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Autismo e disturbi dello spettro autistico

Autismo: i disturbi dello spettro autistico sono caratterizzati da deficit sociali ed emotivi, stereotipie e possibile disabilità intellettiva.

Aggiornato il 24 ago. 2023

Autismo: origine del termine

Il termine autismo, etimologicamente deriva dal greco αὐτός (autos) «stesso», ovvero «se stesso», termine coniato all’inizio del novecento dallo psichiatra psicodinamico svizzero Eugen Bleuler.

L’origine etimologica del termine rimanda chiaramente a quelle difficoltà comunicative e sociali e nell’attenzione condivisa che si riscontrano a diversi livelli e secondo modalità estremamente differenziate nei disturbi dello spettro autistico.

I primi ad occuparsi storicamente di autismo, come per molti disturbi se non altro per ragioni cronologiche, sono stati gli afferenti alla corrente psicodinamica.

I sintomi dell’autismo

L’autismo, o tecnicamente meglio definito come Disturbo dello Spettro Autistico (Autism Spectrum Disorder, ASD, APA 2013) implica diversi sintomi. Insorgendo nei primi anni di età è frequente che si utilizzi anche il termine autismo infantile. Qui di seguito si elencano i criteri diagnostici facendo riferimento al Diagnostic Statistic Manual 5 (DSM 5, 2013 ).

A. Deficit persistente nella comunicazione sociale e nell’interazione sociale in diversi contesti, non spiegabile attraverso un ritardo generalizzato dello sviluppo, e che si manifesti attraverso:

  • 1. Deficit nella reciprocità socio-emotiva: un approccio sociale anormale e difficoltà nella conversazione e/o un ridotto interesse nella condivisione degli interessi, delle emozioni e degli affetti e/o una mancanza di iniziativa nell’interazione sociale.
  • 2. Deficit nei comportamenti comunicativi non verbali usati per l’interazione sociale, che vanno da una povera integrazione della comunicazione verbale e non verbale, oppure un’anormalità nel contatto oculare e nel linguaggio del corpo, o deficit nella comprensione e nell’uso della comunicazione non verbale, fino alla totale mancanza di espressività facciale e gestualità.
  • 3. Deficit nello sviluppo e nel mantenimento di relazioni appropriate al livello di sviluppo (non comprese quelle con i genitori e caregiver): difficoltà nel regolare il comportamento rispetto ai diversi contesti sociali e/o difficoltà nella condivisione del gioco immaginativo e nel fare amicizie e/o apparente mancanza di interesse per le persone.

B. Comportamenti e/o interessi e/o attività ristrette e ripetitive come manifestato da almeno 2 dei seguenti punti:

  • 1. Linguaggio e/o movimenti motori e/o uso di oggetti, stereotipato e/o ripetitivo: come semplici stereotipie motorie, ecolalia, uso ripetitivo di oggetti, frasi idiosincratiche.
  • 2. Eccessiva aderenza alla routine, comportamenti verbali o non verbali riutilizzati e/o eccessiva resistenza ai cambiamenti (rituali motori, insistenza nel fare la stessa strada o mangiare lo stesso cibo quotidianamente, domande o discussioni incessanti o estremo stress a seguito di piccoli cambiamenti).
  • 3. Fissazione in interessi altamente ristretti con intensità o attenzione anomale: forte attaccamento o preoccupazione per oggetti inusuali, interessi eccessivamente perseveranti o circostanziati.
  • 4. Iper-reattività e/o Ipo-reattività agli stimoli sensoriali o interessi inusuali rispetto a certi aspetti dell’ambiente: apparente indifferenza al caldo/freddo/dolore, risposta avversa a suoni o tessuti specifici, eccessivo odorare o toccare gli oggetti, fascinazione verso luci o oggetti in movimento.

C. I sintomi devono essere presenti nella prima infanzia (ma possono non diventare completamente manifesti finché la domanda sociale non eccede il limite delle capacità).

D. L’insieme dei sintomi deve compromettere il funzionamento quotidiano.

E. Queste alterazioni non sono meglio spiegate da disabilità intellettiva o da ritardo globale dello sviluppo. La disabilità intellettiva e il disturbo dello spettro dell’autismo spesso sono presenti in concomitanza.

La diagnosi di Disturbi dello Spettro Autistico secondo il DSM-5 include sotto questa etichetta diagnostica il Disturbo Autistico (autismo), la Sindrome di Asperger, il Disturbo disintegrativo dell’infanzia, e Disturbi pervasivi dello sviluppo non altrimenti specificati.

Il disturbo dello spettro autistico viene diagnosticato quattro volte di più nei maschi rispetto alle femmine. Nella pratica clinica le femmine tendono ad avere una maggiore probabilità di mostrare associazione a disabilità intellettiva, suggerendo che il disturbo nelle femmine senza compromissioni intellettive concomitanti con o senza ritardi del linguaggio può non essere riconosciuto, forse a causa della più tenue manifestazione delle difficoltà sociali e di comunicazione (DSM 5, 2013).

