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Obesità

L'obesità è una patologia che si caratterizza per un accumulo eccessivo di grasso corporeo e che può comportare gravi complicanze di vario genere

Aggiornato il 30 gen. 2024

Che cos’è l’obesità? Significato e definizione di obesità

Il termine obesità deriva dal latino «obesitas», che indica la condizione di chi è «grasso, grosso o paffuto», a sua volta derivato da «esum», participio passato di «ĕdere» («mangiare»), con l’aggiunta del prefisso «ob» («per, a causa di»). L’uso del sostantivo «obesità» è documentato in italiano dal Settecento, mentre l’aggettivo «obeso» è anteriore (XVI secolo) (Sabatini Coletti, 2011)

L’obesità è definita come una malattia che si caratterizza per un accumulo eccessivo di grasso corporeo che può danneggiare la salute. (WHO, 2016). L’obesità è attualmente riconosciuta come una malattia non trasmissibile e a carattere cronico e rientra tra quelle patologie tipiche delle società dette “del benessere” (Purnell, 2018)

In quasi tutti i Paesi industrializzati si sta assistendo a un aumento cospicuo dei tassi di obesità. Tale aumento sarebbe provocato dai cambiamenti nel sistema alimentare globale, che produce alimenti sempre più elaborati, economici ed efficacemente commercializzati. All’interno delle popolazioni, le interazioni tra fattori ambientali e individuali, compreso il corredo genetico, spiegano la variabilità del peso tra gli individui. Tuttavia, anche al netto di questa variazione individuale, si parla di un’epidemia di obesità. 

Negli Stati Uniti, l’obesità tra gli adulti è aumentata notevolmente dal 1980. Nel 2003-2004, il 32,9% degli adulti di età compresa tra 20 e 74 anni risultavano obesi e oltre il 17% degli adolescenti (età 12–19 anni) risultavano in sovrappeso (Ogden et al. 2007). Anche in Europa la situazione non è delle migliori: la prevalenza dell’obesità in Europa oscilla tra il 10 e il 25% della popolazione.

In Italia ci sono circa sei milioni di persone con obesità di vario grado, i più a rischio sono gli uomini, rispetto alle donne. È quanto emerge dall’indagine Istat multiscopo sulle famiglie. Nella fascia di età da 18 a 24 anni la percentuale di obesi è del 2 per cento, in quella da 45 a 54 anni sale al 12,4 per cento per raggiungere il massimo in quella da 55 a 64 anni che è del 14,4 per cento. Circa un milione di italiani obesi è affetto da forme gravi. Ancor più allarmante è il dato della crescita costante in età pediatrica, non solo del fenomeno obesità in sé, ma anche delle forme più gravi (Senato della Repubblica, DDL 445)

A quanti chili si è obesi? Come calcolare l’obesità

Come capire quando i livelli di grasso corporeo sono pericolosi per la nostra salute? A questo proposito si ricorre all’indice di massa corporea (BMI). Il BMI è considerato l’indice più rappresentativo della presenza di grasso corporeo in eccesso e si calcola secondo la formula seguente:

Bmi = peso (in kg)/quadrato dell’altezza (in metri).

Quando questo è pari o superiore a 30 parliamo di obesità (ISS, 2017).

Non esiste dunque un peso standard per determinare a quanti chili si è obesi, due individui possono avere lo stesso peso ma può essere obeso solo uno dei due: l’obesità infatti deriva da un rapporto che tiene conto del peso e dell’altezza di ogni singolo individuo (se quindi due individui pesano 80 kg, ma uno è alto 1,58 m e l’altro 1,83 m, è chiaro come – tramite il calcolo del BMI – solo il primo può essere definito obeso).

Quando si è considerati obesi?

Abbiamo detto che un BMI superiore a 30 è indice di obesità. Attraverso il valore del BMI, è possibile identificare anche altre classi di peso (ibidem):

  • BMI inferiore a 18,5 = individuo sottopeso
  • BMI tra 18,5 e 24,9 = individuo normopeso
  • BMI tra 25 – 29,9 = individuo sovrappeso
  • BMI superiore a 30 = obesità.

Differenza tra sovrappeso e obesità

La differenza tra sovrappeso e obesità è dunque definibile in base al BMI: come appena osservato, si parlerà di sovrappeso quando facciamo riferimento a una condizione in cui il BMI oscilla tra 25 e i 29,99 e di obesità quando il BMI supera i 30.

