Adozione e criteri di adottabilità
Il vocabolario definisce l’ adozione come un istituto giuridico grazie al quale soggetti rimasti senza genitori naturali o da questi non riconosciuti o non educabili possono diventare figli legittimi di altri genitori.
L’ adozione è un istituto con una lunga storia: in principio essa prevedeva la sola funzione patrimoniale e assistenziale, per passare poi a una connotazione più altruistica con l’avvento delle società cristiane.
L’ adozione si trasforma ancora nella seconda metà del XX secolo, inizia così lentamente a presentarsi la necessità di disciplinare l’ adozione e di adoperarsi per il rispetto dei diritti dei bambini e dei loro genitori. A tale scopo tra la fine degli anni ’60 e ‘80 sono introdotte la legge n°431/67 per l’ adozione speciale e la legge n°184/83 per l’ affidamento familiare e l’ adozione internazionale (Facchi, Gilson, Villa, 2017).
Secondo la legge 4 maggio 1983 n. 184, perché un minore venga dichiarato in stato di adottabilità deve trovarsi ‘in una situazione di abbandono perché privo di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché la mancanza di assistenza non sia dovuta a forza maggiore di carattere transitorio’ (art. 8).
Con la dichiarazione di adottabilità il bambino deve affrontare l’esperienza della separazione definitiva dalle figure genitoriali che non sono state in grado di tutelarlo a sufficienza. Il bambino risulta come sospeso tra il conflitto di voler tornare indietro da quella mamma o quel papà che se pur inadeguati, gli consentivano di appartenere a qualcuno e la paura di nuovi attaccamenti affettivi alternativi ai propri genitori naturali, con tutto il carico di conflittualità e ambivalenza ad essi collegato. (Monaco, Niro, 1999).
I coniugi che intendono adottare dovranno presentare determinati requisiti (sia per le adozioni internazionali che per quelle nazionali), previsti dall’art. 6 della legge 184/83 (come modificata dalla legge 149/2001) che disciplina l’adozione e l’affidamento:
- Matrimonio: la coppia deve essere unita in matrimonio da almeno tre anni, o per per un numero inferiore di anni se i coniugi abbiano convissuto in modo stabile e continuativo prima del matrimonio per un periodo di tre anni, e ciò sia accertato dal tribunale per i minorenni;
- Età: L’età degli adottanti deve superare di almeno diciotto e di non più di quarantacinque anni l’età dell’adottando, con la possibilità di deroga in caso di danno grave per il minore.
Una volta accertati i requisiti si potrà intraprendere il tortuoso iter burocratico e psicologico, che passa da una valutazione genitoriale della coppia effettuata dagli Enti locali e validata dal Tribunale per Minorenni, alla richiesta ad un Ente autorizzato per le adozioni internazionali che segue la coppia dalla richiesta all’arrivo del bambino in Italia.
I momenti del percorso dell’ adozione e le criticità
Durante il percorso adottivo sono diversi i protagonisti che entrano in scena: non solo la coppia disponibile all’adozione e i bambini dichiarati adottabili, ma anche i genitori naturali e le istituzioni predisposte. Quali sono i principali momenti del percorso adottivo? Il primo momento riguarda la dichiarazione della coppia di disponibilità all’ adozione e l’ottenimento dell’idoneità; a esso segue il conferimento dell’incarico a un ente autorizzato – in caso di adozione internazionale; l’attesa del bambino; l’incontro tra la coppia e il bambino da adottare e infine è prevista la legittimazione dell’ adozione.
Tuttavia il percorso non è così lineare come descritto, esso può presentare varie criticità, criticità evidenti al punto da essere disciplinate da successive modifiche della legge n°184/1983. Questi punti critici, in taluni casi, hanno condotto a veri e propri fallimenti adottivi. Si tratta spesso di condizioni che, oltre all’interruzione del rapporto tra genitori adottivi e minori, possono terminare con l’allontanamento e il ricollocamento in un’altra famiglia o in una struttura di accoglienza.
Valutazione delle coppie adottanti
La valutazione della coppia genitoriale, indispensabile per l’ottenimento di idoneità, è un processo di delicata importanza. In questo processo non si valuta solo il singolo e le sue capacità genitoriali ma anche l’intero funzionamento della coppia che sceglie di adottare (Brodzinsky & Schechter, 1990): sono così indagate le modalità relazionale e di gestione dei problemi, i livelli di espressione dell’affettività, nonché le capacità di soddisfare i bisogni del bambino (fisici e psichici).
