expand_lessAPRI WIDGET

Il contributo di Roberto Lorenzini al cognitivismo clinico

L’importanza del lascito culturale e morale di Roberto Lorenzini, una tra le principali figure di riferimento del cognitivismo clinico

Di Antonio Scarinci

Pubblicato il 31 Mar. 2023

Oggi ricorre il secondo anniversario della morte di Lorenzini, in questo articolo si ripercorrono le tappe principali del contributo teorico e clinico che Roberto Lorenzini ha sviluppato lungo l’arco di un quarantennio all’interno del movimento cognitivista.

Riassunto

 È riassunto il suo pensiero, i primi contributi in collaborazione con Sandra Sassaroli relativi all’inquadramento dei disturbi d’ansia che prefigura la svolta processuale, dei disturbi di personalità con il collegamento tra i pattern di attaccamento e la personalità attraverso la mediazione dello stile di conoscenza e della patologia grave riguardante principalmente la dimensione delirante, dimensione che, secondo l’autore, attraversa tutta la psicopatologia ed è presente anche nel pensiero comune.

Nell’excursus si ricapitolano altri contributi che riguardano la psicologia evolutiva “scopi-credenze”, la massimizzazione della capacità predittiva che presuppone, attraverso l’eliminazione degli errori, la gestione delle invalidazioni, la terapia modulare con il superamento dell’applicazione rigida dei protocolli per trattare processi e credenze presenti nei disturbi d’ansia con moduli d’intervento specifici, la formulazione del caso con l’importanza attribuita alla storia di vita del paziente e vari contributi su temi specifici.

Si sottolinea l’importanza del lascito culturale e morale di questo autore, recentemente scomparso, che ha fatto parte per lungo tempo del mainstream del cognitivismo clinico.

Il contesto culturale

Roberto Lorenzini, dopo aver conseguito la Laurea in Medicina e la specializzazione in Psichiatria, dal 1983 al 1986 frequentò il corso quadriennale di formazione alla psicoterapia cognitivo comportamentale della Società Italiana di Terapia Comportamentale e Cognitiva (SITCC) con Cesare De Silvestri, uno dei maggiori artefici della diffusione in Italia della Rational Emotive Behaviour Therapy (REBT). Entrò così a far parte di un gruppo di psichiatri romani, Francesco Mancini, Sandra Sassaroli e Antonio Semerari, che costituivano la scuola romana cognitivista, tra i cui esponenti di spicco vi erano Vittorio Guidano e Giovanni Liotti di una decina di anni più anziani degli altri. In quegli anni, dopo la prima diffusione del comportamentismo importato da Victor Meyer, si andava diffondendo la seconda ondata del cognitivismo sulla scia dei paradigmi di Aaron Beck e Albert Ellis con una vena di originalità, molto apprezzata a livello internazionale, illustrata in “Cognitive processes and emotional disorders: a structural approach to psychotherapy” che vinse il premio Guilford Press negli Stati Uniti come miglior volume di psicoterapia pubblicato nel 1983. Il libro di Guidano e Liotti ha rappresentato uno dei nuclei teorici da cui sono partiti i successivi sviluppi del cognitivismo italiano. Era presente lo sforzo di unire una dimensione strutturale-organizzativa ed evolutiva alla spiegazione della psicopatologia e una dimensione, forse meno marcata, integrativa e regolativa-processuale. Sicuramente, il contributo di Guidano e Liotti ha stimolato il dibattito e la riflessione sia a livello nazionale, sia a livello internazionale e favorito una temperie culturale in cui nasce la collaborazione stretta tra Roberto Lorenzini e Sandra Sassaroli, sua relatrice alla tesi di specializzazione in Psichiatria all’Università Cattolica Agostino Gemelli nel 1982, che produce il primo contributo rilevante, tradotto in più lingue, “La paura della paura” (Lorenzini e Sassaroli, 1987).

Nel 1983, il nostro, aveva iniziato a lavorare nel servizio pubblico con passione e dedizione verso quelli che chiamava “i matti veri”. Eravamo agli albori della Riforma Sanitaria (L. 833/78) e della Legge Basaglia (L. 180/78) che disegnava la chiusura degli Ospedali Psichiatrici e l’organizzazione di una psichiatria territoriale volta all’inclusione e alla riabilitazione dei malati, più attenta alla prevenzione e alla salute mentale che al controllo sociale. L’entusiasmo dei professionisti della salute mentale che si sono trovati a lavorare in psichiatria è stato l’elemento che più di ogni altro ha caratterizzato la prassi operativa in questo periodo storico.

Questo entusiasmo e la sua riconosciuta autorevolezza, qualche anno più tardi, portarono Lorenzini al vertice del Dipartimento di Salute Mentale della ASL di Viterbo, ma non essendo molto contiguo alle dinamiche di potere, sarà questo per lui un periodo molto stressante che culminerà con il primo episodio di malattia.