Sebbene contraddistinto da un BMI inferiore, anche le conseguenze del sovrappeso possono essere gravi: così come per chi soffre di obesità, anche per le persone in sovrappeso vi è un rischio maggiore di ipertensione, diabete, dislipidemia, malattie cardiovascolari, patologie tumorali e mortalità precoce.

Gradi di obesità

Come abbiamo visto, un BMI superiore a 30 indica la presenza di obesità. A partire da questo valore, possiamo distinguere diversi gradi di obesità attraverso i quali è possibile differenziare ulteriormente la gravità della patologia (James, 2004). In particolare, si parla di:

  • Obesità di I grado con BMI tra 30 e 34.9
  • Obesità di II grado con BMI tra 35 e 39.9
  • Obesità di III grado con BMI superiore a 40

I limiti del BMI

Appare evidente come il BMI sia un indice molto utilizzato nella valutazione dello stato nutrizionale di una persona, nonostante presenti dei limiti importanti. Molti esperti infatti appaiono reticenti ad affidarsi completamente a questo indice per valutare lo stato di salute di una persona.

Introdotto in ambito epidemiologico, la praticità di calcolo e l’apparente efficienza nel catalogare le fattezze corporee, lo rendono ancor oggi molto utilizzato soprattutto nella branca negli studi su larga scala. Ma, nonostante la sua praticità e le numerose evidenze che collegano indici alti e bassi ad aumentati rischi per la salute, il BMI presenta diverse lacune:

  • il BMI presume che tutto il peso sia uguale, senza tenere conto del differente impatto esercitato sul peso da ossa, muscolatura, viscere e grasso (ad es. due persone possono avere lo stesso BMI ma una può essere un allenato bodybuilder con elevata massa muscolare, l’altro una persona con più adipe)
  • il BMI non tiene conto della posizione occupata dal tessuto adiposo all’interno del corpo: il cosiddetto grasso viscerale, ossia quello localizzato all’interno della cavità addominale e distribuito tra gli organi interni ed il tronco, è più problematico rispetto a quello sottocutaneo ripartito su fianchi, glutei e parte inferiore del corpo. È per tale motivo che oggigiorno, oltre al calcolo dell’indice di massa corporea, è prassi rilevare anche la circonferenza addominale (che negli uomini dovrebbe essere inferiore a 102 cm mentre, per le donne, dovrebbe essere inferiore agli 88 cm).
  • il BMI non valuta l’età: invecchiando, è frequente perdere massa ossea e muscolare acquisendo, di contro, grasso viscerale. Si tratta di un cambiamento preoccupante per la salute, ma che può passare inosservato in caso di un mancato cambiamento del BMI della persona.
  • Anche quando utilizzato su larga scala, il BMI non riflette adeguatamente il benessere di particolari popolazioni, in quanto sviluppato e convalidato principalmente su un campione di uomini di origine caucasica: ad es. le persone di origine asiatica sono esposte ad un maggiore rischio di malattie cardiovascolari a tassi di BMI più bassi rispetto ai caucasici.

Sulla base di queste considerazioni, l’indice di massa corporea apparirebbe utile unicamente se usato a scopi epidemiologici e per ricerche su ampia scala. Se considerato, invece, come unico strumento per determinare in maniera arbitraria gli standard relativi alla fisicità e alla salute di un individuo, può addirittura rivelarsi una lama a doppio taglio (Sassi, 2021).

Per valutare dunque lo stato nutrizionale e lo stato di salute di un individuo, oltre al BMI, è bene considerare anche la circonferenza addominale e l’anamnesi del paziente. Lo stato di obesità è poi bene misurarlo attraverso procedure quali:

  • Plicometria
  • Calorimetria indiretta
  • Bioimpedenzometria

Le cause dell’obesità

L’obesità ha una eziologia multifattoriale: diverse sono infatti le cause che possono portare alla patologia (Jebb, 2016). Vediamole nel dettaglio:

Cause genetiche, fattori endocrini e farmaci

Una piccola percentuale di casi di obesità deriva da fattori genetici. Tra questi possiamo includere le mutazioni nel gene della leptina e nel suo recettore o le alterazioni del sistema della melanocortina. Esistono altre sindromi genetiche che portano all’obesità, tra cui la sindrome Prader–Willi, e quella di Bardet–Biedl. Tuttavia, questi rappresentano solo una piccola parte dei casi totali di obesità e di solito si manifestano fin da un’età relativamente precoce (ibidem).

