L’insonnia costituisce un disturbo diffuso che da spiacevole esperienza transitoria può facilmente trasformarsi in un disagio che si protrae negli anni con conseguenze piuttosto invalidanti.
Cos’è l’insonnia?
L’insonnia è un disturbo del sonno caratterizzato da una reiterata difficoltà di inizio, durata, mantenimento o qualità del sonno. Si tratta di un disturbo molto diffuso, che interessa circa il 30% della popolazione (e il 50% degli over 50). Soffrono di insonnia soprattutto le donne e gli anziani. Si riscontrano differenze anche rispetto all’età: mentre le persone giovani o di mezza età hanno prevalentemente difficoltà a prendere sonno, le persone più anziane riportano con maggiore frequenza risvegli notturni, risvegli precoci al mattino ed un sonno non ristoratore (Drake, Rohers e Roth, 2003).
Ci sono diversi tipi di insonnia:
- insonnia iniziale o precoce, cioè la difficoltà a prendere sonno
- insonnia di mantenimento, cioè la tendenza a svegliarsi frequentemente e a rimanere svegli per periodi prolungati
- insonnia tardiva, cioè la tendenza a svegliarsi molto presto al mattino
- insonnia mista o generalizzata, cioè una combinazione delle difficoltà precedenti
Il disturbo è presente nonostante l’opportunità di ottenere condizioni e quantità adeguate di sonno e determina una serie di conseguenze diurne negative. Tra queste, le principali sono cattivo umore, irritabilità, difficoltà cognitive, eccessiva sonnolenza durante le ore del giorno (Devoto & Violani, 2010).
Ci sono inoltre dei criteri per considerare la difficoltà di addormentamento o la qualità del sonno che permettono di capire se si sta effettivamente soffrendo di insonnia:
- Quando ad addormentarsi ci si impiega regolarmente più di 30 minuti
- Quando il risveglio precoce anticipa l’orario di più di 30 minuti
- Quando il disturbo del sonno si presenta per 3 o più notti a settimana e dura per 6 mesi o più
L’ insonnia può presentarsi come esperienza occasionale, tanto che il 30-50% degli adulti ha saltuarie difficoltà ad addormentarsi o sperimenta risvegli precoci: stress e cambiamenti della routine quotidiana possono influenzare la qualità del sonno, in questi casi il disturbo risulta passeggero e si risolve spontaneamente. Solo in alcuni casi il disturbo del sonno può persistere per tempi prolungati, indicando una predisposizione all’insonnia e necessitando una presa in carico del problema più seria.
Insonnia primaria e insonnia secondaria
L’insonnia si definisce ‘primaria’ quando si presenta come forma indipendente e autonoma per eziologia e sviluppo, mentre è detta ‘secondaria’ se è conseguenza di un’altra condizione medica o psichiatrica.
Secondo l’International Classification of Sleep Disorders (ASDA, 2005) è possibile distinguere cinque forme di insonnia primaria:
- disturbo di insonnia da adattamento,
- insonnia soggettiva,
- insonnia da inadeguata igiene del sonno,
- insonnia idiopatica,
- insonnia psicofisiologica.
In soggetti affetti da disturbi dell’umore l’insonnia si delinea di frequente come difficoltà di addormentamento, risvegli frequenti durante la notte, difficoltà a prendere nuovamente sonno dopo risvegli precoci al mattino. (Nowell e Buysse, 2001). In altre condizioni psichiche morbose, come nel disturbo di ansia generalizzata, è invece prevalente una difficoltà a dormire in maniera continuativa, mentre in genere non è presente una difficoltà a prendere sonno (Monti, J. e Monti, D. 2000).
Chi soffre di insonnia inoltre va incontro a più elevati livelli di ansia e depressione, tanto che l’insonnia può essere considerata un fattore di rischio per lo sviluppo di disturbi psichiatrici.
Preoccupazione per il sonno e fattori di mantenimento dell’insonnia
L’insonnia psicofisiologica è la più comune forma di insonnia primaria ed è quella in cui entrano maggiormente in gioco fattori di mantenimento cognitivi e comportamentali.
Secondo Hauri e Fisher (1986) tale forma di insonnia si svilupperebbe a causa di due elementi principali: le preoccupazioni del soggetto riguardo all’insonnia e alcuni processi di condizionamento.
E se nemmeno stasera riuscissi a dormire?