Al nostro piaceva sporcarsi le mani con quell’umanità traviata che percorreva traiettorie stigmatizzate. Nell’ultima parte della sua, purtroppo, breve vita raccolse molte storie di pazienti e terapie in alcuni libri (“Psicopatologia Generale”, 2010; “Storie di Terapie”, 2013; “Trame di Vita Intrecciate”, 2016; Scampoli, 2018), che traspirano tutta la sua abnegazione e il suo sense of humor, mai contrapposti a un rigore tecnico e a un’appropriata competenza con cui affrontava la psicopatologia, sempre con il massimo rispetto del malato.

Era arrivato al cognitivismo leggendo Matte Blanco, quella lettura era stata per lui una folgorazione, giacché la psicodinamica non l’aveva mai conquistato. Diceva spesso che era intrisa di spiegazioni ad hoc, qualsiasi interpretazione poteva essere plausibile, e lui, appassionato di epistemologia – era un cultore di Popper, ma conosceva bene anche Kuhn, Fayerabend e Lakatos –, non poteva accettare spiegazioni astruse, molte delle quali erano dal suo punto di vista incomprensibili. Per carità, massimo rispetto per Freud e i suoi epigoni per il ruolo storico svolto, ma lui, appassionato di matematica e logica, aveva una prospettiva meno soggettiva e romantica, più aperta all’autenticità dell’incontro che non doveva certo penalizzare le linee guida di trattamento validate empiricamente.

Il primo periodo: la collaborazione con Sandra Sassaroli

Ripartiamo, però, dal primo lavoro che suscitò un grande interesse, “La paura della paura: Riconoscere e curare le proprie fobie” edito da La Nuova Italia Scientifica nel 1987. Nel libro si mettevano in evidenza i circoli viziosi del panico in una prospettiva di costruttivismo realista. Infatti, Lorenzini e Sassaroli avevano all’epoca pubblicato diversi articoli su riviste nazionali e internazionali sulla teoria dei costrutti personali di George Kelly. I nostri sostenevano che “La sofferenza psicologica si verifica se, dopo una previsione o dopo molte previsioni errate, dopo che le ipotesi sulla realtà si dimostrano false, il sistema non riesce a integrare questa falsificazione, ma in diversi modi la ignora o la rifiuta o la disconosce” (Sassaroli e Lorenzini, 1987, p. 102). I riferimenti citati erano Karl Popper, Jean Piaget e George Kelly. Così la lettura errata dell’emozione che non è riconosciuta come tale, l’evitamento, il controllo, il rimuginio fanno si che” la paura della paura cresca e si innesti così il circolo vizioso che fa sperimentare al soggetto un’ansia sempre più crescente e un pericolo sempre più forte” (Sassaroli e Lorenzini, 1998, p. 76). Se vogliamo, possiamo riscontrare in questa impostazione i germi di un approccio processualista che si svilupperà nel mondo cognitivo-comportamentale molti anni dopo. Infatti, i due parlavano di stili di conoscenza piuttosto che di credenze sul sé, e questi concetti saranno sviluppati più tardi, soprattutto nel lavoro del 1995 su “Attaccamento, conoscenza e disturbi di personalità”. Come sostiene Giovanni Maria Ruggiero “preferendo la nozione funzionalista di stili di conoscenza a quella contenutistica di credenze sul sé, prefiguravano la svolta processuale” (Ruggiero, 2022, p. 189).

Il costruttivismo di Lorenzini e Sassaroli (1987, 1995) ha consentito anche di recuperare alcuni aspetti importanti trascurati dalla terapia cognitiva standard: il ruolo dei significati personali e della storia di vita all’interno della formulazione del caso clinico. Questa impostazione riprendeva una tradizione del comportamentismo (Meyer e Turkat 1979; Turkat, 1985) permettendo di condividere con il paziente il suo funzionamento e concordare gli obiettivi del trattamento e la gestione del processo terapeutico. In anni recenti il nostro ha avuto modo di illustrare un modello di formulazione del caso in cui l’evoluzione verso una psicologia “scopi-credenze” è ampiamente e dettagliatamente illustrata (Lorenzini et al., 2021).

Attaccamento, Conoscenza e Disturbi di Personalità

Tracciando le tappe principali di un’elaborazione teorico-concettuale sviluppatasi nell’arco di un quarantennio dobbiamo rilevare che il punto più alto della collaborazione tra Lorenzini e Sassaroli fu raggiunto con il volume “Attaccamento, conoscenza e disturbi di personalità” del 1995, nel quale i due autori mettono in relazione lo stile di conoscenza personale, la relazione d’attaccamento e le diverse caratteristiche stabili di personalità.

L’idea portante è la motivazione del comportamento degli esseri viventi volta alla costruzione di mappe sempre migliori di sé stessi e dell’ambiente. La costruzione della conoscenza che avviene per congetture e confutazioni, in quest’ottica, è fondamentale e dovrebbe portare alla massimizzazione della capacità predittiva che presuppone, attraverso l’eliminazione degli errori, la gestione delle invalidazioni. Così il sistema cognitivo si arricchisce utilizzando creatività e imitazione. Sono definiti quattro stili cognitivi: la ricerca attiva che esplora e allarga i confini della conoscenza; l’evitamento che restringe il campo e cerca di non incorrere in invalidazioni; l’immunizzazione che annulla gli effetti dell’invalidazione; l’ostilità che scredita la fonte dell’invalidazione.

