Riassunto
Editoriale a cura di Chiara Mignogna, Rossella Cascone, Alessandra Iannucci, Caterina Villirillo, Carlo Buonanno, Chiara Baglioni
Il disturbo di insonnia è un disturbo molto comune nella popolazione generale, spesso concomitante con altre condizioni mediche e/o mentali. Ai sintomi notturni, come la difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno durante la notte, si associano sintomi diurni, come ad esempio stanchezza e fatica, che impattano la vita delle persone che ne soffrono.
Attualmente, le linee guida europee e americane descrivono la terapia cognitivo comportamentale per l’insonnia (Cognitive Behavioural Therapy for Insomnia, CBT-I) come il trattamento di prima scelta, mentre la terapia farmacologica dovrebbe essere prescritta solo nei casi in cui non sia possibile offrire il trattamento CBT-I al paziente oppure non sia risultato efficace. Nonostante tali indicazioni, dati a disposizione mostrano come solo a una piccola percentuale di pazienti venga offerta la terapia cognitivo comportamentale per l’insonnia, in particolare negli Stati Uniti e in Europa.
Il presente articolo si propone di illustrare lo stato dell’arte del disturbo di insonnia, le ultime indicazioni relative alla valutazione clinica e al trattamento, oltre che le modalità con cui si sta cercando di rendere la CBT-I sempre più fruibile ai pazienti affetti da insonnia cronica.
Parole chiave: insonnia, disturbo di insonnia, terapia cognitivo comportamentale per l’insonnia (Cognitive Behavioural Therapy for Insomnia, CBT-I).
Abstract
Insomnia is a very common psychophysiological disorder in the general population, often concomitant with other medical and/or mental conditions. Nocturnal symptoms, such as difficulty falling asleep or staying asleep during the night, are associated with daytime symptoms, such as tiredness and fatigue, which impact the lives of people who suffer from insomnia.
Currently, European and American guidelines describe Cognitive Behavioral Therapy for Insomnia (CBT-I) as the treatment of first choice, while pharmacological therapy should be prescribed only in cases where it is not possible to offer CBT-I to the patient or was not effective. Despite these indications, available data show that only a small percentage of patients are offered with CBT-I.
This article aims to illustrate the state of the art of insomnia disorder, the latest indications relating to clinical evaluation and treatment, as well as the ways in which clinicians are trying to make CBT-I increasingly usable for patients suffering from chronic insomnia.
Key words: insomnia, insomnia disorder, cognitive behavioral therapy for insomnia (Cognitive Behavioral Therapy for Insomnia, CBT-I).
Il disturbo di insonnia: definizione, dati epidemiologici e fattori di rischio
Introduzione
Il disturbo di insonnia è una condizione molto diffusa nella popolazione generale ed è molto frequente riscontrarla nella pratica clinica, sia da sola che in comorbilità con altre patologie, fisiche e/o mentali (Morin et al., 2015).
Chi soffre di insonnia lamenta un’insoddisfazione sulla quantità o la qualità del proprio sonno, che si manifesta con difficoltà nel prendere sonno o nel mantenerlo, a causa di risvegli frequenti con problemi nel riaddormentarsi successivamente, oppure con la presenza di precoci risvegli mattutini. Le difficoltà associate al sonno comportano un disagio significativo per la persona e una compromissione del suo funzionamento quotidiano nelle diverse aree di vita, da quella lavorativa/scolastica a quella sociale. I principali sintomi diurni che accompagnano le difficoltà del sonno sono caratterizzati da sensazione di stanchezza, sonnolenza, ridotta energia, funzioni cognitive ridotte a carico della memoria, dell’attenzione e della concentrazione, alterazione dell’umore, come irritabilità, umore labile, sintomi depressivi o ansiosi (DSM-5, APA, 2013; ICSD-3, AASM, 2014). L’insonnia è quindi un disturbo che riguarda l’intero arco della giornata, e non solo la notte, con sintomi notturni e diurni e, frequentemente, è proprio la compromissione diurna a spingere le persone a richiedere un intervento (Morin et al., 2006).
Epidemiologia del disturbo di insonnia
Si stima che il 30-35% della popolazione riporti sintomi di insonnia acuta oppure ricorrente e che circa il 10% sia afflitto dalla forma cronica; inoltre sembra che le difficoltà del sonno aumentino con l’età (Ohayon, 2002) e ci sia una maggiore prevalenza delle donne rispetto agli uomini (Zhang e Wing, 2006). Dati recenti confermano tali stime. Nello specifico, Baglioni e collaboratori (2020a) hanno effettuato una panoramica sugli studi epidemiologici condotti in Europa, rilevando come la prevalenza media europea di persone che soddisfano i criteri per il disturbo di insonnia sia del 10%, con differenze tra i diversi paesi europei. Studi longitudinali mostrano, inoltre, come il 70% degli individui con insonnia continua a riportarla anche dopo un anno e circa il 50% soffre ancora di insonnia dopo 3 anni (Morphy et al., 2007; Morin et al., 2009). L’insonnia può essere influenzata da alcuni fattori, come l’età e il genere femminile, e viene più comunemente diagnosticata nelle persone che hanno altri disturbi, sia fisici che mentali (Bin et al., 2012; Pearson et al., 2006; Ohayon, 2002). Infatti, tra le persone che soffrono di un disturbo psicopatologico, circa il 70% riporta difficoltà di iniziare il sonno o difficoltà nel mantenerlo durante la notte, con più del 30% che soddisfa a pieno anche i criteri dell’insonnia (Seow et al., 2018). Altre caratteristiche che sono solitamente correlate all’insonnia sono uno status socio- economico basso, un basso livello di istruzione, disoccupazione e stress psicologico. Altri fattori di rischio per l’insorgenza dell’insonnia sono rappresentati dall’avere una vulnerabilità familiare all’insonnia e l’esposizione a eventi di vita gravi e cronici (Morin et al., 2015).
Per quanto riguarda l’Italia, gli ultimi dati disponibili (Terzano et al., 2004) mostrano come il 64% dei pazienti che si rivolgono ai medici di base riportano sintomi notturni di insonnia e che il 44% di essi lamenta anche sintomi diurni.
Eziologia del disturbo di insonnia
Oltre ad alcuni fattori che rendono più inclini le persone a sviluppare l’insonnia, la sua insorgenza nonché il suo mantenimento può essere spiegato dalla co-occorrenza di 3 tipi di fattori, fattori predisponenti, fattori precipitanti e fattori perpetuanti (figura 1) come indicato dal Modello delle 3P di Spielman e collaboratori (1987a).
