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Inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina e benzodiazepine nel trattamento del disturbo di panico: confronto tra i rispettivi effetti collaterali

Le linee guida del trattamento del disturbo di panico hanno favorito gli SSRI rispetto alle benzodiazepine alle luce degli effetti collaterali di entrambi

Di Arianna Belloli

Pubblicato il 27 Lug. 2021

Aggiornato il 30 Lug. 2021 13:47

Le benzodiazepine (BDZ) e gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) si sono dimostrati entrambi efficaci nel trattamento farmacologico del disturbo di panico (DP).

 

Tuttavia, le linee guida sul trattamento favoriscono gli SSRI rispetto alle benzodiazepine, sulla base della convinzione che quest’ultime siano associate ad effetti collaterali più esacerbati rispetto a quelli indotti dagli SSRI (Quagliato et al., 2019). Le linee guida per il trattamento del disturbo di panico hanno favorito gli SSRI, rispetto alle benzodiazepine, per il trattamento a breve e lungo termine (American Psychiatric Association, 1998; Nielsen et al., 2012) per due specifiche ragioni: (i) un tasso di dipendenza superiore indotto dalle benzodiazepine rispetto agli SSRI, dopo un uso a lungo termine (Baldwin et al., 2014; Roy-Byrne et al., 2006) e (ii) un maggior rischio di sintomi da sospensione (Bandelow et al., 2008; Roy-Byrne et al., 2006). Alcuni autori sostengono che i sintomi chiave della dipendenza da benzodiazepine siano: tremore, vertigini, ansia e insonnia in caso di riduzione o interruzione del dosaggio (Ashton, 2005).

In effetti, possono verificarsi sintomi di astinenza e abuso da benzodiazepine, specialmente nel contesto dell’abuso di altre sostanze (Tvete et al., 2013). Tuttavia, risulta fondamentale distinguere tra una dipendenza fisiologica e l’adattamento naturale di un sistema corporeo a lungo abituato alla presenza di qualsiasi farmaco, incluse benzodiazepine e SSRI (O’Brien, 2005). Tuttavia, la sindrome da astinenza può essere controllata e risolta attraverso la riduzione della dose, il cambio o l’aumento del farmaco (O’Brien, 2005).

Esiste un sottogruppo di pazienti, con disturbo da uso di sostanze in comorbilità, con maggiori probabilità di presentare un aumento dell’assunzione di benzodiazepine e di mostrare una sindrome di dipendenza dalla riduzione del dosaggio o dall’interruzione della dose, con sintomi di astinenza da BDZ (Ait-Daoud et al., 2018). Tuttavia, possono comunque verificarsi reazioni di astinenza sia con BDZ, sia con SSRI (Belaise et al., 2012; Greenblatt et al., 1990; Nielsen et al., 2012; Schweizer et al., 1990). In entrambe le classi, questa ‘sindrome da astinenza’ è caratterizzata da sintomi come: ansia, pianto, vertigini, mal di testa, disturbi del sonno, irritabilità, mioclono, nausea, parestesia e tremore (Starcevic, 2012). La supposizione secondo cui le benzodiazepine diano più dipendenza degli SSRI è in gran parte spiegata da concettualizzazioni imprecise del concetto di dipendenza. Gli SSRI sono stati commercializzati come farmaci che non avrebbero causato dipendenza (Nielsen et al., 2012). Tuttavia, con il passare del tempo, è risultato evidente che gli SSRI avrebbero potuto causare la sindrome da sospensione (Rosenbaum et al., 1998). Questa sindrome è abbastanza simile alla sindrome da astinenza da benzodiazepine ed è caratterizzata da sintomi come: ansia, pianto, vertigini, mal di testa, disturbi del sonno, irritabilità, mioclono, nausea, parestesia e tremore (Nielsen et al., 2012; Starcevic, 2012). Gli SSRI con un’emivita più breve (es. paroxetina) sembrano essere maggiormente associati a sintomi da sospensione rispetto agli SSRI con un’emivita più lunga (es. fluoxetina); proprio come le benzodiazepine con un’emivita più breve (es. alprazolam) sono maggiormente associate a sintomi di astinenza rispetto alle benzodiazepine con un’emivita più lunga (es. clonazepam; Starcevic, 2009). A tal proposito, risulta importante ribadire che la presenza della sindrome da sospensione da SSRI non implica il fatto che tali sostanze diano dipendenza in senso stretto (Fava et al., 2015).

