La psicologia perinatale è un’area della psicologia che si occupa della salute mentale della diade madre-bambino nel periodo perinatale, e cioè durante la gravidanza e successivamente al parto fino a circa l’anno di età del bambino.
Si tratta quindi di occuparsi della diade madre-bambino, del padre, della coppia e in generale del nucleo familiare, dal concepimento alla gravidanza, al parto e per il periodo di accadimento fino a circa il primo anno di vita del figlio.
Spesso la nascita di un figlio comporta l’integrazione del ruolo di genitore, oltre che la modificazione dei ruoli precedenti: le continue richieste di accudimento del neonato, una nuova organizzazione del proprio tempo e delle proprie abitudini, eventuali difficoltà nell’ambito lavorativo sono solo alcune delle difficoltà che la donna incontra in questa delicata fase di vita. Anche la relazione con il partner può incontrare alcune avversità. Se a tutto ciò si sommano ulteriori fattori di rischio, quali la mancanza di una rete sociale, difficoltà finanziarie o un parto inaspettatamente problematico, etc. lo sviluppo di manifestazioni depressive di varia intensità o altre manifestazioni psicopatologiche di carattere ansioso sono eventi al quale non è assolutamente raro assistere (Zaccagnino, 2009). La psicologia perinatale si occupa inoltre di supportare le madri che vanno incontro a difficili complicazioni durante la gravidanza e a episodi di lutti perinatali.
Il baby blues o maternity blues
Nei giorni immediatamente successivi al parto è considerato fisiologico un periodo caratterizzato da calo dell’umore e instabilità emotiva (il cosiddetto baby blues o maternity blues): si stima che una percentuale collocabile tra il 30% e l’85% delle donne (O’Hara et al., 1990; Gonidakis et al., 2007) sperimenti e manifesti sintomi associabili a una leggera depressione post partum, ma caratterizzati da transitorietà (presentano una durata variabile da poche ore ad alcuni giorni) e che non necessariamente si trasformano in un vero e proprio disturbo. Per effettuare diagnosi di maternity blues occorre sapere che il suo decorso è transitorio e reversibile, determinato dalla brusca caduta dei livelli estroprogestinici, e che tende alla risoluzione spontanea all’interno di una settimana/10 giorni.
Tra i sintomi caratteristici del maternity blues troviamo:
- Deflessione timica di grado lieve
- Sentimenti di inadeguatezza rispetto al proprio ruolo di madre
- Labilità emotiva (crisi di pianto)
- Irritabilità
- Ansia
- Insonnia
Nelle donne affette dal maternity blues è stato riscontrato, rispetto alle madri non affette, un rischio di sviluppare depressione post partum di 3.8 volte maggiore e un rischio di 3.9 volte maggiore di manifestare una patologia dello spettro d’ansia.
Bisogna dunque prestare attenzione al riconoscere le donne con maternity blues ed effettuare un controllo a distanza di un mese per valutare l’andamento dei sintomi e la loro evoluzione.
Il maternity blues è una condizione che generalmente ha remissione spontanea, quello che si può comunque fare per il benessere della diade madre-bambino è dare la possibilità alla madre di esprimere i propri sentimenti e le paure, sostenerla e ascoltarla, favorendo anche il contatto pelle a pelle col neonato. Pertanto è importante informare, rassicurare e supportare. Infatti sebbene la sintomatologia sopra esposta possa essere dolorosa, non si riflette sulle capacità della mamma di prendersi cura di sé e del proprio bambino.
La depressione post-partum o depressione post-natale
La depressione post partum è caratterizzata da uno stato di umore alterato che dura molto di più di 10 giorni, la mamma tende a non rasserenarsi, continua ad essere nervosa, irritabile, triste. Può accadere che la madre con depressione post-natale non voglia occuparsi del bambino, abbia disturbi del sonno o dell’alimentazione per più di due settimane. A volte la depressione inizia a manifestarsi anche tre, quattro mesi dopo il parto; infatti, nonostante il DSM 5 ponga come criterio stringente per la diagnosi di depressione post-natale il limite massimo di 4 settimane successive al parto, secondo altri studi presenti in letteratura la forbice del periodo di insorgenza del disturbo può allargarsi a 3-4 mesi dopo il parto.
Soltanto in rari casi sono riscontrabili altri sintomi quali manifestazioni psicotiche, con deliri che riguardano il neonato, mentre più frequentemente possono insorgere pensieri ossessivi di potere fare male al bambino, forti episodi d’ansia, pianto spontaneo e/o disinteresse per il neonato.