La crescita della conoscenza è dovuta alla capacità di relazionarsi degli esseri umani, in primis con la figura d’attaccamento, anche se alcuni criteri epistemologici si stabilizzano ancor prima che si possa parlare di relazione d’attaccamento, e della nascita degli Internal Working Model per effetto della conoscenza innata concernente quattro domini: gli scopi, le percezioni, le azioni, le emozioni che determinano gli stati di benessere e di malessere e gli schemi d’azione che li riproducono.

Gli stili cognitivi sono comunque in relazione agli stili d’attaccamento: stile ricerca attiva/attaccamento sicuro; stile immunizzante/attaccamento insicuro-evitante; stile evitante/attaccamento insicuro-resistente; stile ostile/attaccamento disorganizzato. La personalità si articola sullo stile cognitivo e nei disturbi di personalità è particolarmente evidente. Esiste quindi una via che collega i pattern di attaccamento e la personalità attraverso la mediazione dello stile di conoscenza (Lorenzini e Sassaroli 1995, p. 8-10).

Anche l’approccio di questo libro in fondo è processualista perché non accetta una visione dei problemi dell’attaccamento come problemi di tipo deficitario o strutturale ma li colloca su modalità di apprendimento del rapporto con la realtà e della gestione delle emozioni.

Spunti molto interessanti che avrebbero avuto bisogno di una validazione empirica rispetto alla correlazione dei tre fattori, stile di attaccamento, stile di conoscenza e caratteristiche di personalità. Ultimamente Peter Fonagy e i suoi collaboratori (2019) stanno portando avanti uno studio su un fattore, definito epistemic trust (ET) che si riferisce alla fiducia nella conoscenza comunicata. Secondo l’autore la posizione epistemica svolge un ruolo importante nel minare l’adattamento e aumentare il rischio di sviluppo di problemi di salute mentale. Alcuni studi hanno rilevato che diversi stili di attaccamento sono associati a differenze di posizione epistemica (Campbell et al., 2021).

Per Fonagy l’epistemic trust rappresenta un elemento transdiagnostico, insieme all’apprendimento sociale e al miglioramento della mentalizzazione, importante per trattare qualsiasi tipo di psicopatologia. Questo concetto di fiducia epistemica ha molte analogie con gli stili di conoscenza di “Attaccamento, conoscenza e disturbi di personalità”. Le ricerche e gli studi empirici condotti dal suo gruppo sono ancora in una fase preliminare e sarà molto interessante seguirne gli sviluppi.

La terapia modulare e l’approccio “scopi-credenze”

Le strade di Sassaroli e Lorenzini iniziarono a divergere nel 2006, l’una imboccò decisamente il percorso del processualismo e dei modelli clinici formalizzati in protocolli, mentre l’altro, pur apprezzando gli interventi supportati empiricamente, rifuggì una modalità rigida di applicazione di procedure e tecniche e seguì linee guida flessibili e un modello di terapia modulare. Nel libro del 2000 “La mente prigioniera” questa differenziazione iniziò a manifestarsi. Il libro definiva un modello semplice e comprensibile con linee strategiche d’intervento per diversi disturbi, un modello che si era andato definendo negli anni di collaborazione e di lavoro clinico. Erano utilizzate categorie d’analisi che avevano suscitato l’interesse dei due da sempre: le credenze e i processi implicati nei disturbi d’ansia, la massimizzazione della capacità predittiva, il falsificazionismo popperiano, gli studi sull’attaccamento, l’approccio scopistico, gli insegnamenti della REBT, le teorie psicologiche naif. L’elaborazione successiva di questo lavoro pubblicata in “Psicoterapia cognitiva dell’ansia” (Lorenzini, Sassaroli e Ruggiero, 2006) presenta ancor più gli accenti di questa differenziazione. Infatti, è in questo volume che Sassaroli accenna per la prima volta al rimuginio e alla ruminazione e Lorenzini alla terapia modulare.

Le diagnosi non sono persone e le persone non sono le loro diagnosi” (Lorenzini, 2006, p. 371). Lorenzini espone la sua proposta di una terapia commisurata a ogni paziente che tenga in considerazione la sua specificità e complessità senza rinunciare al rigore scientifico, alla manualizzazione dell’intervento e alla valutazione dell’efficacia. Spinge verso un superamento dell’applicazione rigida dei protocolli per trattare processi e credenze presenti nei disturbi d’ansia con moduli d’intervento specifici. Quindi, non fa riferimento al trattamento completo applicando il protocollo per l’intero disturbo, ma applica nel tempo diversi moduli per i diversi aspetti specifici di malfunzionamento del paziente, “mini protocolli d’intervento trasversali ai vari disturbi che agiscono a livello molecolare piuttosto che molare del disturbo” (Lorenzini, 2006 p. 374).

