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Insonnia cronica: aspetti cognitivi e comportamentali

Le classificazioni internazionali dei disturbi del sonno definiscono l'insonnia cronica come una reiterata difficoltà ad iniziare o a mantenere il sonno associata ad un mal funzionamento diurno (cattivo umore, irritabilità, difficoltà cognitive, eccessiva sonnolenza nelle ore diurne)...

Di Redazione

Pubblicato il 29 Giu. 2018

L’insonnia cronica è un disturbo molto comune (circa il 30% della popolazione ne soffre), è più frequente nelle donne e negli anziani (Burton, 2006) e può presentarsi sia come conseguenza o aspetto di un altro disturbo medico o psichiatrico (insonnia secondaria) oppure come forma indipendente e autonoma nella sua eziologia e nel suo sviluppo (insonnia primaria).

 

Le classificazioni internazionali dei disturbi del sonno definiscono l’insonnia cronica come una reiterata difficoltà ad iniziare o a mantenere il sonno associata ad un mal funzionamento diurno (cattivo umore, irritabilità, difficoltà cognitive, eccessiva sonnolenza nelle ore diurne) (Devoto & Violani, 2010). L’International Classification of Sleep Disorders (ASDA, 2005) distingue cinque forme di insonnia primaria: disturbo di insonnia da adattamento, insonnia soggettiva, insonnia da inadeguata igiene del sonno, insonnia idiopatica, insonnia psicofisiologica.

L’insonnia psicofisiologica è la più comune forma di insonnia primaria ed è quella in cui entrano maggiormente in gioco fattori di mantenimento cognitivi e comportamentali. Secondo Hauri e Fisher (1986) tale forma di insonnia cronica si svilupperebbe a causa di due elementi principali: le preoccupazioni del soggetto riguardo all’insonnia ed alcuni processi di condizionamento. Per quanto riguarda il primo aspetto occorre sottolineare come nel paziente insonne si sviluppi una sorta di problema secondario legato al fatto stesso di avere difficoltà nell’addormentamento.

 

Dall’ insonnia acuta all’ insonnia cronica

Dopo una occasionale notte insonne dovuta a motivi di stress, eventi ansiogeni o traumatici, lutti o problemi di salute, il soggetto, in prossimità dell’ora in cui abitualmente va a dormire, svilupperebbe dei pensieri intrusivi disfunzionali riguardo all’insonnia (“e se nemmeno stasera riuscissi a dormire?”, “non ci vorrebbe proprio un’altra nottata in bianco!”, “devo assolutamente riuscire a dormire”, “domani ho una giornata impegnativa, non posso permettermi di non dormire”), che hanno due conseguenze negative per il sonno: da una parte tali pensieri determinano un bias attentivo tale per cui l’attenzione si focalizza sul riuscire o meno a dormire e il soggetto si “sforza” a dormire con il risultato paradossale di rimanere sveglio in quanto il sonno è per definizione spontaneo e non a comando, dall’altra parte la preoccupazione per la possibilità di non dormire e il ricordo delle notti precedenti passate insonni determinano un eccessivo arousal emotivo, cognitivo e fisiologico che impedisce il rilassamento fisico e psichico necessario per dormire.

Dal punto di vista comportamentale invece, si sottolinea come gli stimoli interni (i pensieri, gli stati mentali) ma anche ambientali (la camera da letto, le abitudini, i rituali che precedono il sonno) si associno in breve tempo al non dormire (Devoto & Violani, 2010).

In altre parole, mentre i normodormienti associano le abitudini pre-sonno e le caratteristiche della propria stanza da letto ad uno stato di rilassamento che li predispone e li induce al sonno, le persone che soffrono di insonnia cronica associano la stanza da letto con lo stare svegli.

In conclusione si può affermare che sono le implicazioni cognitive e comportamentali a fungere da fattori di mantenimento e a far divenire insonnia cronica un’insonnia acuta e situazionale.

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