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Antidepressivi

Gli antidepressivi sono farmaci impiegati per il trattamento dei sintomi della depressione da moderata a grave e di altre condizioni di salute mentale

Sezione a cura di Anna Boccaccio

Aggiornato il 15 ott. 2025

Cosa sono gli antidepressivi

Gli antidepressivi sono farmaci impiegati per il trattamento dei sintomi della depressione da moderata a grave e di altre condizioni di salute mentale, come ansia, attacchi di panico, disturbo ossessivo compulsivo, disturbi bipolari, dolore cronico, disturbi alimentari e disturbo post traumatico da stress.

Generalmente, gli antidepressivi non vengono adottati per il trattamento di sintomi depressivi lievi e in adolescenti o bambini, salvo i casi in cui siano presenti sintomi particolarmente severi, non rispondenti ad altre terapie o se ulteriori forme di trattamento non sono accessibili. 

Esistono diverse classi di antidepressivi, ognuna delle quali varia nel suo meccanismo d’azione, nelle condizioni più adatte al trattamento e nei suoi possibili effetti collaterali. 

La scelta del farmaco, effettuata dal medico prescrittore, può dunque dipendere da vari fattori, come tipologia, frequenza e gravità dei sintomi, condizioni generali di salute, storia familiare e risposta individuale.

Come funzionano gli antidepressivi?

In generale, gli antidepressivi agiscono su messaggeri chimici del sistema nervoso, chiamati neurotrasmettitori. I neurotrasmettitori svolgono un ruolo importante nella regolazione dell’umore, delle funzioni cognitive e di altri aspetti (ad esempio, il comportamento, il sonno e la memoria). Gli antidepressivi sembrano modificare i livelli e l’attività di alcuni neurotrasmettitori, tra cui: 

  • serotonina, che aiuta a regolare l’umore, l’appetito, il sonno e la percezione del dolore.
  • noradrenalina, coinvolta nella risposta dell’organismo allo stress, svolge un ruolo nella regolazione dell’umore e nella vigilanza.
  • dopamina, associata alla motivazione, alla ricompensa e al piacere.

Gli antidepressivi non hanno un’azione immediata, ma in genere presentano un cosiddetto periodo di latenza, di circa due o tre settimane, prima di sortire i primi effetti sui sintomi. Dopo la remissione dei sintomi, il medico può prescrivere la continuazione della terapia farmacologica per oltre sei mesi.

Quali sono gli antidepressivi?

Le classi di farmaci antidepressivi si dividono in base ai neurotrasmettitori su cui agiscono. 

  • Antidepressivi inibitori delle monoaminossidasi (IMAO): sono stati i primi antidepressivi sviluppati, ma non rappresentano la prima scelta nel trattamento dei disturbi mentali, a causa di diverse restrizioni dietetiche, effetti collaterali e problemi di sicurezza ad essi connessi. Attualmente, gli IMAO costituiscono un’opzione terapeutica solo quando tutti gli altri farmaci non hanno successo. Questi farmaci agiscono inibendo l’azione della monoamino ossidasi (IMAO), un enzima coinvolto nel metabolismo e nell’inattivazione di numerosi neurotrasmettitori cerebrali, tra cui noradrenalina, serotonina e dopamina. Tra gli effetti secondari che possono produrre vi sono: insonnia, sonnolenza, sensazione di irrequietezza, tremori, vertigini e, in alcuni casi, risposta pressoria alla tiramina, ovvero un improvviso aumento della pressione arteriosa associato a elevati livelli sierici di tiramina (assunta mediante cibi come pesce conservato, insaccati, formaggi stagionati, vino rosso ecc.) (Sub Laban & Saadabadi, 2023).
  • Antidepressivi triciclici: questi farmaci agiscono inibendo la ricaptazione di neurotrasmettitori come la serotonina e la noradrenalina, che possono contribuire a modulare l’umore, l’attenzione e il dolore negli individui. Il primo antidepressivo triciclico, l’imipramina, fu inizialmente creato come antipsicotico, ma in seguito si scoprì che aveva potenti proprietà antidepressive. Il successo dell’imipramina diede impulso a ulteriori ricerche, che portarono alla formulazione di successivi farmaci triciclici. Attualmente, non sono considerati terapia di prima linea per la depressione, in quanto possono produrre effetti collaterali, tra cui alterazioni della visione, aumento del peso, ipertensione, confusione, tachicardia, ritenzione urinaria, difficoltà sessuali ecc. Vi appartengono principi attivi come imipramina e amitriptilina.
  • Inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI): detti anche antidepressivi di seconda generazione, sono nati a fine anni ‘80 e rappresentano la terapia di prima linea nel trattamento della depressione. Rispetto agli antidepressivi triciclici hanno minori effetti collaterali ma sembrano meno efficaci per le forme più severe di depressione. La serotonina è uno dei neurotrasmettitori che trasportano i segnali tra le cellule nervose del cervello, i neuroni. Dopo aver trasportato un segnale tra le cellule cerebrali, la serotonina viene solitamente riassorbita in un processo chiamato ricaptazione. Gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina bloccano questo processo, rendendo disponibile una maggiore quantità di serotonina per favorire la trasmissione dei messaggi tra le cellule cerebrali. Questi farmaci sono definiti selettivi perché agiscono principalmente sulla serotonina, non su altri neurotrasmettitori. Appartengono a questa classe la fluoxetina, il citalopram e la sertralina. Possibili effetti collaterali possono includere: mal di stomaco, vomito o diarrea, sudorazione, mal di testa, sonnolenza o difficoltà a dormire, secchezza delle fauci, irrequietezza, tremori, perdita o aumento ponderale, problemi sessuali (come calo del desiderio sessuale, difficoltà a raggiungere l’orgasmo e difficoltà erettili, anche a terapia conclusa).
  • Inibitori della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina (SNRI): sono una classe di farmaci più recente rispetto agli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI), ma agiscono in modo simile, alterando i livelli di neurotrasmettitori nel cervello o prolungandone gli effetti. Agiscono in particolare sulla serotonina e sulla noradrenalina e, insieme ai farmaci inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, rappresentano la prima scelta nel trattamento della depressione. La venlafaxina è il capostipite di questa classe farmacologica e generalmente presenta un livello di tollerabilità piuttosto elevato. 
  • Antidepressivi specifici noradrenergici e serotoninergici (NaSSA): la mirtazapina è il capostipite di questa nuova classe di antidepressivi, ha un’azione terapeutica ampia e agisce anche sul disturbo depressivo maggiore. Si tratta di un farmaco con effetti sedativi, antiemetici, ansiolitici e stimolanti dell’appetito, e per questo viene prescritta off-label per condizioni come insonnia, disturbo di panico, disturbo da stress post-traumatico, disturbo ossessivo-compulsivo, disturbo d’ansia generalizzato, disturbo d’ansia sociale, cefalea ed emicrania. Tra gli effetti avversi vi sono: sonnolenza, aumento ponderale, secchezza delle fauci, aumento del colesterolo e stitichezza (Jilani et al., 2024).
  • Inibitori selettivi della ricaptazione della noradrenalina (NaRI): la reboxetina è una molecola indicata nel trattamento delle depressioni medio-gravi caratterizzate da rallentamento, apatia, mancanza di spinta motivazionale. Presenta minori effetti collaterali a livello di sintomi gastrointestinali e di disfunzione sessuale (Hajós et al., 2006)
  • Inibitori selettivi della ricaptazione della noradrenalina e dopamina (DNRI): si tratta di antidepressivi che aumentano la disponibilità di noradrenalina e dopamina a livello cerebrale. Possono contribuire a regolare l’umore, mantenere l’attenzione o gestire i livelli di stress. Possono anche prevenire il desiderio compulsivo di fumare che si manifesta quando si smette di fumare o di usare prodotti contenenti nicotina. Il bupropione fa parte di tale categoria ed è stato introdotto nel 2008 in Italia. Rispetto agli altri antidepressivi, può determinare con minore frequenza aumento di peso e disfunzioni in ambito sessuale.