La psicologia evoluzionistica, la teoria dell’attaccamento, la psicologia “scopi-credenze”, la terapia modulare, la psicopatologia come disfunzione del normale processo di crescita della conoscenza caratterizzerà ancora il lavoro di Lorenzini, che ha sempre manifestato una forte avversione verso regole assolute, categorie, protocolli, setting rigidi che vadano a intralciare “l’incontro tra due anime, fulcro vitale di ogni psicoterapia” (Lorenzini, 2020).

L’uomo è un agente cognitivo orientato da scopi e guidato da credenze. Le conoscenze orientano le scelte e incrementano la capacità predittiva.

 Le credenze guidano al raggiungimento degli scopi e se si articolano in teorie efficaci, migliorano l’adattamento. Se si rivelano inefficaci in un sistema ben funzionante sono modificate continuamente e ricorsivamente quando le emozioni forniscono informazioni sul posizionamento rispetto allo scopo perseguito, in modo da aggiustare le strategie e cambiare o abbandonare lo scopo stesso. Le invalidazioni producono l’accrescimento della conoscenza e un buon adattamento (Lorenzini, 2010).

Vedremo in seguito come partendo da questa concettualizzazione Lorenzini spiegherà anche la psicopatologia grave.

Il contributo alla sessuologia

Nel 1991 Lorenzini si era occupato di sessuologia con diversi articoli, e sempre in quegli anni registrò degli audiovisivi educativi condotti con Giorgia Della Giusta e pubblicò con Antonio Fenelli –con cui gestiva la Scuola di Sessuologia Clinica del Centro Italiano di Sessuologia– “Clinica delle disfunzioni sessuali” (Lorenzini e Fenelli, 1991), testo sull’approccio mansionale integrato che reinterpreta secondo una prospettiva cognitivo-costruttivista le tradizionali terapie sessuali d’impronta comportamentista. Il libro ha avuto numerose ristampe, l’ultima è del 2016. Lorenzini continuerà a svolgere formazione e attività clinica in quest’ambito durante tutta la sua carriera professionale.

La patologia grave e il delirio

Prima di muoversi su “convergenze parallele”, utilizzo questo ossimoro preso in prestito dal linguaggio politico della Prima repubblica poiché, in definitiva, una certa collaborazione c’è sempre stata tra Lorenzini e Sassaroli, il lavoro sul campo con i malati psichiatrici portò nel 1992 i due a concettualizzare la genesi e il mantenimento dei disturbi del pensiero: il delirio paranoico, la schizofrenia, le ossessioni. Prese la luce il volume “Cattivi Pensieri” (Lorenzini e Sassaroli, 1992) con la premessa di Mario Rossi Monti. I due colleghi e amici, mentre in macchina attraversavano l’Italia, ebbero all’improvviso l’idea di andare a scambiare qualche idea con il professore Rossi Monti di cui avevano letto. Il professore, quando vide sull’uscio questi due sconosciuti, li accolse un po’ sorpreso e davanti a una bottiglia di vino si confrontò ben volentieri constatando l’arguzia e la perspicacia dei suoi interlocutori.

Il tema di “Cattivi pensieri” è il senso profondo della follia che sgomenta l’interlocutore e la motivazione degli autori è quella di avvicinare un mondo da esplorare e comprendere.

La prospettiva epistemologica è la riduzione della capacità predittiva di un sistema cognitivo, è una posizione costruttivista non “argomentabile in termini di verità o falsità, quanto piuttosto di capacità euristica e di produrre teorie con alto contenuto empirico” (Lorenzini e Sassaroli, 1992, p. 15).

Anche in questo lavoro, come già in precedenza in altri, i processi di costruzione del mondo, del sé e degli altri partono dalla conoscenza e la psicopatologia si manifesta attraverso l’incapacità del sistema cognitivo di imparare dalle invalidazioni, la delusione di un’aspettativa, un errore previsionale, un’incongruenza tra ciò che ci si aspettava e ciò che è accaduto.

Le tre sindromi sono accomunate dal significato del sintomo “che appare come il tentativo di mantenere un minimo di previsionalità, costi quel che costi con una rinuncia alla verosimiglianza delle previsioni nel caso della paranoia; con la vaghezza e l’inconsistenza nel caso della schizofrenia; con il restringimento esasperato in una ristretta area del sistema nel caso delle ossessioni.” (Lorenzini e Sassaroli 1992, p. 15). In definitiva il sistema schizofrenico accomoda minacciando l’identità, il sistema paranoico ipertrofizza l’assimilazione e l’ossessivo mostra un funzionamento duplice nell’area sintomatica del sé e nell’area delle relazioni interpersonali.

Gli obiettivi strategici generali della terapia sono tracciati intorno alla costruzione di spiegazioni alternative che abbiano tre caratteristiche: spieghino quello che già spiegava il delirio; spieghino quello che il delirio non spiegava; che siano falsificabili e non falsificate, e allo sviluppo dell’ombra, nuove costruzioni ipotizzate applicate al sé per scoprire come esse consentano un adattamento migliore.

