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La faccia nascosta dell’obesità

È diffusa la credenza che criticare qualcuno per il proprio peso possa motivarlo a cambiare. La ricerca scientifica ha evidenziato il contrario dimostrando come essere criticati per la propria obesità possa portare invece a mangiare di più, non chiedere aiuto, evitare attività fisica o altri comportamenti disfunzionali

Di Daniele Di Pauli

Pubblicato il 13 Set. 2018

Una delle conseguenze più dannose dell’ obesità, spesso poco considerata e conosciuta, è data dallo stigma sociale.

 

Milioni di persone di ogni età e ceto sociale possono essere vittime di pregiudizio e discriminazione a causa del loro peso.

Lo stigma basato sul peso fa riferimento ad atteggiamenti negativi, che possono essere espressi sotto forma di stereotipi, pregiudizi e discriminazione verso alcuni individui a causa del loro peso.

Questa visione negativa dell’ obesità è un problema sociale diffuso, difficilmente modificabile e in aumento nelle ultime decadi.
Basti pensare che negli USA nel decennio tra il 1995 e 2005 la prevalenza della discriminazione a causa del peso è aumentata del 66% tanto da avere raggiunto, soprattutto tra le donne, percentuali vicine a quelle della discriminazione razziale.

Essere discriminati per il proprio peso: quali sono le conseguenze?

Il peso è tra le principali cause di prese in giro e atti di bullismo tra i giovani e può avere, anche per gli adulti, un impatto negativo sul benessere fisico, psicologico e sociale con ripercussioni negative nei domini più importanti della vita.

La ricerca ha evidenziato come il peso possa essere correlato a stipendi più bassi, meno possibilità di assunzione, valutazioni più scarse a scuola, atteggiamenti negativi da parte del personale scolastico e coetanei, meno tempo dedicato da parte dei medici, meno amici, minore coinvolgimento in relazioni sentimentali e difficoltà a muoversi in modo confortevole nell’ambiente di tutti i giorni “es. sedie strette o equipaggiamento medico non idoneo”.

È diffusa la credenza che criticare qualcuno per il proprio peso possa motivarlo a cambiare e riflettere sulla propria condizione.

Questo modo di pensare è errato. La ricerca scientifica ha evidenziato l’esatto contrario dimostrando come subire questo tipo di stigma possa portare a mangiare di più, non chiedere un aiuto professionale, evitare l’attività fisica, comportamenti alimentari disfunzionali, diete estreme e pericolose e, in casi estremi, soprattutto tra i giovani, a suicidio o tentato suicidio.

Recenti e interessanti ricerche hanno dimostrato come lo stigma ponderale sia fonte di stress sia nelle persone con sovrappeso che normopeso.

Lo stress porta all’aumento del cortisolo (l’ormone dello stress) e alti livelli di quest’ormone portano a stimolare l’appetito, preparare il corpo a immagazzinare grasso e alla preferenza di cibi palatabili (ricchi di zuccheri e grassi).

Le cause di questi atteggiamenti negativi sono da ricercare nell’ideale culturale della magrezza, vista come sinonimo di bellezza, controllo e successo a differenza del peso in eccesso considerato come un fallimento personale risultato da pigrizia e debolezza di carattere. Obesità quindi considerata come una scelta e non una malattia cronica nonostante sia risaputo che questa condizione non è una scelta di vita, ma l’interazione complessa di fattori ambientali, genetici, biologici e comportamentali.

L’ obesità è una malattia cronica difficile da gestire tanto che circa il 97% di persone con obesità che perde peso lo riacquista entro 5 anni.

È importante, nella lotta e nella sensibilizzazione all’ obesità, smascherare questo aspetto nascosto, ma sotto gli occhi di tutti.

Perché la percezione di essere ritenuti responsabili della propria condizione pesa… ma non parliamo di chilogrammi… parliamo di sofferenza.

 

Testo ispirato dalla lettura di Weight stigma: What it is, why you should care.

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Daniele Di Pauli
Daniele Di Pauli

Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale

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