Alcune forme endocrine possono portare a obesità, tra queste: disturbi della tiroide, disordini ipofisari, aumento della secrezione del cortisolo, insulinoma, sindrome dell’ovaio policistico.

Anche alcuni farmaci possono aumentare il rischio di obesità, come ad esempio i farmaci cortisonici, gli antistaminici di vecchia generazione, gli antidepressivi, gli antipsicotici e gli anti-epilettici.

Cause comportamentali, attività fisica e fattori ambientali

L’obesità è la conseguenza di uno squilibrio energetico prolungato tra assunzione di cibo e consumo di energie. La dieta e l’attività fisica sono quindi due componenti chiave che influenzano questo bilancio energetico.

È stato dimostrato che la densità energetica della dieta esercita forti effetti sulla sazietà e che le diete a bassa densità energetica generano maggiore sazietà rispetto a quelle ad alta intensità.

Diete ad alta densità di energia e quindi ricche di grassi, zuccheri aggiunti e povere di frutta e verdura possono aumentare il ​​rischio di obesità attraverso un processo descritto come sovraconsumo passivo, fenomeno in base al quale si ingerisce involontariamente energia in eccesso senza consumare i volumi aggiuntivi. Un segnale importante della sazietà può essere la quantità di cibo o le dimensioni delle porzioni consumate. Molte persone non sanno quali siano le porzioni adeguate e pertanto assumono inavvertitamente energia in eccesso (Sorrentino, 2019).

Abitudini alimentari scorrette di questo tipo sono aggravate dalla tendenza dei produttori alimentari a commercializzare porzioni sempre più grandi, in particolare bibite, snack salati e dolci. La ricerca mostra che porzioni abbondanti aumentano l’energia consumata in un singolo episodio alimentare, ma non riescono a provocare un aumento della sazietà o a sopprimere il consumo successivo. Ciò si traduce in un aumento del rischio di aumento di peso in eccesso (Jebb, 2016).

A questo punto è facile comprendere come i livelli di attività fisica risultano importanti. Le attività quotidiane ora richiedono così poco sforzo che l’attività fisica volontaria è una delle principali determinanti del fabbisogno energetico. L’attività fisica apporta importanti benefici per la salute, indipendentemente dal peso corporeo, in particolare aiutando a mantenere la sensibilità all’insulina e a ridurre il rischio di diabete di tipo 2.

Ci sono alcune prove che alti livelli di attività fisica possono anche aumentare la sensibilità del sistema innato di controllo dell’appetito, rendendo più facile bilanciare l’assunzione di energia e il fabbisogno energetico. Questo legame tra assunzione di energia e dispendio energetico è una questione chiave.

L’aumento dell’obesità legato allo sviluppo economico suggerisce anche il ruolo dell’ambiente nella sua insorgenza e che abbiamo una suscettibilità latente all’obesità. In tutto il mondo ci sono esempi di comunità che seguono stili di vita tradizionali che, se esposte alla cultura occidentale del 21° secolo, aumentano rapidamente di peso e sviluppano il diabete. I cambiamenti nella società portano a una maggiore dipendenza dai cibi pronti e a più pasti consumati fuori casa (generalmente più ricchi di grassi e zuccheri rispetto al cibo preparato in casa).

Cause psicologiche

Spesso possono esserci anche dei fattori psicologici alla base del continuo e incontrollato aumento di peso che può successivamente trasformarsi in obesità.

Può capitare infatti di mangiare non per fame, ma in risposta a sentimenti, condizioni di stress ed emozioni, come la rabbia, la noia o la tristezza. In questi casi si è di fronte a episodi di Emotional Eating, consistenti in una perdita di controllo per cui non è più il corpo a dettare cosa e quanto mangiare, bensì le emozioni vissute in quel momento. L’ Emotional Eating spesso porta a mangiare in eccesso e soprattutto cibi con un alto contenuto di calorie e di grassi, come i dolci. Nei casi in cui le emozioni influenzano la presenza di abbuffate ripetute, si è di fronte a un vero e proprio disturbo e, in questo caso, si parla di Binge Eating Disorder (BED) o Disturbo da Alimentazione Incontrollata.

