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La depressione postpartum

Riconoscere l'esordio della depressione postpartum può permettere di intervenire precocemente riducendone l'impatto

Di Lucia Natolo, Alessia Di Grillo

Pubblicato il 23 Apr. 2024

Che cos’è la depressione postpartum?

La depressione postpartum (PPD) è un disturbo dell’umore che si verifica durante il periodo postnatale, con una prevalenza globale che varia dal 10% al 20% (Ceriani Cernadas J.M., 2020), anche se può essere più elevata e raggiungere il 26% nelle adolescenti e nelle madri sole, in coloro che hanno un basso status sociale, livello di istruzione e vivono in ambienti con uno scarso tasso di screening e supporto sociale. La quinta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5) definisce la depressione postpartum come un episodio depressivo maggiore con esordio nel peripartum e distingue se l’esordio dei sintomi si verifica durante la gravidanza o nelle quattro settimane successive al parto (Stewart D.E, Vigod S.N., 2019). Tuttavia, la depressione postpartum viene spesso diagnosticata quando i sintomi si verificano entro 12 mesi dalla nascita del bambino.

La sintomatologia della depressione post partum

La depressione postpartum e la depressione maggiore condividono gli stessi criteri diagnostici: una combinazione di umore depresso, perdita di interesse, anedonia, disturbi del sonno e dell’appetito, difficoltà di concentrazione, disturbi psicomotori, affaticamento, senso di colpa o inutilità, in alcuni casi pensieri suicidari, che sono presenti durante lo stesso periodo di almeno due settimane e costituiscono un cambiamento rispetto al funzionamento precedente. Questi sintomi devono causare disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento che non sono attribuibili a una sostanza o ad un’altra condizione medica.

I sintomi della depressione postpartum includono anche labilità dell’umore, ansia, irritabilità, sensazione di sopraffazione e preoccupazioni ossessive, spesso relative alla salute, all’alimentazione e alla sicurezza del bambino (Stewart D.E., Vigod S., 2016). I pensieri suicidari colpiscono circa il 20% delle donne con sintomi di depressione postpartum. Inoltre, alcune donne con depressione postpartum presentano anche l’intento  di fare del male ai propri figli. I pensieri di intenzione o desiderio di fare del male al bambino devono essere distinti dai sintomi ossessivi, in cui la donna ha l’immagine o l’idea di nuocere a se stessa o al bambino ma è molto angosciata da questa visione e non ha alcuna intenzione di agire di conseguenza. La maggior parte delle donne sperimenta sbalzi d’umore, comunemente chiamati “baby blues” nelle settimane successive alla nascita di un bambino (DelRosario et al., 2013). Questa condizione è solitamente lieve e transitoria, si risolve nei primi 10 giorni di vita del bambino e non è accompagnata da ideazione suicidaria. La depressione postpartum può essere distinta da un episodio depressivo per la gravità e la persistenza di quest’ultimo. Infatti, gravi preoccupazioni ossessive e tendenze suicidarie non sono solitamente presenti nei baby blues. La depressione postpartum non trattata sembra avere conseguenze negative sia per i neonati che per le madri. Revisioni non sistematiche hanno indicato che i rischi per i figli di madri depresse non trattate (rispetto alle madri senza depressione postpartum) includono problemi come scarso funzionamento cognitivo, inibizione comportamentale, disadattamento emotivo, comportamento violento e disturbi psichiatrici in adolescenza (Slomian J et al., 2019). Altri studi hanno esplorato specifici rischi materni quando la depressione postpartum non viene trattata, inclusi maggiori problemi di peso, consumo di alcol e droghe illecite, problemi di relazione sociale, problemi di allattamento al seno, depressione persistente, parto pretermine (PTB), complicazioni durante il travaglio, ipertensione e preeclampsia (Van der Zee-van den Berg A.I et al., 2021). 

Screening per la depressione postpartum

Il metodo di base per individuare e identificare i casi di depressione postpartum è un’indagine clinica sull’umore durante le visite di follow-up con operatori ostetrici o di assistenza primaria, nel periodo postpartum. Il momento ottimale per questa indagine varia da poco dopo il parto, fino a 6-12 mesi dopo. Sono disponibili diverse forme di screening per la depressione postpartum, ma la potenziale efficacia è legata alla disponibilità dei sistemi di trattare e seguire adeguatamente le donne con risultati positivi.

