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La notte dell’anima: il lato oscuro della meditazione

Sebbene esistano evidenze sugli effetti positivi della meditazione, negli ultimi anni la ricerca ha iniziato a portare alla luce alcuni possibili rischi

Di Silvia Bettoni, Silvia Carrara, Michela Di Gesù, Martina Gori, Giulia Onida, Matteo Zambianchi

Pubblicato il 07 Mag. 2024

Aggiornato il 15 Mag. 2024 10:23

Meditazione: una pratica positiva o negativa per la propria salute?

La meditazione viene spesso presentata come una sorta di panacea per tutti i mali: ma è davvero così? Già nel 1976, Arnold Lazarus scriveva “One man’s meat is another man’s poison” sottolineando che questa pratica, pur essendo utile per molte persone, poteva invece essere dannosa per altre.

La meditazione è spesso concepita come una pratica capace di curare universalmente tutte le sofferenze di coloro che si approcciano ad essa, motivo per cui vi è la credenza che apporti sempre e solo benefici a chiunque la pratichi. Non a caso, il centro statunitense Dhamma Pubbananda, specializzato nella meditazione, l’ha definita un “rimedio universale per mali universali” che permette una “liberazione totale da impurità e sofferenza” (Kortava, 2021). La meditazione, nonostante le sue antiche origini buddhiste, è riuscita ad integrarsi nella società e cultura americane odierne, tanto che il 14% della popolazione americana la pratica per migliorare il proprio benessere mentale, emotivo e fisico (Lindahl, 2017). Tuttavia, sebbene esistano evidenze sugli effetti positivi della meditazione, tra cui l’incremento delle emozioni positive e del benessere psicologico, nonché la riduzione dell’ansia e dello stress, negli ultimi decenni la ricerca ha iniziato a portare alla luce rischi ed effetti collaterali delle pratiche meditative, come depressione, agitazione e episodi schizofrenici (Lazarus, 1976). Grazie al lavoro di alcuni ricercatori sta iniziando a diffondersi la consapevolezza che la meditazione può rivelarsi una pratica benefica per alcuni soggetti e dannosa per altri, soprattutto per coloro che hanno una storia pregressa di problemi di salute mentale o condizioni psichiatriche non ancora emerse. Questo filone di ricerca tuttavia è ancora agli albori. 

I potenziali effetti avversi della meditazione: le ricerche di Willoughby Britton

Willoughby Britton, direttrice del Laboratorio di Neuroscienze Cliniche e Affettive della Brown University Medical School, ha dedicato la sua carriera allo studio dei potenziali effetti avversi della meditazione e delle pratiche contemplative. Appena laureata era lei stessa un’avida meditatrice; tuttavia, nel corso di uno studio sulla relazione tra meditazione e qualità del sonno – innovativo in quanto basato su dati di laboratorio, e non solamente sulle impressioni dei partecipanti – ha fatto una scoperta inaspettata: i soggetti che meditavano per più di 30 minuti al giorno si svegliavano più spesso durante la notte e avevano un sonno meno profondo, anche se dichiaravano di dormire meglio grazie a questa pratica (Britton et al., 2010).

I risultati di tale studio hanno portato Britton e il suo team a sottolineare come, fino a quel momento, la ricerca sulle pratiche contemplative si fosse concentrata quasi esclusivamente sui loro benefici, trascurando l’analisi dei possibili rischi ad esse associati. Ciò ha dato vita al “Varieties of Contemplative Experience Project”, un’indagine volta a documentare, comprendere e rendere pubbliche le testimonianze di coloro che hanno sperimentato effetti indesiderati in seguito alla meditazione, coinvolgendo insegnanti e praticanti – con diversi livelli di esperienza – di meditazione delle tradizioni Theravāda, Zen e Tibetana. I dati raccolti hanno permesso di fare luce su possibili fenomeni avversi, tra cui ansia, panico, flashback traumatici, allucinazioni visive e uditive e appiattimento affettivo (Lindahl et al., 2017).

