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Perfect Days – Recensione del film di Wim Wenders

Il silenzioso e sorridente Hirayama, protagonista di Perfect Days, conduce un’esistenza semplice e frugale, ma con una grande consapevolezza

Di Gaspare Palmieri

Pubblicato il 07 Mar. 2024

“Perfect Days”

Perfect Days è l’ultimo capolavoro di Wim Wenders, regista tedesco quasi ottantenne che ci ha regalato film iconici negli anni 80 come Paris, Texas o Il cielo sopra Berlino, documentari leggendari come Buena Vista Social Club e persino alcuni videoclip musicali degli U2. 

Quest’opera all’inizio avrebbe dovuto essere un documentario sugli stilosi e avveniristici bagni pubblici di Tokyo (alcuni progettati da designer famosi), ma alla fine il regista ha optato per un film, il cui protagonista Hirayama lavora proprio come uomo delle pulizie di queste toilette. 

C’è il forte senso di “servizio” e di “bene comune” del Giappone. E poi c’è l’assoluta bellezza architettonica di questi bagni. Sono stato sorpreso da quanto i bagni possano essere un pezzo della cultura quotidiana e non solo una necessità quasi imbarazzante” ha commentato Wim Wenders, riferendosi a un setting sicuramente poco sfruttato dal punto di vista cinematografico, che però può assumere significati culturali interessanti. 

La trama di “Perfect Days”

Il silenzioso e sorridente Hirayama vive da solo e conduce un’esistenza semplice e frugale, caratterizzata da una ripetitività quasi ossessiva delle attività quotidiane, svolte però con una grande consapevolezza. Si sveglia all’alba, si lava i denti, prende un caffè in lattina da una macchinetta, prende il furgone, va al lavoro, rientra a casa, si lava ai bagni pubblici, cena in un noodle bar, legge un libro della propria fornita libreria e va a letto. Il week-end aggiunge alcune varianti come fare il bucato, comprare un libro sempre nella stessa piccola libreria, portare le foto a stampare, pranzare in un minuscolo ristorante. 

Per dirla alla John Kabat-Zinn, il padre della mindfulness, sembra che Hirayama non svolga queste attività con il pilota automatico, ma con una naturale consapevolezza, in cui mette al primo posto la cura per sé stesso, per gli altri e per l’ambiente in cui vive. 

Quando esce di casa al mattino la prima cosa che fa è guardare il cielo, (invece dello smartphone) connettendosi con il mondo circostante e trascorre la pausa pranzo a osservare i movimenti delle foglie degli alberi, a fotografarli con una fotocamera analogica e a cogliere piccole piantine, che poi rinvasa quando rientra a casa con grandissima e amorevole cura.

Alla fine del film il regista ci svela che ciò che osserva il protagonista tra gli alberi si chiama komorebi, il luccichio creato dalle foglie che ondeggiano al vento e che esiste una volta sola, in quel preciso momento presente. 

In Perfect Days pare abbastanza immediato il riferimento alle tradizioni contemplative orientali del Buddismo e dello Zen, alle pratiche informali della mindfulness, al “dai la cera-togli la cera” del Maestro Myagi di Karate Kid, fino alle famose parole del Maestro Thich Nhat Hanh che diceva “Quando ti metti in bocca un pezzo di frutta, l’unica cosa che ti serve è un po’ di consapevolezza per essere cosciente “Sto mettendomi in bocca un pezzo di mela”. L’attenzione alla ripetizione del gesto come allenamento costante sia fisico che mentale era già emerso nello splendido documentario Pina di Wim Wenders, che ha come protagonista la coreografa e ballerina tedesca Pina Bausch. 

Hirayama è un uomo abbastanza solo, ma non sembra soffrire di solitudine, anche perché è gentile e rispettoso con tutte le persone con cui viene a contatto e sembra che in questo venga quasi sempre ricambiato. 

Impariamo così a conoscere il giovane collega Takashi che da una parte lo considera il suo mentore e dall’altro approfitta della sua gentilezza, la venditrice di libri e la ristoratrice con cui scambia qualche battuta e la giovane nipote Niko (riferimento ai Velvet Underground?) che ospita per qualche giorno. Molto rispettosa e tenera allo stesso tempo l’ospitalità del protagonista verso quest’ultima, che è come se venisse a vivere la vita dello zio per qualche giorno, per trovare un po’ di pace e di riparo dai conflitti con i genitori. Avercelo uno zio così da cui ritirarsi per qualche giorno, almeno ogni tanto!

“Perfect Days” e l’approccio mindful di Hirayama

Il film ha volutamente un ritmo lento e sembra sollevare qualche velata critica nei confronti della velocità delle nostre vite. Oltre ad usare la fotocamera digitale, Hirayama ascolta infatti solo musicassette a nastro con i brani intramontabili degli anni 70 di Lou Reed, Patty Smith, Van Morrison e crede che Spotify sia un negozio pieno dischi e CD fisici. L’effetto poetico e nostalgico per chi ha vissuto la stagione delle musicassette risulta molto intenso, come emerge il contrasto generazionale con la nipote o l’amica del giovane collega su questo tema, che alla fine sembrano passare dalla parte di Hirayama, preferendo un libro cartaceo o una musicassetta all’immancabile smartphone. La colonna sonora è stratosferica e le canzoni evergreen rock-blues trovano una freschezza nuova nelle scene in cui vengono inserite, in certi momenti sembra davvero di ascoltarle per la prima volta, anche se le abbiamo cantate e ascoltate migliaia di volte.

La vita del protagonista sembra scandita solo da “perfect days” per la prima parte del film, in cui la perfezione pare appunto sentirsi appagati da quello che si ha e apprezzare le piccole cose della vita, ma poi emerge qualche ombra del passato, dai sogni in bianco e nero che fa ogni sera e dall’incontro con la sorella. Qui l’imperturbabile Hirayama si mostra più umano, più emotivo e il regista ci lascia immaginare come alcuni eventi difficili possano avere trasformato la vita del protagonista in questo minimalismo gentile. 

Il poetico incontro finale con l’ex marito della ristoratrice, di cui pare essere invaghito, sembra predirci anche qualcosa sul suo futuro, anche se non è così chiaro. 

Grazie alla fotografia, all’ambientazione così insolita e alla bravura degli attori, Perfect Days è un film molto riuscito perché ti porta a focalizzare l’attenzione sui particolari della realtà senza annoiare, ti tiene incollato allo schermo, anche se la trama è costituita da un susseguirsi di scene di ordinaria quotidianità. Hirayama è un personaggio a cui vuoi subito bene, per la saggezza e la delicatezza e che può essere di ispirazione per vivere più serenamente e pacificamente. La sua storia pare infatti un invito a semplificare le nostre vite, a capire quanto spesso il superfluo ci renda meno felici e a essere gentili tutte le volte che è possibile. Hirayama ci insegna anche il valore della cura e del prendersi cura: ha cura di sé e del proprio ambiente, esattamente come delle piante che innaffia ogni giorno e dei bagni che lustra con grandissima attenzione, come se fossero i suoi. 

La frase topica del film è la risposta data dal protagonista alla giovane nipote, quando fatica a godersi il presente e lo zio le ricorda sorridendo “Un’altra volta è un’altra volta, adesso è adesso”. Più mindful di così…

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