Dopo una occasionale notte insonne dovuta a motivi di stress, eventi ansiogeni o traumatici, lutti o problemi di salute, il soggetto, in prossimità dell’ora in cui abitualmente va a dormire, svilupperebbe dei pensieri intrusivi disfunzionali riguardo all’insonnia (“e se nemmeno stasera riuscissi a dormire?”, “non ci vorrebbe proprio un’altra nottata in bianco!”, “devo assolutamente riuscire a dormire”, “domani ho una giornata impegnativa, non posso permettermi di non dormire”), che hanno conseguenze negative per il sonno.
In primo luogo, infatti, tali pensieri determinano un bias attentivo tale per cui l’attenzione del soggetto si focalizza sul riuscire o meno a dormire e la persona si “sforza” di dormire con il risultato paradossale di rimanere sveglio. In secondo luogo, la presenza di pensieri intrusivi e preoccupazione per il rischio di trascorrere nuovamente la notte senza riuscire a dormire determinano un arousal emotivo, cognitivo e fisiologico che impedisce il rilassamento fisico e psichico indispensabile per dormire.
Al circolo vizioso cognitivo si aggiunge un condizionamento che investe tanto gli stimoli interni quanto quelli ambientali. I pensieri e gli stati mentali, ma anche la camera da letto, le abitudini serali e i rituali che si svolgono prima di coricarsi si associano al non dormire in breve tempo (Devoto & Violani, 2010). Contrariamente a quanto avviene per i normodormienti, che associano le abitudini pre-sonno e le caratteristiche della stanza in cui dormono ad uno stato di rilassamento, che rende possibile prendere sonno, chi fatica a dormire tende ad associare lo stare a letto con il rimanere svegli e il non riposare. È proprio per la presenza di fattori di mantenimento cognitivi e comportamentali che un’insonnia acuta e situazionale (dovuta ad un particolare periodo o evento) si trasforma gradualmente in un’insonnia cronica.
Cause dell’insonnia e fattori di rischio
Gli eventi stressanti della quotidianità possono influire sulla qualità del sonno e in alcuni casi determinare lo stabilizzarsi di un quadro invalidante di insonnia. Questo disturbo, infatti, si può presentare come disturbo reattivo a specifiche situazioni psicosociali. Si pensi ad esempio ad un lavoro poco remunerativo o insoddisfacente, preoccupazione per la salute di un familiare, difficoltà relazionali, generale nervosismo o tensione (Martikainen, Partinen, Hasan, Laippala, Urponen, e Vuori, 2003).
Sembra che, in realtà, ad influire sulla qualità del sonno non sia tanto la frequenza degli eventi di vita stressanti, quanto piuttosto la risposta del soggetto a tali accadimenti (Drake, Roehrs e Roth, 2003): può accadere che gli individui con insonnia continuino a presentare disturbi del sonno dopo la dissipazione dello stress acuto che inizialmente avrebbe potuto innescare il disturbo stesso.
Anche le nostre abitudini quotidiane possono disturbare il sonno. È diffusa la convinzione che consumare bevante alcoliche prima di coricarsi favorisca il sonno, mentre uno studio condotto da ricercatori giapponesi ha confermato che l’alcol può provocare insonnia e privare delle sue funzioni lo stato di riposo (Sagawa et al., 2011).
Insonnia e utilizzo di smartphones e schermi luminosi
Un recente studio sull’utilizzo dello smartphone ha dimostrato come anche quest’ultimo possa costituirsi come un fattore di rischio ben definito (Grover et al, 2016). Gli schermi illuminati di smartphone e tablet emettono le cosiddette onde blu, ovvero luce a breve lunghezza d’onda che ha un forte impatto sulla sonnolenza diurna, poiché ritarda il rilascio della melatonina, rendendo così più difficile prendere sonno di notte. Quando andiamo a dormire dovremmo abituarci al buio attraverso un lento processo graduale ed è chiaro come uno schermo illuminato nella totale oscurità, che magari seguita a lampeggiare e mostrare spie luminose all’arrivo di nuovi messaggi, non può che influenzare questo ingresso nel sonno in maniera brusca e forzata. Così facendo, lo schermo luminoso va a danneggiare i nostri ritmi circadiani, influenzando così la successiva fase REM (Rapid Eye Movement), fase del sonno fondamentale per l’apprendimento e la memoria: se andiamo a dormire più tardi del solito, ma continuiamo a svegliarci alla stessa ora, la nostra fase REM ne risulta fortemente accorciata e non dobbiamo dunque stupirci se le nostre capacità mnestiche e cognitive il giorno dopo non siano adeguate!
Disturbi psicologici associati all’insonnia
Accanto allo stress, all’età e alle cattive abitudini, diversi disturbi psicologici e fisici possono associarsi alla presenza di insonnia.
