Il rischio di burnout tra gli operatori sanitari
Il tema della salute di chi cura è diventato attuale dalla metà del secolo scorso, anche se fin dall’antichità esiste il noto invito “medice, cura te ipsum” (medico cura te stesso) che troviamo anche nel Vangelo di Luca.
Da sempre le professioni di aiuto (o helping professions) sono sicuramente esposte a carichi lavorativi, emotivi e di stress importanti.
Il continuo contatto con la sofferenza dei pazienti, le responsabilità professionali elevate, la carenza di risorse, le problematiche organizzative e un’innata difficoltà a chiedere aiuto (proprio perché solitamente l’aiuto sono abituati a dispensarlo e non a riceverlo) sono alla base di una maggiore vulnerabilità in questa categoria. Tutti questi elementi determinano infatti un maggiore rischio di burnout lavorativo e maggiore probabilità di sviluppare patologie mediche e psichiatriche.
Una definizione di burnout
Il termine burnout (che in italiano si può tradurre con bruciato o esaurito) si riferisce a una sindrome legata allo stress lavorativo, concettualizzata negli anni 70 da Herbert Freudenberger (Freudenberger HJ, 1974). Successivamente Christina Maslach, ha contribuito a mettere a punto uno strumento per misurare il burnout, il Maslach burnout inventory (Maslach, 1993) e a identificare i tre stadi che lo caratterizzano:
- Esaurimento emotivo: un senso di fatica e di non riuscire più a dare niente a livello emotivo sul lavoro. Il lavoratore esausto psicologicamente teme il lavoro e non riesce a ingaggiarsi emotivamente o creativamente con il lavoro, i colleghi e i pazienti.
- Depersonalizzazione: può conseguire a una lunga fase di esaurimento, cui si aggiunge una componente negativa di cinismo o negatività verso gli altri (in particolare personale amministrativo o pazienti difficili). Comprende distacco dal lavoro e disinvestimento emotivo.
- Ridotta efficacia professionale: Può conseguire alle due fasi precedenti ed esitare in una ridotta efficacia professionale.
Le applicazioni della mindfulness
In un recente articolo sull’argomento, contenuto in un manuale di mindfulness pubblicato lo scorso anno, Coversano e Geminiani (2023) parlano anche di compassion fatigue riferendosi “all’insorgenza acuta di risposte fisiche ed emotive che culminano in una diminuzione dei sentimenti compassionevoli verso gli altri”.
Nel 2015 un’indagine della Mayo Clinic mostrava che il 50% dei medici era in burnout, soprattutto per gli orari di lavoro (Shanafelt et al., 2015).
Durante la pandemia di COVID-19 abbiamo assistito a un’impennata di casi di questa sindrome, che ha colpito il 40-60% del personale sanitario, con interessamento particolare delle terapie intensive, degli specializzandi e degli infermieri (La Salvia, 2021).
Diversi studi mostrano un’importante correlazione tra la sindrome del burnout e varie problematiche psichiatriche come la depressione, l’ansia, l’abuso di alcol e le condotte suicidarie, soprattutto in presenza di tratti di personalità come l’hopelessness (mancanza di speranza) e il perfezionismo (Wurm et al., 2016; Lebares et al., 2018; Pompili et al., 2010).
Il burnout può avere spesso come conseguenza il deterioramento delle relazioni personali e professionali, un’aumentata probabilità di esprimere il desiderio di lasciare il lavoro e si correla con esiti clinici peggiori e minore soddisfazione da parte dei pazienti (Contag et al., 2010; Antiel et al., 2013).
Tra le strategie che hanno mostrato maggiore efficacia per ridurre i livelli di burnout nel personale sanitario, gli interventi basati sulla mindfulness (MBI) hanno mostrato risultati molto incoraggianti.
Mindfulness è una parola inglese che significa consapevolezza e si riferisce a una serie di pratiche meditative, che derivano dalle tradizioni contemplative orientali, in particolare buddiste, in cui il praticante viene invitato a focalizzare volontariamente l’attenzione sul momento presente in modo non giudicante. Questo tipo di pratiche è stato introdotto nel mondo della medicina occidentale dal biologo americano John Kabat-Zinn (2003), che alla fine degli anni 70 mise a punto un protocollo per la riduzione dello stress chiamato Mindfulness Based Stress Reduction (MBSR). Il protocollo fu inizialmente somministrato in ambito ospedaliero a gruppi di pazienti affetti da dolore cronico con buoni risultati sulla riduzione del dolore, dell’ansia e sul benessere generale.
La mindfulness è stata definita come “La consapevolezza che emerge dal prestare attenzione volontariamente e in maniera non giudicante allo scorrere dell’esperienza momento dopo momento”.