Anche il contributo sulla patologia grave si completerà anni più tardi, nel 2008, con la pubblicazione in collaborazione con la sua compagna di vita, Brunella Coratti, di “La dimensione delirante” (Coratti e Lorenzini, 2008).

Il contributo si pone in contrasto con la tradizione che considera il delirio incomprensibile, perché questa tesi produce un effetto paralizzante sugli sforzi terapeutici, abbraccia viceversa la tesi che sia psicologicamente comprensibile e radicato nella storia evolutiva del paziente che riceve un’invalidazione concernente gli schemi centrali della propria identità.

Si parla di dimensione perché attraversa tutta la psicopatologia ed è presente anche nel pensiero comune. I significati personali con cui ordiniamo la nostra esperienza diventano in alcune circostanze impermeabili al confronto, inattaccabili e la tendenza all’autoreferenzialità della conoscenza favorisce l’intuizione delirante che spiega tutto.

La crescita della conoscenza avviene solo e proprio nel momento dell’invalidazione altrimenti i meccanismi confermazionisti rafforzano le mappe già esistenti. I viventi temono la mancanza di previsionalità, una sorta di “horror vacui” per cui è meglio avere una brutta idea che non averne alcuna. In questa condizione si presenta l’umore predelirante con smarrimento e confusione. Di fronte ad una tale invalidazione inassimilabile, se gli schemi cognitivi non sono in grado di accomodarsi alla nuova sconosciuta prospettiva, saranno loro a imporre una loro verità privata manipolando i dati di realtà e rinunciando alla consensualità con gli altri e alla verosimiglianza pur di mantenere una residua comprensione del reale.

In sintesi, il delirio è in continuità con il pensiero normale ed è una potenzialità presente in tutti gli esseri umani, consistente nel rifugiarsi in un autoinganno quando non si hanno strumenti per comprendere e gestire la realtà che ci si presenta.

La stessa difficoltà di cambiamento la ritroviamo in tutta la psicopatologia senza che alcuni disturbi assumano una forma così pervasiva e massiccia.

Nella vita di tutti i giorni il confermazionismo spinge a trovare i dati a sostegno delle proprie convinzioni e ignorare selettivamente le disconferme. Insomma, si tenta in tutti i modi di aver ragione e si è tendenzialmente testardi nati. Quando un’invalidazione più consistente bussa alla porta e ci chiede di fare i conti con una realtà diversa dalle attese si usa l’autoinganno e si è bravissimi a raccontarsi favole autoconsolatorie per salvare la propria immagine o l’idea che si ha delle cose più importanti (Lorenzini e Sassaroli, 1992; Coratti e Lorenzini, 2008).

Il periodo seguente la malattia

Un evento importante nella vita di Lorenzini è stata la sua malattia, nel 2006 fu colpito da un ictus che ne minò la motricità, ma non la lucidità mentale. Non rappresentò per nulla un impedimento nel continuare a formare giovani psicoterapeuti, soprattutto delle scuole di Sandra Sassaroli e Francesco Mancini, a partecipare a congressi e seminari, a produrre ulteriori importanti contributi. Nel corso della degenza per la riabilitazione lo si trovava a correggere le bozze dei suoi libri.

Finita la convalescenza, nel 2010 cura “Errare umanum est” (Lorenzini e Scarinci, 2010) un testo sull’errore nella pratica psicoterapeutica in cui si sostiene che l’errore è ineludibile e lo si ritrova nei processi che danno origine alla psicopatologia e costantemente in agguato nell’operare degli psicoterapeuti. La tesi centrale è che, se accettato e utilizzato terapeuticamente, può portare a un cambiamento di ordine tale da rappresentare un’opportunità di progettazione del reale in termini più adattivi e di crescita personale del paziente e del terapeuta.

Nel 2012 pubblica “Territori dell’incontro. Strumenti di psicoterapia” (Coratti, Lorenzini, Scarinci e Segre, 2012) un volume in cui per ogni disturbo descritto si elencano una serie di film e libri utili in terapia e nella formazione degli allievi. Sono proposte linee guida e schede operative sulle tematiche e le patologie per la pratica clinica.

Nel 2013, vede la luce per Franco Angeli “Dal Malessere al benessere. Attraverso e oltre la psicoterapia” (Lorenzini e Scarinci, 2013) in cui è proposto un intervento che può collocarsi come un modulo di una più ampia psicoterapia, ma può interessare anche persone senza una specifica psicopatologia che vogliono migliorare la qualità della loro vita. L’obiettivo è quello di riappropriarsi di una pienezza esistenziale e per questo sono illustrate quelle che Lorenzini chiama “tribolazioni”, sofferenze che amareggiano l’esistenza senza esitare in una vera e propria patologia. Nel testo se ne descrivono i meccanismi comuni e alcune strategie di risoluzione. Di pari passo si prendono in considerazione il concetto di benessere e le sue determinanti, il bisogno di significato, la relazionalità correlati a una dimensione di trascendenza, consapevolezza e accettazione, indicando una proposta specifica finalizzata alla promozione di esso.