Alcune forme di disagio psicologico possono comportare un’insonnia secondaria. In quadri clinici depressivi si osserva di frequente una difficoltà di addormentamento, risvegli notturni e difficoltà a riaddormentarsi dopo risvegli precoci al mattino, mentre nei disturbi d’ansia è comune una difficoltà a riposare in modo continuativo, anche se non si riscontrano particolari problemi a prendere sonno (Nowell e Buysse, 2001; Monti e Monti, 2000).
Il legame tra insonnia e depressione è piuttosto complesso e, se è vero che soggetti depressi spesso riposano male, non è detto che sia questo l’ordine causale: secondo una recente metanalisi l’insonnia può essere predittiva di depressione (Baglioni et al., 2011). In particolare, sembra che i disturbi del sonno influenzino i sintomi depressivi attraverso il loro impatto sulle abilità cognitive, In particolare quelle abilità che riguardano il controllo cognitivo.
Il legame tra insonnia e disturbi dell’umore evidenzia la necessità curare l’insonnia: prevenire o trattare tempestivamente i disturbi del sonno potrebbe costituire un elemento importante all’interno di un progetto più ampio di prevenzione del suicidio e dei disturbi dell’umore, con un’attenzione particolare ai più giovani.
Condizioni mediche come fattori di rischio per l’insonnia
Anche alcune condizioni mediche di carattere non psicologico sono ritenute fattori di rischio per l’insonnia. Malattie somatiche come l’asma bronchiale e l’ipertensione arteriosa inducono a frequenti risvegli durante la notte; altre condizioni fisiche morbose come l’ulcera duodenale e l’artrite reumatoide possono causare difficoltà a prendere sonno. Tra le malattie fisiche, invece, ipertensione e problemi cardiaci sono frequentemente associati all’insonnia (Martikainen et al. 2003).
Per quanto riguarda invece la durata negli anni del disturbo, sembra che i fattori che influiscono maggiormente siano i disturbi medici e psichiatrici (come ansia e depressione) oppure condizioni di vita generalmente alterate.
Le conseguenze dell’insonnia
L’insonnia fa male alla salute e ha conseguenze negative sulla qualità della vita. Le persone che dormono in media meno di sette ore hanno probabilità più alte di avere valori della pressione sanguina superiori alla norma. Secondo i ricercatori, infatti, riposare almeno sette ore inciderebbe sulla capacità dell’organismo di rispondere alle sollecitazione degli ormoni dello stress durante la giornata, avendo poi una ricaduta importante sulla regolazione della pressione sanguigna.
Chi dorme poco e male, inoltre, presenta eccessiva sonnolenza diurna e deficit di attenzione, concentrazione e memoria che influiscono negativamente sull’attività lavorativa (Zisapel, 2007).
Ad essere colpita dalle conseguenze dell’insonnia è anche la nostra capacità di regolare le emozioni. Quante volte ci è capitato di essere intrattabili e troppo emotivi dopo una nottataccia? Probabilmente in quelle corcostanze la capacità del cervello di regolare le emozioni è compromessa dalla fatica. La ricerca rivela i cambiamenti che la privazione del sonno può imporre alla nostra capacità di regolare le emozioni e di stanziare le risorse cerebrali per l’elaborazione cognitiva.
Senza dormire, il semplice riconoscimento di quello che è un evento emotivo e quello che è un evento neutro è interrotto. Possiamo venire provocati allo stesso modo da qualunque stimolo, anche neutro, e perdere la nostra capacità di distinguere tra informazioni più o meno importanti. Questo può portare a una distorsione dei processi cognitivi e alterare la capacità di giudizio e la risposta ansiosa.
Tra le varie conseguenze della deprivazione del sonno troviamo anche la paranoia, un peculiare modo di usare il pensiero, uno sforzo mentale teso a immaginare tutte le possibili intenzioni malevole degli altri, che può sfociare anche in forme molto gravi di delirio persecutorio. Una recente ricerca ha mostrato come la scarsa qualità del sonno sia maggiormente associata al pensiero paranoico in un campione di persone senza disturbi psicologici e in un campione di persone con alti livelli di paranoia (Freeman et al., 2009). Dormire male ci porta a pensare male e soprattutto a costruire riflessioni paranoiche, talvolta irrealistiche, che possono avere come spiacevole effetto il rovinare le nostre relazioni sociali (Myers et al., 2011).
Curare l’insonnia
Il carattere invalidante che l’insonnia può assumere quando si protrae nel corso del tempo rende necessario intervenire. Una corretta igiene del sonno è indubbiamente il primo passo, ma non sempre è sufficiente, soprattutto se il disturbo si è radicato nel corso del tempo.