Nella valutazione della coppia bisogna tener conto anche dell’eventuale presenza di strutture psicopatologiche, che possono manifestarsi in diversi gradi: dalla scarsa consapevolezza della responsabilità, alle difficoltà relazionali, fino alla ben più grave possibile presenza di una perversione.
Vi sono diversi strumenti a cui lo psicologo che si accinge alla valutazione dell’idoneità può ricorrere (Elliot, 1995):
- Il colloquio. Con il colloquio si indagano specifiche aree: dalle pregresse e personali esperienze genitoriali, alle dinamiche relazionali del momento presente. La modalità relazionale dei propri genitori, infatti, nel rapporto con la figura materna e paterna hanno un ruolo fondamentale nello sviluppo della psiche individuale e tendono a formare modelli di attaccamento riproposti nell’età adulta all’interno della coppia e nella relazione con i propri figli (Bronfenbrenner, 1986). Pertanto, è necessario indagare le esperienze infantili vissute nella famiglia d’origine dei genitori che intendono adottare: il clima era caloroso e accogliente? O si palesava un’atmosfera fredda e rigida? I genitori erano ostili o violenti?
- L’ osservazione. La consapevolezza di essere valutati spinge i potenziali genitori ad assumere un atteggiamento socialmente desiderabile (Wegar, 2000), che tuttavia è spesso tradito dal comportamento non verbale e dalle modalità con cui i soggetti si relazionano con lo psicologo a prescindere dal contenuto che esprimono. Un occhio esperto che osserva anche questi aspetti garantisce una valutazione più completa.
- La valutazione psicodiagnostica. Considerando i diversi piani della comunicazione e della organizzazione di personalità dei genitori sarebbe opportuno affiancare alle scale autocompilate uno strumento proiettivo: un quadro sfaccettato e scandito su più livelli (autovalutazione vs. proiezione) può infatti offrire una valutazione più completa possibile.
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Oltre la valutazione iniziale: il proseguimento del contatto con le famiglie adottanti
Oltre al processo di valutazione, è necessario anche il proseguimento del contatto con le famiglie, anche dopo aver effettuato l’abbinamento coppia-bambino, per almeno due motivi.
Il primo motivo riguarda il fatto che, quando si decide di adottare, la coppia è sottoposta a una lunga serie di accertamenti legali, sanitari, sociali e psicologici. L’indagine psico-sociale in particolare viene vissuta come un processo invasivo, pressante e “indagatorio”. Ci si sente giudicati, sotto esame e questo spesso porta a una rottura del legame di fiducia con i servizi stessi. E’ necessario quindi rimarginare questa incrinatura, eliminando il vissuto di giudizio e pressione, aggiungendo l’elemento supportivo e strumentale, in un’ottica di fiducia reciproca.
L’altra motivazione spiega il senso della componente valutativa ma anche il proseguimento del contatto con le famiglie riguarda la natura della genitorialità adottiva in sé. Le famiglie non hanno percezione degli elementi emotivi, psicologici, sociali e culturali che dovranno affrontare con i loro futuri figli. La valutazione iniziale, come il corso preparatorio ed il successivo sostegno ad ogni tappa difficile, è fondamentale per poter affrontare le mille complessità della situazione e per evitare la dolorosa esperienza del fallimento dell’ adozione. Dolorosa e traumatica sia per genitori che per i bambini.
Le adozioni da parte delle famiglie omosessuali
In Italia si è ancora scettici, sia politicamente che socialmente, all’idea dell’ adozione da parte di coppie omosessuali. Ma esistono dei dati scientifici che supportano le ragioni di tale scetticismo? In realtà, negli ultimi vent’anni di ricerche, vi sono dati che mettono in luce come non vi siano differenze significative tra omosessuali e eterosessuali né in relazione alla genitorialità biologica (Temperamenti), né in relazione a quella adottiva (Caratteri). (Patterson 1994, 2001; Wainright & Patterson, 2008; Gartrell et al., 1996, 1999, 2000, 2005).
Quali sono effettivamente i fattori che possono discriminare un buon genitore da un cattivo genitore? L’orientamento sessuale è una discriminante importante? Tra i numerosi studi effettuati negli ultimi anni, ne citiamo uno in cui un team di psicologi ha esaminato 82 bambini, dei quali 60 affidati a genitori eterosessuali e 22 a genitori omosessuali gay o lesbiche (15 con genitori maschi e 7 con i genitori femmine). Tutti i bambini esaminati nello studio avevano diversi fattori di rischio al momento dell’ adozione, tra cui la nascita prematura, l’esposizione prenatale a sostanze, abuso o negligenza, e precedenti affidi. L’età dei bambini variava da 4 mesi a 8 anni, con un’età media di 4 anni, mentre i genitori adottivi avevano un’età compresa tra 30-56, con un’età media di 41. il 68% dei genitori erano sposati o conviventi.