Nel 2015 l’attenzione è posta a una prima importante sistematizzazione del Disturbo di dismorfismo corporeo (Scarinci e Lorenzini, 2015) che manifesta una sintomatologia clinica al crocevia nosografico di diversi disturbi e con compromissioni nelle aree di vita molto importanti. Sono fornite indicazioni per la diagnosi e il trattamento secondo il modello cognitivo-comportamentale anche negli sviluppi di terza ondata. Una parte innovativa riguarda il trattamento di soggetti in cui l’insight è assente, con una serie di tecniche e procedure che Lorenzini mette a punto per i pazienti con delirio.

La formazione degli psicoterapeuti

Per lunghi anni il nostro si è occupato di formazione in diversi contesti, definendo anche linee guida didattiche per le scuole di specializzazione in psicoterapia.

L’esperienza pluriennale nel campo della didattica e della formazione è compendiata in un contributo molto originale e creativo che propone come gioco, “Psychogame” (Lorenzini, 2018), con una prima parte teorica sul fare psicoterapia e una seconda parte pratica in cui è illustrato il gioco dell’intervisione, una specie di gioco da tavola con lo scopo di allenare al ragionamento clinico.

D’altra parte la creatività, l’originalità e la genialità erano caratteristiche che gli erano riconosciute da molti e sicuramente dal mainstream cognitivista.

È proprio nel libro “Ciottoli. Minute certezze e grandi dubbi che un vecchio terapeuta a fine corsa propone ai colleghi giovani” (Lorenzini, 2020) che raccoglie l’esperienza di tanti anni di lavoro sia nel pubblico, sia nel privato e con la sua generosità propone una serie di riflessioni sulla teoria e la prassi della psicoterapia. L’autore dichiaratamente si pone fuori dalla tendenza verso la protocollizzazione e la scelta d’interventi di Evidence Based Medicine e ribadisce la sua visione organica e unitaria della psicopatologia come disfunzione del normale processo di crescita della conoscenza. Nelle sue riflessioni, qualche volta ironiche e spesso dissacranti, non dobbiamo però vedere una sfida al metodo scientifico, anzi, risalta solo una profonda diffidenza per l’assoluto, per il fondamentalismo.

Lorenzini, popperiano da sempre, era pronto a rimettere in discussione ogni assunto, ogni teoria, pronto a confutare qualsiasi certezza, persino la sua fede religiosa, perché era aperto alla conoscenza e riteneva che questo fosse il metodo che consentiva di farla crescere.

Era, peraltro, anche pragmatico nell’affrontare la psicopatologia, si era imbattuto nel lavoro pubblico in situazioni concrete di disagio e marginalità che difficilmente potevano essere affrontate secondo canoni e procedure suggerite dai “testi sacri” della professione e le caratteristiche di questo suo approccio pragmatico sono state raccolte in un volume postumo “Piccole lezioni di pratica clinica” (Lorenzini e Coratti, 2022). Nelle conclusioni del volume, tra l’altro, sono svolte alcune riflessioni sulla funzione e il ruolo della psicoterapia nel più ampio contesto culturale e sociale, che hanno una certa similitudine rispetto alle riflessioni di Semerari (2022) relativamente alla visione dell’uomo e alla concezione del soggetto, influenzate dal contesto sociale e culturale, che emergono nelle teorie della relazione terapeutica dei vari orientamenti psicoterapeutici.

Lorenzini riafferma l’importanza dell’ascolto e della comprensione del modo con il quale il paziente ha costruito il suo equilibrio instabile e dolente senza avere la presunzione di offrirgli il “golden standard” della sanità mentale, “non c’è un solo modo sano e giusto di essere uomini…e la normalità non può essere commisurata ai valori della cultura weired e a una prospettiva che potremmo definire egocentrismo edonico“ (Lorenzini e Coratti, 2022, p. 105). Anche perché “la definizione di qualcosa che si presume essere nella realtà esterna a noi, si trascina appresso gli enormi problemi epistemologici sulla possibilità di una conoscenza oggettiva”. La fisica quantistica ci insegna che gli oggetti si manifestano solo nell’entrare in relazione e quindi “un matto da solo non esiste. Ci vuole qualcun’altro che non lo capisce e lo definisce tale” (Lorenzini e Coratti, 2022, p. 105).

In sostanza, “anche la scientificità non è una caratteristica assoluta, ma uno strumento” (Lorenzini e Coratti, 2022, p. 105). Ogni teoria, così come ogni psicoterapia, è destinata a essere superata da una teoria più omnicomprensiva in un processo evolutivo in cui l’errore e l’imperfezione sono il motore del cambiamento.