I primi, predisponenti, sono quell’insieme di fattori che aumentano la vulnerabilità a sviluppare l’insonnia e sono l’età, il sesso, l’ipereccitabilità ed essere inclini all’ansia, aspetti di personalità, avere una storia familiare di insonnia, ecc. I fattori precipitanti sono invece quegli eventi che determinano l’esordio di un episodio di insonnia, per esempio essere esposti a un evento stressante nella vita oppure cambiamenti che impattano sulla vita della persona. Se alcune persone riprendono a dormire in modo efficace dopo che l’evento scatenante si risolve, altre continuano a presentare le difficoltà legate al sonno. I fattori perpetuanti, in ultimo, sono i fattori di mantenimento del disturbo, caratterizzati da tutti quei comportamenti che vanno a consolidare il disturbo di insonnia, come ad esempio andare a letto prima o rimanere nel letto anche se si è svegli (Morin e Benca, 2012; Morin et al., 2015). In genere, i fattori perpetuanti si attivano come risposta a un periodo di insonnia acuta proprio per andare a risolvere il problema, ma hanno invece l’effetto contrario di mantenerlo e peggiorarlo perché agiscono in contrasto con i processi che regolano la fisiologia del sonno. Alcuni fattori perpetuanti sono strategie che vengono messe in atto per contrastare le difficoltà del sonno temporanee diventando delle nuove abitudini ma che si dimostrano completamente inefficaci. Altri sono pensieri ed emozioni, come la preoccupazione per la perdita del sonno e le sue conseguenze, che si attivano e che a loro volta diventano trigger per strategie che si dimostrano erronee.
Disturbo di insonnia: costi e rischi per la salute fisica e mentale
Il disturbo di insonnia è una condizione morbosa ad elevato costo socio-economico, che negli Stati Uniti è stimato essere superiore ai 150 miliardi di dollari annui, conseguenza sia di costi diretti come l’acquisto di farmaci, ma soprattutto di costi indiretti che rappresentano la spesa maggiore, come inferiori prestazioni e assenteismo sul posto di lavoro, maggiore ricorso all’assistenza sanitaria, aumentato rischio di incidenti, nonché un aumentato consumo di alcol utilizzato come aiuto per il sonno (Daley et al., 2009; Wickwire et al., 2016; Reynolds e Ebben, 2017). Nonostante ci possano essere differenze di spese correlate all’insonnia per ciascun paese, i costi diretti e indiretti rappresentano un pesante onere per la società e per i bilanci sanitari generali (Baglioni et al., 2020a). L’insonnia è associata, inoltre, a molte conseguenze negative per la salute rappresentando un fattore di rischio per diverse condizioni. Infatti, diversi studi mostrano come il disturbo di insonnia sia un fattore di rischio per malattie cardiovascolari (Li et al., 2014; Sofi et al., 2014) come l’insufficienza cardiaca (Laugsand et al., 2014a), l’infarto acuto del miocardio (Laugsand et al., 2011) e l’ipertensione arteriosa (Palagini et al., 2013), e per lo sviluppo di malattie metaboliche come il diabete mellito di tipo 2 (Anothaisintawee et al., 2016). L’insonnia viene considerata un fattore transdiagnostico per la salute mentale ed evidenze scientifiche mostrano la relazione che intercorre tra insonnia e disturbi mentali (Harvey et al., 2011). Soffrire di un disturbo psicopatologico in comorbilità con l’insonnia contribuisce ad un decorso peggiore del disturbo mentale, nonché ad una minore efficacia del trattamento (Seow et al., 2018). In una meta-analisi, Baglioni e collaboratori mostrano come l’insonnia aumenti il rischio di sviluppare depressione e che l’effetto predittivo dell’insonnia sulla depressione sia simile nelle diverse fasce di età, dall’infanzia all’età anziana (Baglioni et al., 2011). Successivamente, in un’ulteriore meta-analisi viene estesa tale scoperta sostenendo che la presenza di insonnia aumenta anche le probabilità di soffrire di ansia (Hertenstein et al., 2019). Nei pazienti con depressione, l’insonnia e la presenza di incubi notturni aumentano il rischio di ideazione suicidaria, tentativi di suicidio e suicidi completati (Wang et al., 2019). Inoltre, studi epidemiologici mostrano come l’insonnia sia un fattore di rischio per congedi per malattia, aumento del numero di infortuni sul lavoro nonché il rischio di avere incidenti con l’automobile (Laugsand et al., 2014b; Sivertsen et al., 2009a; Sivertsen et al., 2009b; Leger et al., 2014).
La diagnosi del disturbo di insonnia
Per effettuare diagnosi di disturbo di insonnia, i sintomi notturni di inizio e/o mantenimento del sonno e/o di risveglio precoce devono essere presenti per almeno tre volte a settimana da almeno tre mesi. Il DSM-5 (2013) permette di diagnosticare il disturbo di insonnia come un disturbo singolo o in comorbilità con un altro, superando la vecchia distinzione che veniva utilizzata tra “insonnia primaria” e “insonnia secondaria” con lo scopo di differenziare l’insonnia “pura” da quella collegata o causata probabilmente da un altro disturbo. Tenendo conto, invece, della natura bidirezionale tra insonnia e altre condizioni morbose, ad oggi tale distinzione è stata superata (Morin et al., 2015), soprattutto grazie a dati empirici che hanno mostrano come trattare il disturbo “principale” non porta benefici sul disturbo di insonnia, come ad esempio nei casi di insonnia associata alla depressione (Riemann et al., 2017; NHI, 2005). Tuttavia, essendo i sintomi dell’insonnia presenti in molte condizioni morbose, è importante sottolineare come sia il giudizio clinico, che tiene conto del decorso, della gravità e della presentazione sia dell’insonnia che del disturbo mentale concomitante, decisivo nel comprendere se un disturbo mentale coesistente spieghi completamente il disturbo dell’insonnia o se l’insonnia sia una diagnosi indipendente (Hertenstein et al., 2022).
Il criterio per cui i sintomi devono essere presenti per almeno 3 mesi ci porta a fare un’importante distinzione tra l’insonnia acuta e la forma cronica. La prima si associa solitamente a eventi di vita o a cambiamenti della routine del sonno, come ad esempio il jet-lag o lavoro su turni, e una volta rientrato l’evento precipitante solitamente si attenuano anche i problemi legati al sonno (Bastien et al., 2004). Di fatto, l’insonnia acuta è molto comune, si tratta di una condizione transitoria che si risolve nel giro di pochi giorni o settimane e solitamente non richiede alcun intervento. Contrariamente, la forma cronica è persistente e spesso dura mesi o anche anni, e per questo necessita di un trattamento specifico (Morin et al., 2015; Riemann et al., 2017).
Insonnia e Covid: un focus sul problema in espansione in particolare in Italia
La pandemia da Covid-19 ha rappresentato uno dei momenti più difficili degli ultimi anni che l’intero pianeta si sia trovato ad affrontare. Di concerto tutti i paesi del mondo sono stati chiamati a rispondere a un’emergenza sanitaria senza precedenti negli ultimi decenni, con importanti conseguenze sia sul piano della salute sia sul piano sociale ed economico. Le scelte governative dei singoli paesi per contenere il contagio hanno influenzato la vita di milioni di persone, andando a modificare il loro modo di socializzare, di lavorare, di studiare e di vivere (Wu et al., 2021).
