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Inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI): quali sono le ragioni per cui su alcuni pazienti non sono efficaci?

Un recente studio ha indagato le ragioni per cui alcuni pazienti si dimostrano non rispondenti agli SSRI, i farmaci più usati nella cura della depressione..

Di Lorenzo Mattioni

Pubblicato il 18 Lug. 2019

Gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) sono attualmente gli antidepressivi più utilizzati. Tuttavia, questi farmaci non funzionano in quasi un terzo dei pazienti affetti da un disturbo depressivo maggiore.

 

Si parla di psicofarmacologia nell’ambito di quelle ricerche in cui viene collegata la somministrazione di determinate sostanze ai cambiamenti della sfera cognitiva e comportamentale dei soggetti.

La neurofarmacologia, invece, si focalizza sui meccanismi neurocellulari attraverso i quali avvengono questi cambiamenti.

Entrambe sono essenziali per l’utilizzo e lo sviluppo degli psicofarmaci.

SSRI – I meccanismi d’azione e la possibile spiegazione della ridotta efficacia in alcuni pazienti

Gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) sono attualmente gli antidepressivi più utilizzati. Vengono prescritti per diversi disturbi e mostrano una buona efficacia, in particolare se abbinati ad un percorso psicoterapeutico. Studi clinici, però, riportano che questi farmaci non funzionano in quasi un terzo dei pazienti affetti da un disturbo depressivo maggiore.

Si ritiene che gli SSRI agiscano limitando il riassorbimento della serotonina nella cellula presinaptica, aumentando così le concentrazioni extracellulari di questo neurotrasmettitore.

Una recente ricerca (Vadodaria, et al., 2019) ha indagato questa refrattarietà, generando cellule staminali pluripotenti indotte da campioni somatici di controlli sani, pazienti estremamente rispondenti ed estremamente non rispondenti agli SSRI. Questa procedura permette di derivare qualsiasi tipologia di cellula in vitro da un campione iniziale. In questo caso lo studio si è svolto su neuroni del proencefalo, caratterizzati da una densa nervatura serotoninergica. I ricercatori hanno quindi potuto studiare da vicino la reazione di questa tipologia specifica di cellule alla serotonina.

I risultati mostrano come i neuroni di pazienti non rispondenti abbiano proiezioni nervose più lunghe e presentino un’iperreattività al neurotrasmettitore, derivante da una sovraregolazione dei recettori 5-HT2A e 5-HT7, entrambi implicati nella depressione.

Questi dati evidenziano per la prima volta come una neurotrasmissione serotoninergica postsinaptica alterata nei neuroni del proencefalo, derivante dall’iperreattività alla serotonina, potrebbe generare un circuito maladattivo il cui effetto si traduce nella resistenza agli SSRI. Un’interessante speculazione è il possibile utilizzo, in quei casi farmacoresistenti, di alcuni antidepressivi antagonisti dei recettori coinvolti, come il Lurasidone.

In conclusione

Questa ricerca ha profonde implicazioni, non solo per i pazienti che soffrono di depressione, ma per tutti i diversi disturbi che implicano una disregolazione del sistema serotoninergico, portando un passo avanti la nostra comprensione dei disturbi neuropsichiatrici.

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