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Cosa fa il nostro cervello quando non stiamo facendo niente?

Quali sono le aree cerebrali che si attivano quando ci rilassiamo o quando sogniamo ad occhi aperti? Scopriamo il Default Mode Network

Di Silvia Bettoni, Silvia Carrara, Michela Di Gesù, Martina Gori, Giulia Onida, Matteo Zambianchi

Pubblicato il 29 Apr. 2024

Aggiornato il 03 Mag. 2024 12:30

Un cervello a riposo è un cervello attivo: il Default Mode Network

Quando ci impegniamo attivamente in un compito, i neuroni che si trovano nelle regioni cerebrali necessarie per svolgerlo aumentano la loro attività elettrica. Quello che è più sorprendente è che il nostro cervello è attivo anche mentre ci troviamo in uno stato di veglia rilassata. Negli ultimi 20 anni sono infatti stati effettuati numerosi studi sul cosiddetto Default Mode Network, una rete costituita da aree cerebrali apparentemente non correlate, che si attivano quando non si è concentrati su un compito “esterno”. La sua scoperta ha aperto nuove prospettive sul funzionamento del cervello, incentivando la ricerca sul ruolo delle reti neurali nel modulare la propria esperienza interna. 

Cos’è il Default Mode Network?

Il Default Mode Network può essere definito come un insieme di aree cerebrali che interagiscono tra loro – in termini tecnici, una rete neurale – e che vengono generalmente attivate durante i momenti di riposo da attività specifiche. Tale rete neurale è distribuita in diverse regioni corticali e sottocorticali, che possono parzialmente variare da persona a persona, ma che nel complesso possono essere ricondotte ad alcune aree principali, quali l’ippocampo, il giro ippocampale, la corteccia prefrontale mediale, le regioni temporali laterali e parietali, e le cortecce posteriori mediali (Immordino-Yang et al., 2012).

Ciò che caratterizza una rete neurale è che le aree in essa coinvolte non agiscono in modo indipendente, ma interagiscono tra loro: è solo attraverso tale interazione che possono essere generati una serie di effetti, i quali si manifestano unicamente quando le diverse aree della rete neurale operano in sincronia. Più nello specifico, l’attivazione del Default Mode Network sembra essere associata al mind wandering, al ricordare esperienze passate, al pensare agli stati mentali altrui, all’immaginare il futuro e all’elaborare il linguaggio. A un primo sguardo, tali funzioni potrebbero apparire come una serie di abilità cognitive non correlate tra loro; tuttavia, Vinod Menon – direttore del Cognitive and Systems Neuroscience Laboratory di Stanford – ha recentemente ipotizzato che esse siano collegate in quanto utili alla costruzione di una propria narrativa interiore. In altre parole, il Default Mode Network aiuterebbe gli individui a riflettere su chi sono in relazione agli altri e a ricordare le esperienze passate, sintetizzando tali aspetti in una narrazione di sé coerente (Menon, 2023).

Com’è stato scoperto il Default Mode Network?

L’origine della scoperta del Default Mode Network risale alla fine del Novecento, periodo in cui ha iniziato ad essere possibile studiare e ottenere immagini accurate del cervello durante la performance di compiti grazie a tecniche di scanner cerebrale. Ciò che emergeva da questi primi studi è che, mentre l’attività di alcune aree cerebrali aumentava durante lo svolgimento di un’ampia gamma di compiti, al contempo l’attività neuronale di altre aree cerebrali diminuiva drasticamente, come se tali aree si disattivassero. Paradossalmente, sembrava che alcune aree fossero pensate per funzionare in assenza di attività da svolgere e per questo definite “task negative”.

Ulteriori studi hanno riportato che queste aree task negative ricoprono un ruolo importante nella mente a riposo. Infatti, quando veniva chiesto alle persone di chiudere gli occhi e lasciare vagare la mente, l’attività cerebrale proveniente dalle aree task negative registrava livelli più alti rispetto ad altre aree, motivo per cui in un primo momento venne chiamata “default mode of brain function”.

Solo nei primi anni Duemila si è iniziato a parlare propriamente di Default Mode Network, ovvero di una rete di regioni cerebrali task negative che interagiscono tra loro (Greicius et al., 2003).

Accenni alle ricerche sull’interazione tra reti neurali

Lucina Uddin, neuroscienziata presso la University of California di Los Angeles, è interessata all’interazione tra il Default Mode Network e il Salience Network, ovvero la funzione del nostro cervello di interrompere l’attività del Default Mode Network – e quindi lo stato mentale “rilassato” in cui permettiamo alla nostra mente di vagare tra pensieri piacevoli – per concentrarci su stimoli esterni che richiedono la nostra attenzione, come un telefono che squilla, un amico che ci comunica qualcosa o le lancette sull’orologio che ci avvisano che è il momento di recarsi al lavoro (Menon & Uddin, 2010). In altre parole: cosa fa il nostro cervello quando l’ambiente esterno ci obbliga a “tornare alla realtà”?

Vinod Menon ha invece ideato la “Triple Network Theory”, attraverso cui sostiene che un’interazione anormale tra il Default Mode Network, il Salience Network e il Frontoparietal Network – e cioè l’area legata all’attenzione, al problem-solving e alla memoria – possa contribuire allo sviluppo di alcuni disturbi mentali, quali schizofrenia, depressione, ansia, demenza e autismo

Investigare il modo in cui le reti neurali sono organizzate differentemente negli individui con disturbi mentali può essere vantaggioso per capire meglio la struttura e l’evoluzione dei disturbi in sé, e per facilitare l’organizzazione dei trattamenti (Menon, 2011).

La ricerca sul Default Mode Network: verso nuove prospettive

Nonostante l’attuale conoscenza del Default Mode Network debba ancora essere implementata in diversi punti, questa tematica ha suggerito ai neuroscienziati una nuova prospettiva: analizzare il cervello non più in termini di singole regioni che svolgono compiti a sé, ma di aree che, interagendo e influenzandosi a vicenda, cambiano ed evolvono insieme, come gli strumenti di un’orchestra che contribuiscono a creare una sinfonia perfetta. Infine, prendere in considerazione questa visione del funzionamento cerebrale ci ha portati a realizzare che il nostro cervello non si abbandona mai all’inattività ma anzi, lavora duramente anche per permetterci di sognare.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Greicius, M. D., Krasnow, B., Reiss, A. L., & Menon, V. (2003). Functional connectivity in the resting brain: A network analysis of the default mode hypothesis. Proceedings of the National Academy of Sciences, 100(1), 253–258. 
  • Immordino-Yang, M. H., Christodoulou, J. A., & Singh, V. (2012). Rest Is Not Idleness: Implications of the Brain’s Default Mode for Human Development and Education. Perspectives on Psychological Science, 7(4), 352–364. 
  • Menon, V. (2011). Large-scale brain networks and psychopathology: A unifying triple network model. Trends in Cognitive Sciences, 15(10), 483–506. 
  • Menon, V. (2023). 20 years of the default mode network: A review and synthesis. Neuron, 111(16), 2469–2487. 
  • Menon, V., & Uddin, L. Q. (2010). Saliency, switching, attention and control: A network model of insula function. Brain Structure and Function, 214(5), 655–667. 
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