Oltre ai problemi di salute e alla preoccupazione per la stessa, gli sforzi per mitigare la diffusione del virus hanno portato a una riduzione delle interazioni sociali, difficoltà finanziare, spostamento in casa delle attività lavorative e scolastiche che insieme al confinamento obbligatorio hanno avuto un impatto importante sul sonno e sulla salute mentale (Cox e Olatunji, 2021; Morin et al., 2021; Zitting et al., 2021). Se consideriamo che lo stress è uno dei fattori primari precipitanti dell’insonnia (Morin et al., 2003) possiamo comprendere quanto la perdita della propria routine quotidiana, l’incertezza per il futuro e la preoccupazione di contrarre il virus abbiano avuto un importante ruolo sul sonno (Zitting et al., 2021).
In effetti sono diversi i fattori che influenzano il nostro sonno e agiscono sui sistemi che lo regolano. L’esposizione alla luce, i livelli di attività che effettuiamo durante il giorno così come l’attività fisica hanno un peso su come dormiremo. L’esposizione alla luce influisce sul rilascio di melatonina, che svolge un ruolo importante nell’indurre sonnolenza, così come i livelli di attività durante il giorno influenzano il sonno della notte successiva; bassi livelli di attività oppure livelli elevati, dovuti ad esempio a uno stress lavorativo, la influenzano negativamente (per un approfondimento vedi: Altena et al., 2020). Durante la pandemia, in particolare nelle prime fasi, molti di questi fattori sono stati completamente stravolti con conseguenze sul funzionamento quotidiano e sul sonno notturno.
Alcuni lavori di meta-analisi effettuati durante il periodo della pandemia riportano, infatti, elevati tassi di insonnia, sia nella popolazione generale sia in specifiche sottocategorie, come gli operatori sanitari e le persone affette da Covid-19. Nello specifico, una meta-analisi condotta su 44 studi di 13 paesi mostrava come la prevalenza di problemi di sonno durante la pandemia era elevata e colpiva circa il 40% delle persone della popolazione generale e personale sanitario; inoltre, i pazienti con infezione da virus attivo sembravano avere tassi di prevalenza più elevati di problemi di sonno (Jahrami et al., 2021). Un’altra meta-analisi condotta su 39 paesi riportava una prevalenza di problemi del sonno pari al 31% negli operatori sanitari, 18% nella popolazione generale e il 57% nei pazienti affetti da Covid (Alimoradi et al., 2021). Morin e collaboratori in uno studio internazionale su 13 paesi, riscontravano come i sintomi clinici dell’insonnia venivano riportati dal 36,7% degli intervistati e il 17,4% soddisfaceva i criteri per un probabile disturbo di insonnia (Morin et al., 2021). Nel complesso, questi dati superano i tassi riportati negli studi epidemiologici condotti prima della pandemia (Ohayon, 2002). Inoltre, uno studio di Meaklim e collaboratori mostrava come i sintomi di insonnia post-pandemia erano associati a maggiori livelli di stress, ansia e depressione rispetto a sintomi di insonnia pre-esistente o senza sintomi di insonnia (Meaklim et al., 2021).
L’Italia è stato il primo paese in Europa a dover fronteggiare la pandemia con uno dei più grandi cluster di contagio da Covid-19. Le misure restrittive messe in atto dal governo per contenere le infezioni hanno portato al confinamento delle persone nelle loro abitazioni, con la sola possibilità di uscire per comprovati motivi (medici, lavorativi, o per l’acquisto di beni di prima necessità, come alimenti o farmaci); tale condizione di lockdown ha avuto una durata di circa due mesi, per poi essere allentato con misure via via meno restrittive.
Un team di esperti del settore (Altena et al., 2020) ha sottolineato come la qualità del sonno sia stata messa in discussione in condizioni di lockdown, andando a configurarsi come un importante fattore di rischio per lo sviluppo di insonnia acuta che può evolvere in insonnia cronica, esponendo inoltre le persone a un maggior rischio di psicopatologia.
In uno studio su scala nazionale durante il periodo di lockdown in Italia, Bacaro e collaboratori (2020) hanno indagato la prevalenza del disturbo di insonnia nella popolazione e la sua associazione con diversi fattori di rischio, nonché il legame con sintomi di ansia e depressione. I risultati indicavano un’elevata prevalenza di insonnia clinica (18,6%), mostrando come anche in Italia la prevalenza durante il Covid superava i dati normativi europei (10%) e italiani (7%) (Baglioni et al., 2020a; Ohayon, 2002). Nelle loro analisi emerse come la severità dell’insonnia era associata a comportamenti di scarsa igiene del sonno e credenze disfunzionali sul sonno, oltre che a una ridotta flessibilità cognitiva e aumentati livelli di stress, ansia e depressione (Bacaro et al., 2020).
Comportamenti di scarsa igiene del sonno sono stati riscontrati anche in uno studio volto ad indagare le abitudini del sonno e la prevalenza di insonnia nei bambini italiani durante il confinamento in casa, riscontrando un aumento della prevalenza di insonnia nei bambini tra i 0 e i 12 anni, con il 59,4% del campione che mostrava almeno uno dei criteri diagnostici clinici per l’insonnia infantile, e questo era associato a comportamenti di scarsa igiene del sonno e umore negativo (Bacaro et al., 2021). In particolare, l’abitudine di andare a dormire tardi era presente in tutte le fasce di età indagate, mettendo in luce come nei mesi di pandemia i bambini abbiano avuto orari meno rigidi, dovuto probabilmente alla chiusura delle scuole. Questi dati sono confermati anche da altri studi che mostrano come durante la pandemia ci sia stato un ritardo del programma sonno/veglia nei bambini, nonché un aumento dei disturbi del sonno (Bruni et al., 2022). Se consideriamo che già dati precedenti (Bacaro et al., 2019; Bisogni et al.2014) sottolineavano orari ritardati nell’andare a letto dei bambini italiani rispetto alle raccomandazioni delle linee guida internazionali (Mindell e Owens, 2015), è importante prestare particolare attenzione a questo aspetto, soprattutto in un contesto di post-pandemia in cui l’igiene del sonno e i comportamenti inerenti al sonno dei bambini possono essere molto compromessi e aumentare il rischio di sviluppare problemi di insonnia cronica in futuro (Bacaro et al., 2021). L’effetto negativo della pandemia sul sonno è stato riscontrato anche da studi che hanno indagato il sonno nell’adolescenza, confermando come ci sia stato un peggioramento della qualità del sonno e degli orari e abitudini di sonno degli adolescenti (Bruni et al., 2022; Bacaro et al., 2022; Amicucci et al., 2021). Un’elevata prevalenza di insonnia in questa popolazione è stata riscontrata durante la pandemia accompagnata da cattive abitudini relative al sonno, come andare a dormire tardi, scarsa igiene del sonno e l’uso di dispositivi elettronici nel letto (Bacaro et al., 2022). Uno studio, inoltre, ha mostrato come un maggior uso di dispositivi elettronici durante il lockdown si associava a una riduzione della qualità e della durata del sonno, a un’esacerbazione dei sintomi dell’insonnia e a una latenza di insorgenza del sonno più lunga (Salfi et al., 2021).