Le benzodiazepine, in assenza di abuso di altre sostanze, raramente inducono comportamenti quali brama per questi psicofarmaci, comportamento incontrollabile di ricerca di BDZ, attività finanziarie inficiate o problematiche di natura legale connesse al loro utilizzo (Nielsen et al., 2012; Starcevic, 2012). Tuttavia, le BDZ esercitano effetti immediati sui pazienti, rendendoli più propensi a rafforzare la somministrazione rispetto agli SSRI (Griffin et al., 2013). Pertanto, le benzodiazepine sono maggiormente soggette ad un uso improprio rispetto agli SSRI (Evans & Sullivan, 2014). Gli effetti collaterali più frequentemente riscontrati con gli SSRI sono: diaforesi, affaticamento, nausea, diarrea e insonnia; mentre le BDZ sono associate a costipazione, difficoltà di memoria e secchezza delle fauci. Entrambe le categorie di farmaci sono associate alla sonnolenza diurna. Gli SSRI possono comportare un maggior rischio di disfunzione sessuale rispetto alle benzodiazepine (Quagliato et al., 2019).

I sintomi, come nausea e diarrea, causati dagli SSRI sono comuni effetti transitori del trattamento a breve termine, che non durano più di 12 settimane (Khawam et al., 2006). Infatti, molti di questi sintomi sono correlati alla sindrome di attivazione degli SSRI che di solito si verifica all’inizio del trattamento (Khawam et al., 2006). Sebbene questa sindrome di attivazione possa ridursi nel tempo, potrebbe aumentare l’ipervigilanza e l’ansia nei pazienti con Disturbo di Panico acuto, contribuendo ad esacerbare l’intensità sintomatologica (Clark et al., 1997).

Allo stesso tempo, le benzodiazepine sembrano assumere una valenza protettiva in ​​sintomi quali: tachicardia, sudorazione, affaticamento e insonnia, consentendo una rapida riduzione dell’ansia e dei sintomi simpatici (Vemulapalli e Barletta, 1984). Infatti, alcune benzodiazepine (come il clonazepam) possono abbassare la pressione sanguigna (Dmitriev et al., 2001) e potrebbero contribuire al trattamento della fibrillazione atriale nei pazienti con Disturbo di Panico (Kahn et al., 2018). Tuttavia, le benzodiazepine sono allo stesso tempo associate ad un aumento del rischio di difficoltà di memoria, stitichezza e secchezza delle fauci: le alterazioni della memoria potrebbero in particolar modo inficiare la qualità di vita del paziente (Beracochea, 2006). Il deterioramento cognitivo indotto dalle benzodiazepine è, però, solitamente di lieve entità e non sempre evidente ai pazienti; tuttavia, può persistere in una certa misura anche dopo la sospensione del farmaco (Stewart, 2005).

In conclusione di tale estratto, è possibile affermare che molti psichiatri considerano la co-terapia tra SSRI e BDZ come trattamento di prima linea per il disturbo di panico acuto, in quanto compensa gli svantaggi di entrambe le categorie (Nardi et al., 2018). A tal proposito, risulta fondamentale ribadire che la linea di trattamento più efficace contempla anche l’integrazione con la psicoterapia, in particolar modo di matrice cognitivo-comportamentale, al fine di estinguere il circolo vizioso ‘paura della paura’ e di rendere il paziente consapevole dei meccanismi di mantenimento del disturbo (Clark et al., 1997).

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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