Le ultime opere

Prima di lasciare un grande vuoto con la sua morte Lorenzini ha dato vita ad altre due opere. Un volume curato in collaborazione con Mariapina Accardo, “Pestare i Piedi all’Anima” (Accardo, Lorenzini, 2020), un testo sull’offesa nelle relazioni significative con contributi di molti colleghi con i quali si confrontava assiduamente, Francesco Mancini, Nicola Petrocchi, Barbara Barcaccia, Cristiano Castelfranchi, Giuseppe Romano, Carlo Buonanno e altri. I temi presi in considerazione sono questioni cui Lorenzini aveva iniziato a strizzare l’occhio negli ultimi tempi. Aveva partecipato con molto interesse a un training sulla Compassion Therapy ad esempio, ma anche il perdono, e l’offesa, che com’è detto nella quarta di copertina del libro è un “prequel”, l’antefatto del perdono stesso, lo interessava molto. D’altra parte i temi del rispetto della dignità della persona per lui che aveva tanto combattuto contro lo stigma e aveva con tanta amorevolezza e gentilezza accolto tanti pazienti gravi, anche quando qualche volta lo avevano inseguito con intenzioni non proprio benevole fin sotto la sua abitazione, non gli potevano essere indifferenti.

L’ultimo contributo è un volume curato con Clarice Mezzaluna e Antonio Scarinci con la Prefazione di Antonio Semerari su “Orientamenti in psicoterapia cognitivo-comportamentale” (Scarinci, Lorenzini e Mezzaluna, 2020) che illustra i temi controversi su cui si sta dibattendo non solo in ambito cognitivista. Anche questo libro è stato scritto da Lorenzini insieme a tanti colleghi con cui intratteneva una interlocuzione continua, Sandra Sassaroli, Giovanni Maria Ruggiero, Gabriele Caselli, Marika Ferri, Valeria Valenti, Sofia Piccioni e altri con i quali ha discusso i problemi concernenti la concettualizzazione del caso, la relazione e l’alleanza terapeutica, l’utilizzo delle tecniche, la formazione degli allievi e la supervisione, l’integrazione tra approcci di prima, seconda e terza ondata, i problemi legati alla diagnosi categoriale o dimensionale, la preminenza da dare ai contenuti o ai processi, il rapporto tra terapie manualizzate e ragionamento clinico, i problemi della ricerca sull’efficacia e l’utilizzo dei farmaci.

Conclusioni

Riguardo ai temi sui quali mi sono soffermato, Lorenzini ha pubblicato anche numerosi articoli a livello nazionale e internazionale che approfondiscono le sue principali concettualizzazioni. Sicuramente nel tempo l’importanza del suo contributo, che spero di aver riassunto se non in modo esaustivo almeno avendo centrato sufficientemente gli aspetti preminenti, potrà essere messo maggiormente in evidenza.

In questi anni, i molti che hanno avuto l’onore e il piacere di collaborare con Roberto, hanno potuto apprezzare la sua fervida intelligenza, il suo umorismo, la sua competenza e perizia, ma soprattutto la sua costante disponibilità a mettere a disposizione di chiunque le sue conoscenze e la sua esperienza. Ha formato centinaia di psicoterapeuti che hanno appreso da lui, oltre alla teoria e alla pratica di cui era un formidabile e geniale maestro, la capacità di rispettare ogni persona con un sentimento di altruismo che lo portava a essere sempre disponibile soprattutto nei confronti di chi si trovava in una condizione di fragilità, angosciato da qualche problema e dal malessere che intratteneva.

Non credo sia un’esagerazione se dovessimo considerare la scomparsa di Lorenzini, insieme con quella quasi contemporanea di Giovanni Liotti, con il quale negli ultimi tempi aveva stretto un rapporto confidenziale e quasi intimo, una grande perdita umana e culturale per tutto il cognitivismo.

La speranza è che il suo lascito morale e culturale possa essere conservato e ancora sviluppato negli anni a venire dal movimento cognitivista.

 


Lorenzini è uno degli autori più letti e più amati di State of Mind, consigliamo la lettura delle sue rubriche e dei suoi articoli, testimonianza diretta dell’ironia, della professionalità e della genialità di Roberto. 

Le rubriche di Roberto Lorenzini:

Gli articoli più letti:

 

