posizione scientifica migliore. Meno profeti e più clinici e scienziati. Una grande lezione di maturità della cultura clinica e scientifica europea.

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