Tutti gli aspetti sopracitati e i cambiamenti avvenuti nei pattern di sonno durante la pandemia hanno importanti implicazioni cliniche in quanto potrebbero rappresentare fattori di rischio per lo sviluppo di disturbi del sonno. Al contrario, prestare attenzione all’igiene del sonno, mantenere un programma stabile di orari così come evitare l’uso eccessivo di dispositivi elettronici prima di coricarsi sembrano essere strategie efficaci per preservare il sonno e la salute psicologica (Freeman et al., 2017).
Considerando l’impatto che la pandemia ha avuto sul sonno, è importante che l’attenzione clinica sia rivolta a comprendere e monitorare il decorso dei sintomi di insonnia, valutando l’eventuale evoluzione in stati cronici con conseguenze importanti sulla salute fisica e mentale.
L’intervento psicologico per il disturbo di insonnia: che cos’è
La terapia cognitivo comportamentale per l’insonnia (Cognitive Behavioural Therapy for Insomnia, CBT-I) è riconosciuta attualmente il trattamento di prima linea per il disturbo di insonnia, come indicato dalle linee guida europee (Riemann et al., 2017) e dalle linee guida pubblicate dall’American College of Physicians-ACP (Qaseem et al., 2016). Esse infatti raccomandano di effettuare la CBT-I come primo trattamento alle persone con insonnia cronica e solo nel caso in cui la CBT-I non risulti efficace o disponibile deve essere valutata la possibilità di altri interventi, come la terapia farmacologica.
La terapia cognitivo comportamentale per l’insonnia è un insieme di strategie terapeutiche che in gran parte mirano a modificare i fattori di mantenimento del disturbo di insonnia, i fattori perpetuanti del modello delle 3P di Spielman e collaboratori (1987a), citato nel primo paragrafo (figura 1). In effetti, il target della CBT-I è rappresentato principalmente da tutti quei fattori che possono mantenere il disturbo nel tempo, come la quantità di tempo trascorsa a letto, l’abitudine di fare sonnellini quotidiani, orari irregolari di sonno-veglia, l’eccessiva preoccupazione per la perdita di sonno, l’ansia e il rimuginio sulle conseguenze diurne (Morin, 2004).
In linea con ciò, la CBT-I è composta da diverse componenti che includono strategie cognitive, strategie comportamentali, tecniche di rilassamento e psicoeducazione sul sonno che hanno come obiettivo quello di andare a modificare le cattive abitudini del sonno, regolare i programmi di sonno-veglia, mettere in discussione le credenze disfunzionali circa il sonno e correggere i comportamenti che non sono in linea con il sonno, oltre che ridurre l’arousal fisico e cognitivo (Morin, 2004). Il clinico può decidere in base al singolo caso se applicare integralmente la CBT-I come modulo terapeutico completo oppure decidere di selezionare solamente alcune sue componenti, in base anche alla loro applicabilità e alle preferenze del paziente (Devoto et al., 2019; Espie, 2022). Questo è particolarmente importante perché la CBT-I non è un elenco di istruzioni, ma un intervento di psicoterapia che deve essere adattato ad ogni singolo percorso da professionisti qualificati sia rispetto al disturbo di insonnia sia rispetto al trattamento a orientamento cognitivo-comportamentale (e.g. Baglioni et al., 2020a).
Qui di seguito illustriamo le componenti della CBT-I.
Psicoeducazione e igiene del sonno
La psicoeducazione e l’igiene del sonno hanno lo scopo di fornire al paziente l’insieme di regole e istruzioni generali sui fattori interni (per es. esercizio fisico, uso di sostanze, orologio) ed esterni (luce, temperatura, rumore, ecc.) che possono favorire o disturbare il sonno (Hauri, 1991). Lo scopo è rendere il paziente consapevole del ruolo che tali fattori possono esercitare sul sonno, al fine di riconoscerli e minimizzare i loro effetti. Il paziente, inoltre, viene informato sui processi fisiologici di base del sonno e sui cambiamenti legati all’età nei modelli di sonno (Riemann et al., 2017). Questa fase psico-educativa solitamente avviene in una fase iniziale del trattamento dove il paziente ha l’opportunità di comprendere come funziona il suo disturbo, quali sono i comportamenti disfunzionali che attua e quali sono gli interventi che possono modificarli, aumentando la collaborazione da parte del paziente.
Strategie comportamentali
Restrizione del sonno
La terapia della restrizione del sonno è un metodo che ha lo scopo di rinforzare la pressione omeostatica del sonno e stabilizzare il ritmo circadiano sonno-veglia, andando di fatto a diminuire la quantità di sonno nelle notti che seguono, riducendo l’accumulo di sonno (Spielman et al., 1987b; Baglioni et al., 2020a). Per fare ciò al paziente viene chiesto di limitare il tempo che passa a letto alla quantità media di sonno raggiunto, valutata attraverso i diari del sonno. Per esempio, se il paziente riporta di stare nel letto 9 ore mentre il tempo effettivo di sonno corrisponde a 6 ore, l’istruzione iniziale sarà quella di restringere la sua finestra di sonno (ovvero il tempo che intercorre tra spegnere la luce e alzarsi al mattino) a 6 ore. Qualora il paziente riporti una media di sonno molto bassa, comunque la finestra di sonno indicata non dovrebbe mai scendere sotto le 5 ore. In base all’andamento settimanale, la finestra di sonno viene poi gradualmente aggiustata. Se il paziente riporta un’efficienza di sonno >85-90% il tempo a letto viene aumentato di 15-30 minuti, mentre rimane stabile o diminuisce se l’efficienza di sonno riportata è inferiore all’80%, finché non si raggiunge una durata di sonno ottimale (Riemann et al., 2017). Alcuni autori suggeriscono che sarebbe maggiormente opportuno definire tale strategia comportamentale “restrizione del tempo a letto”, più che del sonno, in quanto ha come obiettivo quello di limitare il tempo a letto al fine di aumentare l’efficienza del sonno, regolarizzare i tempi del sonno e della veglia e ri-condizionare l’associazione letto-sonno attraverso la soppressione del tempo di veglia a letto (Maurer et al., 2018; Baglioni et al., 2022).