Capita spesso che la persona affetta da Binge Eating Disorder vada incontro ad un aumento costante del peso, fino allo sviluppo di una vera e propria obesità causata dalle abbuffate (Tosi, 2017).

Conseguenze dell’obesità

È ormai indubbio che la condizione di obesità porta a una serie di conseguenze preoccupanti per la salute. Vediamo nello specifico quali sono le conseguenze dell’obesità:

Morte prematura

Ormai da tempo sappiamo che l’obesità è associata a morte prematura. Questo dato è stato confermato da una vasta mole di studi scientifici che hanno messo in luce come l’obesità aumenti il rischio di insorgenza di alcune condizioni mediche tra le più fatali, ovvero malattie cardiovascolari e cancro. Si stima che, in media, l’obesità riduca l’aspettativa di vita dai 3 ai 13 anni, in base alla gravità della patologia.

Rischi metabolici e malattia coronarica

  • Sindrome metabolica, caratterizzata da anomalie endocrine e biochimiche, iperinsulinemia, resistenza all’insulina, diabete e ipertensione. La sindrome metabolica è fortemente legata ad uno stile di vita “occidentale”, che si distingue per bassi livelli di attività fisica e una dieta ricca di grassi saturi e carboidrati raffinati.
  • Diabete mellito di tipo 2 è fortemente associato all’obesità in tutti i gruppi etnici. Più dell’80% dei casi di diabete di tipo 2 può essere attribuito all’obesità, che può anche essere responsabile di molti decessi correlati al diabete. Anche l’aumento di peso dopo i 18 anni nelle donne e dopo i 20 anni nei maschi aumenta il rischio di diabete di tipo 2. Per le donne, un BMI di appena 25 è associato a un aumento di cinque volte del rischio di diabete di tipo 2 e il rischio aumenta di oltre 40 volte per un BMI superiore a 35. Il rischio è particolarmente alto per le donne con un pattern centrale di distribuzione del grasso caratterizzato da un’ampia circonferenza vita.
  • Dislipidemia — L’obesità è associata a diversi cambiamenti deleteri nel metabolismo dei lipidi. Gli effetti sfavorevoli correlati all’obesità includono elevate concentrazioni di colesterolo, colesterolo LDL, colesterolo VLDL, trigliceridi e una riduzione del colesterolo HDL. L’ultimo effetto può essere più importante poiché una bassa concentrazione di colesterolo HDL comporta un rischio relativo maggiore di malattia coronarica (CHD) rispetto all’ipertrigliceridemia.

Rischi cardiovascolari

  • Ipertensione
  • Malattie cardiache — L’obesità è anche associata ad un aumento dei rischi di malattia coronarica (CHD), insufficienza cardiaca e mortalità cardiovascolare
  • Malattia coronarica – L’obesità è stata a lungo associata a un aumentato rischio di malattia coronarica. Il rischio di CHD nei soggetti con sovrappeso e obesità è aggravato dalla frequente coesistenza di altri fattori di rischio, come ipertensione, dislipidemia e diabete.
  • Insufficienza cardiaca
  • Steatosi miocardica – Si ritiene che l’obesità porti a un eccessivo accumulo di lipidi nel miocardio, aspetto questo che facilità l’insorgenza di malattie cardiache in persone obese
  • Alterazioni dell’elettrocardiogramma – L’obesità grave può causare cambiamenti nella morfologia cardiaca che possono alterare l’elettrocardiogramma di superficie (ECG).
  • Fibrillazione atriale – Gli individui con obesità (BMI >30) hanno una probabilità significativamente maggiore di sviluppare fibrillazione atriale (FA) rispetto a quelli con un normale BMI (<25).
  • Ictus
  • Trombosi venosa ed embolia polmonare.

Cancro

L’eccesso di peso è associato a un aumentato rischio di insorgenza di diversi tipi di cancro. Si stima che il sovrappeso e l’obesità causino il 40% di tutti i tumori negli Stati Uniti nel 2014.

