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COVID-19: La rivincita degli schizoevitanti

È sceso in campo un nuovo protagonista a modificare l’ambiente scavalcando in poche settimane la povera Greta e gli orsi bianchi timorosi di muoversi su lastre di ghiaccio sempre più sottili... il COVID-19

Di Roberto Lorenzini

Pubblicato il 13 Mar. 2020

Aggiornato il 27 Apr. 2020 15:26

“È timido, tanto, tanto timido!!” ripeteva a mo’ di giustificazione la mia povera nonna che, titolare della mia educazione, riteneva di fare brutta figura per conto terzi a causa del mio scostante sottrarmi ai poliposi abbracci dei parenti, ai bavosi baci di vecchi odorosi di muffa e urina durante la via crucis di dodici stazioni, altrettanti parenti stretti quanto sconosciuti, che seguiva l’arrivo nel paese d’origine per le vacanze estive che allora si chiamavano “villeggiatura” e si intrecciava quasi senza soluzione di continuità con il giro inverso per i commiati che precedevano la partenza.

Il mio divincolarmi dalle strette affettuose accompagnate da gridolini di gioia dello sgradito interlocutore per una ritrovata vicinanza di cui non sentivo alcuna mancanza divenne più deciso e quasi aggressivo quando giunto alle soglie della pubertà, forse a motivo di qualche film, mi feci persuaso che fosse il bacio ad innescare il processo generativo di un figlio. Da allora misi a punto numerose tecniche per me anticoncezionali consistenti soprattutto in un rapido spostamento dell’asse cranico in modo che il bacio mancasse il bersaglio della guancia e finisse confusamente tra i capelli o su un orecchio dove, a mio avviso, perdeva gran parte della sua potenza procreativa.

Anche con mio padre credo di aver trascorso un’esistenza a contatto l’uno dell’altro con continui scambi di informazioni ininfluenti (comunicazioni di servizio) senza sapere niente io di lui ne lui di me a parte i fatti esteriori che accadevano come in tutte le vite. Credo, ad esempio, che fosse orgoglioso di me e riconoscente per avergli risparmiato imbarazzo quando in una prenatalizia domenica romana di inizio dicembre, sdraiati sul lettone matrimoniale con il sole che faceva danzare la polvere nell’aria in moti ascendenti, piccoli vortici e cascate discendenti di pulviscolo, mi mise al corrente che non era il nonno del paese ad essere stato male quanto piuttosto sua figlia, mia madre, ad essere morta quindici giorni prima.

Poi basta non se ne parlò più. Che altro c’era da dire?

Alle elementari e alle medie degli altri avevo paura e non credo fosse per il timore del giudizio ma semplicemente per un’irriducibile alterità, come se tutti avessero seguito un corso su come stare “normalmente” insieme, corso al quale io ero stato assente ingiustificato (forse perché preso con la strana vicenda di mia madre, mi dicevo sapendo che era solo una giustificazione ed il defekt molto precedente e profondamente iscritto nel mio stare al mondo). Guardavo gli altri con incredulità e invidia la facilità con cui si relazionavano come se avessero un copione comune ben collaudato da numerose prove. Un accordo segreto da cui io ero escluso e che mi convinsi progressivamente non mi interessasse con quella sprezzante superiorità mostrata dalla volpe nei confronti dell’uva.

Poi l’adolescenza con le sue esigenze ormonali mi spinse alla ricerca di compagne ma mai di compagnie tollerate solo perché indispensabili e strumentali all’incontro con l’altro sesso, allora scarsamente accessibile. La ricerca di un essere simile a me col quale stare insieme profondamente (perché di questo ne sentivo il bisogno) senza troppe manifestazioni di vicinanza ha impegnato un tempo lungo della mia vita e implicato numerosi fallimenti, illusioni fino all’incontro tardivo e insperato con Brunella, così unico e miracoloso da essere financo fecondo di stupenda progenie. La difficoltà paralizzante non si limitava però alle relazioni strette. In ogni ambiente giocavo una parte, un ruolo provato a casa magari davanti allo specchio. Ma anche quando la finzione di scena riscuoteva successo, non vedevo l’ora di struccarmi e ritornare dentro di me dove, si badi bene, non c’era assolutamente nulla se non una indefinita strisciante paura, ancora non saprei definire esattamente di che. E se ora assume la condivisibile forma della paura della morte, un tempo doveva piuttosto essere una inammissibile e vergognosa paura di vivere.