L’accumularsi di queste evidenze ha condotto Britton alla fondazione di Cheetah House, un progetto che si pone la missione di fornire sostegno a coloro che hanno sperimentato problematiche legate alle pratiche contemplative (problematiche che, purtroppo, vengono spesso ignorate da altri professionisti) e di educare gli istruttori di meditazione sui potenziali effetti dannosi di tale pratica.

E la mindfulness? È dannosa o è semplicemente male interpretata?

Le pratiche contemplative promuovono la mindfulness, ovvero la capacità di stare nel momento presente senza tentare di modificarlo.

Oggigiorno la psicoterapia sta volgendo lo sguardo verso i “trattamenti di terza generazione”, il cui denominatore comune è proprio la mindfulness come punto cardine (Ruggiero, 2022).

Proprio come le pratiche contemplative, anche la mindfulness è stata “accusata” di causare malessere psicologico. Whippman (2016) sostiene che la società capitalistica in cui viviamo, specialmente attraverso gli enti governativi e aziendali, incentivi l’idea dell’uomo sano come di una macchina che non prova mai emozioni negative; se le provi non è perché il governo o l’azienda ti stanno facendo mancare qualcosa, ma perché non ti stai impegnando abbastanza per pensare positivamente. È qui che entra in gioco la mindfulness: essa infatti può aiutare a mantenere il pensiero focalizzato non solo sul momento presente, ma anche su una visione positiva della realtà. In termini concreti: ignora quello che non va e continua a produrre. 

Se però la mindfulness può avere questo riscontro dannoso, com’è possibile che la psicoterapia odierna la stia utilizzando come base per evolversi? Per rispondere a questa domanda bisognerebbe innanzitutto chiedersi se il mantenimento del pensiero positivo sia il reale obiettivo della mindfulness. La risposta è no.

Come anticipato, la mindfulness rappresenta la capacità di sentire e tollerare le emozioni, belle o brutte che siano. In altre parole: non ignorarle, ma accettarle. Accettare che qualcosa non va, è il primo passo per  promuovere un cambiamento. La mindfulness ci è utile anche durante questo processo: cambiare non è facile, è una sfida che può provocare ansia, frustrazione e tristezza. Esercitarci a gestire la nostra mente in modo mindful è la chiave per sopportare queste emozioni negative in vista di un bene superiore: il raggiungimento del nostro benessere (Linehan, 1993).

Mindfulness: un utilizzo consapevole

Per via della sua complessità, è bene fare attenzione alla distinzione tra l’idea di mindfulness propinata dalla società, ovvero una positività pervasiva volta a soffocare qualsiasi tipo di malessere in favore di efficienza e produttività, e quella su cui invece la psicoterapia odierna sta costruendo la propria evoluzione. È quindi consigliabile non sottoporsi a tale pratica arbitrariamente e invece affidarsi a figure competenti che valutino la possibilità di procedere compatibilmente con l’anamnesi presentata. La supervisione di un professionista garantisce inoltre la condivisione delle finalità della mindfulness e consente l’identificazione di un obiettivo funzionale e fondato, diminuendo la probabilità di avere effetti indesiderati.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Britton, W. B., Haynes, P. L., Fridel, K. W., & Bootzin, R. R. (2010). Polysomnographic and Subjective Profiles of Sleep Continuity Before and After Mindfulness-Based Cognitive Therapy in Partially Remitted Depression. Psychosomatic Medicine, 72(6), 539. 
  • Kortava, D. (2021). Lost in Thought: The psychological risks of meditation. Harper’s Magazine, April 2021. Retrieved April 19, 2024, here.
  • Lazarus, A. (1976). Multi-Modal Behavior Therapy. Springer.
  • Lindahl, J. R., Fisher, N. E., Cooper, D. J., Rosen, R. K., & Britton, W. B. (2017). The varieties of contemplative experience: A mixed-methods study of meditation-related challenges in Western Buddhists. PLOS ONE, 12(5), e0176239.
  • Linehan, M. M. (1993). Cognitive-behavioral treatment of borderline personality disorder. Guilford Press.
  • Ruggiero, G. M. (2022). La parola, il corpo e la macchina nella letteratura psicoterapeutica (1st ed.). Alpes Italia srl.
  • Whippman, R. (2016, November 26). Actually, Let’s Not Be in the Moment. The New York Times.
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