Inoltre, l’obesità e il sovrappeso possono aumentare la probabilità di morire di cancro. I tassi di cancro correlati all’eccesso di peso sono più elevati nelle donne che negli uomini. Numerose meta-analisi hanno trovato forti prove a sostegno dell’associazione tra obesità e i particolari tumori, tra cui:

  • endometriale
  • renale
  • cardio gastrico
  • del colon-retto
  • delle vie biliari
  • del pancreas
  • della mammella
  • ovarico

Disturbi muscoloscheletrici 

  • Osteoartrite: l’incidenza dell’artrosi è aumentata nei soggetti con obesità
  • Gotta: il rischio di sviluppare l’artrite gottosa aumenta con il peso corporeo e con l’aumento di peso durante l’età adulta.

Disturbi gastrointestinali 

  • Malattia epatobiliare: l’obesità è associata ad un aumentato rischio di malattie della cistifellea e steatosi epatica non alcolica. In una meta-analisi di 17 studi con 55.670 individui, il rischio di malattie della cistifellea è aumentato anche all’interno del normale range di BMI. L’obesità colpisce il sistema epatobiliare, principalmente causando colelitiasi
  • GERD/cancro gastrointestinale — L’obesità è un fattore di rischio per malattie gastrointestinali, tra cui malattia da reflusso gastroesofageo (GERD), esofagite erosiva, adenocarcinoma esofageo e cancro gastrico.

Problemi riproduttivi

  • Effetti sulla riproduzione — Mestruazioni irregolari e cicli anovulatori sono comuni nelle donne con obesità e la fertilità può essere ridotta. Le persone in gravidanza con obesità sono maggiormente a rischio di una serie di complicazioni materne (ipertensione, pre-eclampsia, diabete gestazionale) e perinatali (ad es. anomalie fetali inclusi i difetti del tubo neurale) e i rischi sono amplificati con l’aumento dei gradi di obesità materna.
  • Disturbi dell’eccitazione sessuale e dell’orgasmo
  • Disfunzione erettile

Conseguenze genito-urinarie

  • Malattia renale cronica, dovuta in particolare alle altre condizioni mediche a cui l’obesità è associata (ipertensione, diabete e sindrome metabolica). Inoltre, in pazienti con obesità grave, sono state descritte glomerulosclerosi segmentaria focale e glomerulopatia correlata all’obesità (allargamento glomerulare ed espansione mesangiale), entrambe associate a proteinuria. La glomerulopatia correlata all’obesità può essere reversibile con la perdita di peso.
  • Calcoli renali
  • Incontinenza urinaria, specialmente nelle donne

Conseguenze respiratorie

  • Apnea notturna: è il problema respiratorio più importante associato all’obesità e al diabete, con diversi studi che confermano che l’obesità è un importante fattore di rischio per lo sviluppo dell’apnea ostruttiva del sonno.
  • Alterazioni della funzione polmonare, tra cui un volume polmonare residuo più elevato associato ad un aumento della pressione addominale sul diaframma, alterazioni del rapporto ventilazione/perfusione, riduzione della forza e della resistenza dei muscoli respiratori, asma.

Infezioni

  • Suscettibilità alle infezioni: l’obesità è associata a una maggiore suscettibilità alle infezioni, comprese le infezioni postoperatorie, nosocomiali, respiratorie e della pelle e dei tessuti molli.
  • Influenza: gli individui con obesità hanno maggiori probabilità rispetto agli individui normopeso di avere complicazioni respiratorie durante la stagione influenzale e hanno maggiori probabilità di essere ricoverati in ospedale con l’influenza
  • COVID-19: i dati osservazionali collegano l’obesità con l’aumento della mortalità per malattia da coronavirus 2019

Conseguenze dermatologiche

  • Smagliature: molto comuni, riflettono la tensione sulla pelle dovuta all’espansione dei depositi di grasso sottocutanei.
  • Acanthosis nigricans: la pelle assume una pigmentazione più profonda e risulta quindi più scura, soprattutto intorno al collo, all’ascella, alle nocche e alle superfici estensorie. La spiegazione di questa patologia associata a obesità probabilmente risiede nell’iperinsulinemia sostenuta
  • Irsutismo nelle donne: può derivare da una maggiore produzione di testosterone, che è spesso associato all’obesità viscerale. 