Tra i fattori di rischio per l’insorgenza della depressione post-natale in letteratura si riscontrano: un’anamnesi psicopatologica positiva per depressione o altri disturbi dell’umore, disforia premestruale, eventi di vita stressanti, scarso supporto emotivo e materiale, difficoltà nella coppia, e sintomatologia ansioso-depressiva durante la gravidanza.
La depressione post partum si può manifestare a diversi livelli di gravità: Lieve, Moderata, Grave. Per ciascun livello di gravità cambiano le modalità di presa in carico.
La valutazione dei fattori di rischio e della gravità psicopatologica è fondamentale per costruire percorsi di cura personalizzati (es.: valutazione del rischio di atti auto ed etero lesivi).
Per effettuare diagnosi di depressione post partum bisogna valutare la presenza dei seguenti sintomi:
- Umore depresso
- Anedonia
- Modificazione peso e/o appetito
- Alterazione del sonno (aumento/riduzione tempi di sonno) compatibilmente con le esigenze di accudimento del neonato
- Astenia, affaticabilità o mancanza di energie
- Sentimenti di autosvalutazione o di colpa eccessivi o inappropriati
- Riduzione della concentrazione
- Difficoltà nel prendere decisioni (anche semplici decisioni inerenti la quotidianità)
- Pensieri ricorrenti di morte e/o progettualità di suicidio
- Agitazione / rallentamento psicomotorio
Per formulare diagnosi secondo il DSM5 devono essere esserci almeno 5 dei sopra-elencati sintomi, presenti e persistenti per almeno due settimane per quasi ogni giorno (questi sono i criteri diagnostici del disturbo depressivo maggiore), con esordio nel post partum (durante la gravidanza o nelle 4 settimane successive al parto).
Il 50% degli episodi depressivi maggiori nel post partum inizia prima del parto pertanto questi episodi sono definiti peripartum. Per questo motivo diventa fondamentale in ottica diagnosi precoce e di prevenzione effettuare accurati screening psicologici (per esempio attraverso questionari self-report che indaghino sintomatologia ansioso-depressiva e ulteriori fattori di rischio) nella popolazione di donne gravide, per l’appunto già nel corso della gravidanza.
Le donne con episodi depressivi maggiori peripartum spesso presentano anche grave ansia e attacchi di panico.
Studi prospettici hanno dimostrato che i sintomi dell’umore e dell’ansia durante la gravidanza, così come il baby blues o maternity blues aumentano il rischio per un episodio depressivo maggiore post partum.
Le donne con depressione post-natale possono presentare un’ideazione depressiva rispetto al proprio ruolo materno che si esprime con:
- Percezione di esser incapaci di prendersi cura del figlio
- Paura ed insicurezza nella gestione del bambino
- Sentimenti ambivalenti o negativi verso il figlio
- Percezione di isolamento dal contesto familiare
- Le madri possono riportare pensieri o immagini intrusive ed ossessive rispetto a fare del male al loro bambino.
- Sentimenti di colpa o di vergogna possono portare la madre a non esprimerli né con la famiglia né con i professionisti e quindi non raggiungere un intervento di aiuto.
- Tali pensieri ossessivi sono intrusivi ed ego distonici.
E’ importante che la depressione post partum non venga confusa con la psicosi post partum. Un’insorgenza di psicosi post partum acuta è sicuramente più rara (bassa incidenza), molto grave, in quanto le donne si trovano improvvisamente in uno stato disorganizzato e confuso; tali pazienti presentano sintomi psicotici, allucinazioni e deliri, tipici della psicosi post partum. La psicosi post partum può essere a esordio precoce (early onset, entro il primo mese dal parto) oppure tardivo (nei mesi successivi al parto, condizione decisamente meno comune rispetto alla precedente di esordio precoce). Tra i fattori di rischio ritroviamo la diagnosi pregressa di disturbo bipolare nella donna primipara.
Le donne che soffrono di depressione post partum presentano invece sintomi che possono includere la stanchezza, l’ansia e pensieri ossessivi che spesso riguardano il timore di perdere il controllo e di mettere in pericolo il proprio figlio, ma non sintomi psicotici quali allucinazioni e deliri.
La depressione post partum o depressione post natale (DPN) sembra colpire circa il 10-15% (Centers for Disease Control and Prevention, 2008) delle donne.