Un metodo alternativo alla restrizione del sonno è la compressione del sonno, che prevede una riduzione graduale del tempo trascorso a letto per poi essere aumentato in modo simile alla restrizione del sonno, non appena il paziente raggiunge un sonno ottimale. A differenza della restrizione del sonno dove la finestra temporale viene da subito ristretta al minimo e poi allargata man mano che l’efficienza del sonno aumenta, nella compressione del sonno la riduzione del tempo a letto viene fatta gradualmente fino al raggiungimento della durata ottimale.
Controllo degli stimoli
La terapia del controllo degli stimoli comprende un set di istruzioni comportamentali che hanno lo scopo di rinforzare l’associazione letto-sonno e ristabilire un ritmo sonno-veglia più stabile (Bootzin, 1972). Nello specifico, sulla base del modello del condizionamento operante, tale strategia mira a rinforzare il letto come cue per il sonno, riducendo la possibilità che possa essere un cue per altre attività che possono influire sul sonno. Le istruzioni date al paziente sono le seguenti: (1) Vai a letto solo quando hai sonno; (2) Non utilizzare il letto per nient’altro se non per il sonno o l’attività sessuale (es. non guardare la tv a letto); (3) Se non riesci ad addormentarti, alzati e vai in un’altra stanza. Rimani sveglio quanto vuoi e torna a letto solo quando ti senti assonnato; (4) Se ancora non riesci ad addormentarti, ripeti il passaggio 3. Fallo tutte le volte che è necessario durante la notte; (5) Imposta la sveglia e alzati alla stessa ora ogni mattina, indipendentemente da quanto hai dormito durante la notte; (6) Non fare pisolini durante il giorno (Baglioni et al., 2020a).
Per le strategie comportamentali è importante lavorare con il paziente in modo da strutturare insieme i momenti che passerà fuori dal letto durante la notte oppure i momenti di veglia serali e mattutini nella restrizione del sonno. Organizzare il tempo prima permette al paziente di non doversene occupare durante la notte o negli orari in prossimità del sonno. Inoltre, la strategia può avere maggiore probabilità di riuscita se il paziente sperimenta sensazioni piacevoli e di confort nell’applicare un intervento che può essere molto faticoso. Infine, l’applicazione delle strategie comportamentali si accompagna a un lavoro creativo di riscoperta dei piaceri (per es. una persona può essere spaventata inizialmente per la prescrizione di doversi alzare ogni mattina alle 6:00 dal letto, ma può scoprire di avere tempo da dedicare alla lettura oppure al disegno e che questo inizio di giornata sia anzi piacevole).
Strategie cognitive
La terapia cognitiva nella CBT-I è un insieme di strategie volte a identificare, mettere in discussione e cambiare le convinzioni disfunzionali legate al sonno e a ridurre e/o a prevenire l’eccessiva preoccupazione legata all’insonnia e alle sue conseguenze durante il giorno (Morin e Espie, 2004). Le specifiche tecniche cognitive sono di seguito illustrate.
Ristrutturazione cognitiva
Questa strategia cognitiva ha lo scopo di ridurre le convinzioni errate, gli atteggiamenti disfunzionali, le preoccupazioni e le false credenze circa le cause dell’insonnia e l’incapacità personale di dormire percepita dai pazienti insonni.
Controllo cognitivo
Il razionale della strategia del controllo cognitivo è prevenire che pensieri intrusivi emotivamente salienti impattino il momento dell’addormentamento. Per questo, al paziente viene chiesto di concedersi uno spazio temporale e fisico durante la giornata in cui elaborare tutto ciò che lo preoccupa o il piano di attività del giorno seguente, in modo tale che ciò non avvenga nel momento in cui si reca a letto. Il controllo cognitivo o “mettere la giornata a letto” (Baglioni et al., 2022) è un adattamento di una strategia cognitiva chiamata worry time, componente standard della CBT per i disturbi d’ansia (ad esempio, Brosan et al., 2013).
Intenzione paradossale
Con la tecnica dell’intenzione paradossale, si chiede al paziente di rimanere sveglio anziché sforzarsi di addormentarsi. Le istruzioni infatti sono “Recati a letto, chiudi gli occhi e cerca di rimanere sveglio più tempo possibile”. La logica alla base è che in questo modo venga superato lo sforzo del sonno e si permetta, invece, alla naturale pulsione del sonno di iniziare il sonno in modo più rapido.
Tecniche di rilassamento
Questa parte include tutte quelle strategie volte a ridurre l’arousal fisico e cognitivo che possono interferire con il sonno (Morin, 2004). Le tecniche di rilassamento autonomo, come il rilassamento muscolare progressivo o il training autogeno, mirano a ridurre la tensione muscolare e altri tipi di arousal fisico. La tecnica dell’imagery e la meditazione sono volte, invece, a lavorare sui pensieri intrusivi. La scelta di utilizzare una o più delle seguenti tecniche viene valutata in base ai singoli casi.
È importante che il trattamento CBT-I sia integrato con interventi tesi alla dismissione dei farmaci, se già in uso, o per un loro uso razionale e conforme alle linee guida (Baglioni et al., 2020c). Inoltre, accanto alle strategie protocollate e standardizzate, possono essere associati altri interventi psicologici, come strategie motivazionali ed emotive oppure altri approcci psicoterapeutici recentemente studiati in relazione all’insonnia, come la mindfulness (Gong et al., 2016; Kanen et al., 2015) e l’Acceptance and Commitment Therapy-ACT, proposta come possibile intervento per coloro che non rispondono alla CBT-I (Hertenstein et al., 2014).
Per esempio Ong, Shapiro e Manber nel 2009 hanno proposto un intervento che prevede l’integrazione di principi di mindfulness con la terapia CBT-I, con lo scopo di intervenire sugli aspetti emotivi legati al disturbo di insonnia. L’intervento prende il nome di Mindfulness Based Training for Insomnia (MBTI), composto da 8 sessioni di 2,5 ore ciascuna, spesso effettuate in gruppo, in cui vengono combinate componenti CBT-I con pratiche di consapevolezza, che mirano specificatamente ai problemi legati all’insonnia. La MBTI si concentra sugli aspetti metacognitivi, ovvero sulla relazione che i pazienti hanno con i loro pensieri circa il disturbo di sonno, e che includono la carica emotiva, la valenza emotiva, l’attaccamento e il pregiudizio che la persona associa a convinzioni e comportamenti legati al sonno (Baglioni et al., 2022). In generale, le persone vivono con disagio e stress i loro problemi di sonno, e nel tentativo di gestire le loro emozioni negative spesso ne aumentano l’intensità, anziché ridurla. Nel trattamento per l’insonnia, invece, se da un lato le strategie CBT-I si concentrano nel modificare i comportamenti, gli atteggiamenti e le convinzioni disfunzionali legati al sonno, le pratiche di meditazione hanno come obiettivo quello di modificare la carica emotiva e le valutazioni su tali comportamenti e convinzioni. I pazienti vengono aiutati a regolare l’attenzione sulle loro esperienze interne in una modalità non giudicante, con lo scopo di migliorare la consapevolezza, l’accettazione e la modulazione delle proprie esperienze negative associate al sonno.