(Per un approfondimento sulle conseguenze dell’obesità: Perreault, Laferrère 2020)

Obesità e comorbidità con disturbi psichiatrici

Tra i soggetti obesi, soprattutto con obesità grave, sono state riscontrate frequenti comorbidità psichiatriche con disturbi dell’umore (ad esempio disturbo depressivo maggiore e distimia), disturbi d’ansia (ad esempio fobia sociale e disturbo d’ansia generalizzato), disturbi del comportamento alimentare (in particolare binge eating disorder e più in generale comportamento alimentare con diete e controllo rigido alternato a disinibizione e binge eating, iperalimentazione non compulsiva come frequenti spuntini con cibi e bevande caloriche), disturbi di personalità (istrionico, borderline e schizotipico) ed uso di sostanze.

Obesità e Binge Eating Disorder

La maggior parte dei soggetti con Binge Eating Disorder è sovrappeso o obeso ed esiste una forte associazione tra il disturbo e l’obesità.

Il disturbo può essere concettualizzato come una ‘sindrome di discontrollo’ generale nei confronti dell’alimentazione con associata una psicopatologia specifica dei disturbi dell’alimentazione in individui che sono vulnerabili all’obesità e/o alla depressione.

Nelle persone con BED spesso le abbuffate sono innescate da un umore depresso o ansioso, ma possono abbuffarsi anche quando sono tesi, annoiati o soli. Le persone con BED provano inoltre imbarazzo e vergogna per le proprie abitudini alimentari, allora spesso provano a nascondere i loro sintomi e a mangiare in segreto. Il disturbo inizia, in particolare, dopo eventi stressanti minaccianti l’autostima, come: fallimenti scolastici, problemi sentimentali o sessuali, commenti negativi sull’aspetto fisico, difficoltà interpersonali. Alcuni soggetti ‘pianificano’ le loro abbuffate: acquistano il cibo, lo nascondono, poi lo consumano da soli, spesso senza neppure masticarlo, fino ad essere completamente pieni.

Le abbuffate, soprattutto nei primi momenti, possono essere piacevoli in quanto sono in grado di allentare momentaneamente la tensione. Questa sensazione inizialmente piacevole viene, però, spesso utilizzata per ‘bloccare’ altre emozioni negative: tristezza, solitudine, frustrazioni, ecc.

Così come già visto in precedenza, tale comportamento dà origine a un circolo vizioso:

  • se la persona continua a bloccare le sue emozioni col cibo non si confronta mai con le situazioni dolorose che ne sono la causa
  • le emozioni negative si riprodurranno all’infinito e favoriranno nuove abbuffate
  • le abbuffate, passati i primi momenti piacevoli, determineranno altre emozioni negative quali senso di colpa, crollo dell’autostima, disgusto che a loro volta faciliteranno nuove abbuffate

La dieta in questi soggetti risulta totalmente inefficace, in quanto sono le variazioni emotive a dare il via alla crisi alimentare.

Obesità e stigma

Le persone sovrappeso o obese sono una delle categorie sociali più colpite da discriminazioni, pregiudizi e stereotipi. Nella cultura occidentale, infatti, è mentalità comune considerare queste persone come pigre, deboli, senza forza di volontà, poco intelligenti e senza disciplina o controllo, queste convinzioni sono già insite nei bambini dai 6 anni.

Lo stigma basato sul peso fa riferimento ad atteggiamenti negativi, che possono essere espressi sotto forma di stereotipi, pregiudizi e discriminazione verso alcuni individui a causa del loro peso. Il pregiudizio sul peso si può presentare sotto diverse forme e sfaccettature: derisione o presa in giro verbale (soprannomi negativi, appellativi insultanti o denigratorie), bullismo fisico, psicologico o sul web, vittimizzazione relazionale o isolamento sociale.

Questa visione negativa dell’obesità è un problema sociale diffuso, difficilmente modificabile e in aumento nelle ultime decadi (Di Pauli, 2014).

Basti pensare che negli USA nel decennio tra il 1995 e il 2005 la prevalenza della discriminazione a causa del peso è aumentata del 66% tanto da avere raggiunto, soprattutto tra le donne, percentuali vicine a quelle della discriminazione razziale.

Il peso è tra le principali cause di prese in giro e atti di bullismo tra i giovani e può avere, anche per gli adulti, un impatto negativo sul benessere fisico, psicologico e sociale con ripercussioni negative nei domini più importanti della vita.