Che cosa è l’autismo

Come anticipato, i primi ad occuparsi storicamente di autismo, come per molti disturbi se non altro per ragioni cronologiche, sono stati gli afferenti alla corrente psicodinamica.

In seguito Kanner adottò ufficialmente il termine ‘autismo precoce infantile‘ per indicare una specifica sindrome osservata in 11 bambini che manifestavano alcune caratteristiche peculiari. Kanner descrisse questi suoi pazienti come tendenti all’isolamento e poco reattivi in ambito relazionale. Alcuni di essi apparivano funzionalmente muti o con linguaggio ecolalico, altri mostravano una caratteristica inversione pronominale. Molti di questi pazienti avevano una paura ossessiva che avvenisse qualche cambiamento nell’ambiente circostante, mentre altri presentavano specifiche abilità isolate incredibilmente sviluppate accanto però ad un ritardo generale dello sviluppo.

Nell’ambito dell’approccio psicodinamico Bettelheim (1990) sostenne l’ipotesi secondo cui il bambino, percependo nella madre un desiderio reale o immaginario di annullamento nei suoi confronti, svilupperebbe il disturbo dello spettro autistico come meccanismo di difesa. Dopo gli anni ’60 questo modello psicodinamico è stato però sempre più accusato di colpevolizzare ingiustamente i genitori dei bambini con autismo, e sempre meno accreditato a livello scientifico. I genitori dei bambini con autismo infatti, non mostravano tratti patologici o di personalità significativamente diversi dai genitori di bambini non affetti da autismo. Fu B. Rimland, direttore dell’Autism Research Institute di San Diego, il primo a sostenere in modo sistematico che la causa dell’autismo non fossero i genitori, ma che il disturbo avesse basi biologiche.

Ad oggi le vecchie teorie psicodinamiche che imputavano le cause dell’autismo a carenze materne sono completamente screditate in letteratura e considerate prive di fondamento scientifico.

Per capire che cosa è l’autismo, oltre a un elenco di sintomi e criteri diagnostici (per quanto essenziali in ambito clinico), è utile capire come oggi le principali correnti teoriche ed empiriche concettualizzano i disturbi dello Spettro Autistico e quali aspetti ne prendono in considerazione. Secondo diversi studiosi internazionali, quando parliamo di Disturbi dello Spettro Autistico dobbiamo collocarci secondo un asse di neurotipicità – neurodiversità. Questo significa considerare gli individui con disturbi dello spettro autistico come soggetti caratterizzati soprattutto da un diverso modo di percepire la realtà che ne condiziona il comportamento e le abilità comunicative.

Neurotipico è il termine convenzionalmente utilizzato per descrivere tutta la popolazione non autistica, con un’organizzazione neurologica che non induce cioè le caratteristiche comportamentali che determinano una diagnosi di autismo.

In tale accezione per contrapposizione gli autistici vengono definiti neurodiversi. Il termine neurodiversità tuttavia non è sinonimo di disabilità in quanto esistono condizioni autistiche non patologiche. Così come il termine neurotipico non può essere inteso come sinonimo di salute in quanto esistono condizioni neurotipiche patologiche.

Adottare una prospettiva neurotipica sull’autismo dunque dovrebbe portare a una adeguata considerazione della diversità sensoriale presente nello spettro autistico. Ad esempio, secondo recenti studi l’autismo è caratterizzato anche da aspetti peculiari di percezione sensoriale superiore.

Similmente, secondo la prospettiva della cognizione motoria, recenti studi hanno dimostrato che nei bambini con diagnosi di disturbo dello spettro autistico i meccanismi neurali che sottendono la comprensione motoria dell’azione sono in qualche modo compromessi. In questo senso, avere delle difficoltà nella comprensione motoria dell’azione avrebbe poi degli effetti a cascata sulla capacità di comprendere le interazioni sociali.

Quali sono le cause dell’autismo?

Al momento non si conoscono esattamente quali siano le cause dell’autismo, e vi è accordo tra gli studiosi nel sostenere che vi sia una multifattorialità alla base delle origini eziopatogenetiche dei disturbi dello spettro autistico. Per multifattorialità intendiamo sia aspetti genetici, che aspetti legati all’interazione tra geni e fattori ambientali, che altre variabili di ordine biologico.

A livello genetico vi sono diverse evidenze scientifiche secondo cui la componente genetica avrebbe un ruolo causale rivelante, pur collocandosi in un’ottica multifattoriale. Sembrerebbe che molte mutazioni geniche siano coinvolte nello sviluppo di disturbi dello spettro autistico. Le mutazioni di tali geni tuttavia stanno rispetto all’autismo in una relazione complessa, per due motivi: da una parte, molte persone con diagnosi di autismo possono avere diverse mutazioni – o diverse combinazioni di mutazioni – di tali geni; dall’altra, anche molte persone che non presentano sintomi dello spettro autistico presentano le medesime mutazioni spesso riscontrate nell’autismo.

Questo significa che diverse mutazioni genetiche probabilmente giocano ruoli diversi nello sviluppo e nella manifestazione dei sintomi dei Disturbi dello Spettro Autistico. Ad esempio, diverse combinazioni di mutazioni, potrebbero contribuire nell’insorgere di alcuni sintomi specifici oppure regolare la gravità dei sintomi o ancora aumentare la vulnerabilità individuale all’autismo.