Le recenti linee guida Europee sulla valutazione e il trattamento dell’insonnia
Le Linee guida Europee per la diagnosi e il trattamento dell’insonnia (Riemann et al., 2017) forniscono un insieme di raccomandazioni cliniche per la gestione dei pazienti adulti, indicando quali sono le procedure da seguire sia in termini di valutazione clinica che di intervento e trattamento.
Per valutare il disturbo di insonnia, la procedura diagnostica raccomandata prevede che vengano raccolte informazioni sulla storia medica e psicologica della persona, oltre che la storia relativa al sonno. È importante effettuare un’anamnesi medica del paziente, adattata al suo quadro clinico e alla sintomatologia riportata, in cui vengono indagati sia lo stato di salute fisica attuale che disturbi pregressi. Ciò è fondamentale se consideriamo che diversi disturbi fisici comportano problemi nel sonno oppure potrebbero esserne la causa. Tuttavia, mentre alcuni possono essere risolti andando a trattare il disturbo fisico, nei casi in cui nonostante la causa dell’insonnia sia fisica siano presenti i circoli viziosi dell’insonnia, come preoccupazioni e credenze disfunzionali relative al non dormire, diventa importante rilevarli per impostare il trattamento. Anche il consumo di sostanze psicoattive deve essere indagato nello specifico in quanto può avere ripercussioni sul sonno, come farmaci, caffeina, nicotina, alcol così come il consumo di sostanze illegali. Non è inusuale, infatti, che alcuni pazienti utilizzino alcune sostanze per agire sul loro sonno, come ad esempio l’alcol per addormentarsi, che a sua volta però influisce negativamente, frammentando il sonno con conseguenti problemi nel mantenerlo durante la notte.
A seconda dei casi, può essere opportuno che il paziente effettui, oltre ad un esame fisico raccomandato, anche esami medici aggiuntivi (come analisi del sangue, elettrocardiogramma, elettroencefalogramma, marker circadiani, ecc.).
Un altro aspetto importante nella valutazione dell’insonnia riguarda l’anamnesi psichiatrica e psicologica del paziente per rilevare la presenza di disturbi psicopatologici, passati o presenti al momento della valutazione, considerando sia l’alta comorbilità che intercorre tra disturbi mentali e insonnia, sia perché i disturbi della continuità del sonno si sono rivelati una variabile transdiagnostica presente in quasi tutti i disturbi mentali, come mostrato in una meta-analisi di Baglioni e collaboratori (2016). In questa fase, il clinico deve indagare anche aspetti di personalità, la situazione familiare e lavorativa che il paziente sta vivendo così come la presenza di conflitti interpersonali nella vita del paziente.
Durante il colloquio clinico, infine, l’attenzione deve essere posta sulla storia del sonno della persona, per tracciare un profilo del suo disturbo. Gli aspetti da rilevare riguardano le abitudini del sonno, gli orari del sonno e quelli lavorativi, l’ambiente in cui dorme, se sono presenti altre persone nel letto, i fattori circadiani che la persona presenta e comprendere le modalità con cui sono iniziati i sintomi di insonnia. Particolare attenzione deve essere posta se ci sono indicazioni per altri disturbi come la sindrome da gambe senza riposo o la presenza di apnee notturne. Quando possibile, è opportuno avere informazioni anche dalla persona che condivide il letto con il paziente. Le linee guida raccomandano fortemente di far compilare al paziente i diari del sonno durante le prime settimane, così come la somministrazione di questionari specifici per il disturbo di insonnia.
Strumenti diagnostici come l’actigrafia o la polisonnografia sono indicati solo nei casi in cui lo si ritenga necessario. L’actigrafia è un esame utilizzato per rilevare la presenza di movimenti ed è consigliato nel processo diagnostico laddove si sospettino orari irregolari di sonno-veglia o disturbi del ritmo circadiano. La polisonnografia può essere utilizzata, invece, quando viene sospettata la presenza di altri disturbi del sonno, come la sindrome da gambe senza riposo, apnee notturne o narcolessia. Anche nei casi in cui il paziente si mostri resistente al trattamento è indicato effettuare questo tipo di esame, così come in specifiche popolazioni in cui potrebbero esserci dei rischi collegati alla mancanza di sonno, come ad esempio gli autisti professionali. Solitamente, la polisonnografia non correla con le misure soggettive riportate dai pazienti, che hanno solitamente percezioni di un sonno peggiore, e per tale motivo potrebbe fornire informazioni aggiuntive sul sonno della persona.
Come detto in precedenza, la terapia cognitiva comportamentale per l’insonnia è il trattamento gold standard per il disturbo di insonnia e le linee guida europee e americane sottolineano come debba essere il trattamento di prima linea (Riemann et al., 2017; Qaseem et al., 2016). I risultati di diverse e numerose meta-analisi mostrano l’efficacia della CBT-I sia nel trattare l’insonnia “pura” sia in condizioni di comorbilità con altri disturbi mentali e fisici, riscontrando come la CBT-I possa avere effetti positivi sia sui disturbi di insonnia sia sui sintomi in comorbidità (Ballesio et al., 2018; Geiger-Brown et al., 2015; Ho et al., 2015; Ho et al., 2016; Ho et al., 2020; Johnson et al., 2016; Koffel et al., 2015; Mitchell et al., 2019; Morin et al., 1994; Okajima et al., 2011; Pallesen et al., 1998; Seyffert et al., 2016; Trauer et al., 2015; van Straten e Cuijpers, 2009; Wu et al., 2015; Ye et al., 2015; Zachariae et al., 2016).
In relazione alle meta-analisi che hanno studiato l’efficacia del trattamento CBT-I in condizioni di comorbilità dell’insonnia con altri disturbi, alcune hanno analizzato diverse situazioni di comorbilità (es. Geiger-Brown et al., 2015; Wu et al., 2015) altre invece si sono concentrate sulle situazioni di comorbilità dell’insonnia con disturbi specifici come il disturbo post-traumatico da stress (Ho et al., 2016), il cancro (Johnson et al., 2016) e il dolore cronico (Tang et al., 2015). Gli studi citati mostrano come la CBT-I risulta efficace anche sull’insonnia in comorbilità e che, nonostante si concentri sugli aspetti del sonno, può avere buoni effetti anche sulle altre condizioni morbose.