La ricerca ha evidenziato come il peso possa essere correlato a stipendi più bassi, meno possibilità di assunzione, valutazioni più scarse a scuola, atteggiamenti negativi da parte del personale scolastico e coetanei, meno tempo dedicato da parte dei medici, meno amici, minore coinvolgimento in relazioni sentimentali e difficoltà a muoversi in modo confortevole nell’ambiente di tutti i giorni, es. sedie strette o equipaggiamento medico non idoneo.

Le discriminazioni e le critiche per il peso possono condurre a diversi esiti negativi per la salute psico-fisica, per le relazioni interpersonali e affettive e per la condizione socio-economica. In particolare possono portare gravi conseguenze nel benessere psicologico come ansia, depressione, ritiro sociale, bassa autostima e nei casi più gravi suicidio.

È diffusa la credenza che criticare qualcuno per il proprio peso possa motivarlo a cambiare e riflettere sulla propria condizione. La ricerca scientifica però ha evidenziato l’esatto contrario, dimostrando come subire questo tipo di stigma possa portare a mangiare di più, non chiedere un aiuto professionale, evitare l’attività fisica, comportamenti alimentari disfunzionali, diete estreme e pericolose (Ibidem).

Obesità infantile

L’eccesso di peso in infanzia è un problema mondiale che colpisce circa 41 milioni di bambini di età inferiore ai cinque anni (Marangia, 2018).

L’Italia è tra i paesi europei con i valori più elevati di eccesso ponderale nella popolazione in età scolare con una percentuale di bambini in sovrappeso del 20,4% e di bambini obesi del 9,4%, compresi i gravemente obesi che rappresentano il 2,4%. Sono i dati nazionali dell’ultima indagine “Okkio alla Salute” del 2019 (Salute.org, 2020).

Rischi e prevenzione

Sempre più bambini e adolescenti soffrono di patologie conseguenti all’obesità altrimenti rare nell’infanzia, come ipertensione, dislipidemia e diabete di tipo 2. Dati recenti sui rischi legati all’obesità infantile, emergono dalla Consensus SIP-SIEDP su Diagnosi, trattamento e prevenzione dell’obesità del bambino e dell’adolescente:

  • un bambino obeso su 20 ha la glicemia alta, condizione definita di pre-diabete;
  • Più di un terzo dei bambini obesi hanno trigliceridi e colesterolo elevati rispetto ai valori di normalità, condizione che aumenta il rischio di sindrome metabolica e comparsa di arteriosclerosi;
  • Più di un terzo dei bambini obesi presentano grasso accumulato nel fegato, condizione evidente di un danno epatico iniziale;
  • Più di un decimo dei bambini obesi ha valori pressori superiori alla norma.

L’obesità infantile e adolescenziale inoltre è associata a molte malattie croniche, tra cui il diabete di tipo 2, l’ipertensione e le malattie cardiovascolari. L’obesità infantile e adolescenziale è anche legata alla mortalità in età adulta e alla morte prematura.

Questi rischi possono essere contrastati con il controllo del peso, attraverso corretti stili di vita e una dieta equilibrata. Fondamentale risulta intervenire tempestivamente.

Anche in adolescenza e in infanzia, lo squilibrio tra apporto calorico e attività fisica risulta essere una delle principali cause dell’obesità. Tuttavia, anche i fattori socioambientali, comprese le politiche familiari, scolastiche e nazionali, possono svolgere un ruolo cruciale. Pertanto, l’identificazione e la prevenzione precoci sono indispensabili per frenare l’epidemia globale di obesità. Per prevenire l’obesità tra bambini e adolescenti, devono essere sviluppate anche strategie multidisciplinari su più livelli che che coinvolgono fattori di rischio comportamentali, psicologici e ambientali.