Gli psicologi hanno studiato i bambini due mesi, un anno e due anni dopo che erano stati collocati presso una famiglia. I bambini sono stati sottoposti ad una valutazione cognitiva da uno psicologo clinico tre volte durante il corso dello studio, i genitori hanno completato questionari standard per il comportamento dei bambini in ciascuno dei tre periodi di valutazione. I risultati evidenziano pochissime differenze tra i bambini in tutte le valutazioni effettuate a due anni dal collocamento nella famiglia di genitori omosessuali o eterosessuali. In media, tutti i bambini hanno registrato miglioramenti significativi nel loro sviluppo cognitivo, mentre il livello di problemi comportamentali è rimasto stabile. Il punteggio QI è aumentato in media di 10 punti, da circa 85 a 95, cioè con un forte incremento da funzionamento medio-basso verso il funzionamento medio.
Un dato interessante riguarda il fatto che i bambini adottati da genitori omosessuali avevano più fattori di rischio al momento della loro collocazione, rispetto ai bambini adottati da genitori eterosessuali, ma nonostante questo a due anni dall’ adozione i loro progressi cognitivi sono paragonabili a quelli degli altri bambini del campione.
Lo studio indica dunque che i genitori omosessuali sono in grado di offrire un nucleo accogliente che si prenda cura di questi bambini in modo analogo a quella dei genitori eterosessuali. I risultati dello studio illustrato non sono un’oasi nel deserto ma si mostrano assolutamente in linea con la letteratura dell’ultimo ventennio, che conferma l’idoneità genitoriale delle coppie omosessuali.
Adozione: il bambino arriva a casa
L’arrivo a casa del bambino dà inizio a una nuova fase evolutiva. Il bambino e i rispettivi genitori, devono cominciare a “riconoscersi”, come figure familiari, figure di riferimento e di attaccamento reciproco. Devono imparare a riconoscersi. Riconoscersi, a differenza del conoscersi, non è un processo veloce, ma richiede del tempo in modo da trasformare la propria vita, pensato in due, ad una vita che deve includere un terzo.
Anche nell’usuale processo genitoriale, quando nasce un figlio, si stravolge l’ordine di vita precedente, tuttavia il relazionarsi con un figlio proprio, a partire dai primi giorni di vita, consente ai genitori un riassetto graduale dei loro spazi e dei loro tempi, nonché delle loro capacità relazionali ed emotive. I bambini adottati non sempre arrivano in famiglia così piccoli, a volte hanno un trascorso in altre famiglie, persino in altri contesti culturali. Il conoscersi spesso parte già con delle difficoltà oggettive.
Anche il linguaggio del corpo è un linguaggio che potrebbe essere espresso diversamente dai genitori adottivi e dai figli adottati: anche un abbraccio, se il bambino è cresciuto in un ambiente freddo e violento, può essere temuto. Per cui anche i primi contatti sono veri e propri campi di esplorazione sconosciuta.
Nei primi incontri è normale che i genitori siano spaesati e che debbano mettere in campo molteplici risorse e una grande capacità di tolleranza, di flessibilità e accoglienza. I bambini adottati per esempio, nella loro disperata e disperante angoscia, spesso mettono in atto condotte violente e distruttive, aggrediscono cose e persone, feriscono psicologicamente. I genitori dunque, si ritrovano a conoscere qualcuno che sembra non accogliere la loro disponibilità.
L’incontro effettivo con il piccolo, diverso da noi, avviene unicamente grazie alla capacità di sintonizzarsi ad un livello emotivo profondo, che permette di ri-conoscersi, di sentire la stessa cosa, nonostante una storia diversa, un linguaggio diverso, una cultura totalmente lontana. Se si è capaci di stare nello “stesso sentire”, ci si incomincia ad “appartenere”, a creare un nucleo di appartenenza.
Il processo di riconoscimento ha un suo tempo ed una logica in tutte le relazioni genitori-figli, quelle adottive presentano elementi aggiuntivi e articolati che rendo il tutto più difficile e penoso, in gran parte dei casi.