Gli antidepressivi sono efficaci?

La depressione è un disturbo mentale multifattoriale, la cui eziologia e manifestazione risente dall’interazione di fattori biologici, psicologici, sociali e ambientali. Gli antidepressivi non eliminano tali fattori, ma possono aiutare a controllare i sintomi con cui la depressione si presenta e ridurre il rischio di recidive. In seguito alla prescrizione di un antidepressivo, il medico monitorerà gli eventuali cambiamenti nei sintomi e la presenza di effetti collaterali, per verificare la possibilità di modificare il dosaggio, cambiare tipologia di farmaco antidepressivo, interrompere la terapia o aggiungerne una di supporto. L’efficacia di diversi antidepressivi è stata valutata in numerosi studi. Nel complesso, gli antidepressivi triciclici, gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) e gli inibitori della ricaptazione della noradrenalina (SNRI) si sono dimostrati più efficaci del placebo su campioni di adulti e soggetti in età evolutiva, affetti da depressione maggiore (Cipriani et al., 2018; De Luca et al., 2025; Wu et al., 2025). 

Gli antidepressivi creano dipendenza?

Gli effetti degli antidepressivi non rispecchiano quelli delle sostanze d’abuso. Secondo il National Institute of Mental Health, prima agenzia statunitense di ricerca sulla salute mentale, gli antidepressivi non creano dipendenza, non portano a un uso compulsivo con difficoltà nello smettere l’assunzione. Tuttavia, ridurre drasticamente il dosaggio o sospendere improvvisamente l’assunzione di un farmaco antidepressivo prescritto può portare a effetti avversi (la cosiddetta sindrome da sospensione degli antidepressivi), quali sintomi gastrointestinali, ipersudorazione, insonnia, irrequietezza e cambiamenti nell’umore.

Per evitare questi effetti, l’American Psychological Association raccomanda di ridurre gradualmente la dose di farmaci antidepressivi nell’arco di diverse settimane, e solo sotto la supervisione di un medico.

Gli antidepressivi possono aumentare il rischio di suicidio?

Nel 2004, la Federal and Drug Administration (FDA) ha emesso una direttiva ai produttori di antidepressivi, compresi gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI), affinché includessero un’etichetta e un apposito riquadro di avvertenza (cosiddetto black box) per segnalare un rischio elevato di pensieri e comportamenti suicidari nei bambini e negli adolescenti.

Il rischio di suicidalità per questi farmaci è stato identificato a seguito di un’analisi combinata di 24 studi clinici, che hanno coinvolto oltre 4400 giovani pazienti. L’analisi ha mostrato un rischio maggiore di suicidalità durante i primi mesi di trattamento negli individui trattati con antidepressivi

Secondo l’FDA, i pazienti pediatrici trattati con antidepressivi per qualsiasi indicazione devono essere attentamente monitorati per verificare eventuali peggioramenti clinici, agitazione, irritabilità, tendenze suicide e cambiamenti insoliti nel comportamento, soprattutto durante i primi mesi di terapia farmacologica o in caso di variazioni di dose, sia in aumento che in diminuzione. Tale monitoraggio dovrebbe includere l’osservazione quotidiana da parte di familiari e assistenti e contatti frequenti con il medico. Si raccomanda inoltre che le prescrizioni di antidepressivi siano effettuate per la minima quantità di compresse compatibile con una buona gestione del paziente, al fine di ridurre il rischio di sovradosaggio.

Bibliografia


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