Il National Institute for Health and Care Excellence del Regno Unito, suggerisce uno screening in due fasi con l’uso di un sensibile strumento, composto da due domande. Un risultato positivo o un dubbio clinico dovrebbero portare a una valutazione ulteriore e più definitiva. Possono essere utili anche misure formali come il Patient Health Questionnaire o la Edinburgh Postnatal Depression Scale (EPDS) a 10 item, un risultato positivo su entrambi dovrebbe portare a una valutazione clinica completa per accertare la diagnosi (Stewart D.E., Vigod S.N., 2019). Lo strumento più comunemente utilizzato è la Edinburgh Postnatal Depression Scale (EPDS), che è sensibile e specifica nel rilevare la depressione postpartum. Questi strumenti sono utili per l’indagine preliminare ma non dovrebbero essere utilizzati da soli per fare la diagnosi di depressione postpartum. Piuttosto, uno screening positivo dovrebbe indurre il medico a condurre una completa valutazione clinica che è il gold standard per determinare una diagnosi.

Fattori di rischio per la depressione postpartum

Le donne con diagnosi di depressione postpartum spesso dimostrano uno o più dei seguenti fattori di rischio: storia di un episodio depressivo o disturbo depressivo maggiore, diabete gestazionale, gestazione multipla, scarso sostegno coniugale e sociale, ed eventi di vita stressanti, compreso lo stress associato alla cura dei figli (DelRosario G.A et al., 2013). È stato riscontrato che le donne che hanno vissuto molteplici eventi avversi della vita, tra cui abuso sessuale infantile o abuso sessuale in età adulta, avevano un rischio maggiore di depressione postpartum. Inoltre, alcune prove dimostrano che i fattori di rischio psichiatrico, ostetrico, biologico e ormonale, quelli relativi allo stile di vita e i fattori di rischio sociale sono correlati alla depressione postpartum (Abulaiti A et al., 2022). Per giunta, la depressione materna postpartum è risultata essere il più forte fattore di rischio per la depressione paterna, colpendo il 24-50% di tutti i padri. Ciò porta ad un aumento dei conflitti coniugali associati a interruzioni della comunicazione, sentimenti di isolamento, frustrazione e interazione limitata con il bambino. Pertanto, la diagnosi precoce, la gestione e l’eventuale prevenzione dei disturbi affettivi materni postpartum sono importanti per stabilire un ambiente familiare ottimale e sano per l’educazione del bambino (Shorey S et al., 2018).

Gli effetti della depressione postpartum sul bambino

La depressione postpartum è un disturbo che non coinvolge solo la madre, ma colpisce anche il feto e il bambino in età evolutiva. Uno studio recente di Dubber et al. (2014) suggerisce che sia il legame materno-fetale sia la depressione postpartum sono predittori significativi del legame tra la madre e il  bambino. La depressione prenatale può comportare una riprogrammazione del feto mentre la depressione postpartum (PPD) può interferire con la maturazione del bambino in modo tale da alterare le interazioni dirette con i caregiver. La depressione postpartum influenza numerosi comportamenti di accudimento materno. Le donne depresse hanno meno probabilità di allattare al seno, fare visite di routine ai bambini, completare le vaccinazioni infantili e utilizzare dispositivi di sicurezza. Gli effetti della depressione postpartum sui bambini sono numerosi, compreso un aumento del rischio di scarso attaccamento madre-bambino e, a lungo termine, di compromissione dello sviluppo emotivo, sociale e cognitivo. Più grave e cronica è la depressione, maggiore è il probabile impatto sulle interazioni madre-figlio. In particolare, Lovejoy et al. (2000) hanno scoperto che le madri depresse esibivano comportamenti negativi e disimpegnati nei confronti dei figli. Ciò è evidenziato dal fatto che le madri risultavano meno affettuose e collaborative nella vocalità e nella comunicazione visiva, come il sorriso, racconti e interazioni faccia a faccia, rivolti ai loro bambini. La depressione postpartum è associata negativamente agli esiti del bambino, infatti i figli di madri con depressione postpartum sono a rischio di infezioni gastrointestinali e del tratto respiratorio inferiore, problemi emotivi, comportamentali e psicologici, nonché ritardi nello sviluppo cognitivo e linguistico, che sono evidenti oltre la prima infanzia (Murray et al., 2003). Inoltre, un attaccamento insicuro spesso è causato dall’insensibilità materna, mentre un approccio genitoriale ostile può influenzare problemi comportamentali nei bambini. La mancanza di capacità nel riconoscere i segnali di interesse del bambino e nel supportare il suo coinvolgimento con l’ambiente può influire negativamente sullo sviluppo cognitivo.