Ho sempre vissuto questa condizione come una diminutio. I veri uomini, pensavo, sono quelli che si danno grandi pacche sulle spalle, si strizzano le palle per salutarsi, sbattono rumorosamente le bottiglie di birra per brindare alla loro amicizia, ruttano cavernosamente e con la loro voce alta e il tono sicuro e definitorio orientano verso di loro tutti gli astanti. Maschi alfa in technicolor e dolby surround. Insomma i “compagnoni”, i “buontemponi”, gli “estroversi”, quelli “adatti ad ogni ambiente”, gli “animatori naturali”. Il vantaggio a essere così anche da un punto di vista evolutivo è evidente. Più relazioni, più amicizie e conoscenze, più storie affettive e, in conclusione più progenie. Con il risultato che il gene 41ipersoc, responsabile di tutto ciò una sequenza di 27 aminoacidi posta in coda al cromosoma 9 è andato proliferando divenendo la normalità statistica e auspicata al punto che, come ho scoperto molto più tardi a motivo del mio mestiere, chi non è così è considerato portatore di un disturbo. Il cosiddetto “disturbo evitante di personalità” se si fa fatica a stare con gli altri perché non si sa come farlo e si teme un giudizio negativo di goffagine (costoro perlomeno possono vantare, in tempi di buonismo, questo timore del giudizio altrui come prova di un interesse, per quanto celato e controproducente, nei confronti dell’altro) oppure, peggio, il cosiddetto “disturbo schizoide di personalità” in cui l’altro è semplicemente “ non pervenuto”, “insignificante” e ciò non provoca alcun dolore o carenza. Non c’è ed è normale che non ci sia, senza colpe né rimpianti.

Ma la storia dell’evoluzione naturale della specie con la lezione di Darwin ci ha insegnato che un comportamento non è buono o cattivo in sé ma lo è sempre relativamente ad un ambiente e alla pressione selettiva che questo esercita sul singolo individuo aumentando o diminuendo la sua fitness riproduttiva. Classico l’esempio della microcitemia che si è selezionata nelle zone malariche perché i piccoli globuli rossi che la caratterizzano sono resistenti a questa malattia. Ora da poco tempo è sceso in campo un nuovo protagonista a modificare l’ambiente scavalcando in poche settimane la povera Greta e gli orsi bianchi timorosi di muoversi su lastre di ghiaccio sempre più sottili, il COVID-19. Se non ci sarà qualche brillante ricercatore italiano che fuggito anni fa da un destino di precario portaborse e ora, guarda caso il cervello in fuga dove ha attecchito, al vertice del più importante laboratorio mondiale di ricerca sui vaccini che tiri fuori il coniglio dal cappello e ci cavi dai guai e, invece si lascerà lavorare in pace e a lungo il nuovo selettore, almeno il tempo di una generazione ma per sicurezza anche mezzo secolo, gli scenari cambieranno radicalmente. Le fosse comuni si riempiranno dei professionisti di aperitivi, apericene, vernissage, e party in genere. I fanatici delle rimpatriate varcheranno sottobraccio e a passo spedito le porte dell’Ade.  Le lunghe chiassose tavolate di amici brindanti a Natale, a capodanno, a un matrimonio o a un compleanno sprofonderanno nel buio silenzio dove si odono solo lamenti e stridore di denti.

Sul principio anche noi schizoevitanti saremo un po’ disorientati. Da chi nascondersi ora? Da chi fuggire? Quale pace ricercare ora che tutto è in pace e il chiasso non è che un’eco lontana dei terribili passati “tempi allegri e spensierati”. Poi piano piano verremo fuori dai nostri rifugi anti-umani a prova di emozioni ormai inutili e, ancora schiavi di qualche tardivo spruzzo ormonale torneremo ad accoppiarci, magari sempre con la testa voltata a evitare il bacio e qualche parola intima nell’orecchio. La rimonta riproduttiva sarà implacabile e rigorosamente condotta dalla posizione a tergo mentre l’oscenamente intima posizione vis a vis con gli occhi, specchi dell’anima, negli occhi, sarà bandita e giudicati sospetti i suoi cultori.

Così nel giro di tre o quattro generazioni (se fossimo rapidi come i batteri basterebbe un giorno) il gene 41ipersoc  batterà in ritirata e le nursery traboccheranno di compostissimi neonati appartati nelle loro culle a debita distanza gli uni dagli altri. Essere solitari, riservati, refrattari al contatto fisico e all’allegria da osteria o al savoir faire da occasione mondana sarà la norma e il modello da additare alle nuove generazioni e finalmente ad essere oggetto di diagnosi, che so potrebbe essere “disturbo appiccicoso o ciarliero di personalità”, oppure “intimismo parossistico” saranno quelli che abbiamo sempre invidiato. Perchè la verità si decide a maggioranza e adesso siamo saldamente noi.

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