I sintomi della depressione post partum non sono transitori e possono persistere, variando d’intensità, e quindi avere conseguenze più o meno significative non solo sulla salute mentale della donna, ma anche sulla relazione madre-bambino, sullo sviluppo del bambino e sull’intero nucleo familiare.
La depressione materna interferisce con gli scambi emotivi e comportamentali ritenuti necessari perché si possa sviluppare un’interazione efficace tra la madre e il bambino, contribuendo in modo significativo alla formazione di una relazione insicura di attaccamento (Milgrom et al., 2003). La depressione post natale rappresenta un considerevole fattore di rischio anche per il bambino: i piccoli, infatti, vanno incontro a difficoltà nei processi di regolazione affettiva, disturbi ansiosi, deficit nello sviluppo cognitivo, deficit dell’attenzione, deficit dell’apprendimento con difficoltà di adattamento scolastico; difficoltà temperamentali, disorganizzazione emozionale, sintomatologia depressiva subclinica o disturbi depressivi veri e propri, modelli di attaccamento di tipo prevalentemente insicuro (Cicchetti, Rogosh & Toth, 1998; Downey & Coyne, 1990; Field, 1989; Goodman & Gotlib, 1999; Spieker & Booth, 1988).
Il paradigma della Still Face di Ed Tronick (1978) mette in risalto molto bene come, per un bambino, possa essere frustrante interagire con una madre dal volto inespressivo e poco responsiva ai suoi segnali, come accade, di fatto, nell’interazione con madri depresse.
La depressione post-natale paterna
Il focus dei numerosi studi che negli ultimi 50 anni sono stati svolti per comprendere il fenomeno dal punto di vista biologico, psicologico e sociale è sempre stato la diade madre-bambino, con il padre che sembrava rimanere relegato sullo sfondo. Solo da circa 20 anni l’attenzione sembra essersi spostata anche in letteratura scientifica sulla triade madre-bambino-padre. La caduta della società patriarcale, l’emancipazione delle donne soprattutto in ambito lavorativo e l’interscambiabilità dei ruoli genitoriali insieme alla scoperta che esista, da parte dei padri, la ricerca di una soddisfazione psicologica e non semplicemente un obbligo morale verso i figli, hanno fatto sì che ai neo-papà venissero puntati i riflettori addosso ed attribuita un’importanza fondamentale fin dai primi mesi di vita del bambino, contemporaneamente ad un maggior coinvolgimento nella cura della prole e nel supporto emotivo e pratico della compagna.
In uno studio italiano di Pellai del 2009 condotto su un campione di futuri padri sembra essere emersa una concezione legata a stereotipi di identità di genere, in cui la maggior preoccupazione, oltre a quella economica classica di provvedere alla famiglia, è quella di come potersi ritagliare del tempo libero dopo la nascita del bambino piuttosto che soffermarsi sulle ripercussioni psicologiche e fisiche che potrebbero gravare sulla coppia genitoriale. Questo pur avendo già esperito, nel 27% dei casi, problemi di sonno legati a preoccupazioni circa l’imminente nascita e la mancanza, nel 50% dei casi, di una rete informale di supporto.
I futuri padri presentano effettivamente la possibilità di sviluppare sintomi somatici che potrebbero portare all’esacerbarsi di una depressione, la sindrome di Couvade nel pre partum (Trethowan e Conlon), sensazioni di fatica, irritabilità, nervosismo, incapacità di riposarsi ed ansia che possono attenuarsi nell’immediato del post-partum per poi aumentare nel corso di tutto il primo anno di vita del bambino. Le percentuali di uomini che soddisfano i criteri di depressione prima del parto sembrano rimanere costanti a 3 mesi dalla nascita del bambino (circa il 5% del campione studiato da Areias e colleghi), per poi aumentare notevolmente alla conclusione del primo anno (23.8%). Nei primi studi sull’argomento, questa depressione nell’uomo sembrava essere alimentata dal ‘vivere insieme’ la depressione post partum materna, ma ora quest’ultima sembra essere solo un fattore di rischio più che una causa: è per questo che si può parlare di una vera e propria depressione post-partum paterna, che colpisce almeno il 10% dei neo-papà (Paulson, 2010).