Bisogna ricordarsi che l’ esperienza di e l’attaccamento di questi bambini, spesso sono caratterizzati da assenza, violenza, maltrattamento, che di conseguenza porta a evitamento, insicurezza, angoscia, che complicano l’avvicinamento da parte dell’adulto che li accoglie.
Adozione: gli indicatori di rischio
Galli (2001) ha analizzato e descritto alcuni indicatori di rischio che possono assumere un peso fondamentale nel definire l’esito dell’ adozione; indicatori che riguardano non solo le caratteristiche delle coppie aspiranti all’ adozione e dei bambini che vengono adottati, ma anche le difficoltà e gli eventuali errori di valutazione dei professionisti che operano nel campo. Le peculiarità della coppia che di per sé non costituiscono fattori di rischio, possono invece rivelarsi determinanti di fronte a particolari caratteristiche del minore.
Gli indicatori individuati sono:
- L’infertilità, la sterilità, i trattamenti medici: è necessario che la coppia abbia elaborato il lutto dalla sterilità/infertilità, e abbia avuto il tempo di creare uno spazio interno per accogliere un figlio adottivo;
- I disturbi e funzionamento psicosomatico della coppia: spesso, dopo anni di trattamento dell’infertilità, la coppia può iniziare una gravidanza subito dopo avere presentato la domanda di adozione, o anche subito dopo l’arrivo del bambino adottato; altrettanto frequente è il fatto che negli stessi momenti del percorso adottivo, altre coppie manifestino sintomi o malattie psicosomatiche (ad esempio ulcere gastrointestinali, asma bronchiale) più o meno gravi, che incidono sia durante il percorso che in seguito, sulle dinamiche relazionali con il bambino.
- Le malattie organiche e disabilità: le richieste da parte di coppie nelle quali uno dei partner è affetto da malattie croniche progressive vengono, in alcuni casi, definite adulto-centriche, in cui il bambino adottivo viene a svolgere un ruolo terapeutico nei confronti dell’adulto malato;
- L’ adozione dopo la morte di un figlio: la richiesta di adozione fatta da queste coppie pone necessariamente di fronte al problema dell’elaborazione del lutto;
- Il rifiuto di procreare e motivazioni filantropiche: è possibile che dietro queste motivazioni si celino ansietà riguardanti la gravidanza e/o il parto, oppure timori di trasmettere malattie genetiche, o profonde problematiche riguardanti la sessualità di coppia.
Adozione e disturbi di personalità
Per quanto riguarda i disturbi di personalità o altre patologie più gravi, non vi sono in letteratura molti studi legati all’ adozione; alcuni di questi mostrano una maggiore probabilità di sviluppare disturbi di personalità e comportamento a rischio in adulti adottati.
E’ stato infatti registrato (Westermeyer et al., 2015) un aumento nella probabilità di sviluppare qualsiasi disturbo di personalità rispetto ai non adottati; in particolare gli adulti adottati mostravano una probabilità maggiore di possedere un disturbo di personalità istrionica, antisociale, evitante, paranoico, schizoide, e ossessivo-compulsivo rispetto ai non adottati. Questi risultati supportano i più alti tassi di disturbi di personalità tra gli adottati rispetto ai non adottati.
Adozione e incidenza di comportamenti suicidari
Una ricerca condotta presso l’Università del Minnesota dal 1998 al 2008, da Keyes et al., si è proposta di indagare se lo stato di adozione rappresentava un rischio di tentativo di suicidio per i figli adottati e non adottati che vivono negli Stati Uniti. Gli autori hanno poi esaminato i report dei genitori e i fattori noti per essere associati a comportamenti suicidari tra cui sintomi di disordine psichiatrico, tratti di personalità, ambiente familiare e disimpegno accademico. Dallo studio è emerso che la probabilità di tentativo di suicidio erano quasi 4 volte superiore in adulti adottati rispetto a non adottati. La relazione tra stato di adozione e tentativo di suicidio è parzialmente mediata da fattori noti per essere associati a comportamento suicidario.
Il fallimento dell’adozione
Accanto ad adozioni che riescono ad affrontare le situazioni di crisi evolutive, trovando nuove soluzioni che permettono di conservare i legami affettivi instauratisi, ci sono altre esperienze nelle quali purtroppo prevalgono sofferenza e disagio, tanto nei genitori quanto nei figli, che si concludono con il fallimento e nei casi estremi, con la restituzione del bambino.
I percorsi di adozione risultano spesso complessi e il lavoro degli operatori coinvolti necessita di qualificazione, aggiornamento e responsabilità.