La psicoterapia cognitivo-comportamentale si è rivelata particolarmente efficace per intervenire sui disturbi del sonno: essa consiste essenzialmente in una psicoeducazione, in un rafforzamento delle associazioni tra il letto e il momento di andare a dormire e in una ristrutturazione dei pensieri disfunzionali legati al sonno. Il trattamento dell’insonnia ha come obiettivo primario quello di migliorare la qualità e la quantità del sonno e i sintomi diurni correlati al disturbo.
I passi che si eseguono con lo specialista sono questi:
- Psicoeducazione a una corretta igiene del sonno: in questa fase si aiuta il soggetto a comprendere quali sono i fattori che possono influenzare il sonno e mantenere l’insonnia. la psicoeducazione riguarda anche la fisiologia del sonno: le diverse fasi del sonno, i ritmi circadiani e le eventuali differenze individuali. Vengono poi fornite regole di igiene del sonno per migliorarne la qualità (ad esempio: no smartphone, caffeina, alcol prima di coricarsi)
- La tecnica della restrizione del sonno: la restrizione del sonno (Spielman et al. 1987) è una tecnica comportamentale che consiste nel diminuire la quantità di tempo trascorsa a letto. Tale tecnica è quindi mirata a modificare la più comune, quanto dannosa, risposta dell’insonne alla deprivazione di sonno, ovvero recuperare il sonno perso e ottenere il riposo necessario incrementando il numero di ore passate a letto. (Coradeschi D., 2016)
- Controllo dello stimolo: la tecnica del controllo dello stimolo nella terapia dell’insonnia (Bootzin 1972) consiste in una serie di istruzioni mirate a (1) ristabilire un regolare ritmo sonno-veglia, (2) ristabilire (o rinforzare) la funzione di stimolo discriminativo per l’addormentamento esercitata dal letto e dalla camera, (3) estinguere (o indebolire) l’associazione tra queste variabili ambientali e attività che interferiscono o sono incompatibili con il sonno. A tale scopo al paziente viene prescritto di: 1) andare a letto solo quando percepisce i segnali della sonnolenza, 2) usare il letto solo per dormire eliminando attività incompatibili (leggere, guardare la TV, preoccuparsi per la giornata successiva), 3) alzarsi e andare in un’altra stanza se il sonno non arriva nell’arco di 10-15 minuti, ritornando a letto solo se assonnati, 4) ripetere la sequenza quante volte necessario durante la notte, 5) mantenere un orario di sveglia regolare, 6) evitare il sonnellino pomeridiano. (Coradeschi D., 2016)
- Ristrutturazione cognitiva: tramite l uso del diario quotidiano si impara a identificare i pensieri disfunzionali legati al sonno che generano ansia e inquietudine e con l’aiuto del terapeuta si impara metterli in discussione sostituendoli con modalità di pensiero più utili. Il core della terapia cognitiva sta nel fatto che se cambiamo i nostri pensieri possiamo cambiare le nostre emozioni.
- Tecniche di rilassamento: un importante studio ha dimostrato che la pratica della Mindfulness, una forma di meditazione di consapevolezza la cui efficacia su diversi disturbi è ormai dimostrata, potrebbe assumere un ruolo importante per prevenire e risolvere i problemi del sonno e per evitare che si presentino conseguenze nella vita di tutti i giorni.
Conclusioni
L’insonnia costituisce un disturbo diffuso che da spiacevole esperienza transitoria può facilmente trasformarsi in un disagio che si protrae negli anni con conseguenze piuttosto invalidanti. I fattori di rischio sono vari: eventi di vita stressanti, modalità di elaborazione degli stessi eventi, età, abitudini di vita poco sane come consumare alcolici prima di coricarsi o utilizzare lo smartphone al buio, dopo aver spento la luce. Diverse forme di disagio psicologico o di malattie fisiche si associano a disturbi del sonno e, nel caso dei disturbi dell’umore, sembra che l’insonnia possa costituire un fattore predittivo del presentarsi dei sintomi depressivi. Quando dormiamo poco e male, la nostra vita diurna ne risente in modo sostanziale: si riducono le risorse cognitive, si allenta la nostra capacità di regolare le emozioni, la produttività nelle attività lavorative è minacciata, in alcuni casi si sviluppano forme più o meno gravi di paranoia. Intervenire risulta quindi fondamentale e, ad alcune sane abitudini, può risultare utile associare un intervento cognitivo-comportamentale.
Bibliografia:
- Davide Coradeschi (2016). Restrizione del sonno e controllo dello stimolo: il cuore dell’interventi comportamentale per l’insonnia. Cognitivismo Clinico,13, 1, 54-67