Nonostante ci siano prove a sostegno dell’efficacia della CBT-I anche in versioni brevi, come utilizzando due sessioni face to face e due telefonate (Buysse et al., 2011) o solamente una sessione per l’insonnia acuta (Ellis et al., 2015), una recente meta-analisi di van Straten e collaboratori del 2018 sottolinea come l’efficacia della CBT-I sia maggiore nei trattamenti face to face di almeno 4 sessioni rispetto a quelli più brevi o a trattamenti di auto-aiuto, riscontrando comunque l’efficacia del trattamento CBT-I per l’insonnia sia nelle sue diverse componenti sia integralmente come modulo terapeutico (van Straten et al., 2018).
Inoltre, due meta-analisi hanno confrontato il trattamento cognitivo comportamentale per l’insonnia con trattamenti farmacologici. Nello specifico, Smith e collaboratori nel 2002 hanno messo a confronto studi che utilizzavano benzodiazepine e agonisti dei recettori delle benzodiazepine (BzRA) con studi di psicoterapia, rilevando come entrambi avessero un’efficacia comparabile nel breve termine (Smith et al., 2002), mentre un’altra meta-analisi (Mitchell et al., 2012) includeva studi che confrontavano direttamente la CBT-I con la farmacoterapia, concludendo come la CBT-I e l’uso di ipnotici erano comparabili negli effetti a breve termine, mentre la CBT-I si mostrava superiore a lungo termine. L’American Academy of Sleep Medicine (AASM; Sateia et al., 2017) ha studiato esclusivamente il trattamento farmacologico nell’insonnia cronica, concludendo come per tutte le sostanze studiate anche per il trattamento farmacologico a breve termine le raccomandazioni per un loro utilizzo restano deboli (Sateia et al., 2017).
Altri interventi che vengono utilizzati comunemente per trattare l’insonnia come la melatonina, l’esposizione alla luce, l’esercizio fisico e la medicina complementare e alternativa sono stati studiati in maniera sistematica in una meta-analisi di Baglioni e collaboratori nel 2020, con il fine di valutarne l’efficacia. I risultati riportati mostrano un’efficacia della melatonina nel migliorare l’insorgenza di sonno e delle terapie di movimento meditative nel migliorare i report soggettivi sull’efficienza di sonno e la severità dell’insonnia. Globalmente, tuttavia, nessuno degli interventi presi in esame mostrava un’efficacia superiore alla CBT-I che invece, come sostenuto dagli autori, dovrebbe essere maggiormente diffusa e disponibile a chi soffre di insonnia (Baglioni et al., 2020b).
Il gap tra ricerca e clinica: la costituzione dell’Accademia Europea
In precedenza abbiamo già sottolineato come le linee guida pubblicate sull’insonnia sostengono la CBT-I come trattamento da utilizzare in prima linea per l’insonnia, mentre il trattamento farmacologico deve essere preso in considerazione solamente quando la CBT-I non risulti disponibile oppure non abbia avuto i risultati sperati, eppure dati a disposizione mostrano come la CBT-I sia offerta a una percentuale molto piccola di pazienti che soffrono di insonnia cronica (es. Koffel et al., 2018), mentre la farmacoterapia continua ad essere l’intervento più diffuso (Baglioni et al., 2020a).
È evidente come esista un gap tra la ricerca scientifica e la pratica clinica che non riesce ad offrire il trattamento cognitivo comportamentale come intervento cardine per l’insonnia, nonostante i dati di efficacia pubblicati negli ultimi anni. Le ragioni sottostanti possono essere diverse. L’insonnia è un disturbo prevalente nella popolazione e molto costoso, sia per i suoi costi diretti che indiretti, eppure il trattamento di prima linea, nonostante la sua efficacia, non ha ricevuto gli investimenti che ci si aspetterebbe. Da una parte questo può dipendere da una mancata standardizzazione del protocollo CBT-I, il che si traduce con il fatto che la sua applicazione può variare da chi la somministra, sia nel contenuto sia nella durata (Baglioni et al., 2020a). Un altro aspetto da tenere in considerazione è che i medici di medicina generale sono spesso poco informati sui disturbi del sonno, e per questo vengono poco diagnosticati o trattati in maniera non ottimale (Grandner e Chakravorty, 2017; Grandner e Malhotra, 2015). Inoltre, raramente le persone affette da insonnia in Europa vengono indirizzate a centri del sonno e raramente vengono trattati con la CBT-I.
Su queste basi e al fine di promuovere una maggiore diffusione dell’intervento CBT-I in Europa e allo stesso tempo implementare un sistema di formazione europeo efficace e valido, la Società Europea per la Ricerca sul Sonno (European Sleep Research Society, ESRS) e la Rete Europea di Ricerca per l’Insonnia (European Insomnia Network, EIN) hanno nominato una task force con l’obiettivo di costituire un’Accademia europea di CBT-I (Baglioni et al.,2020a; Baglioni et al., 2020c). L’Accademia costituita si propone i seguenti obiettivi: a) definire i principi e le strategie di intervento che costituiscono il trattamento cognitivo comportamentale dell’insonnia; b) istituire un sistema di formazione CBT-I e accreditamento dei centri di formazione. La conseguenza diretta auspicata è che ciò determini una maggiore disponibilità del trattamento CBT-I, con una crescita comparabile in tutta Europa. Nello specifico, le argomentazioni trattate dall’Accademia riguardano i seguenti punti: gli elementi dell’intervento CBT-I, come dovrebbe essere somministrata la CBT-I, le modalità con cui integrare il trattamento CBT-I nei sistemi sanitari in Europa, requisiti e qualifiche dei professionisti sanitari che formano in ambito CBT-I, il modo in cui deve essere insegnato e quali figure possono ricevere la formazione (per una rassegna esaustiva vedi Baglioni et al., 2020a da cui sono prese le informazioni di seguito riportate).
Il modello stepped-care per l’integrazione della CBT-I nei sistemi di cura
Il modello stepped-care promosso dall’Accademia europea CBT-I si basa sull’idea che gli interventi da offrire al paziente dovrebbero essere differenziati in base alle caratteristiche del caso da trattare e dalla risposta al trattamento. Un modello stepped-care infatti, promuove un sistema ideale caratterizzato da più livelli differenziati per intensità di intervento, esperienza del terapeuta e impegno richiesto al paziente. In base a come i pazienti rispondono al trattamento, alla complessità clinica e alle preferenze del terapeuta e del paziente, si può passare a un livello di CBT-I maggiormente dispendioso per il paziente in termini di tempo e risorse, aumentando gradualmente l’esperienza del terapeuta e adottando l’intervento ai bisogni del paziente. Di conseguenza, i livelli più avanzati vengono proposti a quei pazienti che non hanno tratto vantaggio dal primo livello. Per cui, l’assegnazione della terapia più idonea a ciascun paziente, dipenderà dalla complessità dell’insonnia, dal giudizio del clinico, tenendo in considerazione anche le preferenze del paziente.