Depressione postpartum paterna

Sia per gli uomini che per le donne, la depressione postpartum è definita come un disturbo diagnosticato poco dopo o fino a un anno dopo il parto. Gli studi suggeriscono che una percentuale compresa tra il 4 e il 25% dei padri sperimenta la depressione postpartum paterna (Andling J.E., 2015) con tassi non dissimili da quelli delle madri. I padri hanno maggiore probabilità di sperimentare i sintomi della depressione post partum nei primi 3-6 mesi dopo la nascita del bambino. Ciò che emerge sulla depressione postpartum paterna deriva da studi sulle madri e sulla depressione postpartum. La ricerca suggerisce che la depressione di un partner è significativamente correlata alla depressione dell’altro. Ciò indica un’alta probabilità che i bambini possano trovarsi in situazioni familiari in cui più caregiver sono depressi, il che può portare a deficit gravi nello sviluppo del bambino. Sebbene la relazione tra depressione postpartum materna e paterna sia ancora oggetto di ricerca, alcuni studi riportano che i partner maschi di donne depresse generalmente si sentono meno supportati e sperimentano paura, confusione, frustrazione, rabbia e incertezza. Diventare padre è associato a poco sonno, a nuove e crescenti richieste e a responsabilità che possono scatenare depressione, paura, ansia e stress. Gli uomini con una storia di depressione, così come i giovani padri, corrono un rischio maggiore di sviluppare depressione postpartum paterna. È alta la probabilità  che gli uomini sottovalutino i propri sintomi di depressione a causa dello stigma associato a tale disturbo, insieme alla preoccupazione di non allinearsi con i concetti culturali di mascolinità. Molti sintomi della depressione postpartum sono simili per padri e madri, ma è stato osservato che alcuni sintomi sono esclusivi degli uomini (Biebel K., Alikhan S.,2016). Questi includono: irritabilità, indecisione, impulsività, comportamento violento, comportamento di evitamento, abuso di sostanze. L’impatto della depressione postpartum paterna sui figli può essere a lungo termine. Uno studio condotto su figli di padri con depressione postpartum ha riscontrato un aumento del numero di problemi emotivi e comportamentali, inclusi problemi di condotta e iperattività (Ramchandani P et al.,2005). Il meccanismo attraverso il quale si ritiene che la salute mentale dei genitori influenzi gli esiti emotivi e comportamentali del figlio è attraverso gli effetti diretti della natura e della qualità delle cure fornite al bambino. La genitorialità si riferisce alle attività, alle pratiche e ai comportamenti educativi del bambino e fornisce le basi dei risultati futuri per il successivo sviluppo. Calore e irritabilità dei genitori sono due dimensioni della genitorialità che sono state collegate rispettivamente a risultati emotivi e comportamentali positivi o negativi del bambino (Giallo et al., 2014). Il calore genitoriale è rappresentato dalla vicinanza, dalle manifestazioni di affetto e dalla consapevolezza reattiva dei bisogni del bambino, mentre l’irritabilità genitoriale può essere descritta come critica ed emotivamente reattiva, spesso caratterizzata da sentimenti di rabbia o frustrazione nei confronti del bambino. Giallo et al. (2014) hanno scoperto che livelli più elevati di irritabilità, ma non livelli più bassi di calore, mediavano la relazione tra disturbi postnatali, problemi nei padri e livelli elevati di problemi emotivi e comportamentali per i loro figli, all’età di 5 anni. La connessione tra stili genitoriali negativi e le difficoltà emotive e comportamentali del bambino può anche essere bidirezionale, con un temperamento infantile difficile e comportamenti del bambino negativi associati a interazioni genitoriali inadeguate (Kiff et al., 2011).

Mentre le dimensioni genitoriali caratterizzano il modo in cui un genitore interagisce con il proprio figlio, l’impegno genitoriale si riferisce alla partecipazione ad attività positive con il bambino, comprese attività di arricchimento che aiutano lo sviluppo (ad esempio leggere, raccontare storie e cantare) e attività di gioco caratterizzate da interazioni positive (ad esempio giocare a cucù o fare il solletico al bambino) (Paulson et al., 2006). Si ritiene che il livello di coinvolgimento in specifici comportamenti genitoriali, come l’arricchimento e le attività ludiche, abbia un effetto positivo sullo sviluppo comportamentale ed emotivo dei bambini. Sia i sintomi di depressione perinatale (MPD) che quelli di depressione postpartum (PPD) sono stati associati negativamente alla frequenza delle attività di arricchimento positivo (Paulson et al., 2006).

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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