Non esistono ancora dei criteri per definire la depressione post partum paterna, perciò vengono usati quelli validi per la stessa problematica nelle donne, anche se così facendo non vengono prese in considerazione le differenze dei fattori sociali, biologici e di esordio. Solitamente si tende a valutare la depressione nei neo-padri con questionari self-report come il BDI (Beck Depression Inventory) o con test per diagnosticare la DPP materna. In questo senso, degno di nota è lo studio di Ramchandani e colleghi per validare l’EPDS (Edinburgh Postnatal Depression Scale) anche per la DPP paterna.
La depressione post partum materna ha un esordio precoce rispetto a quella paterna, che esordisce in maniera più subdola e con note dal risvolto violento più evidenti, oltre a quelle tipiche di un episodio depressivo. L’ansia, l’irritabilità e la sensazione di fallimento che gli uomini con DPP si trovano ad affrontare possono portare anche ad agiti contro la propria partner: circa 1 donna su 4 riporta di aver avuto esperienza di un outburst violento da parte del proprio partner per la prima volta durante il primo anno dal parto (Madsen, Juhl 2007). Questo fenomeno è anche legato al fatto che sembrano entrare in gioco delle dinamiche della coppia genitoriale altamente stressanti e conflittuali dovute alla possibile diminuzione della soddisfazione coniugale, sentimenti paterni di esclusione dalla diade madre-bambino, e minor appagamento dalle interazioni con i figli.
Studiare la depressione post partum paterna si rivela importante perché sembra essere associata al rischio di difficoltà cognitive e comportamentali del bambino nel medio e lungo termine (Ramchandani et al., 2011; Paulson et al., 2009). Le difficoltà comportamentali, come iperattività, scarso controllo degli impulsi, problemi di condotta, specialmente nei bambini (maschi), sembrano essere più collegati alla DPP paterna, che potrebbe inoltre aggravare gli effetti negativi della DPP materna, qualora presente. Avere entrambi i genitori depressi può portare, oltre allo svilupparsi di un attaccamento non sicuro nei bambini, a un funzionamento psicosociale scarso, tentativi anticonservativi nei figli adolescenti e depressione nelle figlie. E’ inoltre un forte fattore di rischio per maltrattamento del bambino ed infanticidio: il bambino potrebbe essere infatti visto come il distruttore di un equilibrio precario ma faticosamente raggiunto o essere vittima di grave negligenza.
La tocofobia
La tocofobia può essere considerata un disturbo psicologico, associato ad ansia e depressione, e in letteratura si distingue in tocofobia primaria e secondaria. La prima forma si contraddistingue per un terrore intenso per il parto ancor prima del concepimento. La seconda condizione è rilevabile, nella maggior parte dei casi, a seguito di una precedente esperienza di parto traumatico: le pazienti maggiormente a rischio sono coloro che hanno avuto precedenti esperienze di parto negative (soprattutto se sono state effettuate manovre ostetriche invasive); un travaglio particolarmente prolungato e difficile; oppure ancora un taglio cesareo di emergenza in condizioni drammatiche (ad esempio per distacco di placenta). In altri casi, invece, il parto è stato regolare, ma percepito dalla donna come una violenza al suo corpo, tanto da portare ad un disturbo da stress post-traumatico, con conseguenze di depressione post-partum.
E’ stato visto (Sjögren, 1997) come la tocofobia (primaria e secondaria) sia legata anche a una mancanza di fiducia nello staff ostetrico, percepito come incompetente. Inoltre l’ansia delle future mamme appare legata anche alla paura del dolore e alla sensazione di perdita di controllo associati all’evento, o ancora alla paura che il bambino muoia e a quella di perdere la loro stessa vita.
In uno studio del 2000 di Hofberg e Brockington è stato osservato come la tocofobia (soprattutto di tipo primario) sia associata, a volte, a casi di abusi subiti durante l’infanzia. Tale dato si può spiegare alla luce del fatto che questo genere di eventi traumatici portano la vittima a sviluppare un’avversione per qualsiasi tipo di trattamento ostetrico-ginecologico.
Alcune donne reclutate per lo studio, inoltre, hanno mostrato un’eccessiva tocofobia, tale da portarle alla decisione di interrompere la gravidanza, pur di non affrontare il momento del parto (dato precedentemente rilevato da Goldbeck-Wood nel 1996). La tocofobia (primaria e secondaria) inoltre è stata osservata anche in donne con iperemesi gravidica (forma acuta e incontrollabile di vomito e nausee). La tocofobia secondaria è risultata positivamente correlata a disturbo da stress post traumatico e depressione post partum manifestatisi a seguito dei precedenti parti.