Fallimento adottivo significa per una famiglia il non essere stata in grado di accogliere ed instaurare con un bambino una relazione significativa dal punto di vista affettivo, non attraversando con lui le fasi evolutive, fino al raggiungimento della sua autonomia nell’età adulta. (Galli, Viero, 2001).
Il fallimento adottivo porta il bambino, già segnato dall’esperienza dell’abbandono, a subire un ulteriore abbandono, il cui effetto costituisce un trauma estremamente grave, che comporta conseguenze sul suo sviluppo psichico.
Adozione: fattori di protezione
Tra i fattori di protezione che potrebbero garantire un buon percorso adottivo vi è l’accoglienza della storia del bambino adottato. Vi sono infatti dei momenti, soprattutto in adolescenza, in cui la persona adottata sente il bisogno di reperire informazioni sulla famiglia biologica.
Questo processo psicologico di base sino a poco tempo fa era ostacolato da un modello che considerava l’ adozione una nuova nascita per il bambino, dove tutto il passato doveva essere negato e tenuto nascosto.
Attualmente si sta passando ad un modello basato sul recupero del passato, sulla continuità, sulla triade genitori adottivi, bambini e genitori biologici. Questo implica l’importanza della narrazione, della raccolta di informazioni come punto di partenza affinchè la coppia adottiva possa accompagnare il bambino nella co/costruzione della propria identità. La trasformazione ha implicato una modifica legislativa, infatti l’articolo 28 della legge 184/1983 sancisce l’obbligo per i genitori adottivi di informare il figlio adottato sulle proprie origini.
La possibilità di accedere in maniera trasparente alle informazioni inerenti il passato del bambino diventa fondamentale, non solo per la costruzione del sé, ma appare funzionale su altri piani: sapere aiuta il genitore adottivo ad attribuire significati ai comportamenti ed alle emozioni del bambino.
D’altro canto, se il genitore adottivo conosce la storia del proprio figlio, potrà meglio comprendere e rispecchiarsi emotivamente nella sofferenza di quel comportamento; in caso contrario ed in assenza di una cornice si sentirà inutile e non voluto arrivando a disattivare le proprie cure.
La mentalizzazione è un fattore di protezione per lo sviluppo del bambino che può essere aiutato a rileggere la propria storia e a capire che la mamma non lo ha abbandonato perché lui era cattivo (egocentrismo) ma perché era depressa (decentramento). Mettere i genitori adottivi nella condizione di dare al proprio figlio una chiave di interpretazione della propria storia significa aiutarlo a capire come mai alcuni adulti (tra cui i suoi genitori biologici) hanno fallito nell’assumere il proprio ruolo genitoriale (Vadilonga, 2011).
Adozione: una migliore qualità di vita per chi adotta
Alcuni ricercatori hanno voluto mettere a confronto la qualità della vita di coppie che, dopo un percordo di Fecondazione in Vitro non andato a buon fine, decidono di adottare con la qualità della vita di coppie che, per diversi motivi, non hanno preso in considerazione l’idea di adottare un bambino.
Il gruppo di ricerca è composto da ostetriche e medici dell’Università di Göthenburg che hanno analizzato la qualità della vita in uomini e donne (in totale 979 partecipanti) a distanza di cinque anni dal trattamento IVF (Fecondazione in Vitro). I partecipanti sono stati divisi in quattro gruppi sperimentali: coppie con IVF non andato a buon fine (senza figli), coppie con IVF andato a buon fine (con figli), coppie senza problemi di fertilità e coppie che, ha causa dell’insuccesso dell’IVF, hanno deciso di adottare un bambino. La qualità della vita è stata misurata attraverso l’utilizzo del Psychological General Well Being (PGWB) e del Sense of Coherence (SOC), strumenti che misurano rispettivamente il benessere psicologico generale e il senso di coesione familiare. Sono state, inoltre, raccolte, attraverso ulteriori questionari, informazioni demografiche, socio-economiche e sanitarie.
Dai risultati è emerso che le coppie che decidono di adottare un bambino dopo il fallimento del trattamento IVF vanno incontro a una migliore qualità della vita, sia rispetto alle coppie senza figli che rispetto alle coppie senza problemi di fertilità. La qualità di vita peggiore risulta appartenere alle coppie il cui trattamento IVF è fallito e che sono ancora senza figli.
La genitorialità non è sempre riproduttività, si può essere degli ottimi genitori anche quando il dono di un bambino ci viene dato in altri modi, diversi da quello riproduttivo, e lo studio ci conferma è che, adottando, oltre ad aiutare nostro figlio, aiutiamo anche noi stessi.