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Psicoterapia: Il Disputing del Panico – II Parte

Il paziente non teme il panico solo in rapporto alle sue conseguenze, ma anche come evento in sé terrificante.

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 24 Set. 2012

Aggiornato il 22 Apr. 2013 10:38

 

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LEGGI: INTRODUZIONE AL DISPUTING DEI DISTURBI D’ANSIA

Psicoterapia: Il disputing del panico parte 2. - Immagine: © Stuart Miles - Fotolia.com

È importante comprendere come per il paziente il panico è un problema in sé. Il paziente non teme il panico solo in rapporto alle sue conseguenze (il panico come segnale di pazzia o di infarto) ma anche come evento in sé terrificante.

La ristrutturazione dell’evento del panico va fatta quindi in due direzioni. Una volta stabilito che il paziente teme il panico occorre ragionare su quanti episodi reali di panico sono avvenuti nella vita del paziente, quanto fossero realmente gravi e quanto realisticamente è davvero probabile che avvengano nuovi attacchi. Anzi per la precisione quanto è probabile che un malessere addominale (un mal di pancia) o un’oppressione al petto possano poi davvero portare a un episodio di panico –non hanno da subito ben chiaro che temono il panico.

LEGGI LA MONOGRAFIA DI STATE OF MIND SUL DISPUTING

Il paziente spesso sopravvaluta sia la gravità che la frequenza degli attacchi passati.

In realtà, più che panico si tratta di agorafobia, timore continuo e ansia anticipatoria di poter avere nuovi attacchi. In molti casi solo i primi episodi erano stati davvero di panico, gli altri erano più timori di poter andare incontro a un episodio di panico.

Secondo il DSM, per agorafobia si intende l’ansia relativa al trovarsi in luoghi o situazioni dai quali può essere difficile (o imbarazzante) allontanarsi, o nei quali può non essere disponibile aiuto in caso di attacco di panico o sintomi tipo panico (per es., paura di avere un attacco improvviso di vertigini o di diarrea).

Non si tratta proprio esattamente di ansia anticipatoria di un attacco di panico, ma è molto simile. Questo stato ansioso agorafobico determina tipicamente l’evitamento pervasivo di una varietà di situazioni che possono includere stare fuori casa da soli o stare a casa da soli; essere in mezzo alla folla; viaggiare in automobile, autobus, metropolitana, treno o aereoplano; oppure essere su un ponte o in ascensore.

Salkovskis- l’equazione dell’ansia nel disputing - Immagine: © lassedesignen - Fotolia.com
Articolo consigliato: Salkovskis- l’equazione dell’ansia nel disputing.

È vero che alcuni individui sono in grado di esporsi alle situazioni temute, ma le sopportano con considerevole paura e fatica.

Tuttavia spesso l’individuo è più capace di confrontarsi con una situazione temuta quando si trova con un accompagnatore.

 

Le domande raccomandate quindi sono:

Mi racconti la storia del suo disturbo

Parliamo del primo, primissimo episodio. Mi può raccontare in che circostanze avvenne? Dov’era? Era solo o in compagnia?Cosa stava facendo? Cosa provò? Quali furono le prime sensazioni? E che cosa pensò/le venne da pensare? E quando pensò che si trattava di qualcosa di grave? Quanto tempo passò tra le prime sensazioni sgradevoli e lo scatenamento pieno del panico? E cosa pensò tra le prime sensazioni e l’attacco completo?

Raccogliere in maniera dettagliata tutte le manifestazioni del panico è importante per poter stabilire davvero il livello di gravità dell’attacco. Usare la lista del DSM che elenca i vari aspetti fisiologici del panico è importante per poter stabilire se siamo davanti a un attacco di panico pieno o solo parziale.

Inoltre, accertare i pensieri è importante. In che momento avvenne la catastrofizzazione? È possibile che il paziente non avesse pensato davvero nulla e si sia trovato davanti a un panico non preceduto da alcun pensiero negativo? Ovviamente dal punto di vista del terapeuta, la risposta è no.

 Nel caso in cui siano presenti pensieri catastrofizzanti che presumibilmente hanno favorito l’interpretazione terribilizzante delle sensazioni corporee (“se ho mal di pancia avrò il panico” oppure “se ho oppressione al petto significa che sta arrivando un infarto”) è possibile lavorare su questi elementi alla Beck, cioè incoraggiando il paziente a ragionare in maniera più critica ed empiricamente fondata sulle sue interpretazioni terribilizzanti della realtà.

Siamo sicuri che un malessere di varia provenienza, toracica o addominale che sia, porti a un episodio di panico?

 

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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