La CBT-I nei sistemi sanitari dei paesi europei
Nel documento pubblicato dall’Accademia europea viene indicato come il titolo di clinico esperto in CBT-I debba avere forti connessioni con la psicoterapia cognitiva comportamentale e con la psichiatria, e non solamente rimanere all’interno del contesto della medicina del sonno. Gli esperti in CBT-I, per questo, sono professionisti già abilitati alla pratica clinica e psicoterapeutica, oppure al fornire consulenza psicologica, che abbiano ricevuto un’adeguata formazione in medicina e clinica del sonno.
I livelli di formazione CBT-I
Con lo scopo di aumentare il numero di clinici che possano offrire il trattamento CBT-I ai pazienti con disturbo di insonnia e ridurre che ci sia variabilità tra i protocolli proposti, i professionisti CBT-I devono essere adeguatamente formati. L’Accademia, infatti, ha tra gli obiettivi quello di stabilire una procedura di qualificazione, oltre che il compito di esaminare le proposte dei corsi CBT-I e approvarli, creare un registro europeo dei clinici che effettuano il trattamento, nonché coordinare le iniziative volte a promuovere la CBT-I.
I livelli di competenza ideati dall’Accademia sono 3:
- Livello di esperto CBT-I: è il livello maggiore di competenza della CBT-I, adatto a psicologi clinici in specializzazione, psicoterapeuti, psichiatri ed esperti. I clinici esperti sono in grado di condurre un trattamento personalizzato per il paziente e la conoscenza ed esperienza in CBT-I sono avanzate. Solitamente hanno frequentato un corso, riconosciuto e approvato dall’Accademia, e nei successivi 3-6 mesi hanno seguito almeno 3 casi sotto la supervisione di un professionista esperto qualificato in CBT-I. Chi raggiunge questo livello di competenza può effettuare la CBT-I in ambito clinico e anche formare e/o essere il supervisore di altri professionisti.
- Livello avanzato CBT-I: il livello avanzato permette ai clinici di effettuare il trattamento nella loro pratica clinica, offrendo protocolli standardizzati e manualizzati di CBT-I, supervisionati da un esperto in CBT-I. Questo livello è adatto a psicoterapeuti, psicologi clinici e psichiatri, che abbiano effettuato un corso approvato dall’Accademia.
- Livello base CBT-I: il livello base è pensato per i medici di medicina generale e gli psicologi clinici con una conoscenza di base delle strategie comportamentali del trattamento e della medicina del sonno che abbiano effettuato un corso certificato CBT-I. Il livello base permette di valutare e diagnosticare un disturbo di insonnia, incoraggiare interventi di psicoeducazione e strategie comportamentali di base.
Le caratteristiche del training CBT-I
L’Accademia descrive le caratteristiche dei corsi CBT-I, differenziati per ciascuno dei 3 livelli di competenza. Solitamente, per tutti i livelli, il corso ha una durata di due giorni ed è indirizzato a professionisti sanitari. Per il livello avanzato, al corso di due giorni, deve essere affiancato un periodo successivo di supervisione di casi clinici. Inoltre, possono accedere ai corsi per livelli avanzati ed esperti in CBT-I psicologi clinici e/o psicologi della salute, psicoterapeuti e/o psichiatri.
I corsi sono pensati per essere interattivi, con giochi di ruolo, lavori in gruppo, discussione dei casi complessi e la possibilità di essere supervisionati; inoltre, viene prevista la modalità di apprendimento online.
I corsi dovrebbero fornire un adeguato insegnamento sul sonno, sul disturbo di insonnia e sulla sua valutazione, nonché sulle componenti fondamentali della CBT-I (strategie cognitive e comportamentali) e sulle componenti aggiuntive (strategie emotive e motivazionali). Tuttavia, i corsi con l’obiettivo di formare per un livello base di CBT-I possono mirare in maniera specifica all’insegnamento delle componenti comportamentali.
Oltre agli argomenti sopradescritti, i corsi dovrebbero fornire approfondimenti su altri aspetti, quali i meccanismi e la fisiologia del sonno, lo sviluppo e il mantenimento del disturbo di insonnia e il trattamento cognitivo comportamentale come intervento di prima scelta. A questi, deve essere aggiunto un modulo sui farmaci ipnotici e la loro dismissione o riduzione.
Per la formazione di esperti CBT-I, i corsi devono assicurare una formazione che consenta di padroneggiare tutti i livelli della CBT-I e pianificare il trattamento più idoneo, adattato alle esigenze specifiche dei pazienti.
L’accreditamento dei corsi CBT-I
Gli standard di qualità che l’Accademia propone hanno ricevuto l’approvazione da parte della Società Europea per la Ricerca sul Sonno (European Sleep Research Society, ESRS) e della Rete Europea di Ricerca per l’Insonnia (European Insomnia Network, EIN). In questa direzione, ciascun corso di CBT-I per essere riconosciuto o patrocinato dall’Accademia Europea deve rispettare i criteri di formazione indicati e ricevere l’approvazione finale.
In aggiunta e per potenziare tale processo, è stato suggerito che ciascun paese europeo istituisca un Centro Nazionale di eccellenza della CBT-I. Qualora ci fossero in alcuni paesi già diversi centri consolidati, l’idea è quella di formare una rete di collaborazione per promuovere e incentivare la formazione CBT-I. Nello specifico, ciascun centro di eccellenza deve avere al suo interno uno psicologo clinico o uno psicoterapeuta, oppure un medico (MMG, psichiatra, neurologo o un medico del sonno) con un’esperienza riconosciuta per praticare la CBT-I, formare e supervisionare nuovi professionisti.
In ultimo, ogni paese ha la possibilità di istituire un registro nazionale dei professionisti che erogano il trattamento CBT-I.
Conclusioni
Rendere la terapia cognitiva comportamentale per l’insonnia maggiormente diffusa con clinici adeguatamente formati in CBT-I è sicuramente la sfida centrale che gli esperti del settore si pongono per il futuro e che rappresenta la scopo della costituzione dell’Accademia europea di CBT-I. Ciò è particolarmente importante se si considera quanto il disturbo di insonnia sia diffuso nella popolazione e gli esiti negativi per la salute a cui si associa. Inoltre, i dati rilevati durante il periodo di pandemia circa l’alta prevalenza di insonnia clinica riflettono l’importanza di implementare programmi di intervento che riescano a rispondere con trattamenti efficaci alla richiesta clinica. Sebbene in alcune persone l’insonnia sviluppata in pandemia sia rientrata, è possibile che in altre si sia cronicizzata andando a configurarsi come quadro clinico stabile con un maggior rischio di sviluppare disturbi psicopatologici. Per questo diventa rilevante che la CBT-I sia resa maggiormente disponibile sul territorio italiano ed europeo in modo che sempre più persone possano usufruirne.