Si parla di:
Categorie
SCRITTO DA
Antonio Scarinci
Antonio Scarinci

Psicologo Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale

Tutti gli articoli
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Accardo, M., Lorenzini, R. (2020). Pestare i Piedi all’Anima. L’offesa nelle relazioni significative. Roma: Franco Angeli Editore.
  • Campbell C, Tanzer M, Saunders R, Booker T, Allison E, Li E, et al. (2021). Development and validation of a self-report measure of epistemic trust. PLoS ONE 16(4): e0250264. doi.org/10.1371/journal.pone.0250264).
  • Coratti, B., Lorenzini, R. (2008). La Dimensione Delirante. Psicoterapia cognitiva della follia.  Milano: Raffaello Cortina Editore.
  • Coratti, B., Lorenzini, R. Scarinci, A., Segre, A. (2012). Territori dell’incontro. Strumenti di psicoterapia. Roma: Alpes Italia Editore.
  • Luyten P., Allison E., Campbell C. (2019). Mentalizing, Epistemic Trust and the Phenomenology of Psychotherapy. Psychopathology, Vol. 52, N. 2 pp. 94–103. doi.org/10.1159/000501526 .
  • Giudano, V., Liotti, G. (1983). Cognitive Processes and Emotional Disorders: A structural Approach to Psycotherapy. New York: Guilford Press.
  • Lorenzini, R. (2010). Psicopatologia Generale. Cagliari: Davide Zedda Editore.
  • Lorenzini, R. (2013). Storie di Terapie.  Roma: Alpes Italia Editore.
  • Lorenzini, R. (2016). Trame di Vita Intrecciate. Pazienti e operatori della salute mentale.  Roma: Alpes Italia Editore.
  • Lorenzini, R. (2018). Psychogame. Fare psicoterapia con il gioco dell’intervisione. Roma: Alpes Italia Editore. Lorenzini, R. (2018). Scampoli. Non so se ho fatto la mia parte o se è lei che si è fatta me. Roma: Alpes Italia Editore.
  • Lorenzini, R. (2020). Ciottoli. Minute certezze e grandi dubbi che un vecchio terapeuta a fine corsa propone ai colleghi giovani. Roma: Alpes Italia Editore.
  • Lorenzini, R. (2021, 23 aprile). Il buffo decalogo del serio lavoro di psicoterapeuta. State of Mind. Il giornale delle scienze psicologiche. ID articolo 184442.
  • Lorenzini, R., Fenelli, A. (1991). Clinica delle disfunzioni sessuali. Roma: La nuova Italia Scientifica Editore.
  • Lorenzini, R., Sassaroli, S. (1987). La Paura della Paura: Riconoscere e Curare le Proprie Fobie. Roma: La Nuova Italia Scientifica Editore.
  • Lorenzini, R., Sassaroli, S. (1992). Cattivi Pensieri. I disturbi del pensiero schizofrenico, paranoico e ossessivo. Roma: La nuova Italia Scientifica Editore.
  • Lorenzini, R., Sassaroli, S. (1995). Attaccamento, Conoscenza e Disturbi di Personalità. Milano: Raffaello Cortina Editore.
  • Lorenzini, R., Sassaroli, S. (2000). La mente prigioniera. Strategie di terapia cognitiva. Milano: Raffaello Cortina Editore.
  • Lorenzini, R., Sassaroli, S. Ruggiero, G.M. (2006). Psicoterapia Cognitiva dell’Ansia. Rimuginio, controllo, evitamento.  Milano: Raffaello Cortina Editore.
  • Lorenzini, R., Scarinci, A. (2010). Errare Umanum Est. L’errore nella pratica psicoterapeutica. Roma: Alpes Italia Editore. Lorenzini, R., Scarinci, A. (2013). Dal malessere al benessere. Attraverso e oltre la psicoterapia. Roma: Franco Angeli Editore.
  • Lorenzini, R., Coratti, B. (2022). Piccole lezioni di pratica clinica. Roma: Alpes Italia Editore.
  • Meyer, V., Turkat. I.D. (1979). Behavioral analysis of clinical cases. Journal of Behavioral Assessment, 1, 259-270.
  • Ruggiero, G. M. (2022). La parola, il corpo e la macchina nella letteratura psicoterapeutica. Roma: Alpes Italia Editore.
  • Sassaroli, S, Lorenzini, R. (1998).  Paure e Fobie. Milano: Il Saggiatore Editore.
  • Scarinci, A., Lorenzini, R. (2015). Disturbo di dismorfismo corporeo. Assessment, diagnosi e trattamento. Trento: Erickson Editore.
  • Scarinci, A., Lorenzini, R., Mezzaluna, C. (2020). Orientamenti in psicoterapia cognitivo-comportamentale. Dalla formulazione del caso alla ricerca sull’efficacia. Roma: Franco Angeli Editore.
  • Semerari, A. (2022). La relazione terapeutica. Storia, teoria e problem. Bari: Editori Laterza.
  • Turkat, I. D. (1985). Behavioural case formulation. New York: Plenum.
CONSIGLIATO DALLA REDAZIONE
Lettera Aperta a Tutti i Matti. - Immagine: © ANK - Fotolia.com
Lettera Aperta a Tutti i Matti

Lettera aperta a tutti i matti: Carissimo compagno matto, svitato, lunatico, demente, scervellato, dopo trent’anni sento di scrivere...

ARTICOLI CORRELATI
Scienze Cognitive e Cognitivismo

Un approfondimento sulle Scienze Cognitive e sul Cognitivismo alla scoperta dei legami tra queste due campi

Congresso CBT-Italia 2022 a Firenze il racconto della seconda giornata
La seconda giornata del congresso CBT-Italia

Firenze, 5 novembre 2022. Report dalla seconda giornata del Congresso CBT-Italia. Tra workshop, simposi e interessanti confronti clinico-scientifici..

WordPress Ads
cancel