Dopo Kabat-Zinn, molti altri ricercatori si sono occupati di studiare gli effetti della mindfulness, mettendo a punto vari protocolli utilizzati per la prevenzione delle ricadute dei disturbi depressivi (Mindfulness Based Cognitive Therapy- MBCT), per il trattamento dei disturbi alimentari, dei disturbi d’ansia, della fibromialgia, delle dipendenze e di molte altre condizioni mediche e psichiatriche (Hofman e Gomez, 2017; Shapero, 2018).
Gli interventi basati sulla mindfulness e le applicazioni al burnout
Gli interventi basati sulla mindfulness hanno mostrato di essere efficaci per ridurre lo stress e migliorare il benessere psicologico di chi cura e sono stati inseriti in diverse linee guida per la gestione del burnout lavorativo, tra cui le linee guida inglesi NICE (National Institute for Health and Care Excellence).
Una delle principali difficoltà nel proporre percorsi di mindfulness nell’ambito di ospedali e altri luoghi di cura è il riuscire a inserirli nell’ambito delle agende degli operatori, che spesso lavorano su turni, e che sono già molto piene. Sono stati studiati pertanto diversi tipi di programmi di formato variabile che possono andare dai 5 giorni intensivi, fino ai protocolli classici di otto settimane (in alcuni studi anche di quattro), proponibili anche online. Nessuno studio ha mostrato effetti negativi della pratica.
Esistono oltre 300 studi in letteratura che hanno utilizzato soprattutto protocolli MBSR e MBCT, ma ci sono studi con diversi interventi basati sulla mindfulness, tra cui uno specifico breve (7,5 ore) per il personale sanitario, denominato Mindfulness Based Self Care – MBSC (Ameli et al., 2020). Quest’ultimo protocollo prevede cinque incontri da un’ora e mezza in cui vengono proposte diverse pratiche come: body scan, consapevolezza del respiro, meditazione camminata, movimenti consapevoli, pasto consapevole, pratica di gentilezza amorevole (Metta).
Tra gli studi principali possiamo anche citare la vasta metanalisi di Regher et al. (2014) che ha mostrato una riduzione del 40% del burnout tra i medici grazie agli interventi basati sulla mindfulness.
Gli interventi basati sulla mindfulness si sono rivelati utili per ridurre lo stress percepito e i sintomi di ansia e depressione nei sanitari, migliorando diversi indici di salute e benessere psicologico come la qualità della vita, la soddisfazione per il proprio lavoro e la propria vita, con la riduzione delle preoccupazioni e delle emozioni negative e un incremento di quelle positive (Santamaria-Pelaez et al., 2021; Ameli et al., 2020).
Altri studi hanno rilevato la riduzione dello stress e un minor esaurimento emotivo, correlato ad un aumento dell’agire con consapevolezza e a una diminuzione degli atteggiamenti giudicanti e maggiore capacità di comprendere l’esperienza di malattia del paziente (Dobkin et al. 2016). Uno studio su un gruppo di medici di base olandesi ha mostrato maggiori benefici derivanti dal protocollo MBSR nel gruppo di sanitari che partivano da più alti livelli di esaurimento emotivo (Verweij et al., 2016).
È stato dimostrato un mantenimento dei risultati fino a 13 settimane (Ameli et al., 2020) per interventi più brevi, fino a 12 mesi per i protocolli più lunghi come l’MBSR (Cascales-Perez et al., 2021).
Nella maggior parte degli studi viene consigliata una pratica di almeno 10 minuti al giorno, mentre nei protocolli MBSR fino a 30-45 minuti.
La pratica regolare può aiutare ad essere più lucidi e sviluppare un senso di benevolenza verso sé e gli altri (self compassion), che può risultare utile nel processo di cura. Gli interventi basati sulla mindfulness agiscono stimolando un riallineamento della consapevolezza al presente così che gli individui possano avere più scelte riguardo al modo con cui si relazionano e rispondono alla loro esperienza soggettiva, piuttosto che reagire abitualmente con gli stessi schemi disadattivi, e questo favorisce la corretta gestione delle emozioni durante il lavoro.
Cosa resta da approfondire in tema mindfulness e burnout?
Vi è sicuramente la necessità di ulteriori studi di approfondimento per capire meglio su quali dimensioni agiscono gli interventi.
Un’ottima idea sarebbe anche quella di introdurre percorsi di consapevolezza già dall’università per acquisire precocemente le mindfulness skill per prevenire il burnout. Già William James (1890), uno dei padri della psicologia, sottolineava come migliorare l’attenzione di una mente distratta potesse avere grandi benefici nelle formazione degli studenti:
La facoltà di riportare indietro più e più volte un’attenzione vagante è la radice stessa della capacità di giudizio, del carattere e della volontà. Nessuno è padrone di sé se non la possiede. Un’istruzione che migliorasse questa facoltà sarebbe l’istruzione per eccellenza; ma è più facile dare una definizione di questo ideale che non istruzioni pratiche per realizzarlo.