Tra le indicazioni fornite dalla Società Italiana di Pediatria per prevenire l’obesità infantile e adolescenziale, troviamo:

  • Prestare attenzione all’alimentazione della prima infanzia: i primi 1000 giorni di vita (gravidanza e primi due anni del bambino) sono un periodo cruciale per la salute futura. I dati infatti dimostrano che ciò che accade in questo periodo può influenzare la predisposizione a diverse malattie in età adulta. Dunque, potendo scegliere, è preferibile allattare al seno, svezzare secondo le raccomandazioni nazionali, rinunciare a sale e zuccheri aggiunti. Seguire queste tre piccole regole nei primi due anni di vita del bambino è un buon passo per prevenire sovrappeso e obesità con l’aumentare dell’età.
  • Seguire un’alimentazione a bassa densità calorica (questa è in realtà una regola che si dovrebbe seguire durante tutto l’arco di vita): almeno 5 porzioni tra frutta, verdura e ortaggi e ripartita in circa 5 pasti giornalieri.
  • Riservare almeno 60 minuti al giorno all’attività fisica moderata/intensa. L’attività fisica, per i più piccoli, può essere fatta anche tramite il gioco: andare sul triciclo o in bici, giocare all’aperto, ecc.

Obesità infantile e stigma

Anche nell’infanzia essere considerato ed etichettato come ‘sovrappeso’ induce i bambini ad aumentare di peso nel corso dello sviluppo. Infatti, sembra che i bambini ritenuti sovrappeso dai genitori siano più propensi a giudicare il proprio corpo come più grosso rispetto a quello dei propri coetanei.

L’ideale di magrezza e lo stigma dell’obesità possono portare, specialmente durante l’adolescenza, avere una scarsa accuratezza nella valutazione del proprio peso. I dati mostrano che un’errata percezione corporea è associata all’aumento della probabilità di diventare obesi. Il passaggio dall’adolescenza all’età adulta sembra il momento cruciale di questo processo: le persone che sono state etichettate come grasse nell’infanzia tendono ad attuare comportamenti che aumentano le probabilità di diventare obesi, come diete molto restrittive, uso di lassativi, digiuni prolungati.

Crescendo, chi è stato etichettato come sovrappeso da ragazzo, interiorizza i pregiudizi legati al peso e diventa più ansiosio e depresso; questi stati emotivi rendono più difficile intraprendere uno stile di vita salutare.

L’obesità è una malattia? La persona obesa è invalida?

L’obesità è una patologia a tutti gli effetti riconosciuta, che comporta complicanze di vario genere. In quanto tale, essa potrebbe portare a una riduzione della capacità lavorativa della persona obesa, la cui percentuale non è fissa ma da valutare a seconda della gravità della malattia. Affinché a una persona obesa venga riconosciuta l’invalidità, è necessario dimostrare in modo concreto la sua incapacità nello svolgere attività lavorative o quotidiane tipiche della sua età.

In materia di obesità e invalidità, in passato, si faceva riferimento alle tabelle fissate da un decreto ministeriale del 1992, oggi non più vincolanti. Queste erano usate per misurare il punteggio di invalidità, e attribuivano agli obesi una percentuale di handicap che in nessun caso superava il 40%.

È dunque frequente riconoscere l’invalidità alle persone obese, sebbene in un grado (dal 31 al 40%) che non permette alcun beneficio economico (ricordiamo infatti che un’invalidità pari o superiore al 35% dà diritto solamente alla concessione gratuita di ausili protesici, limitatamente alle patologie indicate nel verbale di invalidità; mentre un’invalidità superiore al 45% conferisce il diritto all’iscrizione alle liste di collocamento mirato. Per avere l’assegno di invalidità, invece, serve un grado pari o superiore al 74%).

Oggigiorno, a seguito di una sentenza della Corte di Cassazione (n. 16251 del 19 agosto 2004, della sezione lavoro), la situazione sembra essere cambiata. Tale sentenza ha definito anzitutto l’obesità una malattia invalidante e inoltre ha stabilito che non sono più vincolanti le tabelle di cui sopra. Al contrario, specie nelle forme gravi di accumulo adiposo, occorre valutare la persona in «maniera svincolata dai limiti tabellari» e dare punti più elevati  (superiori al 40%), a chi ha un rapporto molto squilibrato tra altezza e peso corporeo.

In pratica, adesso, alle persone gravemente obese potrà essere riconosciuto un punteggio di handicap maggiore del 40 % dato che – per effetto di questa decisione della Suprema Corte – i periti chiamati a valutare il livello di obesità dovranno tenere presente non più solo le tabelle, ormai ritenute inadeguate per misurare le nuove obesità, bensì la reale situazione «invalidante» di chi è afflitto da questa malattia.

Bibliografia

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