Un recente studio (Robinson et al., 2016) ha riscontrato che il maggior fattore di rischio per l’autismo sia poligenico, il risultato cioè di una combinazione di piccoli effetti prodotti da migliaia di differenze e mutazioni genetiche. Tali differenze genetiche si riscontrano anche nella popolazione tipica (non autistica), determinando un continuum di tratti comportamentali e di sviluppo che solo nella loro manifestazione più severa possono essere ricondotti a sintomi determinanti nel formulare una diagnosi di autismo.

Ma è comunque l’ interazione tra geni e ambiente che sembra giocare un ruolo rilevante nella manifestazione di quei segnali e sintomi dei Disturbi dello Spettro Autistico. A fronte di una maggiore vulnerabilità individuale dovuta a delle mutazioni genetiche, determinate situazioni ambientali possono concorrere all’insorgenza dei sintomi dello spettro. Ad ogni modo, in letteratura ancora si sa molto poco riguardo quali fattori ambientali potrebbero innestarsi in maniera significativa sulle vulnerabilità genetiche individuali.

Gli sforzi nell’ambito della ricerca riguardo l’eziopatogenesi dei Disturbi dello Spettro Autistico si stanno focalizzando anche sui fattori biologici (al di la’ degli aspetti genetici), quali ad esempio problemi e anomalie nelle connessioni cerebrali, ipo o ipertrofia strutturale anatomica di determinate regioni cerebrali e anomalie del metabolismo e del sistema immunitario.

Perché si parla di spettro autistico?

Nel DSM 5 è stata concettualizzata e definita un’unica categoria diagnostica, chiamata appunto Disturbi dello Spettro Autistico, che include senza più differenziali come faceva il DSM-IV il Disturbo Autistico (autismo), la Sindrome di Asperger, il Disturbo disintegrativo dell’infanzia. La differenziazione chiave sta dunque ora nel distinguere lo spettro autistico rispetto allo sviluppo tipico e ad altri disturbi non nello spettro. Secondo questa prospettiva i Disturbi dello Spettro Autistico sono concettualizzati come un insieme comune di comportamenti e sono meglio rappresentati da una singola categoria diagnostica che si possa adattare alle diverse ed eterogenee presentazioni cliniche individuali. Un singolo spettro riflette meglio lo stato attuale delle conoscenza riguardo la patologia e la sua manifestazione clinica che appunto può essere altamente eterogenea e differenziata caso per caso, con diversi livelli di gravità.

Alcuni individui con disturbo dello spettro autistico – ma va sottolineato, non tutti – presentano anche compromissione intellettiva e/o del linguaggio. Il divario tra abilità funzionali intellettive e adattive è spesso ampio nella medesima categoria diagnostica. Sono frequenti deficit motori, compresi andatura stravagante, goffaggine e altri segni motori anomali. Nei bambini e negli adolescenti possono inoltre anche manifestarsi comportamenti di autolesionismo e comportamenti dirompenti/sfidanti.

La sindrome di Asperger, menzionata per la prima volta nel DSM IV non è più presente nel DSM-5. La sindrome di Asperger si differenziava dalla precedente categoria diagnostica di Autismo per l’assenza di ritardi clinicamente significativi nello sviluppo cognitivo e del linguaggio, delle capacità d’autonomia e del comportamento adattativo pur presentando però le caratteristiche tipiche di difficoltà nell’interazione sociale e la tendenza a comportamenti ripetitivi e/o a sviluppare interessi ristretti. Dunque le situazioni individuali precedentemente classificate come sindrome di Asperger ad oggi continuano de facto ad esistere clinicamente, ma a livello di etichetta diagnostica secondo il DSM-5 rientrano nei Disturbi dello Spettro Autistico. Questa condizione si correla frequentemente alla depressione. Il quadro clinico di depressione secondaria negli Asperger è imputabile all’isolamento sociale, alla mancanza di servizi di qualità e alla difficoltà che questi adulti riscontrano nel mantenere una soddisfacente vita lavorativa oltre che affettiva.

Autismo e vaccini: c’è una relazione tra i vaccini e la sindrome dello spettro autistico?

Al momento possiamo affermare che non vi sono evidenze scientifiche per cui i vaccini possano causare o contribuire a causare l’autismo. Gli studi presenti in letteratura sottolineano che il tasso di diffusione dei disturbi dello spettro autistico non differisca tra i bambini che hanno ricevuto il vaccino e quelli che non sono stati sottoposti alle iniezioni vaccinali.

Ad esempio, il recente studio di Jain et al. (2015) ha smentito l’idea che ricevere una o due iniezioni del vaccino MPR (morbillo-parotite-rosolia) possa causare un aumento del rischio di autismo, dimostrando che non esiste nessuna associazione tra il vaccino MPR e l’insorgere di patologie dello spettro autistico; questo studio si pone in linea con quelli precedenti che hanno riportato dati di questo tipo in altre popolazioni.

Bibliografia

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